Nel corso del primo quadrimestre del 2017, la giurisprudenza di merito e di legittimità che si è pronunciata in materia di diritto dell’immigrazione con riguardo a questioni inerenti alla famiglia e ai minori ha confermato alcuni principi di diritto già affermati con precedenti pronunce.
Tali principi dimostrano dunque la vocazione ad un’applicazione reiterata, indicando la progressiva formazione di un orientamento acquisito.
Le decisioni più rilevanti del quadrimestre verranno prese in rassegna dividendo i due settori della «famiglia» e dei «minori», e all’interno di esse, prendendo in considerazione le diverse questioni poste all’attenzione delle autorità giudiziarie.
FAMIGLIA
Compimento della maggiore età nelle more della procedura da parte dei figli per cui è stato chiesto il ricongiungimento familiare.
La Corte di Cassazione, con la sentenza 12.1.2017, n. 649, ha ribadito il principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui è irrilevante l’eventuale compimento della maggiore età nelle more della procedura da parte dei figli per cui è chiesto il ricongiungimento familiare. In senso contrario, la Corte d’Appello di Torino, con ordinanza 18.11.2015, aveva escluso che i due figli del richiedente il ricongiungimento diventati maggiorenni nelle more del procedimento avessero diritto all’ingresso in Italia. Ma i giudici di legittimità hanno rilevato in tale interpretazione una violazione dell’art. 29, co. 2, d.lgs. n. 286/1998, in quanto tale disposizione prevede che «ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età inferiore a diciotto anni al momento della presentazione dell’istanza di ricongiungimento» e hanno richiamato i propri precedenti in materia (in particolare, Cass. 11803/2009).
Diritto al soggiorno, legami familiari reddito minimo e precedenti penali
Con la sentenza 26.1.2017, n. 324, il Consiglio di Stato ha avuto occasione di ribadire il proprio consolidato orientamento secondo cui «ai sensi dell’art. 5, co. 5, secondo periodo, d.lgs. 25 n. 286/1998, nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero extracomunitario che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’art. 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari e sociali con il suo Paese d’origine nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale». Nella fattispecie sottoposta all’attenzione del supremo Giudice amministrativo, il Tar Friuli Venezia Giulia, con sentenza 30.1.2015, n. 45, aveva, al contrario, attribuito peso decisivo all’insufficienza del reddito senza considerare la situazione familiare dell’appellante, cittadino marocchino arrivato in Italia per ricongiungimento famigliare all’età di 16 anni. Secondo i Giudici di Palazzo Spada, il provvedimento di primo grado adottato dal Tar «appare senz’altro illegittimo», dovendo farsi applicazione dell’art. 5, co. 5, secondo periodo del d.lgs. n. 286/1998.
Il medesimo principio è stato confermato a pochi mesi di distanza dal Consiglio di Stato, con la sentenza 7.3.2017, n. 1075.
In tale occasione, i Giudici amministrativi hanno affermato che: «ai sensi dell’art. 5, d.lgs. n. 25 luglio 1998, n. 286, modificato dalla l. 30 luglio 2002, n. 189, e successivamente, dal d.l. 8 gennaio 2007, n. 5, nei confronti dell’extracomunitario, che ha esercitato il ricongiungimento familiare o sia familiare ricongiunto, l’eventuale diniego del permesso di soggiorno o del suo rinnovo non discende automaticamente dalla presenza di una causa ostativa (quale ad es. le condanne penali), ma deve essere sempre preceduto da una valutazione discrezionale che tenga conto dell’interesse dello straniero e della sua famiglia alla conservazione dell’unità familiare, mettendo tale interesse in comparazione con quello della comunità nazionale ad allontanare un soggetto socialmente pericoloso; tale disciplina di maggior favore per lo straniero, benchè riferita dalla succitata normativa allo straniero che abbia usufruito di una procedura di ricongiungimento familiare, deve essere applicata, per necessità logico-giuridica, in tutti i casi in cui vi sia un nucleo familiare la cui composizione corrisponda a quella che, ove necessario, darebbe titolo ad una procedura di ricongiungimento».
