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Fascicolo 2, Luglio 2022


Vivere una sola vita /in una sola città / in un solo Paese / in un solo universo/ vivere in un solo mondo / è prigione.
Amare un solo amico, /un solo padre, / una sola madre, / una sola famiglia / amare una sola persona / è prigione.
Conoscere una sola lingua, /un solo lavoro, / un solo costume, / una sola civiltà / conoscere una sola logica / è prigione.
Avere un solo corpo, / un solo pensiero, / una sola conoscenza, / una sola essenza / avere un solo essere / è prigione.

(Ndjock Ngana, Prigione, in Nhindo nero, Edizioni Anterem, 1994)

Famiglia e minori

FAMIGLIA
Atto di nascita con due madri di minore cittadino dell’Unione – diritto alla libera circolazione
Qualora un minore cittadino dell’Unione sia nato in un Paese membro dell’Unione diverso da quello di sua cittadinanza e in questo Paese membro, l’atto di nascita sia stato formato indicando come genitori due madri, il Paese membro di cittadinanza non può rifiutarsi di rilasciare a tale minore il passaporto o la carta di identità con le indicazioni che consentano al minore di esercitare il suo diritto alla libera circolazione con ciascuna di tali madri.
Una delle problematiche più complesse che si sono poste con ricorrenza negli ultimi anni in materia di libera circolazione è stata quella relativa alla circolazione degli status familiari delle coppie dello stesso sesso e dei loro figli, in ragione della disomogeneità delle normative in materia di diritto di famiglia dei diversi Paesi europei.
Quale valore assume in un altro Paese europeo che non riconosce i matrimonio omosessuali il certificato di matrimonio tra due persone dello stesso sesso? E quale valore il certificato di nascita che indichi due madri o due padri? Tali questioni che hanno costituito oggetto di decisioni sia da parte della Corte costituzionale italiana che della Corte di cassazione sono giunte anche di fronte alla Corte di Giustizia.
Quanto alla prima questione, in materia di valore da riconoscersi al matrimonio tra persone dello stesso genere in un Paese europeo che non preveda l’accesso a tale istituto a coppie omosessuali, la decisione di riferimento è la sentenza Coman (sentenza della Grande sezione del 5/6/2018, C-673/2016). Con tale fondamentale decisione, la Corte ha avuto occasione di affermare che il rifiuto opposto dalle autorità di uno Stato membro di riconoscere, ai soli fini della concessione di un diritto di soggiorno derivato a un cittadino di uno Stato terzo, il matrimonio di quest’ultimo con un cittadino dell’Unione dello stesso sesso, cittadino di tale Stato membro, contratto durante il loro soggiorno effettivo in un altro Stato membro conformemente alla legislazione di quest’ultimo Stato membro, è atto a ostacolare l’esercizio del diritto di detto cittadino dell’Unione, sancito dall’art. 21, par. 1, TFUE, di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
Un principio del tutto analogo è quello che la Corte ha affermato con la sentenza qui commentata della Grande Sezione, 14/12/2021, Causa C-490/20, V.M.A.
In questo caso, i dubbi sorgevano quanto alla condizione di una minore bulgara, il cui atto di nascita era stato formato in Spagna e indicava due madri senza indicare la maternità biologica, indicazione non prevista dalla legislazione spagnola.
I problemi per la minore e per le due madri erano sorti quando era stato chiesto per la minore un documento d’identità bulgaro e le autorità bulgare avevano rifiutato di procedere, non essendo possibile in base alla legislazione bulgara, formare un atto di nascita con due genitori dello stesso sesso e non essendo neppure possibile indicare uno dei due genitori dal momento che le esercenti la potestà genitoriale non avevano indicato chi fosse la madre biologica.
A fronte di questo quadro, il Giudice amministrativo di Sofia chiamato a pronunciarsi sulla legittimità della posizione tenuta dalle autorità bulgare pone alla Corte di Giustizia una serie di domande pregiudiziali.
La Corte, quanto ai fatti, afferma come sia pacifico che le autorità spagnole abbiano accertato legalmente l’esistenza di un rapporto di filiazione, biologica o giuridica, tra la minore e i suoi due genitori, attestando tale rapporto di filiazione nell’atto di nascita rilasciato.
Ne consegue – per il Giudice di Lussemburgo – che, in applicazione dell’articolo 21 TFUE e della direttiva 2004/38, alle due madri, «in quanto genitori di un cittadino dell’Unione minorenne di cui hanno la custodia effettiva, deve essere riconosciuto da tutti gli Stati membri il diritto di accompagnare quest’ultimo nell’esercizio del suo diritto a circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri» (v. per analogia, sentenza 13/9/2016, Rendon Marin, C-165/14, punti da 50 a 52 e giurisprudenza ivi richiamata).
Secondo la Corte, da ciò discende che le autorità bulgare, come quelle di qualsiasi altro Stato membro, sono tenute a riconoscere tale rapporto di filiazione al fine di consentire alla minore di esercitare senza impedimenti, insieme a ciascuno dei suoi due genitori, il proprio diritto a circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, garantito all’articolo 21, paragrafo 1, TFUE.
In concreto, per permettere effettivamente alla minore di esercitare il proprio diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri con ciascuno dei suoi due genitori, è necessario che le due madri possano disporre di un documento che le menzioni come persone autorizzate a viaggiare con tale minore.
Pertanto, lo Stato membro di cittadinanza è tenuto, da un lato, a rilasciare al minore una carta di identità o un passaporto da cui risulti l’identità dei due genitori, dall’altro, a riconoscere, come ogni altro Stato membro, il documento promanante dallo Stato membro ospitante che consente a detto minore di esercitare, con ciascuna di tali persone, il proprio diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
La decisione appare estremamente rilevante e “impegnativa” per gli Stati membri perchè, pur attenendo all’ambito della libera circolazione, di fatto impone anche agli Stati membri che non riconoscano la filiazione da parte di coppie omogenitoriali di emettere documenti che tale filiazione presuppongono e attestano.
 
