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Fascicolo 1, Marzo 2019


«Rispetto all'irrazionale paura collettiva, nulla ha maggiore capacità di aggregazione (a buon mercato; e con il rischio di un populismo a sua volta aggregante) della minaccia di repressione penale: una risposta esemplare (tolleranza zero e risposte forti); simbolica (le leggi manifesto anche prescindendo dalla verifica dell'esistente normativo, magari mai attuato); emotiva (la repressione proclamata al di là e indipendentemente da ogni effettività di tutela). Fino ad arrivare ad elaborare un "diritto penale del nemico" che sostituisce il suo oggetto; quest'ultimo, in realtà, non è più il nemico, ma è l'emarginato sociale, l'escluso, lo straniero, il non cittadino in quanto tale, secondo categorie antropologiche che eccentriche rispetto alla finalità (il "nemico", appunto) risultano assai utili per esportare il conflitto sociale, individuando un soggetto esterno e così sublimando paura ed insicurezza sociale».

(G.M. Flick, I diritti fondamentali della persona alla prova dell’emergenza, in AA.VV., A tutti i membri della famiglia umana per il 60 anniversario della dichiarazione universale, Milano, Giuffrè, 2008, p. 263).

 

Rassegna di giurisprudenza italiana: Allontanamento e trattenimento

TRATTENIMENTO *
 
Misure alternative al trattenimento - inefficacia del provvedimento di allontanamento presupposto - legittimazione a stare in giudizio
Con la decisione 27692/2018 del 30/10/2018, la Corte di cassazione è intervenuta su una serie di questioni tra cui, in particolare, le misure alternative al trattenimento e l’inefficacia del provvedimento di allontanamento a loro fondamento a seguito dell’intervento della Corte EDU ex art. 39 del proprio regolamento.
 
