L’anno che si è appena concluso ha prodotto una cospicua giurisprudenza, in parte su questioni nuove in seguito alle recenti modifiche normative e all’applicazione dell’accordo Italia-Albania. Ne daremo conto nei paragrafi dedicati al trattenimento di richiedenti asilo, dopo aver passato in rassegna alcune questioni generali. Di particolare interesse sono due questioni di legittimità costituzionale: quella sollevata dal Giudice di pace di Roma – con ordinanza 17.10.2024 – che, finalmente verrebbe da dire, atteso che la dottrina l’ha elaborata e sollecitata da molti anni, dubita della legittimità costituzionale dei “modi” del trattenimento amministrativo non disciplinati da norme di rango primario; la seconda, sollevata dalla prima sezione penale della Corte di cassazione il 31 gennaio scorso, avente ad oggetto la disciplina – introdotta dalla l. n. 187/2024 (di conversione del d.l. n. 145/2024) – che ha modificato termini e competenze per impugnare i decreti di convalida e proroga dei trattenimenti. Qui la Corte dubita della conformità del novellato art. 14, co. 6, TUI con gli artt. 3, 24, 111 e 117 Cost. La rilevanza di tale questione suggerisce una deroga al consueto limite temporale (il precedente quadrimestre) delle decisioni analizzate in questa rassegna.
Trattenimenti
Questioni di legittimità costituzionale
Il Giudice di pace di Roma, con ordinanza del 17.10.2024 , ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 d.lgs. 286/1998. Il giudice rimettente ha osservato che la norma comporta una restrizione della libertà personale, «tutelata dall’art 13 Cost., secondo modalità e procedimenti a tutt’oggi non puntualmente disciplinati da una normativa di rango primario, in violazione della riserva assoluta di legge prevista dall’art. 13, comma 2, Cost., della riserva rinforzata di legge di cui all’art. 10, comma 2 Cost., e in violazione altresì del principio di eguaglianza (art. 3, Cost., in relazione agli artt. 2, Cost., 13, Cost., 24 Cost., 25, comma 1, Cost., 111 comma 1, Cost.), con riferimento al caso analogo della detenzione in sede penale, disciplinata dall’Ordinamento penitenziario (l. 354/1975), per la quale il controllo sulla legalità delle modalità di trattenimento è garantita dalla magistratura di sorveglianza, organo specializzato nella materia (art 102, comma 2, Cost.)». Il Giudice di pace ritiene che l’art. 14 d.lgs. 286/1998 non rispetti la riserva assoluta di legge imposta dall’art. 13 Cost., perché non disciplina i «modi» (le modalità del trattenimento, le procedure, le garanzie giurisdizionali a tutela dei diritti delle persone trattenute, analiticamente disciplinati nel caso analogo della detenzione penale, dalla legge 354/1975) della restrizione della libertà personale né individua alcuna autorità giudiziaria competente al controllo della legalità di tali modi del trattenimento. Il Giudice di pace ritiene inoltre che l’art. 14 d.lgs. 286/1998 violi il principio di eguaglianza «nella parte in cui, omettendo di disciplinare i “modi” del trattenimento amministrativo nei CPR, ed omettendo di prevedere la competenza, il ruolo e i poteri dell’autorità giudiziaria deputata alla tutela dei diritti dei soggetti in stato di detenzione amministrativa, attua una ingiustificata ed irragionevole disparità di trattamento, con la situazione, sostanzialmente identica, dei soggetti in stato di detenzione “penale” nelle strutture carcerarie, puntualmente disciplinata dall’Ordinamento penitenziario».
La Corte di cassazione, prima sezione penale, con ordinanza n. 4308/2025, pubblicata il 31 gennaio 2025 , ha sollevato questione di legittimità costituzionale del novellato art. 14, co. 6, TUI (richiamato dall’art. 6, co. 5-bis, d.lgs. 142/2015 per quanto concerne i richiedenti asilo) nella parte in cui prevede che la Corte di cassazione, sezione penale, cui è ora attribuita la competenza a decidere i ricorsi avverso le ordinanze di convalida e proroga dei trattenimenti, giudichi in Camera di Consiglio sui motivi di ricorso e sulle richieste del Procuratore generale, senza l’intervento dei difensori, nel breve termine di sette giorni dalla ricezione degli atti, senza prevedere alcuna scansione procedurale idonea a realizzare il contraddittorio. Ad avviso della Corte, il legislatore affiderebbe così alla “creazione dell’autorità giudiziaria” l’individuazione della procedura idonea ad assicurare l’effettività del contraddittorio. Osserva il Collegio remittente che «la strumentalità del processo al pieno dispiegarsi del diritto di difesa, sia pure variamente articolato in relazione alle finalità acceleratorie perseguite dal legislatore, implica che una norma destinata a incidere significativamente sul diritto delle parti di conoscere le ragioni della controparte, soprattutto quando vengano in gioco diritti fondamentali e in sede di giudizio di legittimità, ultima istanza giurisdizionale, appare collidere con l’art. 24 Cost.». Sicuramente la questione meriterà adeguata riflessione, anche alla luce dei successivi approdi giurisprudenziali.
Motivazione
I provvedimenti giurisdizionali relativi alle limitazioni della libertà personale di cittadini stranieri devono essere sorretti da una idonea motivazione; la motivazione è idonea quando contenga tutti gli elementi necessari affinché il destinatario con la normale diligenza possa individuare il nucleo della decisione che sottende alla misura adottata. Il giudice deve quindi far conoscere il ragionamento seguito per la formazione del proprio convincimento, nel rispetto del c.d. «minimo costituzionale» individuato dalle Sezioni Unite nella sentenza 8053/2014.
La Corte di Cassazione, con ordinanza sez. I civ. 13.9.2024 n. 24572, ha ribadito che è illegittimo, perché sorretto da motivazione apparente, il provvedimento di convalida del trattenimento in cui il giudice si limiti a un mero richiamo delle motivazioni della questura, senza alcuna disamina delle difese del ricorrente e senza alcuna esplicitazione, pur sintetica, delle ragioni di condivisione delle argomentazioni della questura e finanche neppure delle ragioni giustificative della proroga.
