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Rassegne di giurisprudenza


Fascicolo 1, Marzo 2017


«S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti.
Taluni sono giunti dai confini, han detto che di barbari non ce ne sono più.
E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?
Era una soluzione, quella gente».
(K. Kavafis, Aspettando i barbari, 1908)

Rassegna di giurisprudenza italiana: Allontanamento e trattenimento

In questa rassegna si cercherà di dar conto, senza pretesa di completezza, degli approdi giurisprudenziali più significativi nella articolata materia degli allontanamenti occorsi nel 2016. 
La novità più rilevante, sotto il profilo normativo, è senza dubbio l’entrata in vigore, il 30.9.2015, del d.lgs. 142/2015 di attuazione delle direttive 2013/33/UE (norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale) e 2013/32/UE (procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale) che, all’art. 6, ridisegna l’istituto del trattenimento nei Centri di identificazione ed espulsione dei richiedenti asilo. Se, da un lato, una formulazione certo ambigua della norma potrebbe fornire una base giuridica per estendere fino ad un anno il termine massimo del trattenimento nelle more della procedura di riconoscimento della protezione internazionale, dall’altro, lo stesso art. 6 indica ipotesi tassative per il trattenimento dei richiedenti asilo che deve intendersi come misura di carattere eccezionale.
 Si cercherà dunque di dare atto degli orientamenti della giurisprudenza in questa rinnovata e delicata materia che si affianca al trattenimento “tradizionale” degli espulsi e dei respinti, anche in considerazione del fatto che la convalida e la proroga del trattenimento di costoro è devoluta alla cognizione del Tribunale, il che ha determinato un salutare incremento di decisioni della magistratura togata in una materia che, in precedenza, era di quasi esclusiva competenza dei Giudici di pace. Unica eccezione era infatti rappresentata dalla fattispecie raramente applicata del trattenimento disposto ai sensi dell’abrogato art. 21, d.lgs. 25/2008. 
Nel corso dell’anno passato si è assistito ad un significativo aumento dell’utilizzo dell’istituto del respingimento differito (art. 10, co. 2, d.lgs. 286/98) nei confronti dei migranti sbarcati sulle coste meridionali d’Italia e del loro successivo trattenimento nei CIE, ma, come si vedrà, illegittima appare, alla luce di una corretta interpretazione della disciplina vigente, l’applicazione della detenzione amministrativa nei confronti dei richiedenti asilo respinti.
Ancora a proposito di trattenimento amministrativo resta irrisolta la questione della diretta applicabilità nell’ordinamento interno dell’istituto del riesame, previsto dall’art. 15, par. 3, direttiva 2008/115/CE, ma non recepito dalla l. 129/2011: si darà rapido conto dei differenti orientamenti.
L’emergenza terrorismo ha determinato il passaggio nei CIE di stranieri, richiedenti asilo, ritenuti pericolosi per la sicurezza dello Stato: un interessante provvedimento esamina i rapporti tra revoca della protezione internazionale, pendenza del relativo ricorso e trattenimento motivato da sospetta vicinanza con ambienti legati all’estremismo islamico, mentre altra pronuncia ha chiarito che – in caso di espulsione ministeriale – il Tribunale si limita a convalidare l’immediata esecuzione del decreto del Ministro dell’interno, senza dovere convalidare il trattenimento.
Per quanto attiene ai profili sostanziali dei provvedimenti ablativi, va registrata una questione di legittimità costituzionale dell’istituto del respingimento differito sollevata dal Tribunale di Palermo: si tratta di un istituto la cui tenuta rispetto ai criteri dettati dall’art. 13 Cost. è stata a più riprese messa in dubbio dalla dottrina. Si registrano poi alcune decisioni di annullamento sia per vizi di carattere meramente formale, che per omessa tempestiva informazione del diritto di accedere alla protezione internazionale.
La tutela del diritto all’unità familiare, sottolineata anche da sentenze della Corte di giustizia, è stata al centro di numerose pronunce di merito e di legittimità in tema di espulsioni amministrative di cui si darà rapido conto. È questo un aspetto assai rilevante perché sposta l’attenzione dai fragori emergenziali ad una dimensione silente di stabilità delle relazioni familiari troppo sovente messe a repentaglio da un’amministrazione disattenta che non tiene conto dell’elevato livello della loro tutela. È in questo contesto che si scorgono le prime pronunce conseguenti alla c.d. legge Cirinnà.
La convalida del trattenimento al CIE
Cognizione giudice della convalida – divieto trattenimento a fronte di condizioni di salute non compatibili con la detenzione amministrativa – manifesta illegittimità provvedimento presupposto al trattenimento
A seguito di trattenimento disposto dal questore nei confronti di un migrante soccorso in mare, il Giudice di pace aveva effettuato la tempestiva convalida senza che il trattenuto fosse condotto in udienza per non meglio precisati motivi di salute. La Corte di cassazione (Cass. sez. VI civ., 14.12.2016, n. 25767/16, est. Bisogni) annulla nel merito il provvedimento con ampia motivazione che va oltre la questione della necessaria presenza del trattenuto all’udienza di convalida ai sensi dell’art. 14, co. 5, d.lgs. 286/98. Infatti, dopo avere ribadito il necessario rispetto della cennata disposizione (richiamando altra giurisprudenza in termini), il Collegio osserva che a fronte di motivi di salute particolarmente gravi – tali da impedire la presenza dello straniero in udienza – il giudice non avrebbe potuto convalidare la misura restrittiva, al fine di consentire allo straniero di potersi curare in modo adeguato, richiamando l’art. 7, co. 5, d.lgs. 142/2015 che, come noto, impone il divieto di trattenimento dei richiedenti protezione internazionale le cui condizioni di salute non siano compatibili con la detenzione amministrativa nei CIE. È da notare che, nel caso in esame, al momento della convalida il migrante non era (o meglio non era ancora stato considerato) un richiedente asilo, tant’è che la convalida è stata effettuata dal Giudice di pace e non dal Tribunale: riscontriamo qui una felice contaminazione della normativa sul trattenimento “ordinario” ad opera della disciplina del trattenimento dei richiedenti protezione internazionale, perché mentre alcuna cautela è prevista dall’art. 14 TU (è la direzione sanitaria del CIE, che dipende dall’ente gestore, a stabilire se le condizioni di salute siano o meno compatibili con la detenzione), al contrario la disposizione introdotta col d.lgs. 142/2015 vieta il trattenimento per incompatibilità delle condizioni sanitarie. Ebbene, pare evidente che la Corte suggerisca un’estensione analogica della disciplina dei richiedenti asilo trattenuti a quella dei trattenuti “ordinari”, tant’è vero che il Giudice di pace - e non il Tribunale, si badi bene – ad avviso del Collegio, non avrebbe potuto convalidare il trattenimento, se le condizioni di salute del migrante erano tali da non consentirne la conduzione in udienza. D’altronde sarebbe irragionevole una diversità di trattamento – in punto tutela della salute/tutela del diritto di difesa – secondo la classificazione del migrante come richiedente asilo o come irregolare tout court.
L’ordinanza in commento ritiene altresì fondati altri motivi di doglianza che non considera affatto assorbiti dall’accoglimento della censura principale (pur avendo la causa ad oggetto la mera convalida del trattenimento): ritiene infatti illegittimo il decreto del Giudice di pace anche sotto il profilo del non avere rilevato l’omessa comunicazione al trattenuto delle modalità con cui presentare istanza di protezione internazionale (richiamando la fondamentale sentenza della stessa sezione n. 5926/2015 del 25.3.2015), nonché in ordine all’omessa traduzione dell’atto ablativo in lingua conosciuta dal ricorrente. Occorre ancora segnalare come la decisione in esame tenda ad ampliare la cognizione del giudice della convalida del trattenimento, ben oltre gli angusti limiti dell’esistenza ed efficacia del provvedimento ablativo presupposto che ne hanno segnato i confini secondo la costante giurisprudenza della Corte. È noto che con le ordinanze n. 12069 del 5.6.2014 e n. 17407 dell’11.7.2014 (per una compiuta analisi dei provvedimenti citati si rimanda a Diritto, immigrazione e cittadinanza XVI n. 2/2014) il Supremo Collegio ha ritenuto che il sindacato del giudice della convalida del trattenimento si potesse estendere al presupposto decreto espulsivo solo in caso di manifesta illegittimità del medesimo, diversamente i vizi di quest’ultimo debbono esser fatti valere in sede di ricorso in opposizione, non essendo sindacabili in sede di convalida. Ebbene, pare evidente che la Cassazione, nella suddetta pronuncia, ritenga che il mancato adempimento dell’obbligo di comunicazione circa le modalità di accedere alla protezione internazionale, sia elemento sintomatico di illegittimità manifesta del provvedimento ablativo che costituisce il presupposto del trattenimento e siano pertanto sindacabili in sede di convalida, tanto dal Giudice di pace, quanto dal Tribunale (essendo priva di fondamento ogni distinzione tra i poteri di sindacato dei due organi giurisdizionali). Ciò nonostante conviene segnalare che ancora oscillante appare l’orientamento sulla possibilità per il giudice della convalida di rilevare la manifesta illegittimità del presupposto provvedimento di espulsione quando vi sia stata una violazione dell’obbligo di traduzione degli atti in lingua conosciuta all’espellendo (Cass., sez. I civ., n. 17144 del 17.08.2016).