Assicurazione malattia del minore cittadino dell’Unione e del genitore affidatario ai fini del diritto al soggiorno in altro Paese UE
Il minore cittadino di un Paese membro dell’Unione, dopo l’acquisizione del diritto al soggiorno permanente in un altro Stato membro, non è più tenuto a disporre di un’assicurazione malattia a copertura di tutti i rischi, così come non è tenuto a disporne il genitore che ne ha l’effettivo affidamento, al fine di conservare il loro diritto a soggiornare nello Stato; tale requisito è invece applicabile per i periodi anteriori all’acquisizione del diritto al soggiorno permanente. L’eventuale iscrizione al sistema di assicurazione malattia del Paese membro ospitante a titolo gratuito non osta a che tale iscrizione valga a integrare il requisito del possesso di un’assicurazione sanitaria.
Con la sentenza 10/3/2022, causa C-247/20, la Corte di Giustizia torna su un tema che spesso solleva questioni nella pratica (il possesso di un’assicurazione sanitaria da parte del cittadino europeo non attivo), prendendo in considerazione l’ipotesi in cui il cittadino dell’Unione sia un minore.
La prima questione posta ai Giudici di Lussemburgo riguardava il fatto che anche per un minore potesse essere chiesta tale assicurazione medica.
La risposta della Corte è particolarmente interessante.
I Giudici di Lussemburgo osservano che tale assicurazione medica è necessaria fino all’acquisizione del diritto al soggiorno permanente (e, dunque, per i primi cinque anni di soggiorno in un altro Paese membro) e che tale requisito è soddisfatto sia qualora il minore disponga di una tale assicurazione che tuteli anche il genitore effettivamente affidatario, sia qualora sia il genitore a disporre di tale assicurazione che copra il minore (viene richiamata, per analogia, la sentenza del 19/17/2004, Zhu e Chen, C-200/02, punti da 29 a 33).
L’affermazione non è nuova.
L’osservazione interessante riguarda però il fatto che la Corte rileva che, nel caso in cui il Paese ospitante (in questo caso, il Regno Unito) abbia permesso al minore e al genitore l’iscrizione a titolo gratuito al sistema di assicurazione sanitaria, tale assicurazione è rilevante ad integrare il requisito di legge.
Afferma, infatti, la Corte che, «se è vero che lo Stato membro ospitante può, nel rispetto del principio di proporzionalità, subordinare l’iscrizione al proprio sistema pubblico di assicurazione malattia di un cittadino dell’Unione economicamente inattivo, a condizioni finalizzate a che tale cittadino non divenga un onere irragionevole per le finanze pubbliche di detto Stato membro», quali il mantenimento di un’assicurazione medica privata, «resta nondimeno il fatto che un cittadino dell’Unione, dal momento in cui è iscritto a un siffatto sistema pubblico di assicurazione malattia, dispone di un’assicurazione malattia che copre tutti i rischi».
Da tale chiara affermazione si deduce che, qualsiasi sia il titolo e la ragione di iscrizione del minore europeo e del genitore al sistema di assicurazione malattia, tale iscrizione è sufficiente a renderne legittimo, insieme alle altre condizioni, il soggiorno.
Tali principi trasposti nel caso italiano comportano che qualora un minore europeo sia stato iscritto al Sistema sanitario, a qualsiasi titolo, tale circostanza sarà sufficiente ad integrare il requisito del possesso dell’assicurazione anche laddove nessun costo sia stato sostenuto per tale iscrizione e che una volta ottenuto il diritto al soggiorno permanente, la legittimità del soggiorno potrà essere contestata solo nei limiti molto ristretti previsti dal diritto europeo in materia.
 