Del pari nullo, secondo l’ordinanza sez. I civ. 13.9.2024 n. 24599, è il provvedimento di convalida emesso dal Giudice di pace, compilato utilizzando un prestampato quasi del tutto illeggibile, completando a mano gli spazi con una grafia poco chiara, senza fornire alcuna motivazione sulle questioni dedotte dalla parte in udienza, poiché la motivazione così espressa è inidonea ad assolvere la sua funzione essenziale consistente nell’esteriorizzazione del contenuto della decisione. Nel caso di specie il provvedimento impugnato, redatto tramite il riempimento di un modulo prestampato, risultava a stento comprensibile nella sua parte iniziale e nel dispositivo finale, mentre il corpo centrale, (presumibilmente) giustificativo delle ragioni addotte per riscontrare la legittimità del trattenimento disposto, non risultava leggibile, in particolare nelle righe che, essendo barrate con una crocetta, avrebbero dovuto costituire il nucleo fondante della decisione. La Corte ha osservato che il ricorso alla compilazione di un modello di contenuto incomprensibile nella sua parte fondante costituisce un’anomalia argomentativa che comporta una violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza di una motivazione, nel suo contenuto minimo e indispensabile, capace di rendere percepibili le ragioni su cui la statuizione assunta si fonda, e, di conseguenza, la nullità del provvedimento impugnato. Ne deriva il vizio, per difetto di motivazione, della valutazione compiuta dal giudice di merito a proposito del ricorrere delle condizioni giustificative previste dagli artt. 13 e 14 TUI per procedere alla convalida del trattenimento.
Negli stessi termini, per un caso analogo di decisione espressa in un prestampato quasi del tutto illeggibile, completato negli spazi liberi a mano con una grafia poco chiara, senza fornire alcuna motivazione sulle questioni dedotte dalla parte in udienza, si è espressa la Corte di cassazione nell’ordinanza sez. I civ. 13.9.2024 n. 24629.
Analogo principio la Corte di cassazione ha espresso nell’ordinanza sez. I civ. 13.9.2024 n. 24641, esaminando un ricorso proposto contro un decreto di convalida di accompagnamento immediato alla frontiera in esecuzione di espulsione: il Giudice di pace, rileva la Corte, ha ignorato del tutto le specifiche deduzioni difensive, incorrendo così nel vizio di motivazione.
Del pari meramente apparente è, secondo l’ordinanza sez. I civ. 20.11.2024 n. 30019, la motivazione che si esaurisce nella formula di verificata sussistenza dei presupposti che legittimano la concessione della proroga del termine di permanenza presso il Centro di permanenza per i rimpatri, ma non ne illustra le ragioni; il provvedimento è pertanto annullato dalla Corte di cassazione.
L’assenza di motivazione sulle eccezioni sollevate dalla difesa ha condotto la Corte di Cassazione ad annullare, con due ordinanze di identico tenore ( sez. I civ. 29.12.2024 n. 34824 e sez. I civ. 29.12.2024 n. 34827 )
Non è invece apparente una motivazione sia pur molto sintetica, ma chiara e intellegibile: così ha stabilito la Corte nell’ordinanza sez. I civ. 13.9.2024 n. 24601.
Atto presupposto e doppia tutela
È nota e chiara la distinzione tra la decisione di rimpatrio, in veste di decreto di espulsione o di respingimento, e i provvedimenti che di tale atto presupposto costituiscono esecuzione e possono assumere le diverse forme di ordini di accompagnamento immediato alla frontiera, di trattenimento, di sottoposizione alle misure alternative al trattenimento, di allontanamento; la normativa prevede anche la partenza volontaria, la cui applicazione in pratica è affatto residuale.
Altrettanto nota è la teoria della c.d. doppia tutela, elaborata dalla giurisprudenza di legittimità per distinguere l’ambito di cognizione del giudice investito della valutazione di legittimità dell’atto presupposto (come detto, il decreto di espulsione o di respingimento) da quello del giudice chiamato a convalidare le misure esecutive. La Corte ha infatti chiarito che il giudizio sull’atto presupposto, che può eventualmente (ma non necessariamente) essere instaurato dal cittadino straniero espulso o respinto, investe le questioni relative a tale atto e non può estendersi alla legittimità delle modalità di esecuzione; queste ultime sono invece sindacabili dal giudice della convalida, la cui cognizione riguarda l’atto esecutivo e non l’atto presupposto, di cui deve verificare solo l’esistenza e l’efficacia. Tale rigida separazione è stata superata sin dal 2014 dalla Corte che, recependo principî affermati dalla CEDU, ha affermato il dovere del giudice della convalida di verificare altresì la non manifesta illegittimità dell’atto presupposto, che ove sussistente travolge tutti gli atti esecutivi: così, nel solco di un orientamento consolidato, si è espressa la Corte nell’ordinanza sez. I civ. 13.9.2024 n. 24641.
Il trattenimento può costituire anche uno dei presupposti per un ulteriore titolo di trattenimento: è il caso previsto dall’art. 6, comma 3, d.lgs. 142/2015, secondo il quale il cittadino straniero che sia trattenuto in un CPR in attesa dell’esecuzione di un respingimento o di un’espulsione, e abbia presentato domanda di protezione internazionale al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione del respingimento o dell’espulsione, resta trattenuto ma a diverso titolo. Questo diverso trattenimento impone una nuova convalida da parte del giudice, che è tenuto a sindacare anche, in via incidentale, la manifesta illegittimità dell’atto ablativo, presupposto del trattenimento originario: lo ha ribadito la Corte di cassazione nella citata ordinanza sez. I civ. 19.11.2024 n. 29782. L’ordinanza si segnala anche perché ribadisce alcuni altri consolidati approdi della giurisprudenza di legittimità in materia: in particolare, la necessità di fornire al cittadino straniero, soccorso in mare e condotto nel c.d. punto di crisi un’adeguata informazione sulla facoltà di chiedere la protezione internazionale, pena la nullità del decreto di respingimento non preveduto da tale informativa e la conseguente illegittimità della convalida del trattenimento. L’ordinanza inoltre conferma che permane l’interesse alla pronuncia sui ricorsi anche quando il trattenimento sia cessato nelle more della decisione, sia per il diritto al risarcimento derivante dall’illegittima privazione della libertà personale, sia al fine di eliminare ogni impedimento illegittimo al riconoscimento della sussistenza delle condizioni di rientro e soggiorno nel territorio italiano.