La Corte ha ribadito che misure alternative al trattenimento indicate nell'art. 14, co. 1-bis, del d.lgs n. 286 del 1998, attengono alla fase dell'esecuzione coattiva dell'espulsione amministrativa e hanno, di conseguenza, la finalità, di garantire, mediante la graduazione della limitazione della libertà personale prevista dalla norma, l'attuazione dell'ordine di allontanamento dal territorio italiano. La convalida di esse, da parte dell'autorità giurisdizionale richiede il preventivo accertamento dell'esistenza di un provvedimento di espulsione dotato di efficacia esecutiva. Il sindacato del giudice della convalida è limitato all'esame delle condizioni che giustificano la misura attuativa ancorché possa estendersi alla valutazione dell'atto presupposto (provvedimento espulsivo) solo nel caso in cui esso sia manifestamente illegittimo e lo straniero possa qualificarsi inespellibile (Cass. 24415 del 2015). L'applicazione, da parte della Corte EDU, nel giudizio pendente a Strasburgo, dell'art. 39 del proprio regolamento determina con effetti vincolanti l'inefficacia dei provvedimenti di allontanamento a carico del ricorrente, e in particolare del decreto di espulsione che costituisce il fondamento legittimante di tutte le misure attuative. L'inefficacia sopravvenuta dell'espulsione deriva a sua volta dalla mancanza, anch'essa sopravvenuta, di un provvedimento efficace di diniego (revoca) della protezione sussidiaria.
La misura provvisoria della Corte EDU, emessa ex art. 39 del regolamento e avente efficacia vincolante, sospende tale efficacia, determinando la caducazione derivata di tutte le misure di esecuzione del provvedimento espulsivo, non soltanto di quelle caratterizzate dalla privazione integrale della libertà personale ma anche di quelle a contenuto restrittivo inferiore, in quanto anch'esse sono finalizzate esclusivamente all'allontanamento (e rimpatrio) coattivo del cittadino straniero e trovano giustificazione in un provvedimento presupposto (ordine di allontanamento, nel nostro ordinamento realizzato con il decreto di espulsione) efficace. Esse, pertanto, non possono essere sostenute soltanto da una finalità di prevenzione e di pubblica sicurezza. Qualsiasi restrizione della libertà personale deve fondarsi sugli specifici requisiti legali che la giustificano, così come stabilito nell'art. 13 Cost. Non può essere convalidato in sede giurisdizionale un provvedimento limitativo della libertà personale fuori del paradigma legale dei requisiti specifici che ne giustificano l'adozione, in funzione di un'esigenza immanente di prevenzione e di sicurezza. Questa specifica finalità può essere realizzata mediante le misure di prevenzione, le quali, tuttavia, pur avendo un contenuto in parte analogo a quelle indicate nell'art. 14, co. 1-bis, d.lgs n. 286 del 1998, possono essere disposte esclusivamente dal giudice penale all'esito di un procedimento in contraddittorio delle parti che accerti la sussistenza degli specifici requisiti contenuti nell'art. 1 del d.lgs. n. 159 del 2011. L'astratta compatibilità di tali ultime misure con l'espulsione amministrativa non elimina l'esigenza che sia integralmente rispettato, sia sotto il profilo dell'autorità giurisdizionale competente, sia sotto il profilo delle garanzie processuali, sia in particolare sotto il profilo del rispetto dei requisiti specifici previsti dalla legge, il principio di legalità che ne giustifica la legittima imposizione.
In conclusione la convalida di misure alternative al trattenimento in funzione preventiva e di tutela della pubblica sicurezza, configurerebbe un provvedimento radicalmente illegittimo, sia in ordine alle condizioni specificamente previste dalla legge, in assenza di un provvedimento espulsivo efficace, sia in relazione al più generale parametro dell'art. 13 Cost.
Nella medesima pronuncia la corte ha poi affermato che la legittimazione a stare in giudizio di cassazione nelle controversie relative all’espulsione e alla convalida del trattenimento e delle misure alternative spetta al ministero dell’interno; il ricorso deve essere notificato presso l’avvocatura generale dello Stato. Tra l'organo periferico ed il Ministero, dotato ex lege di legittimazione e rappresentanza esterna, ricorre una relazione gerarchica di sotto-ordinazione che esclude comunque la ricorrenza di un effettivo errore identificativo, incidente sulla legittimazione processuale e sostanziale della parte resistente. Permane, inoltre, l’interesse giuridicamente rilevante all'accertamento della legittimità o illegittimità del provvedimento di convalida del trattenimento nel C.I.E. o delle altre misure di esecuzione coattiva dell'espulsione (comprese le misure alternative al trattenimento), anche dopo la definitiva cessazione della sua efficacia.
 
Trattenimento del richiedente asilo - pericolosità sociale del richiedente asilo
Sulla legittimazione passiva nel giudizio di cassazione interviene anche la sentenza 27305/2018 del 26/10/2018 che ha ad oggetto principale il trattenimento del richiedente asilo.
Nella decisione in rassegna la Corte ribadisce che in tema di opposizione al decreto di convalida del provvedimento del Questore di espulsione con accompagnamento alla frontiera, il ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale va proposto esclusivamente nei confronti del Ministero dell'Interno, al quale la notificazione va, pertanto, effettuata presso l'Avvocatura generale dello Stato (Cass., 30/12/2013, n. 28749). Nel merito, la decisione afferma poi che nel giudizio di convalida del trattenimento disposto nei confronti del richiedente asilo ai sensi dell’art. 6, comma 3, D. Lgs. 142/2015, non rilevano le precedenti convalide e proroghe del trattenimento disposto ai sensi dell’art. 14 D. Lgs. 286/1998, né il superamento del termine massimo di trattenimento previsto per il caso di precedente detenzione dello straniero. La corte, nell’esaminare il quarto motivo di impugnazione, conferma implicitamente che il tribunale investito della richiesta di convalida del trattenimento del richiedente asilo deve considerare l’applicazione di misure alternative al trattenimento.
 
In tema di pericolosità sociale del richiedente asilo, la Corte di Cassazione 27739/2018 del 31/10/2018 ha affermato che la condanna a pena sospesa, che implica un giudizio prognostico favorevole basato sull’esclusione della pericolosità sociale, non può giustificare il trattenimento del richiedente asilo ai sensi dell’art. 6, comma 2, del D. Lgs. 142/2015.
 
