Le decisioni rilevanti della Corte di cassazione civile nel primo quadrimestre del 2024 in materia di espulsioni non sono numerose, a differenza di quelle sui trattenimenti che, come di consueto, saranno esaminate nella seconda parte di questa Rassegna. Passeremo in primo luogo in esame alcune sentenze amministrative inerenti i provvedimenti di espulsione per motivi di prevenzione del terrorismo, cercando di fare il punto sull’ormai consolidato stato dell’arte. Uno spazio sarà deputato ad approfondire la giurisprudenza sui respingimenti, come pure alle espulsioni giudiziali a titolo di sanzione alternativa alla detenzione.
Le espulsioni ministeriali in tema di prevenzione del terrorismo
Il Tar del Lazio, sede di Roma, con la sentenza n. 14967/2024, pubblicata il 27.7.2024, ha ribadito il consueto orientamento in merito alle espulsioni ministeriali, e, segnatamente, quella per motivi di prevenzione del terrorismo di cui all’art. 3, co. 1, d.l. 144/2005, convertito in l. 155/2005: tale tipologia di espulsione costituisce esercizio di alta discrezionalità amministrativa , essendo rimessa all’organo di vertice del Dicastero dell’interno, e coinvolgendo sia il Ministro degli affari esteri che la Presidenza del Consiglio dei ministri, come d’altronde si evince anche dalla genericità dei requisiti prescritti che richiedono la mera possibilità che la permanenza dello straniero in Italia possa agevolare attività terroristiche, anche internazionali. Non è quindi necessario che sia appurata con assoluta certezza la sussistenza del pericolo, essendo sufficiente che vi siano fondati motivi per ritenerlo esistente. Nel caso in esame, trattavasi di pericolo fondato sulla frequentazione di siti di ispirazione jihadista e di comunità virtuali sostenitrici del c.d. “Stato islamico”, nonché sul fatto di avere scaricato e conservato, sul dispositivo telefonico dell’interessato, comunicati prodotti dagli organismi ufficiali del Daesh, unitamente a resoconti di attentati terroristici e ad una guida su come fabbricare esplosivi. Ad avviso del Tribunale tali fatti esprimono una totale mancanza di adesione ai valori portanti del Paese ospitante, sicché fondata appare la valutazione di pericolosità effettuata dal Ministero, scevra da profili di manifesta irragionevolezza o di travisamento dei fatti o difetto d’istruttoria (gli unici vizi sindacabili in proposito). La preminenza dell’interesse pubblico alla sicurezza interna ed esterna dello Stato, quale interesse insopprimibile della collettività, prevale sull’interesse del ricorrente a mantenere i suoi legami familiari in Italia (il ricorrente era titolare di carta di soggiorno per familiare di cittadino UE – nella specie il padre, cittadino italiano – che è stata revocata contestualmente all’esecuzione dell’allontanamento coattivo).
In parte analoga alla sentenza citata, è quella emessa dal Tar Lazio, sede di Roma, n. 9870/2024, pubblicata in data 17.7.2024. Anche in questo caso il Tribunale ha respinto il ricorso ribadendo il consolidato orientamento, avendo cura di precisare che l’adozione del provvedimento non è affatto subordinata né alla presenza di una sentenza penale di condanna, e nemmeno dall’avvio dell’azione penale (nel caso di specie il ricorrente era sottoposto ad indagini non ancora concluse dalla Procura), trattandosi di misura di carattere preventivo. Poiché il ricorrente lamentava la violazione degli artt. 2, 3 e 24 Cost., il Tribunale regionale precisa che «per quanto riguarda le lamentate violazioni dei diritti costituzionalmente garantiti, come condivisibilmente rappresentato dall’Amministrazione resistente, sussiste pur sempre un limite, non derogabile, all’esigenza che attraverso il loro esercizio non vengano sacrificati beni anche essi costituzionalmente garantiti, quali il mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica, che è da intendere come ordine legale su cui poggia la convivenza sociale, bene-patrimonio dell’intera collettività».
Inoltre, a fronte della censura per cui l’Amministrazione non avrebbe valutato il grado di pericolo al quale lo straniero sarebbe esposto una volta rimpatriato, e ciò in violazione degli artt. 3 CEDU e 19, co. 1.1 d.lgs. 286/98, il Tar ha curiosamente ritenuto necessario assumere informazioni tramite il Ministero degli affari esteri circa la situazione del Paese di origine del ricorrente (il Pakistan) circa la situazione relativa alla sicurezza interna, al rischio di essere sottoposti a processi sommari, ovvero alla pena di morte o a trattamenti disumani o degradanti. Ottenuta una rassicurante relazione da parte del predetto Dicastero, in ordine alla positiva evoluzione del sistema normativo pakistano, il Collegio ha valutato come esente da vizi l’esercizio del potere ministeriale.
A questo proposito qualche considerazione critica si impone. Il fatto stesso che il Tribunale si rivolga al Ministero degli esteri per fugare dubbi sulla situazione dei diritti umani nel Paese terzo in questione lascia perplessi se solo si considera che quel Dicastero è la controparte nel giudizio, posto che l’espulsione ministeriale viene assunta dal Ministro dell’interno, sentito il Ministro degli affari esteri e la Presidenza del Consiglio, sicché è una decisione che coinvolge la responsabilità dell’intero Governo. Il Tribunale fonda quindi la decisione su un atto di parte che, si badi bene, si limita a fornire una valutazione formale sul piano delle norme vigenti e non sulla loro applicazione concreta, né tantomeno sulle C.O.I. ordinariamente utilizzate nei giudizi di protezione internazionale. Parrebbe così burocraticamente e fantasiosamente superato il divieto di espulsione previsto all’art. 19, co. 1.1, che non è derogabile nemmeno per le espulsioni di cui all’art. 13, co. 1, TUI (rispetto alle quali l’espulsione per prevenzione del terrorismo ha natura integrativa e rafforzativa).
A conclusione di questo breve excursus pare utile, per ricostruire presupposti dell’espulsione in questione, anche con riferimento a quella per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato, esaminare la sentenza del Consiglio di Stato n. 4837/2024, pubblicata il 30.5.2024. Innanzitutto, si afferma che «la disciplina coniata dal legislatore all’art. 3 del d.l. n. 144/2005, giustapponendosi come aggiuntiva alla fattispecie di carattere generale appena esaminata, rafforza il potere ministeriale di espulsione degli stranieri per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (particolarmente nel caso in cui essi godano di una particolare tutela come avviene per i titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo), prevedendo una ipotesi ulteriore con specifico riferimento alla minaccia terroristica e ai comportamenti ritenuti in grado di agevolarla.».