Il principio della doppia tutela in sé non è però superato: restano distinti gli ambiti di cognizione del giudice dell’atto ablativo (in sede di eventuale opposizione) e della convalida della misura esecutiva. Chi voglia ricorrere per cassazione deve tenere presente questo riparto e dirigere le censure verso il bersaglio giusto. Nei casi esaminati dalla Corte nelle due ordinanze sez. I civ. 13.9.2024 n. 24633 e sez. I civ. 13.9.2024 n. 24643 la parte aveva proposto ricorso contro il decreto di convalida di misure alternative al trattenimento adottate in esecuzione di decreto di espulsione, ma aveva dedotto vizi propri del decreto di espulsione, non già quale atto presupposto di quello impugnato ma, par di capire, sovrapponendo i due provvedimenti. I ricorsi sono stati dichiarati inammissibili.
Profili processuali
La Corte di cassazione, nell’ordinanza sez. I civ. 19.11.2024 n. 29741, è stata sollecitata sui poteri istruttori del giudice della convalida anche in relazione all’atto presupposto. Nel caso di specie, il ricorrente lamentava che il questore, istante per la convalida del trattenimento, non avesse trasmesso un precedente decreto di respingimento, astrattamente idoneo a fornire una diversa e ulteriore causa espulsiva rispetto a quella autonoma posta a base del decreto della cui esecuzione è giudizio. Il ricorrente assumeva che la mancata trasmissione degli atti relativi alla anteriore procedura di respingimento avrebbe reso impossibile il controllo giurisdizionale pieno, da parte del Giudice di pace, del provvedimento amministrativo adottato. La Corte ha rilevato che nel giudizio di convalida del trattenimento il questore deve trasmettere al Giudice di pace l’ordine di trattenimento e il decreto di espulsione o di respingimento che ne costituisce il presupposto; il giudice della convalida deve sindacare incidentalmente la non manifesta illegittimità del provvedimento presupposto; a tale sindacato provvede sulla base degli atti, può ricercare tutti gli elementi di prova che ritenga rilevanti, se lo ritiene necessario, senza incontrare limitazioni al potere di controllo; l’omessa trasmissione denunciata dal ricorrente non comporta la nullità della convalida. La Corte rileva inoltre che sarebbe stato onere del cittadino straniero espulso e trattenuto produrre la documentazione ulteriore, rispetto agli atti che il questore deve necessariamente depositare, che avesse ritenuto utile al fine di ampliare il novero degli elementi posti a disposizione del giudice della convalida o della proroga e suffragare le proprie tesi in ordine alla manifesta illegittimità del provvedimento di espulsione o respingimento a cui ha fatto seguito il trattenimento.
Termini
Il termine di quarantotto ore, previsto per la comunicazione al Giudice di pace e la successiva convalida, del provvedimento con cui il questore ha disposto misure alternative rispetto al trattenimento dello straniero presso i Centri di permanenza per i rimpatri, ha natura perentoria, con la conseguenza che una convalida disposta successivamente deve essere cassata senza rinvio, essendo già decorso il termine entro il quale la stessa poteva essere emanata (Corte di cassazione, ordinanza sez. I civ. 13.9.2024 n. 24573).
Richiedenti protezione internazionale
Nella sentenza sez. I civ. 16.12.2024 n. 32763 la Corte si è occupata del termine entro cui, in presenza di manifestazione di volontà di chiedere protezione internazionale da parte di un cittadino straniero trattenuto, il questore deve procedere alla registrazione della domanda di asilo, all’adozione del nuovo decreto di trattenimento e alla richiesta di convalida.
Muovendo dalla sentenza n. 212/2023 della Corte costituzionale, la Corte di legittimità ritiene che il trattenimento, già convalidato dal Giudice di pace, conservi la propria efficacia pur essendone sospesi i termini. La Corte richiama la disciplina prevista dall’art. 304 c.p.p. che prevede in determinate ipotesi la sospensione dei termini di custodia cautelare, mantenendo ferma l’efficacia della misura restrittiva: «se la norma parla di sospensione dei termini della misura restrittiva, significa che la misura resta valida ed efficace anche durante questo arco di tempo». Secondo la Corte, fino alla registrazione della domanda e quindi alla c.d. riconvalida, la base legale del trattenimento è costituita dal decreto di convalida del Giudice di pace.
La Corte afferma che legittimamente il legislatore abbia disciplinato in modo diverso la figura del richiedente asilo primario (che presenta la domanda in condizione di libertà) da quella del richiedente asilo secondario (che la presenta in corso di trattenimento): per quest’ultimo, la Direttiva 2013/33 prevede che lo Stato membro possa «comprovare» la strumentalità della domanda.
La Corte costruisce quindi una duplice nozione di richiedente asilo: «in senso sostanziale, intendendosi come tale la condizione del soggetto che ha manifestato la volontà di chiedere la protezione, e in senso formale, intendendosi come tale la condizione del soggetto la cui domanda sia stata recepita e formalizzata dall’autorità competente. Le due condizioni, onde evitare deficit di tutela, devono essere portate a unità nel più breve tempo possibile, come peraltro prevede anche la legislazione nazionale (art. 26 comma 2-bis, d.lgs. 25/2008) e in linea di massima rileva, ai fini delle garanzie procedimentali e per l’accoglienza, la acquisizione della qualità sostanziale di richiedente asilo; ma ciò non toglie che taluni adempimenti siano legati necessariamente alla formalizzazione della domanda e che il diritto del cittadino straniero ad un ricorso effettivo e – sussistendone i presupposti – alla protezione internazionale, deve essere contemperato con il diritto-dovere dello Stato di valutare attentamente le condizioni per la permanenza dello straniero sul suolo nazionale, anche al fine di non svilire e inflazionare un istituto di fondamentale importanza quale l’asilo, di cui non possono essere consentite utilizzazioni strumentali».
