La fase di grande incertezza nella quale ci troviamo, solo in parte determinata dalla crisi pandemica in corso, ci impone, ancora più rispetto al passato, di riflettere e valutare l’evoluzione e gli effetti delle politiche migratorie.
Nonostante, da oltre vent’anni, l’immigrazione sia uno degli argomenti più discussi nel dibattito politico italiano ed europeo, ancora oggi le istituzioni eurounitarie e nazionali trovano difficoltà ad elaborare politiche atte a garantire ingressi legali e sicuri così come continuano a mancare misure idonee volte a stabilizzare la permanenza dei cittadini stranieri sui territori.
La dimensione europea delle politiche migratorie si è sviluppata principalmente intorno a obiettivi di controllo, contenimento e prevenzione dei flussi irregolari e ad una sempre più rigorosa e progressiva riduzione dell'accesso al diritto d'asilo. Al contempo le risposte date dai singoli Stati membri, ed in particolare dal nostro Paese, si sono caratterizzate per la mancanza di una politica attiva degli ingressi, per l’approccio spesso emergenziale e per l’alta discrezionalità amministrativa nel trattamento degli stranieri.
A oltre vent’anni dall’entrata in vigore del Testo unico sull’immigrazione (d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286) continuare a considerare l’immigrazione un fenomeno transitorio (e non strutturale come invece è da anni) – oggetto di un’agenda politica pubblica intrisa dalla logica emergenziale che ha alimentato la retorica pubblica securitaria e si è tradotta in politiche di esclusione e “disprezzo per il diritto” –, ha portato all’inarrestabile processo di affievolimento, precarizzazione e negazione
dei diritti degli stranieri come ben ricostruito nell’analisi diacronica e corale contenuta nel volume
Ius migrandi pubblicato in occasione del ventennale dalla nascita di questa Rivista.
Dopo un trentennio, gli effetti sociali più evidenti di queste politiche inadeguate sono rinvenibili nell’elevato numero di ingressi irregolari, nel continuo ricrearsi di segmenti d’immigrazione irregolare occupata nel lavoro sommerso e a forte rischio di sfruttamento, nell’incorporazione/integrazione subalterna che ha fortemente limitato le opportunità di avanzamento sociale dei cittadini stranieri, nonché nella distanza che separa italiani e stranieri anche a causa del diffondersi di atteggiamenti ostili e discriminatori nei confronti di questi ultimi.
I contributi pubblicati in questo numero della Rivista, affrontano diversi aspetti relativi alla condizione del cittadino straniero ma in particolare, mettendo ancora una volta in luce l’interconnessione tra politica interna e internazionale, affrontano sostanzialmente il tema della regolazione dell’accesso al lavoro da parte degli immigrati, della tormentata e continua regolamentazione relativa al diritto d’asilo che ne rende sempre più complicato l’accesso, e di come l’emergenza sanitaria stia modificando i processi migratori ridefinendone le procedure di accoglienza e rimpatrio.
Il saggio di apertura a cura di William Chiaromonte e Madia D’Onghia, passando in rassegna i provvedimenti di regolarizzazione degli stranieri che dagli anni ’80 in poi hanno rappresentato il cardine delle politiche migratorie italiane, ben evidenziano l’assenza di una volontà politica atta a programmare l’ingresso e il soggiorno regolare per motivi di lavoro e la storica rinuncia, di fatto, da parte del nostro Paese a “governare” la migrazione. Gli autori, soffermandosi poi sulla procedura e sulle condizioni di accesso al recente provvedimento di regolarizzazione adottato dall’Esecutivo per far fronte all’emergenza sanitaria (art. 103, d.l. n. 34/2020, c.d. Decreto rilancio), ne evidenziano i principali profili di criticità al fine di gettare un cono di luce sugli aspetti che ne hanno limitato e condizionato l’efficacia applicativa in particolare proprio in quel settore produttivo, l’agricolo, considerato prioritario nelle intenzioni del Governo per far fronte alle situazioni di precarietà, marginalità e vulnerabilità prodrome allo sfruttamento.
