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Fascicolo 2, Luglio 2021


«Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi, può essere conosciuto, interpretato, trasformato, e messo al servizio dell'uomo, del suo benessere, della sua felicità. La prova per questo obbiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita».

(Enrico Berlinguer, 7 giugno 1984, Padova)

Penale

L’archiviazione del cd. «caso Rackete»
Si è concluso con l’archiviazione il procedimento penale nei confronti di Carola Rackete, di cui questa rivista ha già avuto modo di occuparsi per quanto riguarda la fase cautelare (per il commento alla decisione del GIP, cfr. il commento di Carol Ruggiero sul n. 1/2020; per quanto riguarda la decisione della Cassazione, cfr. la rubrica penale del n. 2/2020).
La vicenda è molto nota e rimandiamo per una breve sintesi dei fatti alla rubrica del 2020 appena citata; ora ci limitiamo ad una ricostruzione dei passaggi procedimentali della vicenda.
Il 29 giugno 2019 Carola Rackete era stata arrestata dalla Guardia di finanza e la Procura di Agrigento aveva chiesto al GIP la convalida dell’arresto e l’applicazione della misura cautelare del divieto di dimora nella Provincia di Agrigento ipotizzando la commissione dei delitti di violenza contro nave da guerra di cui all’art. 1100 cod. nav. (punito con la reclusione da tre a dieci anni) e resistenza a un pubblico ufficiale di cui all’art. 337 c.p. (reclusione da sei mesi a cinque anni). Il GIP di Agrigento aveva negato la convalida dell’arresto e la richiesta di misura cautelare, argomentando, quanto al reato previsto dal codice della navigazione, che l’imbarcazione della Guardia di finanza con cui era intervenuto lo scontro non fosse qualificabile come nave da guerra, e quanto al reato di resistenza a pubblico che la capitana avesse agito nell’adempimento di un dovere (art. 51 c.p.), in quanto il divieto di ingresso imposto dal Ministro dell’interno era illegittimo, per violazione delle norme di diritto internazionale in materia di soccorso in mare, e la capitana aveva di contro il dovere di condurre in un place of safety le persone soccorse, ormai ridotte allo stremo dal naufragio e dai molti giorni di attesa sul ponte della nave. La decisione del GIP era stata impugnata dalla Procura (solo per quanto riguarda la mancata convalida dell’arresto), ma la Cassazione – con una sentenza del febbraio 2020 di grande importanza in quanto ad oggi l’unica decisione della Suprema Corte riguardo alla legittimità dei divieti di ingresso emanati dal Ministro dell’interno all’epoca della strategia dei cd. «porti chiusi» – ha confermato la decisione del GIP, ribadendo la sussistenza in capo alla Rackete della causa di giustificazione dell’adempimento di un dovere, sul presupposto dell’illegittimità del diniego ministeriale di ingresso cui la stessa aveva fatto opposizione.
due documenti qui allegati riguardano il procedimento avviato contestualmente alla richiesta di convalida dell’arresto e di misura cautelare, per i medesimi reati contestati in quella sede, a cui viene aggiunto quello di danneggiamento di cui all’art. 635 co. 2, in relazione all’art. 625 n. 7 c.p.; a quanto ci consta, è invece ancora pendente il diverso procedimento aperto sempre in relazione al medesimo episodio nei confronti della Rackete per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare ex art. 12 TUI.
Nel primo documento allegato la Procura, dopo avere ricostruito gli elementi salienti della vicenda, fa applicazione dei principi espressi dalla Cassazione nella fase cautelare del procedimento, e chiede l’archiviazione del procedimento per le ragioni già evidenziate sopra.
Nel secondo documento, a firma del medesimo GIP che aveva negato la convalida dell’arresto, il giudice si limita ad accogliere le richieste della pubblica accusa, disponendo l’archiviazione del procedimento.
 