La Corte enuncia due principi di diritto:
«A) L’art. 6, comma 5, del d.lgs. 142/2015, nello stabilire che i termini di restrizione della libertà personale dello straniero previsti dall’art. 14, comma 5, d.lgs. 286/1998, effetto di un primo provvedimento dell’autorità di pubblica sicurezza già convalidato, sono sospesi nel caso in cui la persona trattenuta presenti domanda di asilo, va interpretato nel senso che la privazione della libertà personale non resta priva di titolo fino al momento in cui il questore, dopo avere registrato la domanda, adotti un nuovo provvedimento di trattenimento ai sensi dell’art. 6 comma 3 dello stesso d.lgs., purché il nuovo provvedimento di trattenimento venga trasmesso al giudice competente per la convalida entro 48 ore dalla sua adozione e convalidato nelle successive 48 ore, ferma restando la insuperabilità dei termini massimi di durata della misura previsti dalla legge.
B) L’art. 6, commi 3 e 5, del d.lgs. 142/2015, non è in contrasto con il quadro normativo eurounitario di riferimento e segnatamente con l’art. 8 della Direttiva 2013/33/UE, trattandosi di norma che consente il trattenimento del richiedente asilo secondario, in conformità con quanto previsto dall’art. 8, par. 3, lett. d), della suddetta Direttiva, e finalizzata ad assicurare il diritto dovere dello Stato di valutare la domanda di asilo al fine di provare che vi sono fondati motivi per ritenere che lo straniero ha manifestato la volontà di presentare la domanda di protezione internazionale al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione della decisione di rimpatrio».
Nella sentenza sez. I civ. 16.12.2024 n. 32767 la Corte, in continuità con l’orientamento già consolidato, ribadisce che i termini previsti per la procedura accelerata (sette giorni per l’audizione, altri due per la decisione) previsti dall’art. 28-bis d.lgs. 25/2008 non sono perentori e non sussiste un contrasto tra tale norma e l’art. 6 d.lgs. 142/2015 che fissa in 60 giorni la durata massima del trattenimento convalidato, dovendo applicarsi quest’ultima. La violazione dei termini procedurali comporta, come affermato dalle Sezioni Unite (sent. 11399/2024), l’inapplicabilità del regime relativo alla procedura accelerata (compressione dei termini per proporre ricorso, esclusione dell’effetto automaticamente sospensivo del ricorso) e il ripristino della procedura ordinaria, con pienezza dei tempi per il ricorso ed effetto automaticamente sospensivo (ma non la cessazione del trattenimento). Questo è il principio di diritto enunciato dalla Corte: «Qualora un soggetto destinatario di un provvedimento di espulsione o respingimento, trattenuto in attesa di rimpatrio, presenti domanda di protezione internazionale e la amministrazione ne ritenga la strumentalità, disponendo un nuovo trattenimento ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. 142/2015, i termini massimi di questo trattenimento sono quelli previsti dallo stesso art. 6 del d.lgs 142/2015, per segmenti processuali e complessivi, mentre l’art. 28-bis del d.lgs. 25/2008 stabilisce i termini delle procedure accelerate, il cui superamento non comporta la decadenza del trattenimento, bensì la sospensione automatica del provvedimento impugnato, come da principio generale; non è tuttavia esclusa la sindacabilità giurisdizionale del superamento dei termini previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 28-bis del d.lgs. n. 25 del 2008, ove ne venga denunciato l’inutile scorrere o l’inerzia colpevole, così da attivare una valutazione in concreto della necessità di oltrepassare il limite legale, non perentorio, in funzione dell’adeguatezza dell’esame da svolgere». È irrilevante per la Corte la mancata informativa del ritardo al trattenuto, in quanto «la previsione espressa dell’informativa contenuta nell’art. 27 comma 3 d.lgs. 25/2008 non può, invero, costituire una condizione di validità del trattenimento, perché ciò non è previsto». Resta la possibilità di sindacare in concreto la necessità di superare i termini della procedura accelerata «in funzione dell’adeguatezza dell’esame da svolgere», e forse in questo ambito la persona trattenuta potrà denunciare «l’inutile scorrere o l’inerzia colpevole» dell’Amministrazione, nei casi in cui questa non sia in grado di giustificare adeguatamente la violazione dei termini.
Competenza
La Corte di cassazione, nella citata ordinanza sez. I civ. 13.9.2024 n. 24601, ha osservato che nel caso di trattenimento del richiedente asilo presso un Centro di permanenza temporanea, la presentazione di una domanda di protezione internazionale da parte dello straniero, anche se reiterata, radica la competenza sulla convalida in capo alla sezione specializzata istituita presso il Tribunale, e non al Giudice di pace, ai sensi dell’art. 6, comma 5, del d.lgs. 142/2015, in quanto determina un mutamento del titolo del trattenimento che prosegue, per il periodo massimo normativamente previsto, al fine di consentire l’espletamento della procedura di esame della domanda di protezione. Tuttavia, nel caso di specie, la Corte ha rilevato che il ricorrente non aveva proposto una formale domanda di protezione internazionale, avendo solo dichiarato a verbale (come esposto nel ricorso) di «voler rimanere in Italia e di voler chiedere la protezione internazionale». Ne consegue, ad avviso della Corte, che, non essendo stata regolarmente proposta la domanda di protezione internazionale, non poteva invocarsi la competenza del Tribunale.