Purtroppo, come messo in luce anche dal contributo di Carlo Caprioglio ed Enrica Rigo, i bassi numeri relativi alle domande presentate afferenti al settore dell’agricoltura rivelano l’inadeguatezza della misura a incidere in modo determinante sulla condizione giuridica dei braccianti agricoli e sul contrasto al caporalato. Le ragioni di fondo del fallimento prescindono dal provvedimento in sé e riguardano la gestione più complessiva delle politiche migratorie. Per affrontare la dimensione sistemica dello sfruttamento in agricoltura, è difatti necessario partire dall’impatto che il controllo delle frontiere ha sulle condizioni di lavoro, ricostruire un sistema di regole e di garanzie per rendere legali gli spostamenti umani e, al contempo, adottare interventi regolativi che incidano sull’organizzazione della filiera produttiva in settori, come quello agricolo, caratterizzato da stagionalità.
L’invito di Caprioglio e Rigo ad interrogarsi sul nesso tra regolazione della mobilità transnazionale e la gestione del mercato del lavoro, ci porta ad affrontare l’altro tema sempre attuale e presente anche in questo numero della Rivista, ovvero quello afferente alla protezione internazionale. Mentre il tema del lavoro è, nell’ultimo decennio, pressoché scomparso dal discorso pubblico e dalle politiche migratorie europee e italiane, con conseguente restrizione dei canali di ingresso per lavoro, uno spazio sempre più rilevante è stato occupato dall’asilo e dalle altre forme di protezione che oggi rappresentano, in termini di permessi di soggiorno, un quarto del totale dei titoli rilasciati annualmente nei territori dell’Unione europea ed un terzo dei nuovi permessi rilasciati a fine 2018 in Italia. Il canale della protezione internazionale e il rilascio di permessi di soggiorno per motivi umanitari è divenuto negli ultimi anni il modo principale, se non l’unico, tramite il quale vi è stata la possibilità di riconoscere giuridicamente e di regolarizzare il soggiorno delle persone giunte in Italia. E probabilmente, proprio a causa di questa torsione indotta dalle miopi politiche migratorie, sempre nell’ottica di controllare e contenere, che negli ultimi cinque anni il sistema di asilo italiano è stato interessato da numerose riforme strutturali di ampia portata, che hanno inciso, come ricorda nel suo contributo Noris Morandi, sulle fondamenta e sul contenuto dell’impianto sistematico originario.
Nei confronti del richiedente protezione internazionale, divenuto rapidamente una figura sociale totalmente negativa, sono stati adottati interventi legislativi che hanno depotenziato il diritto di asilo, attraverso la contrazione dei diritti dei richiedenti asilo e l’abbassamento dei livelli di tutela. Le limitazioni all’accesso alla procedura e al diritto di difesa, il trattenimento ai fini identificativi, l’abolizione della protezione umanitaria, la destrutturazione del sistema di accoglienza per i richiedenti asilo... L’analisi dell’evoluzione/involuzione della disciplina in materia di asilo, viene in questo numero della Rivista ripreso e affrontato in vari contributi volti a mettere in luce la fragilità di questo fondamentale diritto. In particolare il contributo di Noris Morandi si sofferma sui cambiamenti intervenuti nel quadro normativo delle procedure accelerate per l’esame della domanda di protezione ed in particolare sul portato degli istituti introdotti dalla legge 132/2018 (il concetto di Paese di origine sicuro, la procedura accelerata di frontiera o quella di esame immediato della domanda), i quali hanno fortemente compromesso il sistema di garanzie e di tutele del diritto di asilo in Italia. La disamina, pur tenendo conto delle ultime modifiche introdotte dal decreto legge 130/2020 appena entrato in vigore recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione, si conclude con la constatazione che ci troviamo di fronte ad un diritto alla protezione sempre più sofferente e precario in sintonia e coerenza con le prospettive di riforma formulate in sede europea nel «Nuovo patto sulla migrazione e l’asilo» presentato alla fine di settembre scorso. Nel commento di Cecilia Pratesi, sulle domande reiterate di protezione internazionale, si evidenziano le criticità poste dalla riforma operata dalla legge 132/2018 la quale, incidendo significativamente sul profilo delle garanzie procedimentali, è risultata confliggente pure con le garanzie minime accordate a livello europeo. Anche su questo aspetto, così come per le procedure accelerate, è intervenuto il d.l. 130/2020 e se il testo sarà convertito nella formulazione pubblicata in Gazzetta Ufficiale, potranno, secondo l’autrice, essere superate le maggiori criticità.