Diritto di difesa - garanzie del contradditorio - motivazione del decreto del giudice di pace - incompatibilità del giudice della convalida e della proroga
In una serie di pronunce la Corte di Cassazione ha confermato la proprio costante giurisprudenza in materia di garanzie del contradditorio.
In Cass. 28423/2018 del 7/11/2018 la Corte ha affermato che il provvedimento giurisdizionale di convalida del trattenimento del cittadino straniero presso un centro d'identificazione ed espulsione, previsto dall'art. 14, quarto comma, del d.lgs. n. 286 del 1998, può essere assunto soltanto all'esito di un procedimento caratterizzato dall'audizione dell'interessato e dalla partecipazione necessaria del difensore alla udienza di convalida. Come afferma Cass. 29207/2018 del 13/11/2018, le medesime garanzie si applicano all’udienza di proroga del trattenimento.
 
Con ordinanza 1720/2019 del 23/01/2019, la Corte ha ribadito che è illegittimo il decreto del giudice di pace che convalidi il trattenimento dello straniero in assenza del difensore di fiducia tempestivamente nominato. La presenza dell'interessato e del suo difensore di fiducia all'udienza di convalida è essenziale al fine di consentire il pieno esercizio di difesa e il contraddittorio circa il provvedimento soggetto alla convalida in sede giudiziaria in considerazione della sua incidenza sul diritto alla libertà personale. Tali garanzie non possono ritenersi soddisfatte dalla presenza in udienza del difensore designato dal giudice di pace, cosicché la nullità insanabile del provvedimento di convalida del trattenimento travolge anche l’eventuale proroga del trattenimento.
 
In tema di motivazione del decreto di convalida del trattenimento è intervenuta la Cass. 33144/2018 del 21/12/018, secondo la quale è illegittimo il decreto del giudice di pace che convalida il trattenimento senza fornire motivazione sulle questioni dedotte dalla parte. La corte precisa che il potere decisorio si consuma con il provvedimento di convalida, che non può essere integrato con ulteriori motivazioni depositate con atto successivo (sia pure di pochi minuti).
 
Infine, con sentenza 29349/2018 del 14/11/2018, la corte ha affermato che la pretesa incompatibilità del giudice di pace investito della richiesta di proroga del trattenimento dello straniero, di cui lo stesso magistrato abbia già convalidato l’iniziale trattenimento, deve essere denunciata con istanza di ricusazione ex art. 52 cpc.
 
