Riconoscimento della cittadinanza per discendenza da avo italiano
a) Permesso di soggiorno «per attesa cittadinanza»
Ai sensi dell’art. 11, co. 1, lett. c) d.p.r. 394/1999, il cittadino straniero che abbia chiesto il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis può chiedere il rilascio di un permesso di soggiorno «per attesa cittadinanza».
Il Tar Piemonte, sez. I, 27.6.2024, n. 793 si è pronunciato in merito al diritto a tale permesso a favore del cittadino straniero che abbia impugnato davanti al giudice civile il diniego al riconoscimento della cittadinanza da parte dell’ufficiale dello stato civile. Il giudice amministrativo annulla il provvedimento questorile di diniego di rilascio del permesso di soggiorno richiesto dallo straniero in pendenza di detto ricorso affermando che anche la fase giurisdizionale di valutazione del possesso dello status civitatis va considerata come facente parte del procedimento cui si riferisce l’art. 11, co. 1, lett. c) del d.p.r. 394/1999.
Un diritto, quello al rilascio del permesso di soggiorno in attesa della cittadinanza, anche in pendenza del ricorso contro il diniego dello status civitatis, che deve essere diligentemente considerato dal ricorrente (e dal suo difensore) anche in ragione della possibilità di conversione di detto permesso di soggiorno in quello per lavoro, ai sensi dell’art. 6 d.lgs. n. 286/1998, conversione che assicurerebbe la futura regolarità del soggiorno anche allo straniero che, all’esito del processo civile, dovesse vedersi negato in via definitiva lo status di cittadino italiano.
Acquisto della cittadinanza jure soli, ai sensi dell’art. 1, lett. b) l. n. 91/1992
Con la sentenza del 4 aprile 2024 , la Corte d’appello di Venezia si è pronunciata su una questione giuridica che spesso si pone per gli stranieri nati in Italia che abbiano uno status civitatis incerto.
Nel caso concreto, il figlio di un cittadino bosniaco si era visto rigettare dall’Ambasciata bosniaca la domanda di registrazione come cittadino, dal momento che l’atto di nascita formato in Italia non riportava le generalità della madre, dal momento che solo il padre aveva effettuato il riconoscimento. L’interessato aveva dunque chiesto al Comune di residenza di essere riconosciuto come cittadino italiano, ai sensi dell’art. 1, lett. b) l. n. 91/1992. Non essendo stata accolta tale richiesta, il giovane si era rivolto al Tribunale, chiedendo in via principale l’accertamento dello status di cittadino italiano e, in via subordinata, l’accertamento della condizione di apolide.
Il Tribunale di Venezia, con ordinanza del 30 maggio 2022 , aveva accolto la domanda spiegata in via principale, ritenendo, sulla base dell’interpretazione della legislazione bosniaca, che il ricorrente non avesse mai acquistato la cittadinanza di tale Paese. In particolare, il Tribunale osservava che «la legge bosniaca privilegia la disciplina della legge del luogo di nascita del minore. Se (e solo se), in base a quella legge, il bambino nasce apolide, allora interviene la legge bosniaca con la trasmissione della cittadinanza. Il presupposto è, quindi, che la lex loci tolleri l’apolidia di chi nasce nel proprio territorio senza seguire la cittadinanza dei genitori, ciò che, in Italia, è del tutto escluso dall’art. 1, comma 1, lett. b) legge 91/1992».
Secondo il Tribunale, «un apolide nato in Italia costituirebbe una contraddizione in termini, visto che chi nasce apolide in Italia diventa cittadino per nascita ai sensi dell’art. 1, comma 1 lett. b) legge n. 91/1992».
Con la sentenza del 4 aprile 2024 n. 633, la Corte d’appello di Venezia fa propri gli argomenti del Tribunale, ritenendo infondata l’impugnazione del Ministero dell’interno. Anche secondo la Corte veneziana, la legge bosniaca prevede la trasmissione della cittadinanza al figlio di un cittadino bosniaco solo nel caso in cui vi sia il rischio di apolidia, ma poiché la legislazione italiana prevede per il medesimo rischio l’acquisizione automatica della cittadinanza italiana, era questa normativa a doversi considerare prevalente. Pronunciandosi su di un ulteriore motivo di appello del Ministero, la Corte ha altresì sottolineato che non esiste alcun termine decadenziale per l’azione volta a ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana per nascita, considerando infondata così l’argomentazione dell’Amministrazione appellante secondo cui la richiesta di cittadinanza iure soli dovrebbe essere avanzata subito dopo la nascita.
Sotto un diverso profilo, correttamente, la Corte, come già il Tribunale, al fine di escludere l’acquisizione della cittadinanza bosniaca del ricorrente, valorizza il comportamento tenuto dalle autorità bosniache di rifiuto del riconoscimento della cittadinanza, dovendosi escludere che le autorità italiane possano sostituirsi alle autorità bosniache nell’interpretazione della legislazione straniera sulla cittadinanza.