Il fronte europeo è ripreso nel contributo di Francesca Rescigno, la quale soffermandosi sulle politiche di esternalizzazione dei confini e le pratiche di respingimento evidenzia l’incapacità europea di giungere ad un modello unico d’asilo e il rischio insito in questo vuoto, nel quale le legislazioni nazionali si muovono con disinvoltura rendendo il diritto di asilo sempre in balia alla sovrana discrezionalità dei singoli Stati. Sul fronte dell’applicazione della nozione di Paese terzo sicuro quale causa di inammissibilità di domande d’asilo e del trattenimento dei richiedenti in pendenza della determinazione del loro status, troviamo ulteriori elementi di interesse nel commento di Cesare Pitea alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, nel caso Ilias e Ahmed c. Ungheria, nonché in quello di Erika Colombo concernente la pronuncia della Corte di giustizia del 14.5.2020, dove la Grande Sezione si è espressa in merito alle numerose questioni pregiudiziali sollevate nell’ambito delle cause riunite C-924/19 PPU e C-925/19 PPU, esaminando molteplici aspetti della disciplina delle procedure di riconoscimento del diritto d’asilo, delle procedure di rimpatrio e delle modalità di accoglienza dei cittadini di Paesi terzi. Altrettanto interessanti seppur deludenti sul piano della tutela dei diritti, le pronunce commentate da Fabrizia Camplone, con le quali le Corti di Lussemburgo e Strasburgo si sono trovate a decidere, a distanza di pochi anni, sull’obbligatorietà per gli Stati membri di rilasciare visti umanitari laddove il rifiuto esporrebbe i richiedenti al rischio di subire trattamenti inumani e degradanti. Al di là delle decisioni assunte, emerge il grande paradosso del sistema di asilo europeo, rappresentato dall’assenza di strumenti legislativi in materia di canali di ingresso legali i quali potrebbero incidere significativamente sull’accesso al diritto di asilo per i richiedenti asilo al di fuori delle frontiere europee.
Legato alla situazione contingente è infine il contributo di Michela Tuozzo, teso ad analizzare l’impatto degli interventi legislativi assunti per affrontare la situazione pandemica sui percorsi dei richiedenti asilo alla ricerca di un luogo sicuro e sugli stranieri in attesa di rimpatrio. Viene affrontata e analizzata la questione relativa al ricorso all’utilizzo delle “navi quarantena”, oggi apparentemente considerato un sacrificio equo e temporaneo per i migranti soccorsi che non interroga le istituzioni sul vulnus al diritto di circolazione, o alla libertà personale dei migranti.
Le questioni affrontate nei contributi e commenti sin qui richiamati si incuneano perfettamente nel dibattito attuale interessato sul fronte nazionale dalla conversione del d.l. 130/2020, volto a rimediare allo scempio causato dai decreti di stampo salviniano, e su quello europeo dal confronto sulla proposta di un Nuovo patto sulla migrazione e l’asilo, che di nuovo ha molto poco e che purtroppo conferma le linee di chiusura del passato.
Siamo in un momento tanto cruciale quanto complesso, nel quale risulta ancor più necessario fare massa critica, per rivendicare la forza stessa dei diritti umani, in difesa non solo dei migranti ma dell’identità civile e democratica dei nostri ordinamenti.