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Rassegna di giurisprudenza europea

Rassegna di giurisprudenza europea: Corte europea dei diritti umani

Art. 3: Divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti1
Nel periodo in esame, la Corte Edu si è pronunciata su numerosi ricorsi riguardanti l’art. 3 Cedu, relativo al divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti.
a) Non-refoulement
Nel caso Batyrkhairov c. Turchia (Corte Edu, sentenza del 5.06.2018), un cittadino del Kazakhstan lamentava di essere stato rinviato nel suo Paese nonostante i rischi, noti alle autorità turche, di essere esposto a trattamenti vietati dall’art. 3 Cedu per presunti legami con gruppi terroristici. Dopo aver visto rigettata la sua domanda di protezione internazionale, il sig. Batyrkhairov veniva in effetti allontanato dalle autorità turche su precisa richiesta delle autorità kazache nonostante la Corte turca che aveva valutato il caso si fosse pronunciata in senso contrario. Secondo la Corte Edu, alla luce delle informazioni a sua disposizione e dei rapporti internazionali che confermavano le frequenti violenze perpetrate in Kazakhstan nei confronti di sospetti terroristi (ad es. Report of the United Nations Special Rapporteur on Torture, 16 dicembre 2009; Report on Human Rights Practices in Kazakhstan, 2012, dell’US Department of State; rapporti annuali sui diritti umani di Amnesty International), gravava sulla Turchia l’obbligo di esaminare in modo rigoroso la situazione individuale del ricorrente al fine di dissipare ogni dubbio sui possibili rischi derivanti dal suo allontanamento. Poichè tale valutazione non è stata adeguatamente condotta, non è stata adottata e notificata alcuna decisione formale prima dell’allontanamento ed è stata ignorata la stessa decisione della Corte interna in favore del ricorrente, la Corte ritiene che il rinvio del ricorrente ha dato luogo a una violazione dell’art. 3 Cedu. A ciò si aggiungono in base alla mancata presentazione di prove rispetto a un miglioramento strutturale della situazione interna già constatata in altre pronunce (cfr. Corte Edu, Aliev c. Turchia e Musaev c. Turchia, sentenze del 21.10.2014, in questa Rivista, XVI, n. 3-4, 2014, p. 154), una violazione dell’art. 5 Cedu (diritto alla libertà e sicurezza), para. 1, 4 e 5, a causa delle lacune esistenti nell’ordinamento turco in materia di trattenimento di persone straniere, dell’art. 3 per le condizioni di detenzione sofferte nel centro di espulsione per stranieri di Kumkapı e dell’art. 13, letto in combinato con l’art. 3, per la mancanza di un mezzo di ricorso effettivo per denunciare tali condizioni di detenzione.
Chiamata a pronunciarsi su un caso del tutto analogo in Amerkhanov c. Turchia (Corte Edu, sentenza del 5.06.2018), anch’esso relativo a un richiedente asilo del Kazakhstan ricercato dalle autorità del suo Paese per presunti legami con movimenti estremisti, la Corte Edu giunge alle medesime conclusioni circa la violazione dell’art. 3, sia per il rinvio del ricorrente nel suo Paese in assenza di una valutazione individuale del rischio cui sarebbe stato esposto, sia per le condizioni di detenzione nel centro di Kumkapı, dell’art. 5, para. 1, 4 e 5, relativamente al trattenimento subito prima dell’allontanamento, e dell’art. 13, letto in combinato con l’art. 3, per la mancanza di un mezzo di ricorso effettivo attraverso cui denunciare le condizioni di detenzione nel centro suddetto.