Trattasi di disposizione che prevede procedure assimilabili alle misure di sicurezza, con finalità di prevenzione, avendo come finalità quella di prevenire il compimento di reati, sicché «lo standard motivazionale e probatorio si discosta da quello penalistico dell’“oltre ogni ragionevole dubbio” per assestarsi al livello della preponderanza dell’evidenza (cd. canone del più probabile che non) in quanto non mira a formulare un giudizio di colpevolezza assistito da elevata plausibilità logico-razionale, bensì persegue finalità di prevenzione a favore di interessi pubblicistici il cui rango elevato giustifica la spiccata anticipazione della soglia di tutela: in definitiva, il cuore dell’impianto motivazionale dei provvedimenti di espulsione tratteggiati dalle norme in esame si condensa in un sillogismo inferenziale che sottende il giudizio prognostico di pericolosità sociale parametrata rispetto agli interessi dell’ordine pubblico e della sicurezza dello Stato e alla possibile agevolazione delle organizzazioni o attività terroristiche.».
Stando così le cose, è ormai pienamente consolidata la legittimità di una procedura di espulsione atipica, svincolata dagli ordinari criteri probatori, fondata su atti riservati dell’Amministrazione, sovente non pienamente ostensibili perché coperti da segreto, cui corrisponde una oggettiva limitazione del diritto di difesa, potenzialmente utilizzabile nei confronti di persone straniere politicamente “sgradite”, in cui il confine tra libertà di manifestazione del pensiero ed effettiva lesione degli interessi protetti è spesso assai labile, ed il rischio di violazione del principio di non refoulement è assistito da un elevato tasso probabilistico.
I respingimenti alla frontiera e la violazione degli obblighi informativi
L’istituto del respingimento alla frontiera è, come noto, largamente utilizzato dalla questura di Agrigento, competente territorialmente rispetto agli sbarchi di migranti a Lampedusa. Vengono ora in rilievo alcune decisioni del Giudice di pace di Agrigento, competente ratione temporis, perché a far data dall’11.8.2023 (data di entrata in vigore della legge n. 103/2023), ai sensi dell’art. 10, co. 1-bis, d.lgs. 286/98, la cognizione sulla legittimità dei respingimenti immediati è devoluta alla giurisdizione amministrativa.
Il GdP di Agrigento respingeva il ricorso di un migrante attinto da respingimento immediato, fondato sulla violazione degli obblighi informativi circa l’accesso alla procedura di protezione, ritenendo sufficiente quanto riportato nel decreto, secondo cui costui era stato debitamente informato di tale possibilità, in lingua a lui conosciuta e, ciononostante, aveva dichiarato nel foglio notizie che non intendeva avvalersi di tale diritto
La Corte di cassazione, sez. I civ., con ordinanza n. 12128/2024, pubblicata il 6.5.2024, osserva che, conformemente alla sua giurisprudenza, ai sensi dell’art. 10-ter, d.lgs. 286/98, deve essere assicurata a tutti gli stranieri condotti nei punti di crisi (c.d. hotspot) una informativa completa ed effettiva sulla procedura internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati UE, trattandosi di un obbligo volto ad assicurare la correttezza delle procedure di identificazione. Tale obbligo sussiste anche nel caso in cui lo straniero non abbia manifestato l’esigenza di chiedere la protezione internazionale. Invero il silenzio, ovvero una dichiarazione incompatibile con la volontà di chiederla, non hanno rilievo se non risulta che la persona è stata preventivamente adeguatamente informata. Sempre l’orientamento della Corte di legittimità afferma che tale obbligo di informativa non può ritenersi assolto se nel provvedimento amministrativo si dà atto che la persona è stata compiutamente informata, qualora, «nella contestazione dell’interessato nulla emerga, in ordine alla informativa, dal foglio notizie né da altri atti, documenti o mezzi di prova offerti dall’Amministrazione, e, segnatamente, se non emergono i tempi e le modalità con cui l’informativa è stata somministrata, con specifico riguardo alla lingua utilizzata, alla presenza di un interprete o mediatore culturale, e ciò al fine di consentire una verifica sulla comprensibilità delle informazioni fornite (Cass., sez. 1, sentenza n. 32070 del 20/11/2023)».
Non avendo il giudice del merito fatto buon governo di tali principi, l’ordinanza impugnata è cassata con rinvio. Negli stessi termini Cass. civ., sez. I, ord. n. 17599/2024, pubblicata il 26.6.2024.
Respingimento e pendenza di domanda di protezione internazionale
A fronte di un ricorso avverso un decreto di respingimento, motivato dal fatto che il ricorrente aveva precedentemente manifestato la volontà di chiedere la protezione internazionale, il Giudice di pace di Agrigento, dopo aver inizialmente disposto la sospensione del provvedimento impugnato, onerando parte ricorrente di comunicare l’esito della procedura di protezione entro la data di rinvio dell’udienza, ha deciso nel merito la causa, non avendo la parte provveduto alla predetta richiesta.
Cass. civ., sez. I, ord. n. 11978/2024, pubblicata in data 3.5.2024, conformemente alla propria giurisprudenza in tema di espulsioni amministrative, ha rammentato che la proposizione della domanda di protezione dopo l’adozione di un provvedimento ablativo (non rileva se di espulsione o di respingimento), non incide sulla validità del provvedimento, comportando solo la sospensione della sua efficacia, avendo lo straniero, ai sensi dell’art. 7, co. 1, d.lgs. 25/2008, diritto a restare sul territorio dello Stato fino alla definizione della domanda di protezione. Applicando tale consolidato principio al caso in esame, la Corte ha cassato l’ordinanza impugnata atteso che il giudice di merito «anziché dare atto dell’inespellibilità attuale dell’opponente fino all’esito del giudizio di riconoscimento della protezione internazionale, ha compiuto una propria ed autonoma valutazione prognostica negativa, decidendo immediatamente l’opposizione e reputando non necessaria la verifica dell’esito del giudizio sulla protezione internazionale (Cass. 25964/2020)».
Sempre in tema di respingimento si segnala Cass. civ., sez. I, ord. n. 23181/2024, pubblicata il 27.8.2024. In questo caso la Corte ha riunito ben quattro ricorsi, inerenti la stessa persona, relativi alla seguente scansione procedurale: ricorso avverso il rigetto dell’opposizione a decreto di respingimento disposto dal Giudice di pace di Agrigento, proposto da un migrante sbarcato a Lampedusa; ricorso avverso la convalida del trattenimento ad opera del Giudice di pace di Torino; ricorso avverso la riconvalida del trattenimento disposta dal Tribunale di Torino; nonché ricorso avverso la proroga del trattenimento disposta sempre dal Tribunale torinese.