L’inapplicabilità delle sanzioni amministrative applicate alle navi delle ONG sulla base del cd. decreto Salvini-bis in seguito alle modifiche operate dal cd. decreto Lamorgese
Con il provvedimento allegato il  Tribunale civile di Ragusa (16.6.2021 R.G. 1147/2020) ha annullato la sanzione amministrativa di 300.000 euro, con contestuale confisca dell’imbarcazione, applicata dalla Prefettura di Ragusa nei confronti di Claus-Peter Reisch, capitano della motonave Eleonore, che nell’estate 2019, dopo avere salvato oltre 100 persone alla deriva nel Mediterraneo, le aveva sbarcate nel porto di Pozzallo, così violando il divieto di ingresso nelle acque nazionali impostogli dal Ministro dell’interno sulla base delle norme introdotte nel TUI con il decreto Salvini-bis (d.l. n. 53/2019, conv. in l. 77/2019).
Trattiamo inusualmente di un provvedimento del giudice civile in una rubrica di diritto penale in quanto, come vedremo, la decisione è stata motivata in ragione dell’estensione della garanzia penalistica della retroattività in mitius anche alle sanzioni amministrative aventi carattere punitivo, cioè sulla base di un principio che affonda le proprie radici nella materia penale. È altresì opportuno sottolineare che il provvedimento non fa alcun cenno alla questione, pur avanzata dai ricorrenti, relativa alla legittimità della condotta del capitano, che, come nel caso di Carola Rackete, si era trovato costretto a violare l’ordine ministeriale per poter sbarcare le persone soccorse in un luogo sicuro. Il provvedimento perviene alla decisione di annullare le sanzioni applicate dall’autorità amministrativa esclusivamente in ragione del fatto che il decreto Lamorgese (d.l. n. 130/2020, conv. in l. 173/2020) ha abrogato la sanzione amministrativa che era stata applicata al ricorrente, senza spendere alcuna considerazione in merito alla disciplina introdotta dal decreto Salvini. Il percorso argomentativo seguito dal provvedimento ragusano è assai innovativo, posto che la giurisprudenza è tradizionalmente propensa a ritenere la sanzione amministrativa regolata esclusivamente dalla legge in vigore al momento della commissione del fatto, e ad escludere di conseguenza che l’abrogazione dell’illecito da parte del legislatore abbia effetti sulle sanzioni già applicate in relazione a fatti pregressi: di seguito ci limiteremo solo a segnalare i passaggi salienti dell’argomentazione con cui il Tribunale ha ritenuto di superare l’orientamento consolidato, considerato che si tratta di temi solo tangenziali alla specifica materia oggetto di questa rubrica.
Il provvedimento prende appunto le mosse dalla constatazione che il decreto Lamorgese ha abrogato le norme del TUI che prevedevano la sanzione amministrativa applicata nel caso sub iudice, introducendo al loro posto un illecito penale: «il legislatore ha, da un lato, espunto la previsione di sanzioni amministrative di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane, nel contempo introducendo, all’art. 1 co. 2 del medesimo d.l. 13/2020 una fattispecie penale pressoché sovrapponibile (salvo l’omesso riferimento all’ingresso delle navi), sul piano della tipicità, a quella abrogata».
Si ricorda poi come, per quanto riguarda la successione di norme penali, sia da tempo pacifica nella giurisprudenza costituzionale e convenzionale il principio dell’applicazione retroattiva delle norme favorevoli al reo, che trova fondamento rispettivamente nell’art. 3 Cost. e nell’art. 7 CEDU.
Per quanto riguarda invece la successione tra norme che prevedono sanzioni amministrative, la giurisprudenza costante interpreta l’art. 1 co. 2 della legge n. 689/1981 sull’illecito amministrativo (per cui «le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati»), nel senso di ritenerlo preclusivo dell’applicazione dello ius superveniens favorevole. La decisione ricorda come tuttavia la Corte costituzionale, dopo avere negato con la sentenza n. 193/2016 l’applicabilità generale del principio di retroattività in mitius alle sanzioni amministrative di cui alla l. 689/1981, con la sentenza n. 63/2019 ha dichiarato incostituzionale una norma transitoria che escludeva l’applicabilità del nuovo e più mite trattamento sanzionatorio alle sanzioni amministrative relative a fatti pregressi; in tale occasione, la Corte ha affermato il seguente principio di diritto, decisivo ai fini del caso di specie: il «principio di retroattività