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Fascicolo 2, Luglio 2018


«Riflettere sull’immigrazione, in fondo, significa interrogare lo Stato, i suoi fondamenti, i suoi meccanismi interni di strutturazione e di funzionamento. Interrogare lo Stato in questo modo, mediante l’immigrazione, significa in ultima analisi “denaturalizzare”, per così dire, ciò che viene considerato “naturale” e “ristoricizzare” lo Stato o ciò che nello Stato sembra colpito da amnesia, cioè significa ricordare le condizioni sociali e storiche della sua genesi. La “naturalizzazione” dello Stato, come la percepiamo in noi stessi, opera come se lo Stato fosse un dato immediato, come se fosse un oggetto dato di per sé, per natura, cioè eterno, affrancato da ogni determinazione esterna, indipendente da ogni considerazione storica, indipendente dalla storia e dalla propria storia, da cui si preferisce separarlo per sempre, anche se non si smette di elaborare e di raccontare questa storia. L’immigrazione – ed è questo il motivo per cui essa disturba – costringe a smascherare lo Stato, a smascherare il modo in cui lo pensiamo e in cui pensa se stesso».

(A. Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, prefazione di P. Bourdieu, ed. it. a cura di S. Palidda, Milano, Raffaello Cortina, 2002).

Rassegna di giurisprudenza italiana: Allontanamento e trattenimento

La rassegna del numero 2 del 2018 prende in considerazione, senza pretesa di esaustività, gli orientamenti giurisprudenziali in materia di espulsione e trattenimento intervenuti nel primo quadrimestre del 20181.
 
TRATTENIMENTO
Garanzie del contradditorio – misure alternative al trattenimento – udienza di convalida
Per quanto riguarda il trattenimento o le misure a esso alternative disposte nei confronti di un cittadino di un paese terzo destinatario di un provvedimento di allontanamento, si segnala l’ord. n.  2997/2018 del 7/02/2018 con la quale la Corte di Cassazione afferma implicitamente che anche per la convalida delle misure alternative è necessaria la celebrazione di un’udienza. La Corte ha infatti cassato il decreto di convalida delle misure alternative nei confronti di un cittadino bengalese, poiché non risultavano agli atti né la comunicazione all’interessato della data dell'udienza di convalida, alla quale lo straniero non era stato quindi messo in condizione di partecipare, né la nomina di un difensore di ufficio. Il dispositivo della decisione richiama espressamente l’art. 14, co. 4 del d.lgs 286 del 1998 nella parte in cui prevede «che l’interessato è anch’esso tempestivamente informato e condotto nel luogo dove il giudice tiene l’udienza», e non, dunque, l’art. 13, co. 5.2 del citato d.lgs che sembra prevedere un procedimento solo cartolare per la convalida delle misure alternative.
L’ordinanza appare importante nella misura in cui segna una controtendenza rispetto alle scelte del legislatore di ridurre gli spazi di oralità del processo nei procedimenti in materia di immigrazione e asilo. Tale scelte sono state peraltro, almeno in parte, avvalorate dalla giurisprudenza europea che, come noto, ha stabilito che la direttiva 2013/32/UE, letta alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, «non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga tale ricorso senza procedere all’audizione del richiedente, qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione» (Corte giust., sent. 26/07/2017, causa C-348/16). Si tratta di una decisione che, seppure sottoponga la restrizione del diritto all’audizione in sede processuale alla condizione che il richiedente asilo abbia avuto facoltà di sostenere un colloquio personale durante la fase amministrativa del procedimento, nonché faccia salva la facoltà del giudice di disporre l’audizione, afferma una tendenza derogatoria rispetto ai principi previsti in tema di giusto processo. Di contro, la Cassazione tiene fermo, per quanto riguarda il controllo giurisdizionale sull’esecuzione dell’espulsione, un orientamento ormai consolidato sul rispetto del contradditorio.
 
Misure alternative al trattenimento – sindacato limitato
La Corte di Cassazione, con l’ord. n. 3007/2018 del 7/02/2018 ha affermato che in sede di convalida delle misure alternative al trattenimento presso il CIE (ora CPR) di cui all'art. 14, co.1bis, d.lgs 296/98, non possono essere valutate le circostanze personali, che invece possono essere oggetto della cognizione del giudice investito dell’impugnazione del decreto di espulsione. Nel caso di specie, il difensore della parte aveva eccepito la mancata considerazione, in sede di convalida delle misure alternative, dell’interesse superiore del minore disabile, nato dall’unione dello straniero sottoposto alla misura con la moglie cittadina marocchina e titolare di un regolare permesso di soggiorno. La Corte ha dunque ribadito l’orientamento consolidato della doppia tutela, incentrato sul sindacato a cognizione piena in sede di ricorso avverso l’espulsione, e su quello solo limitato alla mera esistenza formale e all’efficacia dell’atto presupposto in sede di convalida delle misure di esecuzione dell’espulsione. Tale orientamento è stato solo scalfito dalla possibilità del giudice del trattenimento di rilevare la manifesta illegittimità dell’atto presupposto con l’importante pronuncia della Cassazione 17407/2014 del 30/07/2014.
 
