1) Caso Humanity 1: per il Tribunale di Crotone le attività della Guardia costiera libica non sono qualificabili come condotte di “soccorso”
Tribunale civile di Crotone, sent. 26 giugno 2024
Segnaliamo una interessante sentenza del 26 giugno 2024 con cui Tribunale civile di Crotone ha affermato che il fermo amministrativo cui era stata sottoposta la nave dell’ONG “SOS Humanity” è illegittimo.
Si tratta, come anticipato, di una pronuncia di un Tribunale civile che, tuttavia, per le conclusioni raggiunte risulta di estremo rilievo anche per l’ambito – più strettamente penalistico – della criminalizzazione delle attività delle ONG nella gestione, in particolare, dei rapporti con la Guardia costiera libica.
Ancora una volta il caso a quo riguardava le condotte tenute da una ONG attiva nel Mediterraneo, accusata di aver ostacolato le operazioni della Guarda costiera libica e di non aver ottemperato all’ordine dalla stessa impartito di non intraprendere attività di soccorso. Il Tribunale, richiamata la normativa internazionale di riferimento, ha ritenuto che le concrete modalità operative dei libici («costituisce circostanza incontestata che il personale libico fosse armato e che, in occasione di tali attività, avesse esploso colpi di arma da fuoco») e il prospettato sbarco in Libia («allo stato attuale non è possibile considerare la Libia un posto sicuro ai sensi della Convenzione di Amburgo, essendo il contesto libico caratterizzato da violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani e non essendo mai stata ratificata la Convenzione di Ginevra del 1951») fossero elementi sufficienti per escludere che «l’attività perpetrata dalla guardia costiera libica sia qualificabile come attività di soccorso» e che, di conseguenza, nessuna condotta ostativa fosse riscontrabile nei riguardi della ONG coinvolta la quale, diversamente, è risultata l’unica imbarcazione ad intervenire per adempiere, nel senso riconosciuto dalle fonti internazionali, al dovere di soccorsi in mare dei migranti.
Di fronte ai parametri internazionali sulla definizione di place of safety, non vale a legittimare la condotta della Guardia costiera libica la circostanza che tale intervento sia ritenuto esecutivo degli accordi sottoscritti in punto di individuazione del porto sicuro tra il Governo italiano e quello libico, avendo anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite in più occasioni evidenziato il mancato rispetto, durante le operazioni di recupero espletate dalla guardia costiera libica, dei diritti fondamentali della persona.
2) Caso “Asso 29”: un’altra sentenza del giudice nazionale esclude che la Libia sia un ‘place of safety’ per lo sbarco dei migranti soccorsi
Tribunale civile di Roma, sez. XVIII, sent. 26 giugno 2024
Ancora in tema di criminalizzazione delle attività delle ONG nel Mediterraneo, si segnala la pronuncia del Tribunale di Roma che, nell’ambito della vicenda “Asso 29” ha condannato i Ministeri della difesa e dei trasporti, nonché la Presidenza del Consiglio, il Capitano della Asso 29 e la società armatrice al risarcimento del danno di cinque ricorrenti che nel 2018 erano stati ricondotti in Libia dal mercantile italiano.
Più nel dettaglio, nel luglio del 2018 il mercantile Asso 29, sotto il coordinamento di una nave militare italiana, era intervenuto in soccorso di una motovedetta libica in avaria che aveva da poco intercettato un’imbarcazione con circa 150 persone a bordo. Seguendo le indicazioni impartite dal coordinamento italiano e libico, la Asso 29 aveva quindi ricondotto le persone a Tripoli, dove erano state detenute e torturate nei Centri di detenzione di Tarik Al Sikka, Zintan, Tarik Al Matar, Gharyan.
Sopravvissuti al periodo di detenzione e giunti in Europa (chi attraverso corridoi umanitari, chi solcando nuovamente il Mediterraneo), i ricorrenti – cinque persone, cui è stata riconosciuta la protezione internazionale – hanno deciso di agire in giudizio per chiedere il risarcimento del danno subito a seguito della condotta delle autorità italiane e del capitano della nave.