Visto per ricongiungimento familiare a favore di minore adottato all’estero da genitori resistenti in Italia
Deve essere consentito il rilascio del visto a favore del minore adottato con adozione consuetudinaria da parte di una coppia di stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, anche nel caso in cui tale adozione possa violare la disciplina in materia di adozione internazionale, dal momento che tale valutazione rileverà nel diverso ambito del riconoscimento degli effetti all’adozione in Italia e non ai fini del ricongiungimento familiare.
Con l’ordinanza del 2/3/2022, n. 6909, la Corte di Cassazione ha affrontato la questione, che si pone frequentemente nella pratica, della possibilità di rilasciare un visto di ingresso per ricongiungimento familiare a favore del minore adottato in conformità alla legislazione del Paese di cittadinanza da parte di una coppia residente in Italia.
Nel caso concreto, una cittadina ghanese residente in Italia aveva adottato, insieme al marito, la figlia della sorella premorta, alla luce del rifiuto del padre di occuparsene, mediante l’istituto vigente in Ghana dell’adozione consuetudinaria nella specie ratificata dal Tribunale locale sulla scorta di una valutazione di idoneità della coppia, in conformità alla legislazione locale.
Secondo il Ministero degli Affari Esteri, il visto per ricongiungimento familiare non è rilasciabile dal momento che si avrebbe in questo modo un’elusione della normativa in materia di adozione internazionale contenuta nel titolo terzo della legge n. 184 del 1983. Effettivamente la legislazione interna, sulla base della Convenzione dell’Aja, prevede tutta una serie di condizioni per la legittimità delle adozioni che presentano elementi di internazionalità quali la residenza in due Paesi diversi dell’adottando e dei genitori adottivi, condizioni che in questa ipotesi non erano integrate.
Secondo la Suprema Corte, «l’eventuale contrarietà o l’elusione della disciplina dell’adozione internazionale sarebbe ipotizzabile» solo se i ricorrenti avessero «chiesto la delibazione in Italia del provvedimento del tribunale ghanese, volendone far derivare effetti nel nostro ordinamento identici o analoghi a quelli dell’adozione», mentre nel caso di specie viene richiesto solo il ricongiungimento e dunque a chiedere che «sia riconosciuta al provvedimento, nel rispetto della disciplina vigente nel Paese di provenienza della minore, la funzione di legittimare la coppia all’attività di cura materiale e affettiva della minore, senza che sia necessario individuare nel legame tra di essi e la bambina un vincolo di filiazione compatibile con i principi dell’ordinamento italiano».
I giudici di legittimità osservano altresì che «la domanda di ricongiungimento è meritevole di accoglimento anche a norma del d.lgs. n. 286 del 1998, art. 29, co. 2, che a tal fine equipara «i minori adottati o affidati o sottoposti a tutela».
L’ordinanza fissa opportunamente dei principi idonei ad essere seguiti per la soluzione di numerose analoghe controversie, in funzione nomofilattica; si osserva, tuttavia, che la problematica si ripresenterà dopo l’ingresso del minore adottato in Italia, rimanendo controverso il suo status giuridico da un punto di vista dell’esercizio della responsabilità genitoriale.
 