Procedura e trattenimento per richiedenti di Paesi di origine sicura
Il Tribunale di Catania, chiamato a convalidare il trattenimento disposto ai sensi dell’art. 6-bis d.lgs. 142/2015, nei confronti di un cittadino del Bangladesh (Paese designato come sicuro con d.m. del 7.5.2024) il quale aveva presentato domanda di protezione internazionale in zona di frontiera, con decreto del 20.9.2024 ha disapplicato l’atto amministrativo di designazione del Paese sicuro, ritenendolo incompatibile e in contrasto con la norma di legge primaria che regola la fattispecie (l’art. 2-bis d.lgs. 25/2008), alla luce di un’approfondita disamina delle condizioni di sicurezza del Bangladesh. Il Tribunale ha vieppiù rilevato che non poteva applicarsi, nel caso di specie, la procedura di frontiera con la relativa finzione di non ingresso prevista dall’art. 43 della Direttiva 2013/32, poiché il cittadino straniero, seppur avesse fatto ingresso e presentato la domanda di protezione nella zona di frontiera di Lampedusa, era stato in seguito trasferito a Ragusa e ivi trattenuto, mentre la normativa europea prevede che la procedura di frontiera si svolga interamente nella zona di frontiera o di transito.
Con altra decisione ( decreto 15.10.2024 parzialmente sovrapponibile il Tribunale di Catania ha rigettato la richiesta di convalida di un cittadino nigeriano osservando come, sulla scorta della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 4.10.2024, sia incompatibile con il diritto europeo (in particolare con l’articolo 37 della Direttiva 2013/32) la normativa interna che designi come Paese di origine sicuro un Paese terzo qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali per una siffatta designazione (si tratta della c.d. eccezione territoriale). Nello stesso senso, ma in relazione alla c.d. eccezione soggettiva (cioè per categorie di persone e non per parti del territorio), si è pronunciato il Tribunale di Palermo con decreto del 10.10.2024 .
Il Tribunale di Catania è poi giunto ( decreto 4.11.2024 alla medesima conclusione anche dopo l’entrata in vigore del d.l. 158/2024 (poi trasfuso nella legge 187/2024 di conversione del d.l. 145/2024), che ha inserito l’elenco dei Paesi di origine sicuri nell’art. 2-bis del d.lgs. 25/2008. Il legislatore della novella ha da un lato inserito l’elenco in una fonte di rango primario, laddove prima esso era contenuto in una norma di rango secondario, dall’altro ha escluso ogni eccezione (territoriale o personale) per i Paesi inseriti nell’elenco. Il Tribunale etneo ha ritenuto che «tale qualificazione non esime il giudice dall’obbligo di verifica della compatibilità di tale designazione con il diritto dell’Unione europea, obbligo affermato in modo chiaro e senza riserve dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza del 4 ottobre 2024 della Grande Camera, nel procedimento C-406/2022, avviato con rinvio pregiudiziale dal Tribunale di Brno (Repubblica ceca) e dalla Corte costituzionale (da ultimo Corte costituzionale - 12.2.2024, n. 15)». Il Tribunale ha osservato che la designazione di Paese sicuro dell’Egitto contrastava con le informazioni raccolte su tale Paese e che la Corte di giustizia, pur non menzionando la c.d. eccezione personale o soggettiva nel dispositivo (poiché il rinvio pregiudiziale sottopostole riguardava infatti l’eccezione territoriale), aveva comunque contemplata nella motivazione della sentenza ritenendola incompatibile con la definizione eurounitaria di Paese sicuro. Il Tribunale ha pertanto disapplicato il d.l. e rigettato la richiesta di convalida.
Protocollo Italia-Albania
Il Tribunale di Roma è stato chiamato a decidere della convalida del trattenimento disposto ai sensi dell’art. 6-bis d.lgs. 142/2015, in relazione alla richiesta di protezione internazionale formulata da alcuni cittadini stranieri e allo svolgimento della procedura in frontiera di cui all’art. 28-bis, comma 2, lett. b-bis), d.lgs. 25/2008, ai sensi del Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, ratificato e reso esecutivo con la l. 14/2024.
Con diversi decreti emessi il 18.10.2024 ( 1 , 2 e 3 ), di identico tenore salvo le specifiche analisi sui Paesi di origine, il Tribunale di Roma ha ritenuto che la procedura accelerata prevista dall’art. 28-bis, comma 2, lett. b), d.lgs. 25/2008, per la domanda di protezione internazionale presentata da un richiedente direttamente alla frontiera o nelle zone di transito, dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli, non fosse neanche in astratto applicabile al trattenimento in Albania poiché nelle aree previste dal relativo Protocollo, ratificato con l. 14/2024, alla luce del combinato disposto degli artt. dell’art. 3, comma 2, della legge di ratifica, e dell’art. 10, comma 2, lettera b-bis) (introdotta dal d.l. 145/2024), «possono essere condotte esclusivamente persone imbarcate su mezzi delle autorità italiane all’esterno del mare territoriale della Repubblica o di altri Stati membri dell’Unione europea, anche a seguito di operazioni di soccorso» e «che, rintracciati, anche a seguito di operazioni di ricerca o soccorso in mare, nel corso delle attività di sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione europea [...]». In ragione delle circostanze e delle modalità di arrivo dei migranti presso le suddette aree, previste dal Protocollo e dalla legge di ratifica, ad avviso del Tribunale non poteva neanche ipotizzarsi l’applicazione della procedura accelerata di frontiera ai sensi della lett. b), dell’art. 28-bis, comma 2, d.lgs. 25/2008.
Sulla scorta di argomenti analoghi a quelli già svolti dai Tribunali di Catania e di Palermo nei decreti testé citati, il Tribunale capitolino ha altresì escluso l’applicabilità della lett. b-bis), dell’art. 28-bis, comma 2, d.lgs. 25/2008, che ha come presupposto la provenienza da Paese di origine sicuro, perché dalle schede redatte dal Ministero degli esteri sui Paesi di origine (Bangladesh ed Egitto) emergeva che gli stessi erano definiti sicuri con eccezioni per determinate categorie di persone, e pertanto alla luce dei principî affermati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza del 4.10.2024 essi non potevano essere riconosciuti come Paesi sicuri. Il Tribunale ha pertanto rigettato le richieste di convalida del trattenimento.