La Corte cassa tutti i provvedimenti impugnati e, per quanto concerne quello relativo al respingimento afferma che «in mancanza dell’ordine di lasciare il territorio dello Stato e permanendo il provvedimento di respingimento con accompagnamento coattivo, nell’ipotesi in cui il trattenimento venga meno (e con esso la possibilità di eseguire il respingimento), come nel caso di specie in conseguenza della precedente statuizione, il respingimento subisce la sua stessa sorte, perché è un provvedimento che giustifica la sua esistenza solo in funzione della sua esecuzione “con accompagnamento alla frontiera”, con immediatezza o a seguito di trattenimento per il tempo strettamente necessario. In altri termini non è concepibile l’esistenza, di per sé e soltanto, di un respingimento, perché (come rende evidente la parola stessa) un simile provvedimento trova la sua ragion d’essere nella sua esecuzione. Pertanto, una volta eliminato il trattenimento che doveva necessariamente accompagnare il decreto di respingimento, occorre di conseguenza cassare senza rinvio l’ordinanza pronunciata a conclusione del procedimento di opposizione al medesimo decreto, dato che il processo non poteva essere proseguito in mancanza della misura complementare al provvedimento opposto (come già stabilito da questa Corte con ordinanza n. 10819/2024)». In buona sostanza, si afferma che se i provvedimenti concernenti i trattenimenti vengono annullati per violazione degli obblighi informativi, viene meno conseguenzialmente pure il provvedimento che, a monte, ha disposto il respingimento che di quei trattenimenti costituiva il presupposto procedimentale, non potendosi logicamente concepire l’esistenza di un respingimento senza trattenimento (sempre che, ovviamente, l’accompagnamento alla frontiera non sia stato eseguito con immediatezza).
Espulsioni amministrative
Convalida dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica in pendenza di domanda di protezione speciale
Il Giudice di pace di Siena ha convalidato una misura di accompagnamento immediato alla frontiera quale modalità esecutiva di un decreto di espulsione amministrativa, nonostante la produzione della ricevuta attestante l’avvenuta presentazione di una domanda di protezione speciale, della cui esibizione si dà atto a verbale.
Cass. civ., sez. I, ord. n. 24641/2024, pubblicata il 13.9.2024, cassa senza rinvio il provvedimento impugnato sul presupposto che il ricorrente avrebbe avuto diritto a restare in Italia, ai sensi dell’art. 7, d.lgs. 25/2008. Invero, come affermato dalla stessa giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 22508/2023) il divieto di espulsione di cui all’art. 19, co. 1.1, d.lgs. 286/98 ha valenza di norma protettiva di carattere generale, ne consegue che il giudice della convalida dell’accompagnamento ha l’obbligo di pronunciarsi sul rischio (ove dedotto) che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione della vita privata e familiare dell’espellendo. Con particolare riferimento ai poteri del giudice della convalida (dell’accompagnamento come del trattenimento) la Corte rammenta il consolidato principio secondo cui «in tema di immigrazione, nel giudizio di opposizione al decreto di espulsione è in discussione la legittimità e la validità del provvedimento espulsivo e non la sua effettiva esecuzione di cui, eventualmente, si discuterà nel giudizio di convalida: ne consegue che lo straniero, oltre ad avere sempre il potere di proporre un’ordinaria azione di accertamento vertente sul proprio diritto soggettivo di trattenersi in Italia, può investire di un accertamento incidentale in tal senso il giudice che deve decidere sulla convalida del provvedimento di accompagnamento alla frontiera diretto a dare esecuzione all’espulsione».
Una situazione analoga alla precedente ha determinato l’emissione dell’ordinanza n. 22546/2024 della I sez. civile, pubblicata l’8.8.2024. Questo il caso: il Giudice di pace di Varese ha convalidato il provvedimento di accompagnamento coattivo di uno straniero sul presupposto che costui era privo di titolo di soggiorno, il ricorso avverso il presupposto decreto di espulsione era stato rigettato, era inottemperante all’ordine di allontanamento, non ricorrevano le condizioni di cui all’art. 19, d.lgs. 286/98, la dedotta convivenza con la figlia non era documentata, nonostante la dimostrata circostanza relativa all’avvenuta presentazione di una domanda di protezione speciale, inviata a mezzo pec. Insomma una situazione assai ricorrente nella prassi.
La Corte di legittimità richiama la nota sentenza n. 275/2017 della Corte costituzionale a mente della quale l’accompagnamento coattivo e l’ordine questorile di lasciare il territorio dello Stato sono provvedimenti chiaramente alternativi tra loro, e solo il primo provvedimento è restrittivo della libertà personale, tutelata dall’art. 13 Cost., dopodiché osserva come il Giudice di pace abbia ignorato la circostanza – documentata in atti – relativa alla richiesta di un permesso di soggiorno per protezione speciale. Per la verità tale istanza veniva formalizzata, dopo l’emissione del decreto di espulsione, a mezzo pec alla questura di Varese, come da ricevuta di consegna, allegata al verbale dell’udienza di convalida (e riconosciuta per valida dal rappresentante della questura in udienza).
A questo punto la motivazione dell’ordinanza in commento rammenta che, secondo consolidata giurisprudenza, nel caso in cui la domanda di protezione (id est la domanda di protezione speciale) sia proposta successivamente all’adozione di un decreto espulsivo, al giudice è inibita una pronuncia di annullamento, restandone solamente sospesa l’efficacia esecutiva. Pertanto, «il Giudice di pace, investito della richiesta di convalida del provvedimento di allontanamento coattivo, avrebbe dovuto tenere conto di ciò, e cioè della sospensione dell’efficacia del decreto di espulsione fino alla decisione definitiva sulla domanda di protezione internazionale ed avrebbe dovuto prendere in esame le conseguenze ostative all’effettiva esecuzione del provvedimento di accompagnamento coattivo alla frontiera emesso a seguito del decreto di espulsione, in ragione dell’effetto sospensivo conseguente alla presentazione della domanda di protezione.».
Espulsione per inottemperanza all’ordine questorile di allontanamento (art. 14, co. 5-ter, d.lgs. 286/98): rilevanza dei legami familiari
La Corte di cassazione, sez. I civ. con l’ordinanza n.11985/2024, pubblicata il 3.5.2024, annulla con rinvio un provvedimento del Giudice di pace di Roma che aveva confermato la legittimità di un decreto di espulsione, disposto perché lo straniero era inottemperante a pregresso ordine di allontanamento. Nella parte motiva l’ordinanza precisa che «il divieto di espulsione previsto dall'art. 19, comma 1.1, del d.lgs. n. 286 del 1998 ha valenza di norma protettiva di carattere generale; ne consegue che anche nel giudizio di opposizione all’espulsione disposta ai sensi dell’art. 14, comma 5-ter, dello stesso d.lgs., e non nel solo caso di cui all’art 13, comma 2-bis, il giudice di pace deve tenere conto del rischio che l'allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare del cittadino straniero, prendendo specificamente in esame la natura e l’effettività dei suoi legami familiari, la durata del suo soggiorno nel territorio nazionale e l'esistenza di legami familiari, culturali e sociali con il suo paese d’origine (Cass. 22508/2023)».