Trattenimento dello straniero sottoposto a procedura di rimpatrio – pericolo di fuga
Con decreto del 23.04.2018 rg. 26604/18 il Giudice di Pace di Roma non ha convalidato il trattenimento di una cittadina ucraina, richiesto dalla questura sulla base della mancanza del passaporto e dei precedenti di polizia risultanti a carico della giovane. Nella motivazione, il giudice rileva peraltro che, nonostante la mancanza di un passaporto, la donna ha frequentato in Italia le scuole dell’obbligo «dalla classe 4° elementare fino alla 2° classe di un istituto superiore», ed esclude pertanto la sussistenza del pericolo di fuga anche in ragione di una situazione abitativa stabile.
 
Trattenimento del richiedente asilo - strumentalità della domanda
Con decreto del 24.01.2018 rg. 1190/2018 il Tribunale di Roma, ha convalidato il trattenimento di una richiedente asilo tunisina, giunta in Italia nel gennaio dello stesso anno. La richiedente ha dichiarato in udienza di essersi allontanata dal proprio paese per il timore di ritorsioni, a seguito della denuncia del fidanzato a danno di alcuni scafisti. Nella motivazione il giudice ha rilevato l’impossibilità di stabilire un collegamento tra la persona denunciante e la richiedente asilo e ha, inoltre, asserito che «appare poco verosimile che la partenza sia stata determinata dal timore di andare incontro a grave danno, considerato che non risulta che al proprio arrivo la straniera abbia fatto domanda di protezione internazionale». Leggendo il decreto di convalida del trattenimento, emesso dal Giudice di Pace di Roma il 18 gennaio 2018, è possibile ricostruire che la richiedente asilo aveva fatto ingresso in Italia il 15 gennaio 2018, nonché che la stessa ha dichiarato di essersi recata alla questura di Ragusa il 16 gennaio, nella medesima data del provvedimento di espulsione, per presentare domanda di protezione internazionale. Nonostante tali allegazioni, il Tribunale appare interpretare estensivamente il presupposto della strumentalità della domanda di asilo presentata dallo straniero in stato di trattenimento al solo fine di eludere il rimpatrio, di cui all’art. 6, co. 3 del d.lgs 142/2015, e entrare nel merito di un giudizio prognostico sull’esito della procedura di asilo. Tale atteggiamento, che si riscontra spesso nella giurisprudenza di merito, apre non pochi quesiti su quale debba essere l’ambito di cognizione del giudice del trattenimento, in un campo in cui il controllo giurisdizionale deve seguire gli stretti parametri costituzionalmente previsti in materia di restrizione della libertà personale.
Con decreto del 23.02.2018 rg. 3230/2018, il Tribunale di Roma ha, invece, diversamente deciso in merito al trattenimento di una cittadina nigeriana. La motivazione esclude che la domanda sia stata presentata strumentalmente e argomenta, altresì, in merito al ritardo nella richiesta di protezione, «peraltro di poco più di un anno» rispetto all’ingresso sul territorio, ritenendolo giustificato dal «dedotto coinvolgimento della vittima in attività di organizzazioni di sfruttamento della prostituzione». In questo secondo caso, il giudice entra nel merito dei fatti dedotti per escludere la strumentalità della domanda di asilo, presupposto che deve essere correttamente interpretato secondo un parametro per cui la misura del trattenimento del richiedente asilo rappresenta una estrema ratio.
 