Trattenimento richiedenti asilo – nozione pericolo di fuga – tassatività ipotesi di trattenimento

Sempre in tema di trattenimento, di notevole interesse sono le prime pronunce inerenti i motivi che, a mente dell’art. 6, co. 2, d.lgs. 142/2015, legittimano l’adozione della misura nei confronti dei richiedenti asilo.

Il Tribunale di Roma ha convalidato il trattenimento presso il locale CIE di una donna nigeriana, in attesa di essere audita dalla Commissione territoriale, sul presupposto che sussistesse il rischio di fuga atteso che costei era priva di radicamento sul territorio, priva di mezzi di sussistenza e quindi non facilmente rintracciabile, né in grado di offrire garanzie circa la sua reperibilità, con l’ulteriore rischio di essere assorbita in circuiti malavitosi o di essere indotta alla prostituzione. La Corte di cassazione, sez. VI, 24.10.2016 n. 21423/16, si discosta dalla relazione ex art. 380 bis, c.p.c., che concludeva per l’infondatezza del ricorso condividendo gli argomenti del Tribunale, per affermare che la nozione di rischio di fuga deve essere interpretata ai sensi delle specifiche circostanze previste all’art. 6, co. 2, lett. d), d.lgs. 142/2015 (aver precedentemente fatto sistematico ricorso al falso identitario al fine di evitare l’adozione o l’esecuzione di provvedimenti di espulsione, ovvero non avere ottemperato ai provvedimenti disposti dall’autorità tassativamente indicati dalla norma stessa). La Corte evidenzia come l’impossidenza economica sia strettamente correlata alle modalità di fuga dal Paese di origine, così come il mancato radicamento sul territorio è intrinsecamente connaturato all’ingresso in Italia in data immediatamente anteriore alla presentazione della domanda di protezione internazionale. Allo stesso modo il pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica – pur previsto dall’art. 6, co. 2, lett. c), d.lgs. 142/2015 come motivo di trattenimento dei richiedenti asilo – è subordinato al riscontro di determinate circostanze oggettive specificate dalla legge, le quali devono essere valutate in concreto, caso per caso. Con questa importante decisione la Cassazione afferma il principio di diritto secondo cui le circostanze in presenza delle quali è possibile disporre il trattenimento del richiedente protezione internazionale sono solo ed esclusivamente quelle indicate dalla legge, senza alcuna possibilità di applicazione estensiva: sono tassative e predeterminate, come del resto si conviene allorché si limita la libertà personale in ossequio ai precetti di cui all’art. 13 Cost. Orientamento, questo, confermato anche in una successiva pronuncia della stessa sezione (Cass. civ., sez. VI, 19.12.2016, n. 26177/16) nella quale viene ulteriormente ribadito che le ipotesi previste come causa di trattenimento dalla legge sono solo quelle tipizzate dall’art. 6 del d.lgs. 142/2015 e non contemplano la mancanza dei mezzi di sostentamento, né il trattenimento è previsto per garantire la presenza davanti alla Commissione.

Queste chiare decisioni accentuano le perplessità da tempo insorte circa le condizioni legittimanti il trattenimento per gli stranieri ristretti nei CIE in attesa di essere espulsi o respinti: il deficit di tassatività e predeterminatezza intrinseco nel testo dell’art. 14, co. 1, d.lgs. 286/98 (il trattenimento è disposto in presenza di situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento […]), così come l’amplissima definizione di rischio di fuga contenuta nell’art. 13, co. 4 bis, d.lgs. 286/98 continuano ad essere compatibili con il principio di eguaglianza? Perché mai un migrante irregolare che non richiede protezione internazionale dovrebbe soggiacere a condizioni legittimanti il trattenimento pesantemente più restrittive di quello che, invece, ha manifestato la volontà di chiedere protezione? Non apparendo logica la coesistenza di due diverse nozioni di rischio di fuga, entrambe finalizzate al trattenimento amministrativo, son forse maturi i tempi per una interpretazione omogenea dei presupposti legittimanti la detenzione amministrativa.