La decisione in commento è rilevante perché segna un ulteriore allontanamento da un precedente orientamento della Corte di legittimità circa l’irrilevanza delle valutazioni imposte dall’art. 13, co. 2-bis, d.lgs. 286/98 per le c.d. “seconde espulsioni”, cioè quella comminate per inosservanza di un ordine di allontanamento connesso ad un pregresso decreto di espulsione. Infatti, giova ricordare che la giurisprudenza prevalente propendeva per una interpretazione tassativa dell’art. 13, co. 2-bis, dovendosi applicare il bilanciamento tra contrapposti interessi solo nelle ipotesi di espulsione per ingresso e soggiorno illegale, e non anche nei casi di seconda espulsione conseguente alla inottemperanza all’ordine di allontanamento questorile, atteso che la disposizione in esame si riferiva solo alle espulsioni di cui all’art. 13, co. 2, lett. a) e b) e non anche a quelle di cui all’art. 14, co. 5-ter TUI (Cass. sez. I, 11 marzo 2022, n. 7946/2022; Cass. sez. I, 22 settembre 2021, n. 25754). Per la verità, già Cass, sez. I, ord. n. 28162/2023 pubblicata il 6.10.2023 e Cass, sez. I, ord. n. 22508/2023 pubblicata il 26.7.2023, erano di segno contrario. Accogliamo ora con piacere la conferma di questo orientamento.
Espulsione a titolo di sanzione alternativa alla detenzione: durata del divieto di reingresso
Ai sensi dell’art. 16, co. 8, d.lgs. 286/98 la pena è estinta alla scadenza del termine di dieci anni dal momento dell’esecuzione dell’espulsione a titolo di sanzione alternativa alla detenzione disposta dal Magistrato di sorveglianza, sempre che lo straniero non sia rientrato illegittimamente nel territorio dello Stato, in tal caso lo stato di detenzione è ripristinato e riprende l’esecuzione della pena. Consegue che l’erronea indicazione del divieto di reingresso – cinque anni – contenuta nel decreto del giudice di sorveglianza non incide sulla effettiva durata di tale divieto e, pertanto, la condotta dello straniero che faccia rientro in Italia decorsi cinque anni dalla sua espulsione non è scriminata dalla buona fede e non fa venir meno l’illegittimità del reingresso. Tuttalpiù tale condotta potrebbe rilevare ai fini della valutazione dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 13 co. 13-bis, d.lgs. 286/98, ove contestato. CosìCass. pen. sez. I, sent. n. 34763/2024.
Espulsione a titolo di sanzione alternativa alla detenzione e cause di inespellibilità
Cass. pen., sez. I, sent. n. 32399/2024, ricorda che l’espulsione dello straniero detenuto in espiazione di pena definitiva, riservata alla cognizione del giudice di sorveglianza, ha natura amministrativa, costituisce una atipica misura alternativa alla detenzione finalizzata a ridurre il sovraffollamento carcerario. La sua adozione è obbligatoria in presenza delle condizioni previste dalla legge, fatta salva la ricorrenza di una delle cause ostative all’espulsione previste dall’art. 19, d.lgs. 286/98.
Con riferimento a queste ultime, la citata sentenza ribadisce l’orientamento della Corte di legittimità secondo cui «in tema di espulsione dello straniero come misura alternativa alla detenzione le cause ostative alla stessa, indicate nel successivo art. 19, commi 1 e 2, non hanno natura tassativa, in quanto vanno integrate attraverso l’analisi delle fonti sovranazionali – quali la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, la Carta di Nizza e le Direttive U.E. sul tema – tese a fornire tutela ai soggetti cui spetta il riconoscimento non solo dello status di rifugiato, ma anche della cd. protezione sussidiaria, spettante anche nell'ipotesi di minaccia grave alla vita di un civile derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto interno o internazionale».
Trattenimento
Motivazione
Continua la copiosa produzione di giurisprudenza di legittimità sulla necessità di una motivazione idonea a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice della convalida (o della proroga) del trattenimento per la formazione del proprio convincimento, nel rispetto del c.d. «minimo costituzionale» individuato dalle Sezioni Unite nella sentenza 8053/2014. La Corte di cassazione ribadisce che al fine di rendere idonea motivazione non è sufficiente il richiamo ai presupposti di cui all’art. 14 d.lgs. 286/1998; il provvedimento deve contenere tutti gli elementi necessari affinché il destinatario con la normale diligenza possa individuare il nucleo della decisione che sottende alla misura adottata.
L’abbondanza di decisioni della Corte di cassazione è tuttavia segnale che indica come, almeno in parte, i giudici di merito restino indifferenti al consolidato orientamento di legittimità e omettano di prendere posizione sulle deduzioni difensive o facciano comunque ricorso a motivazioni standardizzate inidonee a rendere noto il ragionamento su cui si fonda la decisione.
Segnaliamo le ordinanze (tutte della prima sezione civile) in cui la Corte ha ribadito il principio testé rammentato: ord. 3.5.2024 n. 11916, ord. 3.5.2024 n. 11922, ord. 3.5.2024 n. 12209, ord. 3.5.2024 n. 12016, ord. 27.5.2024 n. 14822, ord. 13.6.2024 n. 16577, ord. 14.6.2024 n. 16645, ord. 14.6.2024 n. 16653, ord. 8.8.2024 n. 22547, ord. 13.8.2024 n. 22817, ord. 9.9.2024 n. 24142.
In alcuni casi tuttavia la Corte ha rigettato il ricorso e confermato la legittimità del provvedimento di convalida: in sez. I civ. ord. 26.6.2024 n. 17565 e sez. I civ. ord. 26.6.2924 n. 17569 la Corte ha ritenuto idonea la motivazione resa attraverso un modulo prestampato, usato dal giudice di merito per «esporre la valutazione in modo sintetico e chiaro, mediante la selezione e il contrassegno delle ragioni ritenute in grado di fondare la decisione, tra le varie predisposte», in pratica apponendo le crocette sulle caselle, tecnica motivazionale che in altre occasioni la Corte ha ritenuto insufficiente.