Come sopra ricordato, il governo e poi il legislatore è intervenuto sulla normativa e, per quel che qui rileva, ha inserito l’elenco dei Paesi di origine sicuri nell’art. 2-bis del d.lgs. 25/2008 con d.l. 158/2024 (poi trasfuso nella legge 187/2024 di conversione del d.l. 145/2024), con il dichiarato intento di sottrarre al giudice della convalida il potere di valutare la definizione di sicurezza del Paese di origine.
In seguito alla novella, chiamato una seconda volta a convalidare ordini di trattenimento in Albania, il Tribunale di Roma ha ritenuto, a differenza del Tribunale di Catania, di disporre rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea alla quale ha rivolto quattro quesiti, analogamente a quanto già disposto da due collegi della stessa sezione specializzata in sede cautelare sui ricorsi contro decisioni di rigetto delle domande di protezione internazionale proposti dalle persone già trattenute in Albania il mese precedente e oggetto dei provvedimenti sopra citati.
Con ordinanze dell’11.11.2024 ( 1 e 2 ), anche stavolta tutte sorrette dalle medesime argomentazioni, il Tribunale ha chiesto alla Corte di giustizia di rispondere a quattro quesiti, che riportiamo di seguito:
1) se il diritto dell’Unione, e in particolare gli articoli 36, 37 e 38 della Direttiva 2013/32/UE, letti anche in combinazione con i suoi Considerando 42, 46 e 48, e interpretati alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (e degli artt. 6 e 13 della CEDU), osti a che un legislatore nazionale, competente a consentire la formazione di elenchi di Paesi di origine sicuri e a disciplinare i criteri da seguire e le fonti da utilizzare a tal fine, proceda anche a designare direttamente, con atto legislativo primario, uno Stato terzo come Paese di origine sicuro;
2) se comunque il diritto dell’Unione, e in particolare gli articoli 36, 37, e 38 della medesima Direttiva, letti anche in combinazione con i suoi Considerando 42, 46 e 48, e interpretati alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (e degli artt. 6 e 13 della CEDU), osti quanto meno a che il legislatore designi uno Stato terzo come Paese di origine sicuro senza rendere accessibili e verificabili le fonti adoperate per giustificare tale designazione, così impedendo al richiedente asilo di contestarne, e al giudice di sindacarne la provenienza, l’autorevolezza, l’attendibilità, la pertinenza, l’attualità, la completezza, e comunque in generale il contenuto, e di trarne le proprie valutazioni sulla sussistenza delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I della Direttiva;
3) se il diritto dell’Unione, e in particolare gli articoli 36, 37, e 38 della medesima Direttiva, letti anche in combinazione con i suoi Considerando 42, 46 e 48, e interpretati alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (e degli artt. 6 e 13 della CEDU), debba essere interpretato nel senso che, nel corso di una procedura accelerata di frontiera da Paese di origine designato sicuro, ivi inclusa la fase della convalida del trattenimento in essa disposto, il giudice possa in ogni caso utilizzare informazioni sul Paese di provenienza, attingendole autonomamente dalle fonti di cui al paragrafo 3 dell’art. 37 della Direttiva, utili ad accertare la sussistenza delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I della Direttiva;
4) se il diritto dell’Unione, e in particolare gli articoli 36, 37, e 38 della medesima Direttiva, nonché il suo Allegato I, letti anche in combinazione con i suoi Considerando 42, 46 e 48, e interpretati alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (e degli artt. 6 e 13 della CEDU), osti a che un Paese terzo sia definito “di origine sicuro” qualora vi siano, in tale Paese, categorie di persone per le quali esso non soddisfa le condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I della Direttiva.
Il Tribunale ha quindi disposto la sospensione del procedimento di convalida; poiché i termini previsti dall’art. 13 Cost. e dagli artt. 6 e 6-bis) d.lgs. 286/1998 e dall’art. 14 d.lgs. 286/1998 sono posti a pena di decadenza quali garanzie per la libertà personale, dal momento che entro tali termini non era intervenuta la convalida del trattenimento questo è cessato e le persone sono state condotte in Italia.
Avverso i decreti del Tribunale di Roma del 18.10.2024 sopra citati il Ministero dell’interno ha proposto ricorso per Cassazione. La Corte di cassazione, tenuto conto che per il 25.2.2025 è prevista l’udienza dinanzi alla Corte di giustizia per esaminare i rinvii pregiudiziali su questioni in gran parte sovrapponibili e quindi interferenti, tra le quali quelle sollevate dal Tribunale di Roma con le ordinanze dell’11.11.2024 appena riportate, ha rinviato a nuovo ruolo l’esame dei ricorsi in attesa della decisione della Corte di giustizia ( Cass. sez. I civ., ord. interlocutoria 30.12.2024 n. 34898 ).
Espulsioni
Coniuge straniero di cittadina italiana: art. 13, co. 2, lett. b), d.lgs. 286/98, ovvero art. 21, d.lgs. 30/2007?
Un cittadino albanese, coniugato con cittadina italiana, viene attinto da decreto di espulsione prefettizio ai sensi dell’art. 13, co. 2, lett. b), TUI, previa revoca del permesso di soggiorno per lavoro subordinato (conseguito prima del matrimonio con la cittadina UE) e diniego dalla domanda di rilascio di carta di soggiorno per familiare di cittadino unionale. Impugna entrambi i provvedimenti innanzi alla sezione specializzata del Tribunale. Quanto alla disposta espulsione sostiene che, in quanto coniuge di cittadina italiana, si sarebbe dovuta applicare la disciplina dei familiari di cittadini UE non aventi la cittadinanza di uno Stato membro. Il Tribunale di Torino, con sentenza del 13.12.2024 ritiene inapplicabile il d.lgs. 30/2007 atteso che la coniuge, non avendo esercitato il diritto alla libera circolazione nel territorio unionale è cittadina “statica” e, conseguentemente, trova applicazione l’art. 23, d.lgs. 30/2007, come novellato nel 2023. Inoltre, attesa l’esistenza di condanna per maltrattamenti e lesioni nei confronti della moglie, dalla quale è separato di fatto, l’Amministrazione ha ben ponderato il bilanciamento degli opposti interessi imposto dall’art. 13, co. 2-bis, TUI.