Raccordo tra le direttive 2013/32/UE e 2013/32/UE e la direttiva 2008/115/CE: trattenimento dei richiedenti asilo e principio di proporzionalità

L’obbligo di interpretare restrittivamente le disposizioni limitative della libertà personale è stato peraltro ribadito anche dalla Corte di giustizia nella sentenza sul caso J.N. c. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (causa C601/15 PPU, sent. 15.2.2016), decisione che vale la pena altresì ricordare poiché chiarisce il raccordo e i rispettivi ambiti di applicazione tra le direttive sulla protezione internazionale e la direttiva rimpatri. In seguito a una domanda di pronuncia pregiudiziale, la Grande Camera si è espressa infatti sulla compatibilità dell’art. 8, par. 3, co. 1, lett. e), della direttiva 2013/33/UE, che prevede il trattenimento del richiedente asilo quando lo impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico, con gli artt. 6 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Richiamando la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ai fini dell’interpretazione dell’art. 6 della Carta, e in virtù dell’art. 52, par. 3 della stessa Carta, il giudice del rinvio asseriva che, secondo tale giurisprudenza il trattenimento del richiedente asilo sarebbe contrario all’art. 5, par. 1, lett. f) della CEDU quando non sia ordinato ai fini di allontanamento. In altre parole, secondo il giudice del rinvio, l’art. 8, par. 3, co. 1, lett. e) della direttiva 2013/33/UE configurerebbe un’ipotesi di privazione della libertà non prevista dall’art. 5 CEDU.

La Corte, pur riconoscendo che, autorizzando il trattenimento di un richiedente quando lo impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico, l’art. 8, par. 3, co. 1, lett. e), della direttiva 2013/33, prevede una limitazione dell’esercizio del diritto alla libertà sancito all’art. 6 della Carta (§ 49), riporta tale limitazione nell’alveo di quelle previste dalla legge, in quanto discende da una Direttiva che costituisce un atto legislativo dell’Unione (§ 51). Si tenga presente che, ai sensi del diritto interno richiamato dalla decisione, la presenza sul territorio del ricorrente, destinatario di 21 condanne penali e alla quarta domanda d’asilo, non poteva dirsi irregolare in quanto ragioni mediche continuavano a impedire il suo diritto a essere audito in merito alla quarta domanda d’asilo, e quindi non poteva dirsi destinatario di una decisione definitiva. In merito all’indicazione del giudice del rinvio secondo cui, sulla base della propria giurisprudenza e del diritto interno, la presentazione di una domanda d’asilo ha l’effetto d’invalidare de iure qualsiasi decisione di rimpatrio precedentemente adottata nell’ambito della suddetta procedura, la Corte ha, tuttavia, affermato che l’effetto utile della Direttiva 2008/115 richiede che una procedura di rimpatrio possa essere ripresa alla fase in cui è stata interrotta in conseguenza del deposito di una domanda di protezione internazionale, e ciò dal momento del rigetto in primo grado della domanda stessa (§ 75), giustificando con ciò il trattenimento. In definitiva, la Corte, pur dichiarando compatibile l’art. 8, par. 3, co. 1, lett. e) della direttiva 2013/33/UE con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ha ribadito la propria costante giurisprudenza in merito alla necessità e proporzionalità di ogni limitazione alla libertà che ricada nell’alveo dell’art. 6 della Carta, affermando al contempo che una tal misura «non può costituire la base di misure di trattenimento senza che le autorità nazionali competenti abbiano preventivamente verificato, caso per caso, se il pericolo che le persone interessate fanno correre alla sicurezza nazionale o all’ordine pubblico corrisponde almeno alla gravità dell’ingerenza nel diritto alla libertà delle suddette persone che tali misure costituirebbero» (§69).

La convalida nei casi di respingimento differito dei richiedenti asilo

Nel periodo 2015-2016 molte donne e uomini migranti sbarcati sulle coste italiane sono stati destinatari di provvedimenti di respingimento differito ex art. 10, co. 2, d.lgs. 286/98 e rinchiusi nei CIE dove hanno formulato domanda di protezione internazionale, a trattenimento in atto. L’art. 6, co. 5, d.lgs. 142/2015 dispone che quando il trattenimento è già in corso al momento della presentazione della richiesta di asilo, il questore trasmetta gli atti al Tribunale per la c.d. “riconvalida”, che interviene dopo la convalida già effettuata dal Giudice di pace prima che il trattenuto formulasse domanda di protezione. In questa fase si sospende il trattenimento finalizzato all’allontanamento e si apre, a mo’ di parentesi, quello finalizzato all’esame della domanda di protezione, la cui competenza spetta al tribunale.

È in questo contesto che si sono registrate alcune importanti decisioni dei giudici di merito.

La prima rilevante ordinanza è del Tribunale di Torino ( sez. I civ., ord. 22.10.2015, est. Scotti) chiamato a “riconvalidare” il trattenimento al CIE di un richiedente gambiano soggetto a respingimento differito. Dopo avere rilevato la decorrenza del termine di 30 giorni del trattenimento pre-espulsivo, non senza avere precisato che il differimento della formalizzazione della domanda di protezione non giustifica il mantenimento della restrizione della libertà se si supera il termine di fase, il giudice richiama il tenore letterale della norma che consente la protrazione ad altro titolo del trattenimento dei richiedenti asilo (quella che impone la “riconvalida”) osservando come l’art. 6, co. 3, d.lgs. 142/2015 si riferisca alla sola ipotesi del richiedente che si trovi già al CIE in attesa «dell’esecuzione di un provvedimento di espulsione» e non anche di respingimento. Infatti, poiché le misure limitative della libertà personale sono soggette a stretta interpretazione, non è ammissibile una loro estensione analogica.

L’ordinanza affronta altro profilo rilevante perché assai ricorrente nella prassi. Nel caso di specie il trattenimento era giustificato, ad avviso del questore, dalla ritenuta presentazione strumentale della domanda di protezione, finalizzata a ritardare o impedire l’esecuzione del provvedimento ablativo (si rammenta che il trattenuto si trovava già al CIE in attesa dell’esecuzione del decreto di provvedimento di respingimento differito). Ebbene, il giudice osserva come tale intento strumentale non potesse essere suffragato dalla semplice redazione del c.d. foglio notizie in uso alle questure, trattandosi di modulo estremamente sommario, redatto in condizioni disagevoli e senza la certezza dell’assistenza linguistica.