Obbligo di informativa sulla facoltà di presentare domanda di protezione internazionale
La Corte conferma il proprio orientamento e ribadisce (sez. I civ. ord. 13.8.2024 n. 22813, sez. I civ. ord. 9.9.2024 n. 24146, sez. I civ. ord. 9.9.2024 n. 24164, sez. I civ. ord. 9.9.2024 n. 24172) che la violazione dell’obbligo, imposto dall’art. 10-ter d.lgs. 286/1998, di informare il cittadino straniero, soccorso in mare e condotto per le esigenze di prima assistenza nei c.d. punti di crisi, della facoltà di chiedere la protezione internazionale determina l’illegittimità del decreto di respingimento adottato nei confronti di tale soggetto e, di conseguenza, l’illegittimità dell’ordine di trattenimento che ne costituisce atto esecutivo.
Nello stesso senso anche sez. I civ. ord. 27.8.2024 n. 23181: «la mancata manifestazione della volontà di chiedere asilo al momento dello sbarco non può sanare l’omessa informativa in materia di protezione internazionale, poiché tale informazione costituisce un adempimento preliminare ed essenziale all’adeguata raccolta delle informazioni dallo straniero e un onere imprescindibile ai fini di garantire la regolarità della procedura e l’effettività dei suoi diritti. Nessun rilievo ha il fatto che dal foglio notizie risulti che la persona straniera abbia dichiarato di essere venuta in Italia per cercare lavoro, poiché tale circostanza non esclude l’eventuale sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale.». Ne consegue che è illegittimo il provvedimento di convalida del trattenimento in cui il giudice non abbia valutato la manifesta illegittimità del decreto di respingimento, atto presupposto dell’ordine di trattenimento. Tale illegittimità si estende anche ai successivi provvedimenti di proroga, poiché non può essere prorogato un trattenimento ab origine illegittimo.
Proroga
La Corte di cassazione ha accolto il ricorso proposto contro un provvedimento di proroga nel quale la difesa del ricorrente aveva fatto presente al Giudice di pace che non sussistevano più le ragioni del trattenimento perché non venivano eseguiti i rimpatri alla luce della documentazione prodotta dal garante dei detenuti. La Corte ha rilevato che su questa deduzione e allegazione, che costituiva il nucleo dell’opposizione alla proroga, il giudice non ha dato alcuna risposta motivata: la motivazione del rigetto di questo motivo è inesistente o quanto meno del tutto generica e non consente neanche per relationem di pervenire a una risposta alla censura così come precisata nel motivo di ricorso e già oggetto di opposizione (sez. I civ. ord. 13.6.2024 n. 16577).
Come già segnalato nel paragrafo relativo alla motivazione, la Corte ha ricordato che l’illegittimità del provvedimento di convalida del trattenimento si estende anche ai successivi provvedimenti di proroga dello stesso, poiché non può essere prorogato un trattenimento ab origine illegittimo (sez. I civ. ord. 27.8.2024 n. 23181).
Avviso al difensore
Nell’udienza di convalida del trattenimento è necessaria la partecipazione di un difensore tempestivamente avvertito. Nel caso esaminato dalla Corte di cassazione, sez. I civ., nell’ordinanza 13.8.2024 n. 22817, la Corte non ha rilevato alcuna violazione delle garanzie procedurali perché all’udienza era presente un difensore, sia pure non il difensore di fiducia. La Corte ha ribadito che l’avviso di fissazione dell’udienza spetta al difensore la cui nomina risulti già in atti, non a quello nominato in un momento successivo.
Legittimazione passiva
«In tema di convalida o di proroga del trattenimento dello straniero attinto da un decreto di espulsione, l’art. 14, comma quarto, del d.lgs. n. 286 del 1998, nell'attribuire al questore la facoltà di stare in giudizio personalmente o a mezzo di funzionari appositamente delegati, prevede una legittimazione processuale che si estende anche alla fase di legittimità, non restando esclusa dalla possibilità di evocare in giudizio direttamente il Ministero dell’interno, purché, in entrambi i casi, la notificazione del ricorso sia effettuata presso l’Avvocatura generale dello Stato.». In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto correttamente instaurato il contraddittorio mediante la proposizione dell’impugnazione nei confronti della questura, su richiesta della quale è stata emessa l’ordinanza di convalida del trattenimento, essendo stato il ricorso notificato presso l’Avvocatura generale dello Stato (sez. I civ. sent. 23.5.2024 n. 14398).
Traduzione
È ormai consolidato l’orientamento che afferma la necessità della traduzione del decreto di espulsione in lingua nota al destinatario, e la nullità del decreto tradotto in lingua veicolare, salvo che l’amministrazione non affermi, e il giudice ritenga plausibile, l’impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità, con la ulteriore precisazione che la tempestiva proposizione di ricorso contro il decreto non tradotto non costituisce sanatoria di tale nullità. La possibilità di rilevare tale vizio si è estesa anche al giudizio sulla convalida dell’esecuzione dell’espulsione, nel quale il giudice può sindacare incidentalmente la manifesta illegittimità dell’atto presupposto.
Il medesimo principio si applica, per identità di ratio, alla traduzione dei provvedimenti esecutivi del decreto di espulsione, in particolare degli ordini di trattenimento e sottoposizione alle misure alternative, con la conseguenza che qualora essi non siano tradotti in lingua nota al destinatario essi non devono essere convalidati. I precedenti di legittimità sul punto sono rari (ricordiamo l’ordinanza sez. I civ. 14.9.2022 n. 27135 già segnalata in una precedente edizione di questa Rassegna), probabilmente perché nei casi in cui manca la traduzione dei provvedimenti esecutivi dell’espulsione anche quest’ultima difetta di traduzione e tale rilievo assorbe quello sulla omessa traduzione degli atti esecutivi.
Segnaliamo qui la decisione del Tribunale di Roma del 13.5.2024 , non condivisibile nella parte in cui afferma che «l’omessa traduzione in lingua araba di parte del decreto di trattenimento di per se stessa non è causa di nullità dello stesso, dal momento che il trattenuto contestualmente alla notificazione del trattenimento (…) ha conferito mandato al difensore (…) al fine di essere rappresentato e difeso nel giudizio di convalida (…) e dunque ne ha avuto effettiva conoscenza, né sono state allegate circostanze di ostacolo a una esaustiva ed effettiva difesa». Il Tribunale sembra invocare il principio della sanatoria per raggiungimento dello scopo, che tuttavia la Corte di cassazione afferma non applicarsi agli atti di espulsione in quanto norma processuale e non relativa al procedimento amministrativo, che anzi in materia di immigrazione è chiaramente regolato dall’obbligo di rendere comprensibili i provvedimenti al destinatario. Il Tribunale, inoltre, sembra aderire a una prospettiva sostanzialista, per la quale sarebbero irrilevanti le violazioni di regole formali (quale quella che impone la traduzione dei provvedimenti) se la parte non alleghi che tali violazioni hanno causato una concreta lesione del diritto di difesa. Si tratta di un’affermazione che a nostro modo di vedere contrasta con l’orientamento di legittimità e con la ratio stessa dell’obbligo di traduzione che è previsto per tutta la disciplina dell’immigrazione.