Inespellibilità della vittima di violenza domestica
Una cittadina peruviana, si oppone all’espulsione disposta per irregolarità del soggiorno allegando di essere stata vittima di gravi fatti di violenza domestica ad opera del marito nel Paese di origine, e di avere presentato domanda di protezione internazionale. Il Giudice di pace di Roma, a seguito di udienza del 10.12.2024 , previa analisi delle pertinenti informazioni sulla violenza di genere in Perù, ritiene la donna inespellibile ai sensi dell’art. 19, co. 1 e 1.1, TUI. La pronuncia è interessante perché, nonostante la pendenza di domanda di protezione internazionale presentata successivamente all’espulsione, il giudice non si è limitato a sospendere l’efficacia del decreto espulsivo in attesa della decisione sulla richiesta di protezione, ma ha riconosciuto l’esistenza di una causa di inespellibilità, decidendo nel merito la causa.
Espulsione e legami familiari
È annullato con rinvio il provvedimento del Giudice di pace di Aosta che conferma il decreto di espulsione emesso nei confronti di una donna albanese, convivente more uxorio con cittadino italiano, che esclude a priori l’applicabilità della tutela rafforzata prevista dall’art. 13, co. 2-bis, TUI, atteso che, secondo il giudice di prime cure, tale tutela si applicherebbe solo in presenza di ricongiungimento familiare. La Corte di cassazione, sez. I, con ordinanza n. 29688, pubblicata il 19.11.2024, afferma che erra il Giudice di pace laddove propone un’interpretazione del citato art. 13 scollegata dall’art. 8 CEDU, dall’art. 5, co. 6, TUI e dalla Costituzione. Infatti, anche dopo l’abrogazione parziale del comma 1.1 dell’art. 19 cit. a far data dal 10.3.2023, permane la necessità del predetto coordinamento, conformemente alla giurisprudenza costituzionale, di legittimità e della Corte EDU di cui l’ordinanza offre ampi e dettagliati richiami. Nel caso di specie il giudice del merito aveva omesso di tenere conto della residenza ultradecennale della donna in Italia, della sua residenza anagrafica, della proprietà di un immobile in cui convive con il compagno italiano, della presenza di una figlia cittadina italiana, della sua iscrizione al Centro per l’impiego, elementi tutti che avrebbero dovuto indurlo ad effettuare il bilanciamento previsto dall’art. 13, co. 2-bis, TUI, erroneamente negato con un’interpretazione di tale norma incompatibile con i numerosi arresti giurisprudenziali citati nell’ordinanza in commento.
Cass. civ. sez. I, ord. n. 31675/2024 , pubblicata il 9.12.2024, offre una completa ricostruzione delle norme rilevanti in materia dei rapporti tra espulsione e tutela della vita familiare, alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità. Infatti «In materia di espulsione, ... l’estensione dell’ambito di applicazione dell’art. 13, comma 2-bis d.lgs. n. 286/1998 – che contiene un richiamo al profilo “della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato”, oltre alla “durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine” –, deve essere effettuata “anche al cittadino straniero, il quale, ancorché non si trovi nelle condizioni per richiedere formalmente il ricongiungimento familiare, abbia legami familiari nel territorio nazionale, secondo un ampliamento della nozione del diritto all’unità familiare formatosi in sede di giurisprudenza EDU e fatto propria dalla Consulta con la sentenza n. 202 del 2013 (Cass. 2395/2018; Cass. 781/2019; conf. Cass. 1665/2019; Cass. 11955/2020; Cass. 24908/2020)”». Consegue che il diritto vivente ha individuato il profilo dei legami familiari come elemento potenzialmente ostativo all’espulsione dello straniero irregolare. Il giudice del merito è quindi tenuto, per pervenire alla tutela rafforzata di cui all’art. 13, co. 2-bis, TUI, a dare conto di tutti gli elementi qualificanti l’effettività di tali legami, senza che sia possibile fare esclusivo riferimento ai criteri suppletivi (durata del soggiorno, integrazione sociale, legami col Paese di origine), che sono meramente integrativi. Ovviamente, il diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’art. 8 CEDU non è assoluto, ma deve essere bilanciato su base legale con altri valori tutelati (sicurezza nazionale e pubblica, benessere economico del Paese, difesa dell’ordine e prevenzione dei reati, protezione della salute e della morale, protezione dei diritti e delle libertà altrui). L’interpretazione del radicamento familiare deve essere declinata secondo le coordinate ermeneutiche della Corte di Strasburgo, secondo cui l’art. 8 CEDU tutela anche il diritto di allacciare e intrattenere legami con i propri simili e con il modo esterno, e non è limitata ai vincoli matrimoniali. Consegue che il requisito dell’esistenza dei vincoli familiari deve essere valutato in relazione all’effettiva comunanza di vita, affettiva e materiale, comportante un reciproco supporto, anche economico, che deve essere oggetto di accertamento concreto.