In buona sostanza, l’ordinanza in commento afferma tre principi fondamentali cui deve attenersi il giudice della “riconvalida” del trattenimento del richiedente asilo:

  1. deve comunque osservarsi il rispetto dei termini del trattenimento, il fatto che si transiti da una situazione di trattenimento a fini espulsivi ad una finalizzata all’esame prioritario della domanda d’asilo non giustifica che vi possa essere uno iato temporale in cui i termini del primo sono decorsi;
  2. l’istituto del trattenimento dei richiedenti protezione non si applica ai migranti trattenuti in forza di un decreto di respingimento differito adottato ai sensi dell’art. 10, co. 2, d.lgs. 286/98;
  3. non può desumersi la strumentalità della domanda dalle scarne e generiche informazioni contenute nel c.d. “foglio notizie” in uso alle questure.

Sulla scia di questa ordinanza altri Tribunali hanno ribadito l’inapplicabilità del trattenimento ai richiedenti asilo oggetto di respingimento e non di espulsione: così Trib. Bari, 18.12.2015 , est. Porfilio;   idem 20.1.2016 est. De Luca, Trib. di Roma, 17.8.2016 , est. Pratesi.

Trattenimento di persone ritenute pericolose per la sicurezza dello Stato – trattenimento di un richiedente asilo indipendentemente da una procedura di rimpatrio.

Nei mesi scorsi abbiamo avuto notizie (ampiamente divulgate dai media) di un notevole incremento di espulsioni disposte dal Ministro dell’interno per motivi di prevenzione del terrorismo, anche internazionale. In alcune occasioni gli espellendi sono transitati per i CIE. Circa il ruolo del giudice nel trattenimento di persone ritenute pericolose per la sicurezza dello Stato, pubblichiamo un’ordinanza del Tribunale di Torino, sez. IX civ. 13.8.2016 , est. Clerici. Il caso riguardava un cittadino tunisino, familiare di cittadini italiani (coniuge e padre) ma cionondimeno era stato oggetto di espulsione amministrativa e trattenuto al CIE nonostante il Giudice di pace avesse sospeso l’efficacia esecutiva del decreto di espulsione. Nelle more del trattenimento (ad avviso di chi scrive illegittimo vuoi perché essendo familiare di cittadino dell’Unione avrebbe dovuto essere oggetto di un provvedimento di allontanamento ex art. 20, d.lgs. 30/2007, vuoi perché in presenza di un provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva dell’espulsione la detenzione è illegittima) era stato colpito da decreto di espulsione ministeriale ai sensi dell’art. 13, co. 1, d.lgs. 286/98, sicché la questura avanzava richiesta di nuova convalida dello stesso (la prima essendo già stata concessa dal Giudice di pace) per il titolo espulsivo sopravvenuto.

Il giudice, nel ritenere le doglianze difensive superate dal nuovo decreto ministeriale, riteneva che non vi fosse luogo a provvedere sulla convalida del trattenimento, dovendo egli limitarsi a dare esecuzione all’espulsione immediata del decreto ministeriale: quindi, più che di convalida del trattenimento si tratterebbe di convalida dell’accompagnamento coattivo.

Sicché, a ben vedere, in caso di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato o di prevenzione del terrorismo, l’espulsione deve essere immediata e non si fa luogo al trattenimento. Resta però assai poco chiaro quale sia il sindacato del Tribunale in queste circostanze se deve limitarsi a dare esecuzione al decreto del Ministro, la cui legittimità può essere oggetto di sindacato – peraltro meramente formale e limitato ad un vaglio estrinseco – del Tar Lazio, sede di Roma, in occasione dell’eventuale ricorso che è privo di efficacia sospensiva immediata. Così può verificarsi che l’espulsione ministeriale travolga non solo ogni barlume di tutela difensiva, ma sani altresì eventuali illegittimità pregresse, come nel caso di specie in cui il migrante è stato trattenuto per un mese illegittimamente, prima che fosse adottato nei suoi confronti il decreto del Ministro. Nonostante dovesse essere considerato a tutti gli effetti un familiare di cittadino dell’Unione.

Di segno opposto altra decisione sempre del Tribunale di Torino (il fatto che si citi giurisprudenza sabauda non è segno di campanilismo di uno dei redattori di questa Rassegna, ma consegue alla circostanza che Torino è l’unica sede di CIE di tutto il nord Italia, almeno per ora). Merita far cenno alla vicenda per meglio comprendere la portata dell’ordinanza ( Trib. Torino, sez. IX civ. 16.12.2016 , est. Collidà): un cittadino iracheno di etnia curda cui era stata riconosciuta la protezione sussidiaria, viene indagato a piede libero per il reato di cui all’art. 270 bis c.p., in conseguenza di ciò la Commissione nazionale asilo revoca la protezione precedentemente accordata attese le informative ricevute ritenendolo pericoloso per la sicurezza dello Stato; immediatamente l’interessato impugna in Tribunale il decreto di revoca con effetto sospensivo e, nelle more, il GIP accoglie la richiesta di archiviazione relativa al reato di stampo terroristico. A quel punto la questura dispone il trattenimento nel CIE ai sensi dell’art. 6, co. 2, d.lgs. 142/2015, considerando quindi il migrante alla stregua di un richiedente asilo pericoloso per la sicurezza dello Stato, senza che mai sia stato adottato nei suoi confronti alcun provvedimento di espulsione, né prefettizio né ministeriale. Il Tribunale non convalida il trattenimento attesa la prova documentale della proposizione tempestiva del ricorso avverso la revoca della protezione internazionale per cui risulta fissata udienza, che ha efficacia sospensiva ex lege, sicché detta revoca risulta allo stato priva di efficacia; nonché in considerazione dell’avvenuta archiviazione del procedimento penale per la fattispecie criminosa di cui all’art. 270 bis c.p.

La vicenda pone due questioni originali all’attenzione dell’interprete:

  1. se possa essere equiparato al richiedente protezione internazionale (e quindi sia applicabile nei suoi confronti la disposizione di cui all’art. 6, d.lgs. 142/2015 che riguarda il trattenimento dei richiedenti) lo straniero cui sia stata revocata la protezione accordata e sia pendente il relativo ricorso che ha efficacia sospensiva ex lege;
  2. se possa essere disposto il trattenimento di un richiedente asilo in assenza di un decreto di espulsione.