Rilevanza della vita familiare ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria
La circostanza di essere allontanato dal proprio nucleo familiare e respinto nel Paese di provenienza, costituendo tale allontanamento forzato un atto destinato ad incidere significativamente sulla psiche e sulle emozioni del soggetto che si vede privato del suo diritto a partecipare al sano ed equilibrato sviluppo della propria vita costituisce indizio di vulnerabilità soggettiva che, a prescindere dalla valutazione di credibilità del richiedente asilo, può portare al riconoscimento della protezione umanitaria.
Con l’ordinanza del 12/1/2022, n. 859, la Suprema Corte ha nuovamente confermato il principio secondo cui la vulnerabilità soggettiva idonea a integrare il presupposto per il riconoscimento della protezione umanitaria da mettere in comparazione con gli altri elementi può essere associata alla circostanza di vivere in Italia in compagnia del coniuge e di un figlio in tenera età, indipendentemente dalla credibilità della vicenda narrata dal richiedente asilo.
Il riconoscimento della protezione umanitaria in tale fattispecie persegue, secondo i giudici di legittimità, il «fine di garantire l’unità familiare, in un’ottica costituzionalmente orientata di assistenza dei figli minori cui va riconosciuto il diritto ad essere educati ed accuditi all’interno del proprio nucleo familiare onde consentir loro il corretto sviluppo della propria personalità», anche alla luce del «principio sovranazionale di cui all’art. 8 Cedu».
Per la Corte, infatti, «costituisce indizio di vulnerabilità soggettiva la circostanza di essere allontanato dal proprio nucleo familiare e respinto nel Paese di provenienza, costituendo tale allontanamento forzato un atto destinato ad incidere significativamente sulla psiche e sulle emozioni del soggetto che si vede privato del suo diritto di partecipare al sano ed equilibrato sviluppo della propria vita familiare, segnatamente nell’ottica dell’assistenza, dell’educazione e dell’accudimento di figli minori».
 
MINORI
Rilevanza dell’estratto di nascita nel procedimento per la determinazione dell’età del minore straniero non accompagnato
Nel procedimento per la determinazione dell’età del minore straniero, effettuato ai sensi dell’art. 19-bis, d.lgs. n. 18/8/2015, introdotto dalla l. 7/4/2017, n. 47 in tema di identificazione dei minori stranieri non accompagnati, deve essere preso in considerazione l’estratto dell’atto di nascita prodotto dal minore, pur non trattandosi di un documento identificativo.
Con l’ordinanza del 6/4/2022, n. 11232, la sez. VI della Corte Suprema ha affrontato numerose questioni relative al procedimento di determinazione dell’età del minore straniero non accompagnato che fino ad oggi ha dato origine a poche pronunce di legittimità.
Quanto alla normativa applicabile a tale procedura, i Giudici di Cassazione hanno chiarito che non sono applicabili per analogia in materia di determinazione dell’età del minore non accompagnato le previsioni contenute nel d.p.c.m. n. 234 del 2016, in materia di minori vittime di tratta, dal momento che la materia della determinazione dell’età è oggi specificamente regolata dalla l. 7/4/2017, n. 47, il cui art. 5 ha introdotto nel d.lgs. 18/8/2015, n. 142, l’art. 19-bis, in tema di identificazione dei minori stranieri non accompagnati, con la previsione di una serie di regole che solo parzialmente corrispondono a quelle contenute nella di poco più risalente disposizione del 2016, peraltro di natura meramente regolamentare, dettata in tema di minori stranieri non accompagnati vittime di tratta.
L’ulteriore questione affrontata riguarda il rilievo dell’estratto di nascita che eventualmente il minore produca e che sia in contrasto con gli accertamenti svolti. Il problema di tale documento è che esso non ha valore identificativo, non contenendo la fotografia o altri dati biometrici.
Secondo i giudici di legittimità, l’assenza di tale carattere non è idonea a privare di rilevanza l’estratto di nascita, sulla base della considerazione, da un lato, che l’art. 19-bis, co. 8, della l. n. 142 del 2015 prevede una presunzione di minore età in caso di dubbi, dall’altro, che, come affermato dalla stessa Corte nella decisione del 3/3/2020, n. 5936 «ove il documento anagrafico sia presente, anche in copia, esso assolve al ruolo di sostenere in via presuntiva la minore età nel giudizio, composito, a cui è chiamato il giudice del merito».
Non avendo la Corte d’Appello attribuito alcun rilievo all’estratto di nascita prodotto dall’interessato, la decisione impugnata viene cassata dalla Suprema Corte in conformità ai principi sopra indicati.

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