Rilevanza del reddito degli altri membri del nucleo familiare per escludere la possibilità di rifiutare il rinnovo di un titolo di soggiorno per reddito insufficiente.
Con la sentenza 26.1.2017, n. 326, il Consiglio di Stato ha annullato la decisione adottata dal Tar Emilia Romagna di rigetto del ricorso volto al rinnovo del titolo di soggiorno, in un caso in cui l’interessato non poteva dimostrare di avere dei redditi propri, ma aveva comunque prodotto quale prova della propria capacità di sostentamento documentazione comprovante il possesso di redditi da parte di altri membri del nucleo famigliare (sentenza Tar Emilia Romagna, n. 779/2015).
I Giudici di Palazzo Spada hanno ribadito che «per il rinnovo del permesso di soggiorno non è necessaria la dimostrazione del possesso, in modo assoluto ed ininterrotto, del livello di reddito richiesto, atteso che possono esservi periodi nei quali tali requisiti manchino, ma purché siano limitati nel tempo, non determinino una definitiva perdita della capacità di produrre reddito, siano associati alla iscrizione ai centri per l’impiego e (alla scadenza dei permessi in essere) diano luogo alla richiesta del permesso in attesa di occupazione ovvero, in caso di ricongiungimento familiare o situazioni ad esso assimilabili e comunque in presenza di nuclei familiari, siano compensati da redditi di altri componenti del nucleo familiare».
Atto introduttivo dell’appello in caso di procedimento giudiziario avverso il diniego del diritto al ricongiungimento famigliare
Con la sentenza 31.1.2017, n. 2579, la Corte di Cassazione torna sul tema della forma che deve rivestire l’atto introduttivo dell’appello, ex art. 702-quater c.p.c., contro l’ordinanza del tribunale reiettiva del ricorso avverso il diniego di permesso di soggiorno per motivi familiari di cui all’art. 30, co. 1, lett. a), d.lgs. 286/1998.
Secondo i Giudici di legittimità, tale impugnazione va proposta con atto di citazione, e non con ricorso, sicché la verifica della tempestività dell’impugnazione va effettuata calcolando il termine di trenta giorni dalla data di notifica dell’atto introduttivo alla parte appellata (Cass. civ., ord. 26.6.2014, n. 14502).
MINORI
Ambito soggettivo di applicazione dell’art. 31 d.lgs. n. 286/1998
Il Tribunale per i minorenni di Torino, con ord. 31.1.2017 (in Banca dati De Jure), ha avuto modo di chiarire l’ambito di applicazione dell’art. 31, co. 3, d.lgs. n. 286/1998.
Il Tribunale era stato adito ai sensi dell’art. 31, co. 3, da un cittadino europeo, precedentemente destinatario di un provvedimento di allontanamento per pericolosità sociale da parte della Prefettura.
Il Tribunale dichiara l’istanza inammissibile, dal momento che l’art. 31 d.lgs. n. 286/1998 «è diretto ad attribuire un titolo di soggiorno agli stranieri che ne siano privi». Secondo l’Autorità minorile, il rilascio di un permesso ex art. 31 in favore di uno straniero comunitario espulso per motivi di sicurezza pubblica si risolverebbe in una revoca, non di competenza del Tribunale per i minorenni, del provvedimento di allontanamento.
In merito a tale argomento, e cioè all’inapplicabilità dell’art. 31, d.lgs. n. 286/1998 ai cittadini dell’Unione europea, si osserva che la motivazione del Tribunale è corretta, non trovando applicazione le disposizioni del d.lgs. n. 286/1998 ai cittadini europei. Da un lato infatti, il testo normativo che regola la situazione di questi ultimi è il d.lgs. n. 30/2007, dall’altro, l’art. 2, d.lgs. n. 286/1998 oggi non prevede più che eventuali norme più favorevoli del Testo Unico sull’immigrazione trovino applicazione ai cittadini dell’Unione.