In X c. Paesi Bassi (Corte Edu, sentenza del 10.07.2018) il ricorrente, ritenuto una minaccia per la sicurezza nazionale dallo Stato convenuto, lamenta una possibile violazione dell’art. 3 Cedu se allontanato in Marocco dato il trattamento riservato dalle autorità marocchine a coloro che sono sospettati di aver avuto o hanno legami con movimenti terroristici. Ricordando che spetta al ricorrente avanzare tutti gli elementi da cui possono emergere rischi sostanziali di essere esposto a torture o trattamenti inumani o degradanti in caso di allontanamento, la Corte Edu osserva, da un lato, come la situazione in Marocco rispetto al trattamento di terroristi o presunti tali sia in via di miglioramento (cfr. report del Working Group on Arbitrary Detention delle Nazioni Unite, 4 agosto 2014, e del Comitato sui diritti umani, Osservazioni in merito al sesto rapporto periodico presentato dal Marocco, 6 novembre 2016) e, dall’altro, che le autorità olandesi hanno effettivamente condotto un esame rigoroso basato su fonti oggettive prima di decidere l’allontanamento. A tal proposito, non solo il Marocco non ha mai richiesto la sua estradizione o ha mostrato interesse nei confronti del ricorrente, ma non vi sono elementi per ritenere che quel Paese non rispetti il principio del ne bis in idem riprocessando il sig. X per fatti esaminati nel corso di procedimenti penali avviati nei Paesi Bassi. Peraltro, proprio le autorità olandesi avevano accertato, attraverso specifiche indagini, l‘assenza di inchieste o procedimenti pendenti a carico del ricorrente in Marocco. Pertanto, diversamente da casi precedenti riguardanti presunti terroristi che rischiavano di essere rinviati in quel Paese (ad es. Corte Edu, 9.01.2018, X c. Svezia, in questa Rivista, XX, n. 2, 2018), l’allontanamento del ricorrente non darebbe luogo a una violazione dell’art. 3 Cedu.
Con il caso Rabah Medjaouri c. Francia (Corte Edu, decisione del 12.06.2018), relativo a un cittadino algerino soggetto a una misura di allontanamento in seguito ad alcune condanne, la Corte Edu ritiene che il ricorrente non possa ritenersi “vittima” di una violazione degli artt. 3 e 8 Cedu ai sensi dell’art. 34 della Convenzione poichè l’esecuzione dell’allontanamento non risulta imminente. Infatti, visti i suoi gravi problemi di salute, il ricorrente ha potuto rimanere in Francia per un lungo periodo dopo la decisione contestata al fine di ottenere le cure necessarie e, successivamente, gli è anche stato rilasciato un permesso di soggiorno provvisorio. Tenendo peraltro conto che, visto il lungo periodo trascorso, le autorità francesi procederebbero comunque a rivalutare tutte le circostanze del caso prima di dare esecuzione all’allontanamento, la Corte Edu dichiara il ricorso del sig. Medjaouri inammissibile.
Con il caso H. e altri c. Svizzera (Corte Edu, decisione del 15.5.2018), la Corte Edu ritorna a pronunciarsi in merito a un’eventuale violazione dell’art. 3 Cedu in caso di rinvio di una famiglia con due minori in Italia quale Paese responsabile per la valutazione della loro domanda di asilo ai sensi del Regolamento di Dublino III (su tutte, Corte Edu, Grande Camera, 4.11.2014, Tarakhel c. Svizzera, in questa Rivista, XVI, n. 3-4, 2014, p. 154). In sostanza, la Corte rigetta le argomentazioni dei ricorrenti basate sui dubbi che il sistema di accoglienza italiano possa prendere adeguatamente in carico famiglie con seri problemi di salute, dato lo stato di sieropositività di due di essi. Infatti, essa nota come la Svizzera abbia ottenuto assicurazioni specifiche dall’Italia sull’inserimento in uno SPRAR adatto alle esigenze dell’intera famiglia mentre le condizioni di salute dei ricorrenti non ne impediscano il trasferimento, oltre al fatto che le cure mediche necessarie siano disponibili anche in Italia (cfr. Corte Edu, Grande Camera, 13.12.2016, Paposhvili c. Belgio, in questa Rivista, XIX, n. 1, 2017). Pertanto, confermando la sua recente giurisprudenza (cfr. Corte Edu, 22.06.2017, E.T. e N.T. v. Svizzera e Italia, dec., in questa Rivista, XX, n. 1, 2018), la Corte Edu dichiara il ricorso dei sig. H e altri inammisibile.