Acquisto della cittadinanza per elezione
a) Invio della lettera per l’esercizio del diritto all’acquisto della cittadinanza italiana del minore nato in Italia al compimento dei 18 anni; contenuto dell’onere della prova del Comune
Con l’ ordinanza del 5 aprile 2024, n. 3127 , la Sezione specializzata del Tribunale di Napoli ha accolto il ricorso di un cittadino straniero che aveva impugnato il provvedimento di diniego del Sindaco di Napoli all’acquisto della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 4, comma 2, l. n. 91/1992.
A fondamento del diniego, l’Amministrazione eccepiva la tardività della manifestazione della volontà di acquistare la cittadinanza italiana, avvenuta dopo il compimento del diciannovesimo anno di età, nonostante il Comune avesse adempiuto all’obbligo di informare per lettera l’interessato della possibilità di esercitare il proprio diritto.
Nell’accogliere il ricorso, il Tribunale considera inidonee a documentare l’adempimento da parte dell’Amministrazione le prove della spedizione della missiva depositate dal Comune (consistenti in un «estratto della distinta amministrativa dell’elenco delle lettere» inviate per posta, con indicazione anche del ricorrente tra i destinatari), con conseguente diritto dello straniero a dichiarare la volontà di acquistare la cittadinanza italiana anche al di là del termine di legge.
b) Legittimazione passiva del Comune e ius postulandi dell’Avvocatura distrettuale dello Stato; permesso per attesa cittadinanza nel contenzioso ai sensi dell’art. 4, comma 2, l. n. 91/1992; obbligo del Comune di inviare la lettera anche in caso di accertamento anagrafico di irreperibilità
L’ ordinanza del 13 marzo 2024 del Tribunale di Napoli si segnala sotto tre profili.
In primo luogo, l’ordinanza affronta la questione processuale dell’Amministrazione legittimata a resistere in giudizio, questione controversa nel contenzioso relativo all’applicazione dell’art. 4, comma 2, l. n. 91/1992.
La giurisprudenza ha da tempo chiarito che controparte necessaria in questi procedimenti è il Ministero dell’interno. Nell’ordinanza del 13 marzo 2024, il Tribunale di Napoli afferma che qualora venga chiamato in causa anche il Sindaco, lo stesso per costituirsi in giudizio dovrà farsi difendere dall’Avvocatura dello Stato, non potendo nominarsi un diverso difensore. Nel caso concreto, dal momento che il Sindaco si era fatto difendere da difensore differente, senza porre rimedio a tale scelta nel termine assegnato dal giudice, il Tribunale dichiara la contumacia del Sindaco.
In secondo luogo, la sentenza si segnala perché, dalla lettura della parte della decisione che sintetizza lo svolgimento del processo, si deduce che, in accoglimento dell’istanza cautelare, il Tribunale condannava l’Amministrazione a rilasciare al ricorrente nelle more del procedimento un permesso per attesa cittadinanza. L’applicazione dell’art. 11 d.p.r. n. 394/1999 (che prevede il rilascio di un permesso per attesa cittadinanza) anche al contenzioso ai sensi dell’art. 4, comma 2, l. n. 91/1992 non è frequente, ma si ritiene la soluzione certamente condivisibile, dal momento che la disposizione nel riferirsi al permesso per attesa cittadinanza non specifica a quale fattispecie tra quelle previste dalla legge n. 91/1992 si faccia riferimento.
In terzo luogo, il Tribunale ritiene che il Comune, benché avesse cancellato per irreperibilità dall’anagrafe la cittadina straniera e, dunque, non avesse più il suo nominativo nei propri registri, avrebbe dovuto comunque avvisarla, con lettera, della possibilità di eleggere la cittadinanza italiana, nei sei mesi precedenti al compimento dei 18 anni. Non avendovi provveduto, la giovane straniera aveva diritto a manifestare la volontà di acquistare la cittadinanza italiana senza limiti di tempo, con conseguente accoglimento del ricorso.
Acquisto della cittadinanza per naturalizzazione
a) Cittadinanza e disabilità
Con l’ ordinanza 30.05.2024, n. 145 , la prima sezione del Tribunale amministrativo per l’Emilia-Romagna, Parma, ha sollevato una questione di legittimità di particolare rilevanza, con riferimento all’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, nella parte in cui non consente l’acquisizione della cittadinanza italiana ai soggetti che, a causa di un deficit cognitivo e di una grave invalidità, non sono in grado di apprendere la lingua italiana. L’ordinanza rileva che tale disposizione risulta contrasto con gli articoli 2, 3, 10 e 38 della Costituzione.