Evidente pare la risposta negativa al primo quesito: se la revoca è inefficace, l’interessato non è né un diniegato né un richiedente, ma resta titolare di protezione, sia pure sub judice. Dubbia la risposta al secondo, poiché il dettato normativo consente il trattenimento del richiedente «che si trova nelle condizioni […]» di essere espulso. Proprio su questo punto, tuttavia, la richiamata sentenza della CGUE del 15.2.2016 nella causa C601/15 PPU, sembra acconsentire al trattenimento di un richiedente asilo, indipendentemente da una procedura di rimpatrio, solo quando questo ciò sia espressamente previsto dalla legge. Tale ferma statuizione di principio non sembra lasciare spazio ad alcuna interpretazione estensiva delle norme.

 

La proroga del trattenimento al CIE

Competenza sul trattenimento – poteri di sindacato del giudice del trattenimento

La competenza a decidere della proroga del trattenimento del richiedente protezione internazionale spetta al Tribunale e non al Giudice di pace (Cass. civ. sez. VI, 14.7.2016, n. 14415/16). Fattispecie nella quale, in modo alquanto originale, il Giudice di pace ebbe a respingere l’eccezione difensiva in punto di competenza sul presupposto che il procedimento relativo alla protezione internazionale avesse impedito lo svolgimento delle procedure di identificazione. La Corte cassa il provvedimento impugnato richiamando la sua costante giurisprudenza: ove sia ancora pendente il termine per proporre ricorso avverso la decisione della Commissione territoriale, allo straniero deve essere riconosciuta la qualifica di richiedente asilo ai sensi dell’art. 2, lett. c) e d), direttiva 2005/85/CE.

Circa i poteri del giudice della proroga del trattenimento dei richiedenti asilo, le disposizioni del d.lgs. 142/2015 non paiono di cristallina chiarezza. Invero, il combinato disposto dei co. 7 e 8, dell’art. 6 del citato decreto legislativo parrebbe delineare un sistema per cui ogni 60 giorni il questore chiede la proroga al Tribunale e questi la concede fino a che lo straniero è autorizzato a restare sul territorio nazionale in conseguenza del ricorso giurisdizionale proposto avverso la decisione della Commissione territoriale. Se così fosse la funzione giurisdizionale si ridurrebbe ad un ruolo meramente notarile, di verifica della pendenza del ricorso, nella delicata materia inerente la limitazione della libertà personale.

Si segnala un differente approdo del Tribunale di Caltanissetta ( ord. 21.1.2016 ), est. La Rana) che, facendo leva sul co. 9 dell’art. 6 cit., a mente del quale il trattenimento è mantenuto soltanto finché sussistono i motivi di cui ai co. 2, 3 e 7 (cioè i motivi legittimanti l’adozione della misura del trattenimento per i richiedenti asilo) ne ravvisa la loro infondatezza e, conseguentemente, respinge la richiesta di proroga formulata dal questore. Il che significa che il giudice della proroga verifica nuovamente la permanenza dei presupposti del trattenimento che sono già stati in prima battuta riconosciuti come sussistenti del giudice della convalida. Solo in tal modo si realizza un pregnante controllo giurisdizionale sulle condizioni legittimanti la continuazione della privazione della libertà personale (negli stessi termini, Trib. Caltanissetta, ord. 14.1.2016 , est. La Ferla).

Esplicita in tal senso era già stata, a pochi giorni dall’entrata in vigore del d.lgs. 142/2015, la decisione del Trib. Roma, del 9.10.2015 , est. Velletti, la quale, dopo aver richiamato la giurisprudenza europea sul tema, rilevava come nella richiesta di proroga non vi fosse alcuna motivazione in ordine alla necessità e proporzionalità del trattenimento. Secondo la stessa decisione, inoltre, la prognosi positiva in ordine alla domanda di protezione internazionale, in considerazione della situazione di conflitto e violenza del Paese di provenienza, esclude la possibilità di ritenere dilatoria la richiesta.

Sempre in tema di proroga del trattenimento per richiedenti asilo, merita considerazione l’ordinanza del Trib. Torino, V.G. 17.3.2016 , est. Scotti, con cui il giudice esclude uno dei motivi che avevano consentito l’adozione della misura (con ciò implicitamente confermando il sindacato di controllo sulla permanenza delle condizioni legittimanti il trattenimento) ritenendo però sussistente altra causa concorrente, e, pur riconoscendo che il tempo concesso per l’evasione della procedura prioritaria è stato ampiamente superato nel caso in esame, tuttavia rammenta che detto termine può essere ulteriormente superato ex art. 28 bis, co. 3, d.lgs. 25/2008 ove necessario per assicurare un esame adeguato della domanda. Poiché il richiedente aveva presentato tre volte domanda di protezione, in altrettanti Stati diversi, trattasi di circostanza oggettiva imputabile all’interessato idonea a giustificare la particolare complessità degli accertamenti, ditalchè concede la proroga nella misura di soli 30 giorni, invece che di 60.

Di parziale diverso avviso altra ordinanza sempre del Tribunale di Torino ( sez. I civ. 1.4.2016, est. Ratti): in pendenza di trattenimento pre-espulsivo, lo straniero formula istanza di protezione internazionale ed il Tribunale riconvalida il trattenimento per 60 gg., scaduti i quali la questura chiede la proroga essendo in atto la procedura Dublino per determinare lo Stato competente ad esaminare la domanda. Il giudice, rilevato che risultano superati i termini di cui all’art. 28, d.lgs. 25/2008 e che a mente del co. 6 dell’art. 28 bis i ritardi nell’espletamento delle procedure non imputabili al richiedente non consentono la proroga del trattenimento, la nega.

Sospensione dei termini del trattenimento ordinario – favor libertatis – tassatività termini trattenimento

Sono poi da segnalare due pronunce del Tribunale di Roma ( Trib. Roma 18.12.2015 , est. La Rosa; e Trib. Roma, 17.2.2016 , est. Erasmo) che, in sede di proroga del trattenimento, fanno stretta applicazione dell’art. 6, co. 5, del d.lgs. 142/2015 nella parte in cui prevede che «quando il trattenimento è già in corso al momento della presentazione della domanda, i termini previsti dall’art. 14, co. 5, del d.lgs. 25.7.1998, n. 286, si sospendono e il questore trasmette gli atti al Tribunale in composizione monocratica per la convalida del trattenimento per un periodo massimo di ulteriori sessanta giorni» e affermano che il trattenimento del richiedente asilo non può proseguire se non ne viene chiesta e concessa la proroga entro i 60 giorni. In particolare, entrambe le pronunce riconoscono la perdurante qualità di richiedente asilo in capo al soggetto che abbia proposto ricorso avverso il provvedimento di diniego della protezione, così che è tardiva la richiesta di proroga avanzata dal questore oltre il termine di 60 giorni, poiché non può ritenersi che riprenda vigore il trattenimento “ordinario”, già disposto e convalidato ex art. 14 TU e successivamente sospeso ex art. 6, co. 5. del d.lgs. 142/2015. Al termine di tale periodo, resta forse il dubbio che il trattenimento ordinario possa ricominciare a decorrere automaticamente, senza una ulteriore richiesta di proroga da parte del questore sottoposta al sindacato dell’autorità giurisdizionale, a ciò ostando infatti sia il favor libertatis, sia lo stretto principio di legalità in base a cui devono essere interpretati i termini del trattenimento.