b) Condizioni materiali
Nel caso S.Z. c. Grecia (Corte Edu, sentenza del 21.06.2018), un cittadino siriano entrato irregolarmente in Grecia lamenta una violazione dell’art. 3 Cedu perchè, a suo avviso, le condizioni in cui era stato trattenuto nella stazione di polizia di Zografou, in vista del suo allontanamento, ammontano a un trattamento inumano o degradante, nonchè dell’art. 5 Cedu per essere stato liberato solo dopo il riconoscimento dello status di rifugiato nonostante l’impossibilità pratica di essere allontanato in Siria. Al di là delle divergenze sulle effettive condizioni di trattenimento tra le parti, la Corte Edu si sofferma sull’inadeguatezza dei locali di polizia per privazioni della libertà per lunghi periodi potendo, di per sè, dar luogo a una violazione dell’art. 3 Cedu. Ora, poichè il ricorrente era stato trattenuto per 52 giorni, per la Corte Edu vi è stata una violazione del divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti. Inoltre, poichè la privazione della libertà del ricorrente ha smesso di essere legittima quando ha sufficientemente provato di essere un cittadino siriano con la conseguenza di generare quantomeno dubbi sulle reali possibilità di procedere a un rapido allontanamento verso quel Paese dato il conflitto in corso (cfr. anche Corte Edu, 14.02.2017, S.K. c. Russia, in questa Rivista, XIX, n. 2, 2017), la Corte Edu conclude anche per una violazione dell’art. 5, para. 1, Cedu. A ciò si aggiunge, infine, una violazione dell’art. 5, para. 4, perchè al ricorrente non è stato garantito un ricorso effettivo attraverso cui lamentare l’illegittimità del suo trattenimento, come dimostra il fatto che nemmeno le Corti interne, alle quali si era rivolto, avevano tenuto conto unicamente delle ragioni avanzate dalle autorità per trattenerlo e non anche l’impossibilità di essere allontanato in Siria.
In N.T.P. e altri c. Francia (Corte Edu, sentenza del 24.05.2018), una madre e i suoi tre figli, tutti cittadini del Congo, denunciano dinanzi la Corte Edu di aver subito un trattamento inumano o degradante come conseguenza delle precarie condizioni di accoglienza durante il periodo in cui attendevano che la domanda di asilo venisse opportunamente registrata dalle autorità francesi. In particolare, fino al momento della convocazione nei locali delle autorità competenti per la registrazione, fissata dopo circa tre mesi dal loro arrivo, la sig.ra N.T.P. non aveva potuto accedere ai benefici previsti per i richiedenti asilo ed era stata costretta, di notte, ad alloggiare nei locali di un ente privato ricevendo solo un pasto caldo al giorno e, di giorno, a vagare per la città non potendo rimanere nella stessa struttura dopo le prime ore del mattino. Per le Corti interne, alle quali la prima ricorrente si era rivolta per lamentare una violazione degli standard previsti dalla normativa Ue in materia di accoglienza (Direttiva 2003/9/CE del 27 gennaio 2003, in vigore all’epoca dei fatti), il periodo di attesa imposto per la registrazione della sua domanda non costituiva un’interferenza grave nel suo diritto di richiedere protezione internazionale considerato che, anche se attraverso enti privati, lo Stato le garantiva comunque i servizi essenziali, compresa la scolarizzazione dei figli. Proprio in ragione del godimento di tali benefici e nonostante le difficoltà pratiche quotidiane, anche la Corte Edu i ricorrenti non avevano vissuto in un totale stato di abbandono e nutrivano anche buone prospettive di migliorare la loro situazione in seguito alla registrazione, già certa, della domanda di asilo (cfr. in senso contrario, Corte Edu, 31.07.2014, F.H. c.Grecia, e 11.12.2014, Al.K. c. Grecia, in questa Rivista, XVI, n. 3-4, 2014, p. 154). Pertanto, non essendo stata raggiunta nel caso dei ricorrenti la soglia di severità richiesta dall’art. 3 Cedu, non vi è stata alcuna violazione di tale disposizione.