La Consulta dovrebbe dunque pronunciarsi nuovamente (dopo la sentenza n.258 del 2017) sul diritto di «acquisire, mantenere e cambiare la cittadinanza di cui all’art. 18 della Convenzione delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità (…) che, per effetto del c.d. «rinvio mobile» effettuato dall’art. 10 della Costituzione, assume rango costituzionale». Oggetto del diritto non è in realtà l’accesso in sé alla cittadinanza ma l’impedimento ad accedervi a causa della condizione personale di disabilità, in violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione. Tale diritto, osserva il giudice emiliano, «può chiaramente essere garantito solo ove la legislazione degli Stati aderenti alla Convenzione impedisca che la disabilità, in qualsiasi forma essa si declini, possa costituire elemento impeditivo all’acquisto, al mantenimento e al cambiamento della cittadinanza».
Ove la questione dovesse essere accolta (o rigettata in via interpretativa richiamando però l’Amministrazione al rispetto dell’art. 18 della richiamata Convenzione nel ricevimento delle istanze in materia di cittadinanza) sarebbe difficile non estendere, pur sempre in via interpretativa, il medesimo principio di diritto a tutti i casi in cui un’istanza di cittadinanza venga presentata nell’interesse di un incapace di intendere e di volere e, dunque, anche al di là del pur importante, ma limitato tema della possibilità o impossibilità di apprendere la lingua italiana.
Un impatto particolarmente auspicabile riguardo al controverso tema del mancato raggiungimento del requisito di reddito da parte delle persone invalide e inabili al lavoro e della collegata non computabilità delle rendite da pensione di invalidità (ribadita di recente da Tar Lazio, sez. V-bis, 6.5.2024, n. 8961 ; e da Tar Calabria, sez. I, 17.5.2024, n. 780 ).
b) Cittadinanza e valutazione dei comportamenti pregressi dello straniero – status di illesae dignitatis morale e civile
Alcune decisioni del Consiglio di Stato tornano sulla cosiddetta pregiudiziale penale in materia di acquisto della cittadinanza per naturalizzazione. Non ne emerge, in realtà, alcun significativo mutamento sull’orientamento dei giudici di Palazzo Spada, il cui coinvolgimento segnala tuttavia una tendenza restrittiva dell’Amministrazione e la permeabilità ad essa dei Tar.
In particolare, Cons. St., sez. III, sent. 23.7.2024, n.6664 , andando di contrario avviso rispetto al Tar, ha accolto il ricorso di uno straniero assolto con formula piena dal reato di ricettazione ma sanzionato per avere violato le misure di distanziamento previste per fronteggiare l’emergenza COVID (reato poi convertito in illecito amministrativo) pare al fine di acquistare un pacchetto di sigarette.
Dopo avere valutato i diversi indici di integrazione del ricorrente, il Consiglio di Stato ribadisce il consolidato orientamento secondo cui il diniego di cittadinanza risulta illegittimo quando «si basi sulla constatazione che vi è stata una denuncia all’autorità giudiziaria, senza accertare quali siano stati gli ulteriori sviluppi del relativo procedimento». Il Consiglio di Stato anche in questa occasione non giunge ad affermare l’irrilevanza delle denunce e delle segnalazioni di polizia non seguite da un accertamento giudiziario di colpevolezza, ma ribadisce che l’Amministrazione non può, a fronte di tali segnalazioni o denunce, astenersi dall’eseguire «una valutazione dettagliata delle vicende sottese alle segnalazioni, fondando il proprio giudizio di mancato inserimento sociale sull’astratta tipologia del reato, contestata all’interessato, senza valutare il reale disvalore delle condotte rispetto ai principi fondamentali della convivenza sociale e alla tutela anticipata della sicurezza e della incolumità pubblica (Consiglio di Stato, Sezione III, nn. 6791/2023 e 3185/2022)».
Nella medesima linea argomentativa va richiamato anche Cons. St., sez. III, sent. 5.4.2024, n. 3178 , riguardante uno straniero presente in Italia sin da minorenne, la cui domanda era stata rifiutata a causa della pendenza di un procedimento penale a suo carico, per simulazione di reato e calunnia, nonché per l’esistenza di una condanna per truffa (rivelatasi poi essere un procedimento penale archiviato). Il Collegio ribadisce la natura ampiamente discrezionale dell’atto di concessione, che deve non soltanto tenere conto di fatti penalmente rilevanti ma anche valutare l’area della loro prevenzione, con «accurati apprezzamenti da parte dell’Amministrazione sulla personalità e sul contegno di vita tenuto dall’interessato». L’eventuale provvedimento di diniego non è sindacabile per i profili di merito della valutazione amministrativa, ma «lo è – e pienamente – per i suoi eventuali profili di eccesso di potere, tra i quali è tradizionalmente annoverata l’inadeguatezza della motivazione», come nel caso di specie, risultando determinante nel giungere a tale conclusione l’inerzia dell’Amministrazione sia riguardo all’istruttoria del provvedimento impugnato sia nell’adempiere alle richieste di informazioni rivoltele riguardo, in particolare, agli sviluppi del procedimento penale pendente al momento della domanda di cittadinanza e mai giunto a condanna.