ESPULSIONE
Presenza di legami familiari in Italia
In tema di espulsione amministrativa prefettizia in presenza di legami familiari effettivi sul territorio nazionale, si registrano alcuni recenti arresti della Suprema Corte assai significativi, volti a definire l’ambito di operatività della clausola dei “legami familiari” nell’applicazione dell’art. 13, co. 2 bis, d.lgs. 286/98 dopo la sentenza n. 202/2013 della Corte costituzionale.
Con ord. 23957/2018 pubblicata il 2.10.2018, la Cassazione, I sez. civ. è stata sollecitata ad intervenire sulla rilevanza dei legami familiari nel giudizio di opposizione ad espulsione amministrativa disposta a seguito di rigetto di rilascio di permesso di soggiorno per motivi familiari. Il giudice di merito aveva rigettato il ricorso ritenendo che non sussistessero le condizioni previste dagli artt. 28 e 29 d.lgs. 286/98 per il riconoscimento del diritto al mantenimento dell’unità familiare. Osserva la Corte, in continuità con il suo consolidato orientamento, che l’art. 13, co. 2 bis, d.lgs. 286/98 costituisce un forte temperamento dell’automatismo espulsivo relativamente alle ipotesi espulsive motivate da irregolarità dell’ingresso e/o del soggiorno, imponendo di tener conto della natura ed effettività dei vincoli familiari, della durata del soggiorno dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il Paese di origine nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto all’unità familiare ovvero del familiare ricongiunto. Tale previsione normativa, che è stata introdotta dal d.lgs. 5/2007, recepisce l’orientamento della Corte EDU secondo cui non può aversi interferenza da parte di una pubblica autorità nell’esercizio del diritto alla vita privata e familiare a meno che non sia prevista dalla legge e sia necessaria per la sicurezza nazionale, pubblica e per la prevenzione dei reati. Ai sensi della Direttiva 2008/115/CE la decisione di rimpatrio deve essere adottata «caso per caso» previa attenta considerazione della situazione personale dell’espellendo al fine di tenere nella debita considerazione la vita familiare sicché l’organo decisore (sia amministrativo che giudiziario) è tenuto ad effettuare un corretto bilanciamento tra l’interesse pubblico connesso al controllo del fenomeno migratorio e quello privato volto alla tutela del diritto alla salute ed al rispetto della vita privata e familiare. A seguito della sentenza 202/2013 della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 5, co. 5, d.lgs. 286/98 nella parte in cui prevede che la valutazione discrezionale ivi prevista si applichi solo a chi ha effettuato il ricongiungimento familiare e non anche a chi abbia legami familiari in Italia, ancorché non si trovi nelle condizioni di esercitare la procedura per il ricongiungimento familiare i principi in essa contenuti si estendono anche all’interpretazione dell’art. 13, co. 2-bis, d.lgs. 286/98. Consegue che è cassato il provvedimento che rigetta l’opposizione all’espulsione che omette di valutare l’esistenza di legami familiari anche se non è stata esperita la procedura prevista per il ricongiungimento familiare. Inoltre, osserva la Corte che il giudice è tenuto ad operare il bilanciamento tra le esigenze statuali ed il diritto dello straniero alla vita privata e familiare in ossequio all’obbligo imposto dalla Direttiva 2008/115/CE e dall’art. 8 CEDU di interpretare le fattispecie espulsive di cui all’art. 13, d.lgs. 286/98 previa valutazione caso per caso, prescindendo da ogni automatismo espulsivo.
 