 
Art. 5: Diritto alla libertà e alla sicurezza
Il caso Kahadawa Arachchige e altri c. Cipro (Corte Edu, sentenza del 19.06.2018) riguarda tre cittadini dello Sri Lanka che, giunti a Cipro per lavoro, venivano fermati in seguito ad alcuni episodi di violenza, trattenuti in vista del loro allontanamento con conseguente revoca dei permessi di soggiorno in corso e, infine, rinviati nel loro Paese. Proprio in relazione al trattenimento subito, i riccorenti lamentavano la violazione di vari profili dell’art. 5 Cedu, relativo al diritto alla libertà e alla sicurezza. Per la Corte Edu, il caso in esame rientra nell’ambito dell’art. 5, para. 1, lett. f, visto che, dopo la revoca dei permessi di soggiorno, i ricorrenti devono essere considerati a tutti gli effetti migranti irregolari trattenuti in vista del loro allontanamento, come permette la stessa Convenzione. Ora, tale disposizione non è stata violata poichè, oltre ad avere adottato tutte le decisioni rilevanti in conformità a quanto previsto dalla normativa interna, le autorità cipriote hanno trattenuto i ricorrenti in condizioni adeguate e hanno agito con la necessaria diligenza ponendo fine rapidamente al trattenimento con il rinvio dei ricorrenti in Sri Lanka pochi giorni dopo. Invece, poichè l’ordinamento giuridico cripriota non prevedeva all’epoca dei fatti un mezzo di ricorso attraverso cui denunciare l’eventuale illegittimità del trattenimento, vi è stata una violazione dell’art. 5, para. 4, Cedu (cfr. già Corte Edu, 23.7.2013, M.A. c. Cipro, in questa Rivista, XV, n. 4, 2013, p. 107). Infine, diversamente da quanto sostenuto dai primi due ricorrenti, per la Corte Edu non risulta applicabile nei loro confronti l’art. 1 del Protocollo 7 alla Cedu, relativo al diritto a garanzie procedurali in caso di allontanamento, poichè quest’ultimo riguarda stranieri “regolarmente soggiornanti”, status appunto non più attribuibile ai ricorrenti per le ragioni summenzionate. Pertanto, questa parte del ricorso è inammissibile.
 
Art. 8: Diritto al rispetto della vita privata e familiare
Il caso Zezev c. Russia (Corte Edu, sentenza del 12.06.2018) riguarda un cittadino del Kazakhstan, soggiornante regolare in Russia con moglie e figlio, entrambi cittadini russi, che lamenta una violazione dell’art. 8 Cedu, relativamente al diritto al rispetto per la sua vita familiare, in seguito all’allontanamento subito per supposti motivi di sicurezza nazionale. In effetti, nè la decisione notificatagli conteneva le ragioni per cui rappresentava una minaccia per la Russia, nè le Corti interne avevano proceduto a un esame sostanziale di tali motivi ritenendo l’intera questione di competenza dei servizi di sicurezza federali. Di conseguenza, in tali procedimenti, non erano state esaminate nemmeno le ragioni avanzate dal ricorrente relativamente alla sua vita familiare in Russia e all’assenza di qualsiasi legame sostanziale con il suo Paese di origine. Tenuto conto di questo contesto, per la Corte Edu anche quando vi sia il sospetto che una persona costituisca una minaccia per la sicurezza nazionale gli interessi di quest’ultima devono comunque essere bilanciati con quelli pubblici. Poichè tale bilanciamento non è avvenuto e la decisione adottata non è stata accompagnata da sufficienti garanzie procedurali, nel caso del sig. Zezev vi è stata una violazione del diritto al rispetto per la sua vita familiare.
Medesima conclusione è stata raggiunta nel caso Gaspar c. Russia (Corte Edu, sentenza del 12.06.2018), relativo alla revoca del permesso di soggiorno di una cittadina americana, da tempo soggiornante in Russia con la famiglia, e al conseguente ordine di lasciare il Paese per motivi legati alla sicurezza nazionale. Nonostante l’accesso ai documenti dei servizi di sicurezza era stato richiesto attraverso un apposito procedimento avviato dinanzi le Corti interne, queste confermavano il rifiuto di comunicare i fatti alla base delle accuse mosse nei confronti della sig.ra Gaspar poichè coperti da segreto di Stato e, al contempo, procedevano a un esame puramente formale della questione concludendo che quest’ultima non aveva subito alcuna restrizione nel godimento del suo diritto al rispetto della vita familiare. Per la Corte Edu, in mancanza di ogni garanzia procedurale di cui la ricorrente avrebbe dotuto beneficiare per ottenere una valutazione effettiva e adeguata del suo caso, anche alla luce dei suoi legami familiari in Russia, vi è stata una violazione dell’art. 8 Cedu.