Termine per la trasmissione degli atti al GdP
La Corte di cassazione (sez. I sent. 23.5.2024 n. 14398) ha cassato un provvedimento di convalida intervenuto in un procedimento nel quale il giudice aveva omesso di verificare l’osservanza del termine di 48 ore dall’adozione entro il quale il questore avrebbe dovuto trasmettere l’ordine di trattenimento al Giudice di pace.
Il provvedimento di convalida del trattenimento opera per il periodo previsto dalla legge (nella fattispecie, 30 giorni, secondo la normativa vigente ratione temporis), e può essere prorogato, se ne sussistono i presupposti, prima della scadenza di tale termine; è pertanto illegittimo il provvedimento di proroga del trattenimento, intervenuto oltre la scadenza del termine per il quale il trattenimento era stato convalidato, non rilevando che la questura abbia inoltrato la richiesta prima della scadenza del termine (sez. I civ. ord. 17.6.2024 n. 16707).
Ordine di allontanamento
L’ordine di allontanamento, emesso nei confronti del cittadino straniero espulso in seguito al rigetto della convalida dell’ordine di trattenimento (o in alternativa a quest’ultimo), non è suscettibile di autonoma impugnazione dinanzi all’autorità giudiziaria, e ciò non comporta una carenza di tutela giurisdizionale perché da un lato tale provvedimento non incide direttamente sulla libertà personale della persona espulsa, e difatti non ne è prevista la convalida, dall’altro un controllo sulla sussistenza dei presupposti è demandato al giudice penale nel caso in cui la persona straniera non ottemperi all’ordine di allontanamento, potendo in tale sede il giudice disapplicare l’atto presupposto in applicazione dell’art. 5 della l. 2248/1865, all. E. La Corte (sez. I civ. sent. 23.5.2024 n. 14396) chiarisce che l’unica ipotesi in cui l’ordine di allontanamento può essere impugnato è quella in cui esso sia stato emesso in assenza di un precedente decreto di espulsione avverso il quale l’interessato abbia potuto proporre ricorso.
Nella stessa sentenza la Corte rammenta un principio di procedura: quando il giudice di merito dichiara inammissibile una domanda si spoglia della potestas iudicandi; se procede ugualmente all’esame nel merito della domanda, le relative argomentazioni sono ininfluenti e pertanto la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse a impugnarle, essendo tenuta a censurare solo la dichiarazione di inammissibilità, che costituisce la vera ragione della decisione.
Certificazione di idoneità sanitaria
Desta quale perplessità l’affermazione, contenuta in sez I civ. ord. 14.5.2024 n. 13180, secondo cui «in ordine alla certificazione medica (…) non esiste alcuna legge che obbliga l’ufficio immigrazioni a depositare il certificato medico all’interno del fascicolo telematico e che, comunque, – salvo richiesta del giudice nel caso di particolari e gravi problemi di salute del richiedente –, tale inserimento comporterebbe la violazione della privacy.» La Corte riconosce che ai sensi dell’art. 3 comma 7 del d.m. 19.05.2022 «La certificazione di idoneità alla vita comunitaria ristretta e le relazioni del servizio sociosanitario del Centro vengono consegnate all’ufficio di polizia all’interno del Centro affinché vengano inserite nel fascicolo da sottoporre all’autorità giudiziaria in sede di convalida e proroga del trattenimento, e trasmesse, ove si tratti di richiedenti asilo, alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale», ma afferma che l’inosservanza in astratto di quanto sopra non comporta nullità del provvedimento impugnato in quanto il motivo è generico non deduce o allega nulla sulle condizioni di salute del ricorrente che potrebbe giustificare l’inidoneità alla vita comunitaria. La Corte rileva che la violazione dedotta dal ricorrente non riguarda l’effettuato accertamento sanitario preventivo ma il mero mancato inserimento negli atti da trasmettere, e che solo ove fosse stata dedotta qualche causa specifica sanitaria sarebbe sorto l’obbligo del giudice di acquisire la documentazione e comunque di valutare la causa. Anche in questo caso la Corte aderisce a un’impostazione sostanzialista, e ritiene irrilevante la violazione formale (il mancato inserimento della certificazione medica nel fascicolo) in assenza di allegazione di alcun danno specifico sostanziale riportato a seguito della violazione dedotta, o anche di allegazione della inidoneità del ricorrente a essere inserito nel Centro, risultante da tale certificazione mancante.
Misure alternative
Il possesso del passaporto o di altro documento valido per l’espatrio costituisce un prerequisito indispensabile per l’adozione delle misure alternative al trattenimento, previste dall’art. 14, comma 1-bis, d.lgs. n. 286 del 1998; tale requisito è altresì necessario, a monte, per la concessione di un termine per la partenza volontaria in luogo dell’accompagnamento coattivo alla frontiera, giacché lo straniero «può chiedere al prefetto, ai fini dell’esecuzione dell’espulsione, la concessione di un periodo per la partenza volontaria» soltanto «qualora non ricorrano le condizioni per l’accompagnamento immediato alla frontiera di cui al comma 4» (art. 13, comma 5, d.lgs. cit.), ovvero qualora, tra l’altro, non sussista il rischio di fuga, che – in virtù del combinato disposto dei commi 4 e 4-bis dell’art. 13 d.lgs. cit. – si configura anche in caso di mancato possesso del passaporto o di altro documento equipollente, in corso di validità (Cass. sez. I civ. ord. 26.6.2024 n. 17565 e sez. I civ. ord. 26.6.2924 n. 17569).
La Direttiva 2008/115/UE infatti prevede all’art. 15 che il trattenimento possa essere disposto quando sussiste un rischio di fuga, e la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha affermato che il giudice nazionale possa prendere in considerazione, per valutare la sussistenza del rischio di fuga, anche la mancanza di documenti di identità.