Il Tribunale di Roma, richiamata la ormai cospicua e dettagliata documentazione internazionale sulle condizioni dei migranti in Libia, ha ritenuto che la presenza delle autorità di frontiera libiche e l’esistenza di una zona SAR libica «non può far venir meno il rispetto degli obblighi internazionali da parte dello Stato italiano, che ha o comunque avrebbe dovuto avere un controllo di fatto sui migranti» e che quindi avrebbe dovuto «condurre i migranti in Italia, e non in Libia, indipendentemente dalle istruzioni libiche».
3) False dichiarazioni per ottenere il reddito di cittadinanza: non luogo a procedere anche per il GUP di Caltagirone
GUP di Caltagirone, 9 maggio 2024
Nella vicenda qui richiamata il GUP presso il Tribunale di Caltagirone ha emesso sentenza di non luogo a procedere nei confronti di un cittadino straniero imputato del reato di cui all’art. 7 co. 1 d.l. 4/2019 convertito in l. 26/2019 per aver falsamente dichiarato di essere residente in Italia da più di dieci anni al fine di ottenere il cd. reddito di cittadinanza e del reato di cui all’art. 640-bis c.p. per aver, con artifizi e raggiri, indotto in errore l’INPS circa la sussistenza dei requisiti richiesti per l’ottenimento di tale beneficio.
Il giudice ha, innanzitutto, riqualificato il fatto di reato di truffa aggravata ai danni dello Stato (640-bis) nel reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche ex art. 316-ter c.p., ritenendolo poi assorbito nel reato di cui all’art. 7, co. 1, d.l. 4/2019. A fronte della richiesta delle parti di sentenza di non luogo a procedere per abolitio criminis, il giudice ha riconosciuto sul punto «un quadro legislativo piuttosto stratificato e frammentario, di certo di non agevole interpretazione» preferendo, di conseguenza, mandare assolto l’imputato per l’assenza dell’elemento soggettivo richiesto (dolo specifico), essendosi questi rivolto a un CAF per la predisposizione della domanda e la compilazione dell’apposito modulo.
Sul punto si segnala che con sentenza del 29 luglio 2024, la Corte di Giustizia europea ha dichiarato che il requisito di 10 anni di residenza per accedere al reddito di cittadinanza è in contrasto con il diritto dell’Unione e dunque deve essere cancellato. In particolare, ha ritenuto che l’art. 11, par. 1, lett. d), della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, letto alla luce dell’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dev’essere interpretato nel senso che «esso osta alla normativa di uno Stato membro che subordina l’accesso dei cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo a una misura riguardante le prestazioni sociali, l’assistenza sociale o la protezione sociale al requisito, applicabile anche ai cittadini di tale Stato membro, di aver risieduto in detto Stato membro per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, e che punisce con sanzione penale qualsiasi falsa dichiarazione relativa a tale requisito di residenza».
4) Sulla espellibilità dello straniero in esecuzione di pena in caso di mancato rinnovo del permesso di soggiorno
Cass., sez. I, sent. 31 gennaio 2024 (dep. 31 maggio 2024), n. 21906, Pres. Boni, rel. Fiordalisi
La sentenza qui richiamata riguarda il caso di un cittadino straniero al quale il Magistrato di sorveglianza aveva applicato l’espulsione quale misura alternativa alla pena detentiva ai sensi dell’art. 16 co. 5, d.lgs. n. 286 del 1998, ritenendo sussistenti le condizioni di cui all’art. 13 e assente ogni divieto di espulsione ex art. 19 dello stesso decreto. Il Tribunale di sorveglianza, chiamato a pronunciarsi sull’opposizione proposta avverso detta decisione, ne ha disposto la conferma.
In particolare, la questione sottoposta al vaglio della Corte è se, ai sensi del combinato disposto degli artt. 16 e 13 co. 2 lett. b) d.lgs. n. 286 del 1998, il Magistrato di sorveglianza possa adottare un provvedimento di espulsione del cittadino straniero che debba espiare pena detentiva di durata inferiore a due anni, quando questi, già in passato titolare di permesso di soggiorno, ne sia attualmente privo in forza del rigetto dell’istanza di rinnovo. La Corte ha dato al quesito risposta affermativa, ritenendo legittima tale espulsione poiché «l’art. 5 co. 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 equipara detta condizione personale dello straniero a quelle, legittimanti l’espulsione a norma degli artt. 16 co. 5, e 13 co. 2, lett. b), del medesimo decreto, di chi si sia visto revocare, annullare o rifiutare il permesso di soggiorno e non abbia impugnato il provvedimento sfavorevole».