Altra decisione sullo stesso tema merita particolare menzione. Si tratta della sentenza n. 781/2019, sempre della I^ sezione, pubblicata il 15.1.2019. La Corte, dopo avere precisato che l’obbligo di «tenere anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno del territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese di origine» è previsto sia dall’art. 5, co. 5, d.lgs. 286/98 in tema di rifiuto di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno che dal citato art. 13, co. 2-bis, per lo straniero che avesse esercitato il diritto al ricongiungimento familiare secondo la procedura di cui all’agli artt. 29 ss. d.lgs. 286/98 o per il familiare ricongiunto, osserva che nella giurisprudenza di legittimità, creatasi a proposito della prima delle fattispecie citate, la clausola di salvaguardia della coesione familiare non poteva trovare applicazione al di fuori della operatività dell’art. 29 TU, cioè limitatamente ai rapporti di parentela per cui è previsto l’istituto del ricongiungimento familiare. È in questo quadro normativo che è intervenuta la sentenza n.202/2013 della Consulta, cui s’è fatto cenno nel paragrafo precedente, il cui dictum trova applicazione in entrambe le fattispecie stante l’identità letterale delle due disposizioni. Tuttavia, ad avviso della Corte, restano dubbi in ordine al contenuto prescrittivo e alla effettiva efficacia ostativa alla espulsione della nozione dei «legami familiari», stanti diversi orientamenti giurisprudenziali.
Secondo la giurisprudenza amministrativa, formatasi in relazione all’art. 5, co. 5, i legami familiari rilevanti debbono corrispondere a quelli che consentirebbero il ricongiungimento familiare, al fine di non discriminare tra coloro che hanno effettuato il ricongiungimento e coloro che non hanno avuto necessità di ricorrere a quella procedura perché il nucleo familiare era già costituito o ricostituito. In tal caso, però, deve ricorrere la clausola prevista per la coesione familiare della disponibilità di un reddito minimo idoneo al sostentamento del nucleo familiare (quantificato in misura non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, aumentato della metà per ogni familiare da ricongiungere, ex art. 29, co. 3, lett. b), d.lgs. 286/98). In buona sostanza trovano applicazione tutti i criteri previsti per il ricongiungimento familiare, con la conseguenza che esulano dall’obbligo di valutazione sia i legami che non rientrano tra quelli indicati nell’art. 29, co. 1 TU che i casi in cui comunque difettino gli altri requisiti previsti dalla legge per poter effettuare il ricongiungimento.
Secondo la Cassazione, tale approdo della giurisprudenza amministrativa non convince perché svaluta l’intervento additivo della sentenza della Consulta che riscrive l’art. 5, co. 5 cit. nel senso di valutare anche se lo straniero abbia legami familiari in Italia, indipendentemente dalle condizioni che gli darebbero titolo per ottenere il ricongiungimento ai sensi del citato art. 29 TU. Inoltre, l’interpretazione restrittiva della giurisprudenza amministrativa non terrebbe conto di un passaggio fondamentale della sentenza n. 202/2013, che integramente si riporta: «la tutela della famiglia e dei minori assicurata dalla Costituzione implica che ogni decisione sul rilascio o sul rinnovo del permesso di soggiorno di chi abbia legami familiari in Italia debba fondarsi su una attenta ponderazione della pericolosità concreta ed attuale dello straniero condannato, senza che il permesso di soggiorno possa essere negato automaticamente, in forza del solo rilievo della subita condanna per determinati reati. Nell’ambito delle relazioni interpersonali, infatti, ogni decisione che colpisce uno dei soggetti finisce per ripercuotersi anche sugli altri componenti della famiglia e il distacco dal nucleo familiare, specie in presenza di figli minori, è decisione troppo grave perché sia rimessa in forma generalizzata e automatica a presunzioni di pericolosità assolute, stabilite con legge, e ad automatismi procedurali, senza lasciare spazio ad un circostanziato esame della situazione particolare dello straniero interessato e dei suoi familiari … ad analoghe considerazioni conduce anche l’esame dell’art. 8 della CEDU, come applicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, pure evocato a parametro interposto del presente giudizio ai sensi dell’art. 117, co. 1, Cost.».
Tuttavia, la sentenza in commento dà atto di come l’interpretazione estensiva della Cassazione lasci margini di incertezza applicativa circa la nozione di legame familiare ai fini dell’operatività della clausola della coesione familiare e, all’uopo, fornisce ampia disamina ricognitiva, per giungere a importanti precisazioni ordine sistematico.
La Corte richiama la propria giurisprudenza secondo cui l’espulsione dello straniero irregolare è un provvedimento vincolato, non sindacabile dal giudice ordinario. Aggiunge che la clausola che impone di valutare i legami familiari, pur posta a presidio del divieto di automatismi espulsivi, non può impingere il bilanciamento tra i valori in campo (necessità del controllo delle frontiere e dei flussi migratori e tutela dei diritti delle persone) che resta nella esclusiva disponibilità del legislatore (come peraltro ribadito in più occasioni dalla giurisprudenza costituzionale). Afferma, in conclusione, un articolato principio di diritto secondo cui a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 202/2013 l’art. 13, co. 2-bis, d.lgs. 286/98 si applica anche allo straniero che abbia legami familiari in Italia, ancorché non sia nelle condizioni di ricorrere alla procedura del ricongiungimento familiare, a condizione che detti legami siano soggettivamente qualificati ed effettivi che debbono essere oggetto di verifica da parte del giudice (e della P.A.) sulla base di specifici elementi quali, a titolo esemplificativo, l’esistenza di un rapporto di coniugio, la durata del matrimonio, la nascita di figli e la loro età, la convivenza, la dipendenza economica: debbono quindi essere legami familiari “qualificati”, in assenza dei quali gli altri parametri suppletivi, pur previsti dal citato art. 13, co. 2 bis, inerenti la durata del soggiorno e l’esistenza di legami familiari, culturali e sociali con il Paese di origine non debbono essere autonomamente valutati.
Pare di poter affermare che, con questa sentenza, la Cassazione abbia inteso porre un argine ad applicazioni troppo lasche della sussistenza dei legami familiari, cercando un punto equilibro tra la giurisprudenza amministrativa (formalmente restrittiva) e la (teoricamente possibile) valorizzazione di legami familiari non effettivi, sia pure tenendo conto della rilevante portata della sentenza n. 202/2013 della Consulta e della giurisprudenza relativa all’interpretazione dell’art. 8 CEDU.
 