Atto presupposto
Il giudice della convalida del trattenimento deve esaminare incidentalmente gli atti presupposti; nel caso di trattenimento disposto ai sensi dell’art. 6, comma 3, d.lgs. 142/2015, nei confronti di persona che abbia presentato domanda di protezione internazionale, ritenuta pretestuosa, mentre è già in corso il diverso titolo di trattenimento disposto ai sensi dell’art. 14 d.lgs. 286/1998 in esecuzione di un decreto di espulsione o di respingimento differito, il giudice di merito è tenuto a esaminare e rilevare incidentalmente, per la decisione di sua competenza, la manifesta illegittimità del provvedimento espulsivo o di respingimento differito, che può consistere nella situazione di inespellibilità dello straniero o nella evidente insussistenza dei presupposti per disporre l’espulsione. Nei casi di specie esaminati in sez. I civ. ord. 3.5.2024 n. 11990 e sez. I civ. ord. 13.6.2024 n. 16496, l’espulsione era stata disposta ai sensi dell’art. 13, comma 2, lett. a) del d.lgs. 286/1998, laddove risultava dagli atti che il cittadino straniero era stato soccorso in mare e, al momento dello sbarco in Italia, sottoposto ai rilievi fotodattiloscopici. La Corte ha ricordato che, essendo il decreto di espulsione atto a contenuto vincolato, il relativo sindacato giurisdizionale ha per oggetto la sussistenza della specifica ipotesi contestata e assunta quale presupposto del provvedimento, e il Giudice non può convalidare l’espulsione, o i provvedimenti che ne costituiscono esecuzione, per motivi diversi da quelli addotti dall’amministrazione.
Trattenimento di richiedenti protezione internazionale
L’illegittimità del trattenimento disposto a fini pre-espulsivi travolge anche la legittimità del trattenimento, disposto ai sensi dell’art. 6, comma 3, d.lgs. 142/2015 nei confronti di persona che abbia presentato domanda di protezione internazionale, ritenuta pretestuosa, mentre era già in corso il diverso titolo di trattenimento disposto ai sensi dell’art. 14 d.lgs. 286/1998 (sez. I civ. ord. 3.5.2024 n. 11990, sez. I civ. ord. 9.9.2024 n. 24146, sez. I civ. ord. 9.9.2024 n. 24164, sez. I civ. ord. 9.9.2024 n. 24172).
Procedura di frontiera
Torniamo ora sulla questione, già segnalata negli ultimi due numeri di questa Rassegna, del trattenimento disposto dal questore ai sensi dell’art. 6-bis d.lgs. 142/2015 poiché il cittadino straniero, proveniente da un Paese designato di origine sicura ai sensi dell’art. 2-bis del d.lgs. 25/2008, aveva presentato domanda di protezione internazionale nella zona di transito di cui all’art. 28-bis, comma 4, d.lgs. 25/2008, nell’ambito della procedura di cui al comma 2, lettere b) e b-bis), dello stesso articolo. La Corte di cassazione, investita dei ricorsi del Ministero dell’interno contro i provvedimenti del Tribunale di Catania, aveva disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea chiedendo che questa si pronunciasse sull’interpretazione delle norme unionali oggetto della questione. In attesa della decisione del rinvio pregiudiziale, il Ministero dell’interno ha rinunciato ai ricorsi osservando che la disciplina applicabile era mutata, dal momento che il decreto ministeriale del 14.9.2023, in forza del quale era richiesta la garanzia finanziaria la cui omessa prestazione da parte della persona straniera ne aveva determinato il trattenimento, era stato abrogato e sostituito dal decreto interministeriale del 10.5.2024. Secondo le amministrazioni rinuncianti, l’introduzione di una nuova disciplina integrativa dell’art. 6-bis d.lgs. 142/2015 ha radicalmente modificato quella oggetto della questione pregiudiziale rimessa alla Corte di Giustizia UE e tali sopravvenienze in diritto, unite alla circostanza che alcune delle persone straniere destinatarie dei ricorsi erano divenute irreperibili, avrebbero fatto venir meno l’interesse delle amministrazioni ricorrenti alla coltivazione del ricorso per cassazione. La Corte di cassazione, pertanto, preso atto della rinuncia, ha dichiarato estinti i giudizi con decreti del 17.7.2024 delle Sezioni Unite n. 19745/2024, 19748/2024, 19749/2024, 19752/2024, 19757/2024.
La questione tuttavia non è finita. Proprio in seguito al nuovo decreto interministeriale, infatti, l’amministrazione ha disposto il trattenimento in nuovi casi e ne ha chiesto la convalida ai Tribunali competenti. Segnaliamo qui alcune pronunce di merito.
Il Tribunale di Catania, con provvedimento del 13.9.2024 , ha esaminato e rigettato la richiesta di convalida del trattenimento disposto, ai sensi dell’art. 6-bis d.lgs. 142/2015, nei confronti di un cittadino dell’Egitto, Paese di origine sicuro così designato con decreto del 7.5.2024 del Ministro degli affari esteri di concerto con i Ministri della giustizia e dell’interno ai sensi dell’art. 2-bis d.lgs. 25/2008, che aveva presentato domanda di protezione internazionale a Pozzallo, località individuata come zona di frontiera con decreto del Ministero dell’interno del 5.8.2019. Come si vede, sulla libertà personale si incide con lo strumento della legge, fonte primaria ed espressione del potere legislativo, ma anche e soprattutto con strumenti di rango secondario, quali i numerosi decreti ministeriali, espressione del potere governativo, cui la legge demanda l’individuazione di aspetti tutt’altro che secondari della disciplina. Il Tribunale, dopo aver ricostruito la disciplina dei Paesi di origine sicuri, a partire dalle fonti europee, ha ritenuto che nel caso di specie essa non dovesse essere applicata poiché l’istante aveva invocato gravi motivi per ritenere che il Paese di origine non fosse sicuro per la situazione particolare in cui egli si trovava. Superata la presunzione di sicurezza, derivante dall’inserimento nella lista dei Paesi sicuri, veniva meno il presupposto soggettivo della procedura accelerata ai sensi dell’art. 28-bis, comma 2, lettera b-bis, d.lgs. 25/2008, e pertanto anche la legittimità del trattenimento disposto nell’ambito di quella procedura. Il Tribunale, peraltro, ha precisato che anche se non fosse stata superata la presunzione di sicurezza del Paese di origine, avrebbe dovuto tenere conto dei due rinvii pregiudiziali disposti dal Tribunale di Brno e dal Tribunale di Firenze con cui i giudici nazionali hanno chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di chiarire se il diritto dell’Unione europea osti alla designazione, da parte di uno Stato membro, di un Paese di origine sicuro con esclusione di zone territoriali (richiesta del Tribunale di Brno) o di categorie di persone a rischio (richiesta del Tribunale di Firenze).
Dobbiamo segnalare che, con decisione del 4.10.2024, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, decidendo sul rinvio pregiudiziale del Tribunale di Brno, ha affermato che la direttiva 2013/32 si oppone a che un Paese terzo possa essere designato come Paese di origine sicuro quando alcune parti del suo territorio non soddisfano le condizioni materiali di tale designazione, e che tale valutazione deve essere compiuta dal giudice della protezione internazionale anche d’ufficio.