Resta tuttavia aperta la questione del possibile trattamento di maggior favore riservato ad un cittadino non europeo rispetto a quello applicabile ad un cittadino europeo.
Benché la Corte di Giustizia abbia affermato che l’eventuale trattamento più favorevole riservato al cittadino di un Paese terzo rispetto a quello applicabile al cittadino europeo non contrasta con i Trattati che impongono solo la parità di trattamento tra cittadini del Paese membro di accoglienza e cittadini dell’Unione europea, in presenza di determinate condizioni, rimane possibile dubitare della ragionevolezza di un tale diverso trattamento.
Né in senso contrario, potrebbe essere fatto valere che il Tribunale per i minorenni entrerebbe in questo modo in competenze riservate al Prefetto, perché la normativa europea non vieta a ciascuno Stato membro di introdurre disposizioni più favorevoli rispetto a quello previste nella Direttiva 2004/38, e perché un’analoga obiezione potrebbe essere formulata anche nel caso in cui il Tribunale per i minorenni riconoscesse il diritto ad un permesso di soggiorno ex art. 31, co. 3, d.lgs. n. 286/1998 ad uno straniero cittadino di Paese terzo destinatario di un provvedimento di espulsione.
La questione rimane quindi aperta per possibili approfondimenti in successive pronunce.
Competenza del Giudice tutelare a nominare il tutore del minore straniero non accompagnato.
Con la sentenza 12.1.2017, n. 685, la sesta sezione della Corte di Cassazione ha giudicato fondato il conflitto di competenza sollevato dal Tribunale per i minorenni di Palermo che riteneva di non essere competente alla nomina del tutore di un minore non accompagnato, affermando che tale competenza era devoluta al Tribunale ordinario.
In tal caso, la Corte di legittimità ha ribadito quanto già affermato con alcune sentenze nell’ultimo trimestre del 2016 e cioè che il d.lgs. 142/2015 in materia di accoglienza prevede che al minore non accompagnato, che arrivi solo sulle nostre coste, debba essere nominato un tutore da parte del Giudice tutelare.
Quanto ai rapporti tra la procedura di nomina di un tutore e quella per la verifica dell’eventuale stato di abbandono del minore, i Giudici affermano: «il minore non accompagnato che sbarca illegalmente in Italia per esercitare i suoi diritti nel nostro paese […] ha bisogno nel più breve tempo possibile di una rappresentanza legale da realizzarsi mediante l'apertura della tutela e la nomina di un tutore da parte del giudice tutelare del luogo ove si colloca la struttura di accoglienza, a ciò istituzionalmente demandato in presenza di minori che si trovino nella medesima o in un'analoga condizione, del tutto diversa da quella di "abbandono" di cui alla l. n. 184 del 1983, ex artt. 9 e 10. La verifica delle condizioni per procedere all'adozione dei minori stranieri non accompagnati può essere svolta in una fase successiva, ove ne ricorrano le condizioni di legge».
La Suprema Corte si è pronunciata in senso analogo anche con la successiva sentenza 26.4.2017, n. 10212. I giudici di legittimità hanno osservato che «ai sensi dell’art. 19, co. 5, della l. n. 142 del 2015, appartiene al giudice tutelare del luogo ove insiste la struttura di prima accoglienza la competenza per la nomina del tutore provvisorio di un minore straniero non accompagnato entrato illegalmente in Italia, cosicché quest’ultimo possa adeguatamente esercitare i propri diritti di richiedere la protezione internazionale e domandare il rilascio del permesso di soggiorno; è invece competente alla nomina del tutore il tribunale per i minorenni, qualora sia pendente un procedimento volto alla dichiarazione dello stato di adottabilità».
Sul punto, si osserva che successivamente al quadrimestre in esame, è entrata in vigore la legge c.d. Zampa sui minori non accompagnati (l. n. 47 del 7.4.2017, entrata in vigore il 6 maggio 2017), che, pur modificando sostanzialmente numerose norme del d.lgs. n. 142/2015 concernenti i minori non accompagnati, ha ribadito la competenza del Tribunale ordinario per la nomina del tutore del minore non accompagnato.