Di peculiare interesse l’ordinanza del Tribunale di Torino, sez. IX civ. del 24.11.2016 , est. Vitrò perché inerisce la possibilità di prorogare il trattenimento di un titolare di carta di soggiorno per familiari extracomunitari di cittadini dell’Unione destinatario di un provvedimento di allontanamento adottato ex art. 20, d.lgs. 30/2007, e, più in generale, la permanenza dello status di familiare di cittadino dell’UE anche successivamente alla scadenza dello specifico titolo di soggiorno. In sintesi il fatto: un cittadino senegalese già titolare di carta di soggiorno per familiari di cittadini dell’Unione europea, viene attinto da decreto di allontanamento ex art. 20, d.lgs. 30/2007. Decorsi i primi 30 giorni di detenzione, la questura chiede la proroga del trattenimento perdurando le difficoltà di acquisizione del documento per l’espatrio. Si oppone la difesa perché la proroga del trattenimento non è consentita per i cittadini comunitari (e per i loro familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro) in quanto – per pacifica giurisprudenza – detto art. 20, al co. 11, richiama solo l’art. 13, TU e non anche l’art. 14, sicché l’esecuzione dell’allontanamento deve essere immediata; inoltre, lo status di familiare di cittadino UE permane anche dopo la scadenza del titolo di soggiorno, che ha natura esclusivamente dichiarativa e non costitutiva, e, quindi, non è possibile considerare il trattenuto al pari di un cittadino extra UE, ancor più se il suo allontanamento è disposto ai sensi del d.lgs. 30/2007. Il Tribunale, preso atto che nei confronti dello straniero è stata applicata la disciplina dei cittadini comunitari che è di per sé ostativa alla proroga del trattenimento, nega la richiesta questorile, non senza però avere cura di precisare l’errore in cui è incorsa la PA che avrebbe dovuto considerare ab initio lo straniero alla stregua di un cittadino extracomunitario, in considerazione dell’avvenuta scadenza del titolo di soggiorno quale familiare di cittadino UE e del suo mancato rinnovo.

Di diverso avviso è stato invece il Tribunale di Torino, in sede di convalida del trattenimento quale misura esecutiva di un’espulsione comminata dall’autorità giudiziaria, il quale ha confermato la propria competenza nel caso riguardante un cittadino senegalese coniugato con una cittadina italiana. Seppure, anche in questo caso, l’interessato fosse privo di un permesso di soggiorno, il Tribunale ha ritenuto applicabili le disposizioni di cui al d.lgs. 30/2007 in virtù dell’art. 23 dello stesso decreto, con la conseguente competenza del Tribunale in composizione monocratica ai sensi dell’art. 20 ter. Il Tribunale, nel rifiutare la convalida del trattenimento, ha inoltre diffusamente argomentato nel merito dei requisisti sostanziali sia del trattenimento sia della misura presupposta, giudicando come attendibile la volontà dell’interessato «di integrarsi positivamente nel contesto sociale» ( Trib. Torino del 13.8.2016 , est. Clerici).

Al procedimento di proroga del trattenimento si applicano, per consolidata giurisprudenza della Cassazione, le stesse garanzie procedurali previste per la convalida dello stesso e relative alla pienezza del contraddittorio: celebrazione dell’udienza, audizione del trattenuto alla presenza del difensore e dell’interprete. Lo riafferma Cass. civ. sez. VI, 20.6.2016, n. 12709/2016 con cui cassa senza rinvio un provvedimento del Tribunale di Roma che aveva prorogato il trattenimento di un richiedente asilo pur in assenza dell’interprete e del trattenuto perché l’interessato non aveva formulato alcuna richiesta in tal senso, negando il riconoscimento del diritto alla pienezza del contraddittorio in queste procedure.

Il riesame del trattenimento

Come noto l’art. 15, par. 3 della direttiva 2008/115/CE prevede che, in ogni caso, il trattenimento sia riesaminato, a intervalli ragionevoli, su richiesta dell’interessato o d’ufficio. La legge 129/2011 – di recepimento della direttiva nell’ordinamento interno – non ha tuttavia recepito tale istituto, sicché ci si chiede se la previsione della direttiva possa essere direttamente applicabile, anche in assenza di specifica previsione di una norma interna.

Di parere contrario è stata un’ordinanza del Tribunale di Torino ( sez. IX civ. 16.11.2016 , est. Tamagnone) che ha dichiarato inammissibile un’istanza di riesame perché il titolo del trattenimento è rappresentato esclusivamente dal provvedimento di convalida, mentre l’istituto del riesame non è stato recepito nell’ordinamento nazionale né può essere ritenuto self executing atteso che la norma sovranazionale non è sufficientemente specifica proprio in ordine al termine entro il quale detto riesame dovrebbe essere effettuato. Trattasi di un orientamento di dubbia condivisibilità posto che la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 28 aprile 2011 (C-61/11, PPU, El Dridi c. Italia), ha chiarito che il riesame su istanza di parte – come le altre previsioni contenute negli artt. 15 e 16 della medesima direttiva – «sono incondizionati e sufficientemente precisi da non richiedere ulteriori specifici elementi perché gli Stati membri li possano mettere in atto» (par. 47).

È appena il caso di sottolineare che tale interpretazione appare l’unica plausibile in considerazione della natura dei beni in gioco: il trattenimento presso il CIE è misura limitativa della libertà personale nonché causa di «mortificazione della dignità dell’uomo» secondo la Corte costituzionale (sent. 10 aprile 2001, n. 105), e ciononostante il decreto di convalida del trattenimento è decisione unicamente ricorribile per Cassazione ex art. 14, co. 6, d.lgs. 286/98.