Divieti di espulsione prefettizia
Il cittadino straniero, convivente con parente entro il secondo grado cittadino italiano per naturalizzazione, non può essere espulso per motivi di pericolosità sociale (art. 19, co. 2, lett. c), d.lgs. 286/98), ed ha diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per coesione familiare. È quanto ribadisce Cass. civ. sez. VI, n. 29505/2018 pubblicata il 16.11.2018, che richiama il consolidato orientamento secondo cui il divieto di espulsione dello straniero convivente con il coniuge o il familiare entro il secondo grado di nazionalità italiana può essere derogato solo nelle ipotesi di espulsione disposta ai sensi dell’art. 13, co. 1, d.lgs. 286/98 (espulsione ministeriale per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato, ovvero per motivi di prevenzione del terrorismo, anche internazionale).
 
Effetti della revoca del decreto espulsivo in autotutela
Nelle more della decisione di un ricorso per cassazione ove si lamentava l’omessa valutazione della sussistenza di legami familiari ai sensi dell’art. 13 bis, d.lgs. 286/98, si costituiva in giudizio l’amministrazione intimata dando atto di avere annullato il provvedimento di espulsione in autotutela avendo riconosciuto al ricorrente un presso di soggiorno. La Corte, con ordinanza n. 27740/2018 osserva che il rilascio di un titolo di soggiorno rende inefficace il pregresso decreto di espulsione, ormai divenuto ineseguibile, essendo la posizione giuridica dell’interessato ora regolata dal permesso di soggiorno conseguito e, per l’effetto, decidendo la causa nel merito non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, cassa il decreto impugnato liquidando le spese a favore del ricorrente tanto per il giudizio di legittimità, quanto per quello di merito.
 
Aspetti procedurali: omessa pronuncia vs. violazione di legge
Nel ricorso per cassazione, la censura non affrontata dal giudice di merito (nella specie non avere valutato una condizione d’inespellibilità) deve essere criticata mediante censura di nullità della decisione per omessa pronuncia sul motivo di opposizione, e non mediante il vizio di violazione di legge, poiché tale vizio presuppone che la questione sia stata affrontata e risolta in modo non conforme al diritto. Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c. deve esser articolato in specifici motivi riconducibili ad una delle cinque ragioni d’impugnazione, sicché a fronte di una nullità della decisione per omessa valutazione di una censura, è inammissibile il ricorso che abbia dedotto la violazione di legge. Così ha deciso Cass. civ. sez. I, sent. n. 28115/2018 pubblicata il 5.11.2018.
 
Aspetti procedurali: il rispetto della regola dell’autosufficienza del ricorso per cassazione
Cass. civ. sez. VI, ord. 33147/2018, pubblicata il 21.12.2018, ha precisato che sicuramente il decreto di espulsione dello straniero avente figli minori che si trovano in Italia e che ha omesso di chiedere al tribunale per i minorenni il rinnovo dell’autorizzazione al soggiorno per gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico degli stessi (art. 31, co. 3, d.lgs. 286/98), è illegittimo per violazione della clausola di salvaguardia di cui all’art. 5, co. 5 TU, qualora non contenga alcun riferimento ai motivi per cui non è stata presa in considerazione la sua situazione familiare (principio già espresso da Cass. civ. sez.VI, ord. n. 3004/2016). Tuttavia occorre che in sede di ricorso per cassazione la deduzione di tali ragioni sia svolta nel rispetto dei principi di autosufficienza del ricorso e debbono essere allegati i documenti che ne costituiscono il supporto probatorio, pena l’inammissibilità del ricorso. Questa decisione è rilevante perché mostra come un ricorso in astratto fondato, è dichiarato inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.
 