Anche Cons. Stato, sez. III, sent. 19.7.2024, n. 6486 rileva un difetto di motivazione riguardo a un decreto ministeriale di diniego della concessione della cittadinanza fondato sull’inaffidabilità del cittadino straniero, desunta da una condanna per guida in stato di ebbrezza e dall’omessa indicazione di tale circostanza nell’autocertificazione allegata all’istanza di naturalizzazione; nonché da un patteggiamento, piuttosto risalente nel tempo, per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni.
Il ricorrente lamentava però la mancata considerazione, da parte del giudice di prime cure e dell’Amministrazione resistente, della reale sua complessiva personalità e del livello di integrazione nella comunità nazionale raggiunto da lui e dal proprio nucleo familiare, a fronte di due condotte non reiterate e risalenti nel tempo.
Il Consiglio di Stato ritiene fondato il ricorso in quanto la guida in stato di ebbrezza, pur costituendo una condotta illecita «non può ritenersi in sé ostativa al riconoscimento della cittadinanza, se la condotta non denoti un effettivo sprezzo delle più elementari regole di civiltà giuridica, ma costituisca un isolato episodio, non ascrivibile a deliberato, pervicace, atteggiamento antisociale».
L’Amministrazione avrebbe dovuto effettuare una valutazione in ordine alla effettiva e complessiva integrazione dello straniero nella società, non limitandosi, «pur nel suo ampio apprezzamento discrezionale, ad un giudizio sommario, superficiale ed incompleto, ristretto alla mera considerazione di un fatto risalente, per quanto sanzionato penalmente, senza contestualizzarlo all’interno di una più ampia e bilanciata disamina» (legami familiari, attività lavorativa, radicamento sul territorio, ecc.) importando in definitiva che la complessiva condotta del richiedente, «per quanto non totalmente irreprensibile sul piano morale» mostri indefettibilmente «una convinta adesione ai valori fondamentali dell’ordinamento, di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza».
c) Rilevanza dei comportamenti dei familiari per l’acquisto della cittadinanza per naturalizzazione
È nuovamente la carenza di istruttoria, ridondante in difetto di adeguata motivazione, ad essere censurata da Cons. St., sez. III, ord. 2.9.2024, n. 3288 , questa volta in via cautelare, «posto che il Ministero dell’interno ha contestato all’istante la mancata integrazione nella comunità nazionale unicamente a causa di condotte penalmente rilevanti ascrivibili al fratello convivente, senza muovere alcun rilievo sulla persona dell’istante».
Richiamando anche in questo caso la sua precedente giurisprudenza, il Consiglio di Stato ribadisce che la determinazione dell’Amministrazione, sebbene altamente discrezionale e non sindacabile nei profili dell’opportunità della scelta, non si sottrae agli obblighi di adeguatezza dell’istruttoria e di congruità della motivazione, censurando nel caso di specie la «mancata verifica ed esternazione delle ragioni in base alle quali i riscontri a carico dei parenti del ricorrente si riflettano, in rapporto di consequenzialità e di ragionevole efficienza casuale, sull’odierno appellante con effetto di pericolo per la sicurezza della Repubblica».
d) Cittadinanza italiana e prestazione di servizio alle dipendenze dello Stato
Tar Lombardia, sez. III, 18.7.2024, n. 2244 interviene utilmente sull’interpretazione dell’art.9, co. 1, lett. c) della legge n. 91/1992 chiarendo come il suo ambito di applicazione non riguardi solo gli impiegati pubblici ma qualsiasi «prestazione di servizio» (di cui l’impiego pubblico non è che una species). Del resto, lo stesso d.p.r. n. 572 del 1993 all’art. 1, comma 2 lett. c), «considera che abbia prestato servizio alle dipendenze dello Stato chi sia stato parte di un rapporto di lavoro dipendente con retribuzione a carico del bilancio dello Stato».
È, perciò, incluso in tale nozione anche l’impiego, in qualunque modo contrattualizzato, alle dipendenze di un ente finanziato in tutto o in gran parte dallo Stato e che dunque fa parte, sia pure in senso lato, dell’organizzazione dello Stato in quanto strumento della sua azione. Nel caso di specie la prefettura di Milano aveva dichiarato inammissibile la domanda di concessione della cittadinanza presentata da un dipendente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN), ente con prevalente finanziamento statale e sottoposto a poteri di controllo e indirizzo esercitati dai Ministeri di riferimento.