 
Art. 10: Libertà di espressione
Il caso Ibragim Ibragimov e altri c. Russia (Corte Edu, sentenza del 28.08.2018) trae origine da due diversi ricorsi relativi alla censura di testi basati sugli scritti di Said Nursi, un teologo musulmano di origine turca, distribuiti o pubblicati dai ricorrenti per fini religiosi. Le autorità russe avevano classificato tali opere come estremiste poichè incitanti all’odio e alla violenza nei confronti di coloro che non professano l’Islam. Nell’ambito dei procedimenti interni, le Corti chiamate a valutare i casi si erano affidate a numerosi esperti che, pur con qualche differenza, sostenevano come i testi controversi, per il linguaggio utilizzato, sostenessero l’inferiorità dei non credenti e incitassero all’odio interreligioso proclamando, al contempo, la superiorità dell’Islam. Nonostante le richieste dei ricorrenti, i quali lamentavano tra l’altro l’incompetenza degli esperti incaricati dalle Corti interne e la violazione delle libertà protette anche dalla Cedu, non era sempre stato loro possibile contrastare tali accuse. Per tali ragioni, i testi controversi venivano totalmente banditi e le copie esistenti soggette a confisca e/o distruzione. Ribadendo la centralità della libertà di espressione per l’esistenza stessa di una società democratica, specie quando letta in combinato con la libertà di religione, protetta dall’art. 9 Cedu, la Corte Edu nota come la decisione delle autorità russe abbia certamente dato origine a un’interferenza nel godimento della libertà protetta dall’art. 10 Cedu e, come tale, debba essere giustificata sulla base dei criteri previsti al suo paragrafo 2. In particolare, tale interferenza doveva essere prevista dalla legge, perseguire un fine legittimo ed essere necessaria in una società democratica (cfr. Corte Edu, 12.01.2016, Genner c. Austria, in questa Rivista, XX, n. 1, 2017). Nutrendo già dubbi sulla normativa interna applicabile, in quanto basata su un concetto di “attività estremista” molto generico e ampio, passibile quindi di abusi da parte dell’autorità pubblica (cfr. Commissione di Venezia, Opinione del 15-16 giugno 2012), la Corte Edu si concentra sulla necessità delle censure comminate ai ricorrenti. A tal fine, essa nota come volumi basati sul pensiero del teologo siano sempre stati pubblicati e diffusi in tanti Paesi senza che ciò abbia mai causato particolari tensioni sociali o scontri interreligiosi, come del resto non è avvenuto in Russia. Inoltre, le Corti interne non hanno valutato esse stesse le pubblicazioni censurate alla luce delle opinioni degli esperti da loro incaricati ma hanno essenzialmente riprodotto questi pareri attraverso le loro decisioni. Al contempo, i giudici interni non hanno indicato in modo puntuale quali passaggi specifici potessero generare gli effetti da loro dichiarati e non hanno tantomeno considerato le conseguenze della censura rispetto ai diritti dei ricorrenti protetti dagli artt. 9 e 10 Cedu, privandoli persino della facoltà di avanzare le loro argomentazioni o di pubblicare versioni riviste o ridotte dei testi controversi. Peraltro per la Corte Edu, anche quando le Corti interne hanno menzionato alcuni riferimenti specifici, non si può trarre dal loro contenuto che diano origine a un discorso d’odio che, se preso nel contesto di un complesso testo religioso basato sulla superiorità di un credo sugli altri, risulti offensivo per coloro che professano una religione diversa dall’Islam. In breve, le autorità russe non hanno quindi saputo indicare motivi “rilevanti e sufficienti” in grado di giustificare l’interferenza subita dai ricorrenti e la stessa Corte Edu non ritrova elementi tali per concludere che i testi generino l’effetto da loro indicato. Pertanto, nonostante l’ampio margine di apprezzamento goduto dallo Stato convenuto in materia, nel caso in esame vi è stata una violazione dell’art. 10 Cedu in quanto la misura imposta dalle autorità, anche eccessiva rispetto allo scopo perseguito, non risulta necessaria in una società democratica.