Aspetti procedurali: sulla forma degli atti ablativi notificati
Il Ministero dell’interno ricorre per cassazione avverso un ordinanza di un giudice di pace che aveva dichiarato nullo un decreto di espulsione del prefetto e del conseguente ordine questorile di allontanamento perché notificati all’interessato in copia semplice, lamentando la violazione della disciplina del Codice dell’amministrazione digitale, in tema di trasmissione di atti informatici, e per non avere considerato la normativa in tema di validità dell’atto amministrativo, che esclude la notificazione tra i vizi che lo invalidano. Cass. civ. sez. VI, ord. 32067/2018 pubblicata il 12.12.2018 rigetta il ricorso riaffermando il consolidato indirizzo secondo cui il provvedimento prefettizio è nullo se all’espellendo è consegnata una mera copia priva della necessaria attestazione di conformità all’originale. Il richiamo all’art. 21-octies l. 241/90 relativo all’annullabilità dell’atto amministrativo non è pertinente posto, che l’orientamento della Corte sanziona con la nullità il provvedimento di espulsione in ragione del vizio della procedura comunicatoria.
 
Ad analoghe conseguenze non si giunge in tema di notifica di un decreto di respingimento immediato alla frontiera (art. 10, co. 1, d.lgs. 286/98). Questa la vicenda: il Ministero dell’interno ricorre per cassazione avverso un’ordinanza di un giudice di pace che aveva dichiarato illegittimo un decreto di respingimento immediato disposto dalla Polizia di frontiera di Malpensa perché non corredato dalla necessaria attestazione di conformità all’originale, osservando che tale attestazione, al pari di quella prevista per il decreto di espulsione, costituisce un requisito di esternazione essenziale ai fini della validità del provvedimento. Invero, il d.lgs. 286/98 non prevede alcuna distinzione tra le modalità di formazione e comunicazione dei due provvedimenti. Il Ministero ricorrente denuncia falsa applicazione dell’art. 10 TU e del regolamento 2016/399/CE (Codice delle frontiere Schengen).
Con ordinanza n. 283/2019 pubblicata il 9.1.2019, la Corte di cassazione, sez. 1, accoglie il ricorso sulla scorta dei seguenti argomenti. L’art. 3, co. 3, d.p.r. 394/1999 prescrive le forme comunicative dei provvedimenti di respingimento (al pari di quelli di espulsione, di diniego o diniego di rinnovo del permesso di soggiorno). Tuttavia tale disposizione è stata modificata a seguito del Regolamento 2016/399/CE che, nell’abolire i controlli di frontiera sulle persone che attraversano i confini interni dell’Unione e nell’introdurre un regime comune sulle persone che attraversano le frontiere esterne, all’art. 14 §2 ha stabilito che il provvedimento di respingimento è notificato a mezzo del modello uniforme, allegato al Regolamento stesso, compilato dall’autorità competente a disporre il respingimento, consegnato all’interessato che ne accusa ricevuta a mezzo del medesimo modello. Tale modulo è redatto in almeno tre esemplari: uno resta nella disponibilità dell’amministrazione che l’ha compilato, un secondo resta allo straniero respinto, mentre il terzo viene consegnato al vettore che ha condotto lo straniero nello Stato membro e che ha l’obbligo di ricondurlo donde è venuto. Risulta pertanto evidente che tutti i tre modelli sono identici tra loro, sicché sono tutti “originali” e non si ravvisa più la necessità dell’attestazione di conformità prima prevista.
Ovviamente questo nuovo orientamento vale solo per il respingimento immediato, che è disciplinato dal Codice delle frontiere Schengen, e non anche per quello differito e per le espulsioni, le cui modalità comunicative restano disciplinate dalla norma nazionale.
 
* Sebbene la rassegna sia stata discussa e condivisa in ogni sua parte da entrambi gli autori, Enrica Rigo ha materialmente redatto la sezione sul trattenimento e Guido Savio quella sull’espulsione

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