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Archivio saggi e commenti

Fascicolo 2024/3

«Chiamami con il mio nome». La tutela della vita privata degli stranieri in Italia

di Maurizio Veglio 

AbstractL’insolita convergenza delle tre Corti maggiori – Strasburgo, Lussemburgo e Roma – sulla definizione di vita privata mina al cuore le politiche dell’ostilità. Proprio mentre la spinta verso la detenzione alla frontiera si fa più feroce, fino a raggiungere l’Albania, l’obbligo di valutare la totalità dei legami sociali nello Stato prima di disporre l’allontanamento degli stranieri ribalta il dogma dell’isolamento. Questo a patto di sgombrare il campo da un equivoco: la protezione della vita privata non è l’esito di un giudizio di meritevolezza, moraleggiante e arbitrario, ma l’affermazione del diritto all’identità sociale. Cioè, in controluce, il frutto della volontà, della passione e della fatica dell’individuo artefice della sua biografia. Il permesso di soggiorno per protezione speciale custodisce così la scintilla di una rivoluzione: riconoscere dignità giuridica al desiderio di chiunque di scegliere dove scrivere la propria storia, rendendola unica ed irripetibile.

AbstractThe unusual convergence of the three major Courts Strasbourg, Luxembourg, and Rome on the definition of private life undermines the politics of hostility. Just as the push towards detention at the border becomes more ferocious, all the way to Albania, the obligation to assess the totality of social ties in the State before ordering the removal of foreigners overturns the dogma of isolation. Provided that we clear the field from a misunderstanding: the protection of private life is not a moralising and arbitrary judgement, but the affirmation of the right to social identity. That is to say, in fact, the outcome of the will, passion and dedication of the individual creator of his own biography. The residence permit for special protection thus can spark a revolution: granting legal dignity to the desire of anyone to choose where to write their story, making it unique and unrepeatable.

Incompatibile con il diritto UE il requisito di dieci anni di residenza per accedere al reddito di cittadinanza. Nota alla sentenza della Corte di giustizia del 29 luglio 2024, causa C-112/22

di Alberto Guariso 

Abstract: L’autore esamina la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 29 luglio 2024, C-112/22 e C-223/22, che ha sancito l’incompatibilità tra il requisito di 10 anni di residenza per accedere al reddito di cittadinanza e il diritto alla parità di trattamento di cui godono i cittadini di Paesi terzi titolari dello status di soggiornanti di lungo periodo, ai sensi dell’art. 11 direttiva 2003/109/CE. Vengono messi in rilievo i contributi innovativi che la sentenza fornisce nell’applicare le nozioni generali tratte dal diritto antidiscriminatorio (in particolare le nozioni di discriminazione indiretta e causa di giustificazione) e vengono esaminati i possibili effetti della sentenza sui giudizi ancora pendenti riguardanti altre categorie di stranieri (cittadini dell’Unione e titolari di protezione internazionale) anche in rapporto alla sentenza della Corte costituzionale n. 19/2022.

Abstract: The author examines the CJEU judgment 29.7.2024 C. 112/22 and C-223/22, which stated the incompatibility between the 10-year residency requirement for access to citizenship income and the right to equal treatment granted to third-country nationals holding long-term resident status under Article 11 Directive 2003/109/EC. The innovative contributions that the judgment makes in applying the general notions drawn from anti-discrimination law (in particular the notions of indirect discrimination and cause of justification) are highlighted, and the possible effects of the judgment on the ongoing judgments concerning other categories of foreigners (citizens of the Union and holders of international protection) are examined, also in relation to Constitutional Court Judgment No. 19/2022.

Il rischio di persecuzione determinato dalla fede nella parità tra uomo e donna può condurre all’ottenimento dello status di rifugiato: la sentenza della Corte di giustizia dell’11.6.2024 in causa C-646/21

di Monica Spatti 

AbstractCon la sentenza in causa C-646/21 la Corte di giustizia dell’Unione europea chiarisce che le donne richiedenti protezione che, durante un soggiorno in Europa, avessero maturano l’identificazione nel principio della parità dei sessi possono costituire un particolare “gruppo sociale” ai fini dell’ottenimento della protezione. Inoltre, per effetto dell’applicazione della Convenzione di Istanbul precisa quali sono i diritti insiti nel principio della parità tra uomo e donna, e giunge ad affermare che il mancato riconoscimento della parità può costituire una forma di persecuzione.

AbstractIn its judgment in case C-646/21, the Court of Justice of the European Union clarifies that women who, during a stay in Europe, have developed an identification with the principle of gender equality may constitute a specific “social group” for the purposes of obtaining protection. Furthermore, through the application of the Istanbul Convention, the Court specifies the rights inherent in the principle of gender equality and concludes that the failure to recognize such equality may constitute a form of persecution.

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Rubrica di Questione Giustizia & Diritto, Immigrazione e Cittadinanza

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