 
Art. 14: Divieto di discriminazione
Il caso Negrea e altre c. Romania (Corte Edu, sentenza del 24.07.2018) riguarda tutte donne di origine Rom non sposate che, difese dal Centro europeo per i diritti delle persone di etnia Rom (ERRC), lamentano una violazione dell’art. 14 Cedu, relativo al divieto di discriminazione, per il trattamento subito al momento della richiesta di benefici sociali previsti dalla normativa interna, allora vigente, per i nuovi nati. In effetti, poichè le ricorrenti convivevano con i rispettivi compagni secondo i loro usi, le autorità locali avevano rifiutato di registrare le domande presentate per l’ottenimento dei suddetti benefici in ragione dell’assenza di matrimonio. Secondo le ricorrenti, imponendo loro, quantomeno indirettamente, di modificare il loro stile di vita tradizionale, tali autorità avevano previsto un requisito arbitrario che colpiva essenzialmente le famiglie di etnia Rom. Quindi, in parallelo a un ricorso per discriminazione, le ricorrenti promuovevano anche un’azione legale contro gli ufficiali civili coinvolti non ottenendo tuttavia alcun riscontro positivo alle loro argomentazioni. Pur avendo constatato una violazione dell’art. 6 e dell’artt. 13, letto in combinato con l’art. 6, Cedu per la durata irragionevole di alcuni dei procedimenti avviati e l’assenza di rimedi per poter lamentare tali ritardi, la Corte Edu non trova elementi sufficienti per sostenere che le condizioni richieste alle ricorrenti fossero state loro effettivamente imposte, nè la normativa interna sembrava prevederle. Oltre ad alcune testimonianze indirette, le ricorrenti non avevano fornito prove adeguate per suffragare i fatti contestati nè le stesse Corti interne ne avevano trovate. Inoltre, come avevano chiarito le autorità locali, tali criteri erano stati imposti, seppur erroneamente, a tutti i residenti della comunità in modo indipendente dalla loro origine etnica. Pertanto, non essendo nemmeno stato possibile presumere una discriminazione indiretta, la Corte Edu ha rigettato questa parte del ricorso come manifestamente infondata.
 
Art. 1, Protocollo 7: Diritto a garanzie procedurali in caso di allontanamento
In Ljatifi c. Ex Repubblica Yugoslava di Macedonia (Corte Edu, sentenza del 17.05.2018), la Corte Edu riconosce la possibilità di applicare al caso di una rifugiata originaria del Kosovo, che lamentava una violazione dell’art. 6 Cedu, l’art. 1, Protocollo 7 alla Cedu, il diritto a garanzie procedurali in caso di allontanamento. In effetti, dopo aver visto revocato l’asilo in quanto ritenuta una minaccia per la sicurezza nazionale, quest’ultima non aveva goduto di garanzie procedurali relativamente all’ordine di lasciare lo Stato convenuto. Facendo rientrare anche un tale ordine nell’ambito dell’art. 1, Prot. 7, la Corte Edu ricorda che tale disposizione ha istituito garanzie che si sommano a quelle previste dagli artt. 3, 8 e 13 Cedu per tutelare gli stranieri regolarmente soggiornanti da decisioni di allontanamento arbitrarie richiedendo che queste ultime debbano essere adottate secondo criteri accessibili a tutti gli interessati in modo da potersi difendere in modo adeguato (Corte Edu, 24.03.2016, Sharma c. Lettonia, in questa Rivista, XIX, n. 1, 2017; cfr. anche le interessanti opinioni separate, una concordante e una discordante, allegate alla sentenza in esame). Rispetto al caso della ricorrente, la Corte Edu ricorda come anche una decisione originata da questioni legate alla sicurezza nazionale non possa sfuggire totalmente al requisito di pubblicità poichè la persona interessata deve essere posta nelle condizioni di potersi difendere dalle accuse. Peraltro, nei confronti della sig.ra Ljatifi sono state adottate decisioni basate su fatti generici, la cui sostanza non è stata nemmeno esaminata dai giudici interni e non è stata chiarita dallo Stato convenuto dinanzi la Corte Edu. Pertanto, vi è stata una violazione dell’art. 1 del Protocollo 7 alla Cedu.
 

La rassegna relativa all’art. 3 è di M. Balboni; la rassegna relativa agli artt. 5-1, Prot. 7 è di C. Danisi.

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Rubrica di Questione Giustizia & Diritto, Immigrazione e Cittadinanza

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