della lex mitior in materia di sanzioni amministrative aventi natura e funzione “punitiva” è, del resto, conforme alla logica sottesa alla giurisprudenza costituzionale sviluppatasi, sulla base dell’art. 3 Cost., in ordine alle sanzioni propriamente penali. Laddove, infatti, la sanzione amministrativa abbia natura “punitiva”, di regola non vi sarà ragione per continuare ad applicare nei confronti di costui tale sanzione, qualora il fatto sia successivamente considerato non più illecito; né per continuare ad applicarla in una misura considerata ormai eccessiva (e per ciò stesso sproporzionata) rispetto al mutato apprezzamento della gravità dell’illecito da parte dell’ordinamento. E ciò salvo che sussistano ragioni cogenti di tutela di controinteressi di rango costituzionale, tali da resistere al medesimo “vaglio positivo di ragionevolezza”, al cui metro debbono essere in linea generale valutate le deroghe al principio di retroattività in mitius nella materia penale».
Posta dunque la vigenza del principio di retroattività in mitius anche per le sanzioni amministrative che hanno natura punitiva, e sono dunque da considerare penali ai sensi dei criteri Engel, il provvedimento passa a verificare se la sanzione sub iudice abbia tale natura, e la risposta è positiva: «ritiene il decidente che la sanzione amministrativa al tempo prevista dall’art. 12, co. 6-bis TUI abbia natura punitiva e debba dunque soggiacere alle garanzie che la Costituzione e il diritto internazionale dei diritti umani assicurano alla materia penale, ivi incluso il principio di retroattività della lex mitior, ciò anche alla luce del mutato apprezzamento del legislatore. La misura ivi prevista (sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 150.000 a euro 1.000.000, oltre alla confisca della nave utilizzata per commettere la violazione) non può infatti ritenersi meramente ripristinatoria dello status quo ante, né semplicemente mirante alla prevenzione di nuovi illeciti (...). Invero, già dall’ammontare della sanzione, nell’ampia cornice edittale ivi prevista, oltre che dalla previsione che la confisca della nave venga disposta sempre, senza essere ad esempio subordinata alla reiterazione della condotta, può desumersene l’elevata carica afflittiva, che può spiegarsi in funzione di una finalità di deterrenza o prevenzione generale negativa, certamente comune alle pene in senso stretto».
Tali premesse consentono al Tribunale ragusano di superare l’orientamento tradizionale in ordine all’impossibilità di applicare lo ius superveniens favorevole nelle ipotesi di illeciti amministrativi: «Si impone, pertanto, una interpretazione dell’art. 1 l. 689/1981 conforme a Costituzione e alla disciplina sovranazionale, dovendosi ritenere che il dettato normativo (laddove prevede che le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati) debba intendersi riferito alle sole modifiche in peius, trovando per il resto applicazione il principio, costituzionale e convenzionale, di retroattività della legge più favorevole, dovendosi sul punto ritenere che, nella misura in cui le norme convenzionali ricadano in spazi normativamente vuoti, ossia non regolati in modo antinomico dalla legislazione nazionale, esse potranno e dovranno essere direttamente applicate dal giudice comune, come una qualsiasi altra norma dell’ordinamento. (…)».
L’ultimo passaggio, in vero molto sintetico, riguarda la constatazione che l’illecito amministrativo abrogato è stato sostituito da un illecito penale che ne presenta il medesimo contenuto tipico: «né, d’altronde, potrebbe giungersi a diverse conclusioni (l’annullamento delle sanzioni amministrative irrogate: n.d.r.), quand’anche, operando una comparazione in concreto tra l’illecito amministrativo previgente e la neo-introdotta fattispecie penale, si riscontrasse la natura più favorevole di quest’ultima. In primo luogo, infatti, a ciò conseguirebbe comunque l’inapplicabilità della sanzione formalmente amministrativa, in ipotesi, meno favorevole. In secondo luogo, e in ogni caso, in quanto l’individuazione della natura sostanzialmente penale di una sanzione amministrativa risponde piuttosto all’esigenza di evitare aggiramenti delle garanzie previste nell’ambito del diritto punitivo, non potendo dunque tale operazione avere come effetto l’estensione (anche temporale) dell’area della punibilità».

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