Il riesame su istanza di parte istituto non assimilabile alla procedura di proroga del trattenimento, da cui differisce per presupposti e finalità – risulta pertanto l’unico strumento in grado di assicurare un rimedio effettivo alle prerogative di libertà individuale, meritevoli in quanto tali della massima soglia di garanzia.

Di diverso avviso è stato il medesimo Tribunale di Torino, in persona di diverso magistrato ( sez. IX civ. ord. 24.5.2016 , est. Contini), in un caso di trattenimento disposto nei confronti di un richiedente protezione internazionale trattenuto da alcuni mesi in attesa delle determinazioni dell’Unità Dublino sulla determinazione dello Stato competente ad esaminare la sua domanda di asilo. Il giudice ritiene applicabile l’istituto in esame non già sulla base della Direttiva 2008/115/CE, ma – trattandosi di richiedente asilo – sulla base della Direttiva 2013/33/UE relativa alle norma sull’accoglienza. Non solo il considerando n. 15 di tale Direttiva prevede il carattere eccezionale e residuale del trattenimento per i richiedenti asilo ed il diritto di godere di effettive garanzie procedurali, ma espressamente l’art. 9, co. 5 prescrive il riesame del trattenimento da parte di un’autorità giudiziaria ad intervalli ragionevoli d’ufficio o su istanza di parte. È evidente l’assoluta analogia tra la disposizione prevista dalla Direttiva rimpatri e quella prevista dalla Direttiva accoglienza: in entrambi i casi si tratta di restrizione della libertà personale attuata per via amministrativa e sottoposta a convalida (ed eventualmente proroga) giurisdizionale, ed in entrambi i casi il legislatore nazionale non ha recepito l’istituto nel diritto interno. Infatti, nulla dicono né gli artt. 13 e 14, d.lgs. 286/98 né l’art. 6, d.lgs. 142/2015, tuttavia, ad avviso del giudice della decisione in esame, il silenzio del legislatore italiano non preclude l’esercizio del diritto al riesame del trattenimento data l’ampiezza dei soggetti legittimati (su senza di parte o d’ufficio, dunque ad opera della stessa amministrazione) e, soprattutto, in considerazione dello scopo cui l’istituto è preposto: il sopravvenire di circostanze nuove idonee a mettere in dubbio la legittimità del trattenimento, la cui possibilità di esame attribuisce il carattere dell’effettività alle garanzie procedurali che, diversamente, sarebbero frustrate se si dovesse attendere la scadenza del termine di fase del trattenimento per poter essere esaminate.

Il respingimento alla frontiera

Per ragioni di carattere geografico facilmente intuibili, la giurisprudenza di merito sui respingimenti, peraltro scarna, è tutta siciliana.

Va innanzitutto segnalato che il Tribunale di Palermo, sez. I civ. con ord. 17.11.2016 , est. Lanza, ha ritenuto ammissibile e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, co. 2, d.lgs. 286/98, in relazione agli artt. 10, co. 2, 13, co. 2 e 3, 117 co. 1 Cost. sollevata dalla difesa nell’ambito di un ricorso avverso un decreto del questore di respingimento c.d. “differito”. Premesso che l’istituto previsto all’art. 10, co. 2 TU si configura quale provvedimento restrittivo della libertà personale perché eseguito con accompagnamento coattivo alla frontiera (e che questa natura non muta se l’esecuzione non è immediata ma differita nel tempo e attuata previo trattenimento nei CIE o con emissione di ordine questorile di allontanamento ex art. 14, co. 2, TU) disposto sempre e solo direttamente dal questore, per ciò solo violerebbe l’art. 13 co. 2 e 3 Cost. sia perché adottato dall’autorità amministrativa in luogo di quella giudiziaria, sia perché non è prevista alcuna successiva convalida del provvedimento di respingimento. Inoltre, la genericità dei presupposti legittimanti questa forma di respingimento che si sovrappongono con quelli previsti per l’espulsione per ingresso illegale, in modo che l’amministrazione abbia sostanzialmente mano libera nella scelta su quale istituto applicare in presenza delle stesse situazioni fattuali, parrebbe contrastare con la riserva di legge in materia di condizione giuridica dello straniero, oltre che con lo stesso art. 13 Cost. Infine, il mancato adeguamento delle norme interne sui respingimenti con le garanzie previste dalla Direttiva rimpatri parrebbe contrastare con l’art. 117, co. 1, Cost. È un atto coraggioso, quello del Tribunale palermitano, perché porge alla Consulta alcune questioni che da tempo sono state sollevate dalla dottrina più attenta alle garanzie dei migranti, ma che non hanno avuto ascolto nella giurisprudenza, inerenti un istituto solo apparentemente secondario, ma largamente utilizzato nel contrasto alle migrazioni illegali di cui non si avverte alcuna eco mediatica.

Alcune ordinanze hanno dichiarato la nullità del decreto di respingimento differito emesso dal questore poiché lo stesso è privo di sottoscrizione dell’autorità emittente, riportando solo la dicitura «d’ordine del questore» con un timbro dell’ufficio immigrazione. Inoltre, la copia notificata all’interessato risulta priva della certificazione di conformità all’originale. Poiché la giurisprudenza formatasi in tema di espulsioni amministrative ha costantemente ritenuto affetto da nullità l’atto ove difetti la necessaria formalità comunicatoria, estendendo correttamente tale giurisprudenza ai provvedimenti di respingimento, il giudice rileva la nullità dell’atto impugnato ( Trib. Catania, sez. I civ., ord. 30.1.2016 , est. Casentino; idem 27.1.2016 , est. Castorina).

Richiamando pregressa giurisprudenza di legittimità relativa all’obbligo di informare gli stranieri giunti sul territorio UE circa le procedure da seguire per richiedere la protezione internazionale, rilevata l’effettiva omissione di tali comunicazioni nel caso di specie, il Trib. Catania, sez. I civ. con ord.12.1.2016 , est. Di Bella, ha annullato un decreto di respingimento differito.

Le espulsioni

Come noto, con la sentenza n. 202/2013 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, co. 5, TU nella parte in cui prevede che la valutazione discrezionale in esso stabilita si applichi solo allo straniero che ha esercitato il diritto all’unità familiare o al familiare ricongiunto, e non anche allo straniero che «abbia legami familiari nel territorio dello Stato», coronando così un indirizzo giurisprudenziale già orientato a valorizzare i legami familiari esistenti in Italia, indipendentemente dal fatto che si fosse fatto ricorso all’istituto del ricongiungimento familiare ex art. 29, d.lgs. 286/98.