Trattenimento del richiedente asilo - pericolosità sociale
Con ord. n. 5582/2017 dell’8/03/2018 la Corte di Cassazione ha affermato la legittimità del trattenimento della richiedente asilo disposto e convalidato sulla base della sua pericolosità sociale ritenuta sussistente in presenza di una misura di prevenzione applicata in un procedimento per reati con finalità di terrorismo (poi concluso con sentenza di condanna alla pena della reclusione, sottoposta alla sospensione condizionale), e di una condanna non definitiva per apologia di reato e istigazione a commettere reati di terrorismo, che è ostativa al riconoscimento della protezione internazionale ai sensi dell’art. 10, co. 2 lett. c) del d.lgs. 251/2007.
La Corte ha affermato, inoltre, che la concessione della sospensione condizionale della pena da parte del giudice penale non impone al giudice della convalida una diversa valutazione sulla pericolosità ostativa al trattenimento che era stato disposto in seguito al decreto di espulsione e prorogato in seguito alla successiva proposizione della domanda di protezione internazionale in presenza delle condizioni di cui all'art. 6, co. 2 lett. b) e c) del d.lgs. n. 142/2015. Infine, la Corte ha ritenuto che la richiesta di concessione di misure alternative al trattenimento sia stata implicitamente rigettata dal Tribunale che, nel sottolineare la gravità dei reati per cui la ricorrente è stata condannata e l'avvenuto accertamento della pericolosità in sede di applicazione della misura di prevenzione, ha evidenziato indirettamente la inaccoglibilità della richiesta di applicazione di misure alternative di cui peraltro la ricorrente non ha circostanziato tempi e modalità di proposizione all'esame del giudice della convalida.
Il Tribunale di Torino, invece, non ha convalidato il trattenimento presso il locale CPR di ben 23 cittadini tunisini richiedenti protezione internazionale (con altrettante ordinanze) disposto dal Questore di Agrigento per asserita pericolosità per la sicurezza pubblica ai sensi dell’art. 6, co. 2, lett. c), d.lgs. 142/2015. Secondo l’Amministrazione, costoro avrebbero partecipato ad una protesta presso l’hotspot di Lampedusa, ove erano di fatto trattenuti da molte settimane, sfociata nell’incendio di alcuni locali e, inoltre, avrebbero ostacolato l’intervento dei vigili del fuoco. Osserva il Tribunale che la standardizzata motivazione del decreto di trattenimento (uguale in tutti i 23 casi) non è supportata da alcun elemento individualizzante, difettando così la prova della responsabilità del singolo trattenuto; peraltro il significativo lasso di tempo intercorso tra la data dell’incendio (8.3.2018) e quello dell’adozione del decreto oggetto di convalida (20.3.2018) durante quale i trattenuti sono rimasti nell’hotspot di Lampedusa senza manifestare alcun segnale di pericolosità, indebolisce ulteriormente l’assunto questorile.
 
ESPULSIONI
Aspetti formali e procedurali
La procura conferita al difensore per proporre ricorso avverso il decreto di espulsione può essere conferita direttamente dall’interessato, con firma autenticata dal difensore, nel caso in cui lo straniero si trovi in Italia, ovvero per via consolare se lo straniero si trova all’estero. È quanto ribadisce la Corte di cassazione con l’ordinanza in commento (Cass. civ. sez. VI, ord. 2864/2018 pubblicata il 6.2.2018) che annulla con rinvio il decreto di un giudice di pace che aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione avverso un decreto di espulsione prefettizio perché lo straniero non aveva conferito la procura per il tramite del consolato. La nullità della procura alle liti conferita con sottoscrizione autenticata dal difensore sussiste solo se sia accertato che al momento del rilascio lo straniero si trovava all’estero.
La giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. VI, ord. 12588/2018 pubblicata il 22.5.2018) non si discosta dal suo consolidato orientamento circa la necessità di traduzione del decreto espulsivo in lingua propria del destinatario, non essendo sufficiente la traduzione in lingua veicolare qualora l’indisponibilità del traduttore, benché allegata dall’amministrazione, non sia adeguatamente motivata in relazione al caso concreto. Trattasi di nullità dell’atto non sanabile dal raggiungimento dello scopo (la proposizione del ricorso), perché tal principio di sanatoria - proprio del diritto processuale civile - non si applica al requisito di validità del decreto espulsivo.
 