Espulsione e gravi motivi di salute
Il Giudice di pace di Napoli rigettava un’opposizione ad espulsione fondata sulla sussistenza di gravi motivi di salute psichica, ritenendo tali argomenti privi di pregio, atteso che «le nove sentenze di condanna in atti comprovano la piena coscienza e volontà da parte del ricorrente a compiere i reati ascrittigli». La Cassazione, sez. 1 civ., con ordinanza n. 24577 , pubblicata in data 13.9.2024, annulla con rinvio osservando come il Giudice di pace avesse confuso la coscienza e volontà della condotta e la capacità di intendere e di volere, rilevanti sotto il profilo penale, con l’unico obbligo – rilevante nel precipuo ambito civilistico in cui si trovava ad operare – di verificare se le condizioni di salute del ricorrente consentissero o meno il suo allontanamento, perché di gravità tale da determinare un grave pregiudizio in caso di rientro nel Paese di origine. Sicché, in questa prospettiva di indagine «occorreva avere riguardo, piuttosto che al casellario giudiziale, alla documentazione sanitaria», come prescritto dall’art. 19, co. 2, lett. d-bis), TUI.
Espulsione in pendenza di ordine di esecuzione di condannato libero in attesa della decisione sull’istanza di applicazione di misure alternative
Riteniamo utile dare notizia di una originale decisione – ex art. 700 c.p.c. – adottata dalla sezione specializzata per l’immigrazione del Tribunale di Roma cha affronta la questione relativa all’eseguibilità dell’espulsione amministrativa nei confronti di persona non detenuta, destinataria di ordine di esecuzione della pena, in attesa della decisione del Tribunale di sorveglianza sull’ammissione alle misure alternative alla detenzione.
Il difensore di persona trattenuta al CPR di Roma, con ricorso d’urgenza, chiede al Tribunale civile di disporre la cessazione del trattenimento atteso che il trattenuto era stato condannato alla pena di anni tre di reclusione e, a seguito dell’emissione dell’ordine di carcerazione, aveva tempestivamente avanzato istanza di affidamento in prova, ovviamente antecedentemente al trattenimento, ed era in attesa della decisione del Tribunale di sorveglianza, quindi in condizione di libertà. Occorre precisare che il decreto di trattenimento, convalidato dal Giudice di pace, era stato preceduto dal nullaosta all’espulsione da parte del Magistrato di sorveglianza. Effettivamente trattatasi di ipotesi ricorrente nella prassi, atteso che, nei confronti dei condannati liberi, i tempi di fissazione udienza per l’ammissione alle misure alternative alla detenzione sono particolarmente lunghi.
Benché avverso la convalida del trattenimento sia esperibile il ricorso per Cassazione, il Tribunale ritiene esperibile il rimedio residuale e atipico di cui all’art. 700 c.p.c., trattandosi di materia attinente la libertà personale, e sussistendo un vuoto normativo derivante dal mancato coordinamento tra le norme dell’ordinamento penitenziario e quelle in materia di immigrazione. Invero, non è disciplinata la condizione specifica dello straniero condannato, ma in stato di libertà ed in attesa dell’esecuzione penale, con ordine di esecuzione sospeso, in attesa della decisione sulla richiesta di affidamento in prova.
L’argomentare del Tribunale si fonda sulla sentenza della Corte costituzionale n. 78/2007 con cui si dichiarò l’illegittimità costituzionale di talune norme dell’ordinamento penitenziario se interpretate in modo da precludere l’accesso alle misure alternative alla detenzione allo straniero illegalmente soggiornante, stante la prevalenza del principio di indefettibilità della pena – fondato sul fine rieducativo della stessa – rispetto all’esigenza di deflazione della popolazione carceraria, oltre che sulla sentenza della Cassazione penale, a Sezioni unite, n. 5171/2015 che aveva affermato il principio per cui – qualora non possa essere applicato l’art. 16 TUI (che prevede l’espulsione dello straniero detenuto) – «è proprio l’esecuzione penale, anche nelle forme alternative al regime carcerario, a costruire titolo che legittima la permanenza nel territorio dello Stato». Consegue che il nullaosta al rimpatrio del Magistrato di sorveglianza è frutto di una scelta interpretativa che confligge con i principi di indefettibilità della pena e della sua funzione rieducatrice. Di qui l’individuazione pretoria di un causa di inespellibilità dello straniero che versa nella descritta situazione.
Espulsione e domanda di protezione internazionale reiterata
La prima domanda reiterata di protezione internazionale, avanzata a mezzo PEC da un legale, costituisce manifestazione di volontà idonea e sufficiente a dimostrare la qualità di richiedente protezione, anche se non segue la formalizzazione della domanda stessa. Consegue che si consolida il “diritto a rimanere” di cui all’art. 7, d.lgs. 25/2008. Erra pertanto il Giudice di pace che, dovendo decidere un’opposizione ad espulsione prefettizia adottata e notificata dopo la manifestazione di volontà in questione – PEC offerta in contraddittorio fin dalla proposizione del ricorso – respinge il ricorso senza tenerne conto, anche ai soli fini della sospensione dell’efficacia del provvedimento di espulsione, nell’attesa della definizione del procedimento volto al riconoscimento della protezione internazionale. Così Cass. civ. sez. I, ord. n. 24138/2024.
Espulsione e domanda di protezione speciale
La domanda di protezione speciale avanzata a mezzo PEC dopo l’adozione del decreto espulsivo è correttamente inviata, tuttavia non produce l’effetto sospensivo auspicato dal ricorrente perché non si tratta di domanda di protezione internazionale e, conseguentemente, non può essere invocata l’applicazione dell’art. 7, d.lgs. 25/2008: infatti, per domanda di protezione internazionale si intende quella diretta al riconoscimento del rifugio o della protezione sussidiaria, la protezione speciale esula dal novero delle protezioni “tipiche”, trattandosi di protezione “complementare”. Così Cass. civ. sez. I, ord. n. 24105/2024, pubblicata il 9.9.2024.
Espulsione: profili formali
Non è inammissibile il ricorso avverso decreto di espulsione se non viene allegato il provvedimento impugnato. Cass. civ. sez. I, ord. 30249/2024, pubblicata il 25.11.2024 afferma il principio per cui l’unico onere posto a carico del destinatario del provvedimento espulsivo è, nella fase di merito, il deposito del ricorso, corredato dalla procura alle liti.
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