5) La Cassazione si pronuncia sulla ricorribilità per Cassazione dell’espulsione-misura sostitutiva applicata all’esito di patteggiamento
Cass., sez. III, 27 febbraio 2024 (dep. 14 maggio 2024), n. 18887, Pres. Gentili, rel. Semeraro
Nel luglio 2023 il GIP del Tribunale di Torino aveva ritenuto un cittadino straniero responsabile del reato di cui all’art. 73 co. 5, d.p.r. n. 309 del 1990, condannandolo alla pena di un anno ed otto mesi di reclusione e 2.000 euro di multa, poi sostituita, ai sensi dell’art. 16 co. 1, d.lgs. n. 286 del 1998, con l’espulsione dal territorio dello Stato. Contro tale decisione, il suo difensore ha proposto ricorso per Cassazione lamentando l’illegalità di tale sanzione sostitutiva, applicata su richiesta dalle parti, in presenza, però, della causa ostativa ex artt. 13 co. 4-bis, e 14 d.lgs. n. 286 del 1998, non avendo l’imputato la disponibilità – come attestato dagli atti delle indagini preliminari – di un documento valido per l’espatrio.
Pronunciandosi sulla questione, la Cassazione ha ritenuto che, in caso di patteggiamento, deve ritenersi inammissibile, ex art. 448 co. 2-bis c.p.p. il ricorso per Cassazione avverso la sentenza che, su accordo delle parti, ha applicato nei confronti di un soggetto straniero privo di passaporto o di altro documento equipollente valido per l’espatrio la sanzione sostitutiva dell’espulsione, essendo la stessa illegittima (perché applicata in presenza di una erronea valutazione di un presupposto applicativo), ma non illegale (ossia, secondo la lettura delle SU, «non prevista nel genere, nella specie o nella quantità dall’ordinamento»).
6) Favoreggiamento aggravato: sussiste la giurisdizione italiana anche se il trasporto è accertato in acque extraterritoriali ma lo sbarco avviene nel territorio nazionale
Con sentenza del marzo 2023, la Corte d’appello di Palermo ha integralmente confermato la pronuncia con cui il Tribunale di Agrigento aveva dichiarato due cittadini stranieri colpevoli del delitto di cui all’art. 12 commi 3, lett. a) e b), 3-bis, e 3-ter, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 per avere – in concorso tra loro e con altri soggetti rimasti ignoti – compiuto atti diretti a procurare illegalmente l’ingresso in Italia di 63 cittadini stranieri, per lo più di origine africana, dietro pagamento di somme di denaro, trasportandoli a bordo di un’imbarcazione da loro materialmente condotta; con le aggravanti di aver favorito l’ingresso sul territorio italiano di più di cinque persone, dell’aver esposto i passeggeri a pericolo per la loro vita e incolumità (date le precarie condizioni di sicurezza in cui il viaggio si era svolto e l’assenza di dispositivi di salvataggio) e dell’aver commesso il fatto a scopo di profitto. Alla Corte è stata posta, in particolare, una rilevante questione attinente alla giurisdizione del giudice italiano sulla vicenda. La Corte ha osservato che la giurisdizione nazionale è presente qualora – come nel caso di specie – il trasporto dei migranti in violazione dell’art. 12 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 avvenga a bordo di una imbarcazione priva di bandiera (e, quindi, non appartenente ad alcuno Stato secondo la previsione dell’art. 110 della Convenzione di Montego Bay delle Nazioni Unite sul diritto del mare), sia stato accertato in acque extraterritoriali ma, successivamente, nelle acque interne e sul territorio nazionale si siano verificati, quale evento del reato, l’ingresso e lo sbarco dei cittadini extracomunitari per l’intervento dei soccorritori, quale esito causalmente collegato all’azione e previsto in considerazione delle condizioni del natante.