Ancora il Tribunale di Catania, con decisione del 17.9.2024 , confermando l’orientamento sopra esposto, ha rigettato la richiesta di convalida del trattenimento disposto ex art. 6-bis d.lgs. 142/2015 nei confronti di un cittadino della Tunisia, Paese inserito nella lista dei Paesi di origine sicuri, che aveva presentato domanda di protezione internazionale in zona di frontiera. In questo caso il Tribunale ha esaminato ex officio la situazione del Paese di origine e, sulla base delle fonti consultate, ha ravvisato un «insanabile contrasto tra il decreto MAECI 07.05.2024, letto in uno alla Scheda Paese, e la norma di legge primaria ossia il citato art. 2-bis del d.lgs. 18.01.2008 n. 25, non potendo in alcun modo definirsi Paese che tutela dalle persecuzioni i dissidenti e le minoranze all’interno di un quadro democratico, un paese che, come la Tunisia, per valutazioni richiamate dallo stesso ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale». Di conseguenza il Tribunale, ricorrendo all’art. 5 della l. 2248/1865, all. E, ha disapplicato l’atto amministrativo (il decreto ministeriale che qualifica la Tunisia come Paese di origine sicuro) poiché lo ha ritenuto incompatibile e in contrasto con la norma di legge primaria che regola la fattispecie. Il Tribunale etneo ha peraltro rilevato l’illegittimità del trattenimento anche sotto un altro profilo: non era infatti applicabile la disciplina della procedura di frontiera (nel cui ambito è prevista l’ipotesi di trattenimento applicata nel caso di specie) poiché non era stato rispettato l’art. 43 della Direttiva 2013/32, secondo cui la procedura di frontiera (caratterizzata dalla c.d. finzione di non ingresso) è tale se la domanda venga decisa direttamente «alla frontiera o nelle zone di transito dello Stato membro»; nel caso di specie la persona trattenuta aveva fatto ingresso in una zona di frontiera (Lampedusa, di competenza del questore di Agrigento) e qui aveva chiesto la protezione internazionale, ma il trattenimento era stato disposto dal questore di Ragusa, dove la persona era stata trasferita al di fuori delle ipotesi che, ai sensi dell’art. 43 citato, permettono lo spostamento del luogo di applicazione della procedura di frontiera.
Anche il Tribunale di Palermo è stato investito di richieste di convalida del trattenimento disposto nell’ambito di procedure di frontiera, poiché nel capoluogo di regione ha sede la sezione specializzata nella cui competenza ricade la provincia di Agrigento, ove si trova il Centro di Porto Empedocle. Riportiamo tre decisioni emesse il 27.8.2024 ( R.G. 10239/2024 , R.G. 10240/2024 , R.G. 10241/2024 ) e altre sei emesse il 14.9.2024 ( R.G. 10821/2024 , R.G. 10822/2024 , R.G. 10823/2024 , R.G. 10824/2024 , R.G. 10825/2024 , R.G. 10826/2024 con cui il Tribunale non ha convalidato il trattenimento osservando che la mancata consegna del passaporto o la mancata prestazione della garanzia rappresentano sì dei presupposti che legittimano l’adozione della misura, ma non sono da soli sufficienti a giustificarla, e che la facoltà di disporre il trattenimento rappresenta l’esercizio di un potere discrezionale, che va giustificato ed argomentato, anche in considerazione della circostanza che la misura incide sulla libertà personale dell’individuo e deve costituire l’extrema ratio, dopo che siano state debitamente prese in considerazione tutte le misure non detentive alternative al trattenimento; in proposito, il Tribunale ha rilevato che il requisito del possesso di passaporto o documento equipollente per la concessione di misure alternative al trattenimento non possa essere ritenuto necessario per i richiedenti asilo (i quali quasi mai ne sono in possesso), poiché esso è previsto – per gli stranieri non richiedenti – dall’art. 14 d.lgs. 286/1998, al quale l’art. 6 d.lgs. 142/2015 – per i richiedenti – rinvia «in quanto compatibile», e tale previsione appare incompatibile con lo status di richiedente asilo, cui si accompagna in via generale un divieto di rimpatrio. Nei casi di specie, il Tribunale ha ritenuto che il questore non avesse fornito idonea motivazione sulla necessità del trattenimento, sulla sua proporzionalità e sull’impossibilità di fare efficace ricorso alle altre misure alternative di tipo non coercitivo.
In un altro caso ( decisione del 31.8.2024 , invece, il Tribunale di Palermo ha ritenuto adeguata la motivazione posta dal questore a sostegno dell’ordine di trattenimento, diretto contro un cittadino straniero richiedente asilo sottoposto alla procedura di frontiera, il quale in precedenza aveva fornito false generalità, era stato più volte espulso, condannato per furto, rimpatriato e poi, rientrato in Italia, arrestato per violazione del divieto di reingresso imposto con i precedenti decreti di espulsione. Il Tribunale ha ritenuto di dover valutare non già la pericolosità sociale bensì la necessità e proporzionalità della misura del trattenimento in relazione alla personalità del destinatario e alle circostanze del caso concreto, e ha condiviso la valutazione del questore secondo cui gli elementi sopra riportati erano indici sintomatici dell’alta probabilità che egli, se non trattenuto, si sarebbe reso irreperibile.
Analoga decisione il Tribunale di Palermo ha adottato il 5.9.2024 ( R.G. 10464/2024 , evidenziando gli elementi concreti addotti dal questore nell’ordine di trattenimento, che il giudice ha quindi convalidato. Nella stessa data il Tribunale di Palermo ha invece rigettato altra richiesta di convalida del trattenimento ( R.G. 10465/2024 , osservando che in quel caso la motivazione del provvedimento era apparente e stereotipata, essendo rimessa a formule di stile (il Tribunale ha rilevato che le stesse ricorrevano anche, in modo identico, con riguardo ad altro procedimento avente analogo oggetto ma diverso soggetto) che non argomentavano circa la necessità del trattenimento che si limitavano a ribadire genericamente i presupposti normativi per il trattenimento senza fare dunque alcuna precisazione riferita alla situazione specifica e individuale.
Pericolosità sociale
Segnaliamo infine una decisione del Tribunale di Roma (20240913) relativa alla richiesta di convalida del trattenimento disposto nei confronti di un richiedente asilo per la ritenuta pericolosità sociale, essendo egli sottoposto a procedimento penale per l’ipotetica violazione dell’art. 270-bis c.p.; nei suoi confronti, in effetti, era stata applicata la custodia cautelare in carcere, che tuttavia il Tribunale per il riesame aveva annullata in sede di rinvio dopo che la Corte di cassazione aveva rilevato l’assenza di elementi concreti a carico dell’interessato. Il Tribunale capitolino ha osservato che la liberazione della persona aveva come evidente presupposto dell’assenza di pericolosità sociale, e non ha convalidato il trattenimento.