Regole cui attenersi nel ricorso per cassazione
Con ordinanza della sez, VI civ n. 7874, pubblicata il 29.3.2018, la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso avverso un decreto del giudice di pace in cui si deduceva:
  1. che il giudice avesse fondato la decisione sulla base di una memoria difensiva della questura, laddove la legittimata passiva era la prefettura;
  2. che il giudice avesse disatteso la censura relativa all’omessa dichiarazione di conformità all’originale della copia del decreto ablativo notificata all’interessato;
  3. che il giudice avesse respinto l’eccezione in ordine alla mancata traduzione del decreto espulsivo nella lingua dall’interessato.
Osserva la Corte che:
  1. quanto al primo motivo, la violazione delle norme processuali (comprese quelle relative alla legittimazione attiva o passiva) possono costituire idoneo motivo di ricorso solo se sono state dedotte ex art. 360 n. 4 c.p.c. come error in procedendo e solo se abbiano influito in modo determinante sul contenuto della decisione di merito, perché la norma processuale citata non tutela l’interesse alla astratta regolarità della decisione, quanto piuttosto l’eliminazione del pregiudizio al diritto di difesa della parte in conseguenza della lamentata violazione. Nulla avendo dedotto la parte al proposito, la conseguenza è l’inammissibilità del ricorso;
  2. quanto al secondo motivo, il mezzo è inammissibile perché non incide sulla ratio della decisione. Nel giudizio di merito il giudice dava atto che il provvedimento era stato consegnato all’interessato in copia conforma all’originale che era stato rammostrato alla parte: tale statuizione non era stata contestata deducendo la violazione delle norme disciplinanti le espulsioni o il vizio ex art. 360, n. 5, c.p.c. (omesso esame di un fatto decisivo), ma semplicemente era stata dedotta la violazione delle norme sul procedimento di autenticazione degli atti;
  3. anche la terza censura è stata dichiarata inammissibile perché, cogliendo solo una parte del decreto oggetto di gravame, la parte ha omesso di considerare che il giudice aveva posto a base della decisione la mancata contestazione da parte della straniera della mancata conoscenza della lingua italiana (all’atto della notifica del provvedimento) e non l’omessa traduzione dell’atto. Il ricorrente non avrebbe colto, e quindi adeguatamente contestato, la ratio decidendi del giudice di pace.
Obbligo del giudice di valutare la legittimità del decreto espulsivo solo con riferimento alla fattispecie contestata dall’amministrazione
A fronte di un decreto espulsivo motivato sotto il profilo dell’ingresso illegale (art. 13, co. 2, lett. a), d.lgs. 286/98) un giudice di pace, dopo avere accertato l’insussistenza dell’assunto principale (perché l’ingresso in Italia avvenne regolarmente), ha confermato la legittimità dell’espulsione sotto il diverso profilo dell’illegalità del soggiorno (art. 13, co. 2, lett. b), d.lgs. 286/98), non oggetto di contestazione da parte del prefetto. Il decreto è stato cassato e, decidendo nel merito la Corte ha annullato senza rinvio il decreto espulsivo (Cass. civ. sez. VI, ord. 9390 pubblicata il 16.4.2018).
 
Espulsione e termine per chiedere il ricongiungimento familiare sur place.
Il caso oggetto dell’ordinanza in commento è di particolare rilevanza pratica, anche se la decisione cui è pervenuta la Suprema Corte non pare del tutto convincente.
Un giudice di pace ha accolto il ricorso avverso l’espulsione di uno straniero sul presupposto che costui, essendo titolare di un permesso di soggiorno mai ritirato ma scaduto di validità da non più di un anno, potesse chiederne la conversione in permesso per motivi familiari ex art. 30, co. 1, lett. c), d.lgs. 286/98. Ricorre per cassazione il prefetto, chiedendo l’annullamento dell’impugnato decreto perché il ricorrente non avrebbe i requisiti per il ricongiungimento familiare, soggiornando in Italia regolarmente i genitori e la sorella, familiari che esulano dal novero di coloro con cui è possibile effettuare il ricongiungimento ai sensi dell’art. 29, d.lgs. 286/98, inoltre, non avendo lo straniero mai ritirato il permesso di soggiorno scaduto, non ne sarebbe mai stato in possesso.
La Corte (Cass. civ. sez. VI, ord. 5881, pubblicata il 12.3.2018) ritiene il ricorso manifestamente fondato perché al momento dell’adozione dell’espulsione lo straniero era privo di permesso di soggiorno, non aveva chiesto il rinnovo di quello scaduto e nemmeno aveva chiesto la conversione in permesso per motivi familiari. La conclusione è lapidaria: l’astratta riconducibilità del ricorrente nella fattispecie di cui all’art. 30, co. 1, lett. c), d.lgs. 286/98 è del tutto irrilevante poiché la pendenza del termine di un anno per la conversione non determina la sospensione della potestà espulsiva, se detta conversione non è stata richiesta. La soluzione non convince. A prescindere dal fatto che i familiari rientrino o meno nel catalogo dell’art. 29 cit. (cui si potrebbe dare un’interpretazione costituzionalmente orientata al lume della sentenza n. 202/2013 della Corte costituzionale) la previsione normativa del termine di un anno dalla scadenza del permesso di soggiorno originariamente posseduto per chiederne la conversione in motivi familiari parrebbe del tutto inutile se, nelle more, lo straniero fosse passibile di espulsione, né pare ragionevole sostenere che la conversone debba essere necessariamente richiesta prima del momento incertus an et quando in cui verrà adottata l’espulsione. Facendo così dipendere dal caso l’esercizio del diritto al ricongiungimento previsto dalla norma. Ad avviso di chi scrive si tratta di un’interpretazione abrogante dell’art. 30, co. 1, lett. c), d.lgs. 286/98, di cui si auspica un prossimo ripensamento da parte della Corte.
 
Guido Savio ha redatto la rassegna sulle espulsioni

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