Conseguentemente, la giurisprudenza di merito fin dal 2013 ha esplorato positivamente la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 13, co. 2 bis, alla luce dei principi espressi dalla citata sentenza della Consulta e, pertanto, ha esteso la protezione rafforzata che è prevista in tema di rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno per chi abbia vincoli familiari “di fatto” meritevoli di tutela al pari di chi ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, anche alle ipotesi di espulsione per irregolarità dell’ingresso o del soggiorno.

Tale approdo giurisprudenziale è stato infine recepito anche dalla Cassazione. Infatti, con ordinanza della sez. VI civile 12.7.2016, n. 14176/16, est. Bisogni, la Corte ha cassato con rinvio una decisione di un Giudice di pace che aveva respinto un ricorso avverso un decreto di espulsione senza considerare l’esistenza dei legami familiari che il ricorrente aveva costituito in Italia non ricorrendo alla specifica procedura prevista per il ricongiungimento familiare. Le argomentazioni della motivazione della decisione in esame, riprendono quelle della citata sentenza della Corte costituzionale e, in particolare, fanno leva sulla nozione di diritto all’unità familiare delineata dalla Corte EDU, fortemente limitativa del potere di ingerenza dell’autorità pubblica nella vita privata e familiare.

La necessità di considerare il principio del rispetto della vita privata e familiare e del necessario bilanciamento tra questa e le esigenze di ordine pubblico, espresso dall’art. 8 CEDU, è stata affermata dal Giudice di pace di Roma con il provvedimento 20.1.2016 , est. Ferruta in un ricorso avverso un’espulsione prefettizia disposta per motivi di asserita pericolosità sociale. L’ordinanza è singolare perché supera la disposizione di cui all’art. 13, co. 2 bis, TU che, come noto, impone il bilanciamento tra effettività e vincoli familiari da un lato, e interesse pubblico all’allontanamento degli stranieri irregolarmente soggiornanti dall’altro, solo per le espulsioni disposte ai sensi dell’art. 13, co. 2, TU limitatamente alle ipotesi di cui alle lett. a) irregolarità dell’ingresso e b) irregolarità del soggiorno con esclusione delle ipotesi di cui alla lett. c) relative ai casi di ritenuta pericolosità sociale. Anzi, il giudice afferma che anche laddove il giudizio di pericolosità sia stato correttamente espresso (in ragione di molteplici condanne penali), cionondimeno deve essere ponderato con i legami familiari esistenti in ragione della previsione dell’art. 8 CEDU siccome interpretata dalla Corte di Strasburgo, e dell’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e, conseguentemente, giunge a una condivisibile interpretazione estensiva della citata norma interna proprio alla luce della prevalenza della disposizione convenzionale, superando così l’apparente contrasto tra il citato art. 13, co. 2 bis e l’art. 19, co. 2, lett. c) TUI che vieta l’espulsione degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado di cittadinanza italiana.

Con una discutibile ordinanza il giudice di pace di Novara (14.11.2016, est. Duella), a fronte della contestata omessa valutazione della disposizione di cui all’art. 13, co. 2 bis, TU da parte della prefettura nell’emissione di un decreto espulsivo a carico di un giovane straniero giunto minorenne in Italia per ricongiungersi con la madre, ha ritenuto che l’amministrazione avesse già valutato la subvalenza dei vincoli familiari rispetto all’interesse pubblico all’allontanamento dello straniero allorquando rifiutò l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari, ditalchè non sarebbe necessaria una ulteriore valutazione degli stessi al momento dell’adozione dell’atto ablativo. La decisione induce a riflettere perché introduce il tema della motivazione per relationem dei decreti espulsivi, quando questi siano conseguenti al diniego di rinnovo del permesso di soggiorno. Nel caso in esame, osserva il giudicante che il provvedimento di espulsione dà atto dell’avvenuto diniego di rinnovo del titolo di soggiorno (peraltro non impugnato dal destinatario) notificato un anno addietro, ciò sarebbe sufficiente ad escludere una nuova valutazione dell’effettività dei vincoli familiari. Va detto che effettivamente la giurisprudenza ammette la motivazione per relationem a condizione che siano indicati gli estremi dell’atto cui, appunto, ci si relaziona e che va ad integrare la motivazione dell’atto successivo. Tuttavia, si ravvisano taluni profili di criticità. Da un lato, se si ritiene che il rifiuto di rinnovo del titolo di soggiorno sia atto prodromico della successiva espulsione, al punto da integrarne la motivazione, allora occorrerebbe che il giudice di quest’ultima potesse valutarne incidentalmente la legittimità: il che non è consentito atteso il rigido riparto di giurisdizione tra sindacabilità del rifiuto del permesso di soggiorno – devoluta al giudice amministrativo – e sindacabilità dell’espulsione – devoluta alla cognizione del giudice ordinario–, ed attesa l’assenza di pregiudizialità tra i due atti, come affermato dalle SU con la nota sentenza n. 22217 del 16.10.2006. D’altro canto, la previsione normativa per cui il prefetto dispone l’espulsione previa valutazione caso per caso, presupporrebbe l’attualità della valutazione stessa, non sembrando sufficiente il mero richiamo ad una valutazione pregressa e lontana nel tempo, per la ovvia ragione che l’effettività dei rapporti e dei vincoli familiari sono per loro natura mutevoli. Infine, la soluzione adottata non pare adeguata all’elevato livello di protezione che l’ordinamento sovranazionale, convenzionale ed interno approntano alla tutela del rispetto della vita privata e familiare.

L’istituzione del contratto di convivenza ad opera della legge 20.5.2016, n. 76 (meglio nota come Legge Cirinnà) ha indotto la giurisprudenza ad interrogarsi circa la valenza dell’istituto di nuovo conio ad operare quale causa ostativa all’espulsione integrando la disposizione prevista dall’art. 19, co. 2, lett. c), TU. Infatti, la Cass. penale, sez. I, n. 44182/2016 chiamata a pronunciarsi sul ricorso di un detenuto cui era stata rigettata dal Tribunale di sorveglianza l’opposizione all’espulsione a titolo di sanzione alternativa alla detenzione ex art. 16, TUI, dopo avere richiamato la prevalente giurisprudenza secondo cui la convivenza more uxorio non rileva ai fini del divieto di espulsione dello straniero coniugato con cittadina italiana, ha affermato il principio di diritto per cui, se la convivenza è stata riconosciuta come “contratto di convivenza” ai sensi della recente normativa, opera come condizione d’inespellibilità e tale causa ostativa deve essere valutata al momento di dare esecuzione all’espulsione.

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