La rassegna relativa agli artt. 2-3 è di M. Balboni; la rassegna relativa agli artt. 5-4, Prot. 4 è di C. Danisi.
- Marco Balboni, Carmelo Danisi
Rassegna di giurisprudenza europea: Corte europea dei diritti umani
Artt. 2 e 3: Diritto alla vita e divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti
Il caso M.A. e altri c. Bulgaria (Corte Edu, sentenza del 20.02.2020) riguarda cinque richiedenti asilo cinesi uiguri che temevano, in ragione della loro origine etnica, violazioni degli artt. 2 e 3 Cedu se allontanati in Cina.
Dopo aver vissuto in Turchia, i ricorrenti erano arrivati in Bulgaria dove le autorità competenti rigettavano le loro domande di asilo non ritenendo sussistenti, o quantomeno non specifici ed individuali, i rischi da essi lamentati. Poco dopo, a causa dei contatti rilevati tra i ricorrenti e una sospetta associazione terroristica, l’East Turkistan Islamic Movement, ne veniva ordinato l’allontanamento per il pericolo da loro posto alla sicurezza nazionale. Nell’esaminare il caso rispetto a solo tre ricorrenti, la Corte Edu nota che la situazione degli Uiguri in Cina desta particolare preoccupazione a livello internazionale con numerosi fonti che riportano arresti e sparizioni arbitrari, torture, maltrattamenti, rieducazioni forzate e, perfino, omicidi (cfr. Comitato delle Nazioni Unite sull’eliminazione della discriminazione razziale, Concluding observations on China’s combined fourteenth to seventeenth periodic reports, Agosto 2018, doc. CERD/C/CHN/ CO/14-17; Home Office del Regno Unito, Country Policy and Information Note on “China: Opposition to the state”, Novembre 2018; Dipartimento di Stato degli USA, 2018 Country Report on Human Rights Practices in China, Marzo 2019). Simili trattamenti sono riservati anche agli Uiguri che vengono allontanati verso la Cina. Pertanto, tenuto conto anche delle carenze dell’ordinamento bulgaro rispetto alla valutazione dei rischi lamentati dai ricorrenti e all’esecuzione degli allontanamenti, per la Corte Edu sussistono motivi di ordine generale e individuale, quali individui sospettati di terrorismo per legami con associazioni rivolti a Ugiuri, per ritenere che essi possano essere esposti in Cina a trattamenti vietati dagli artt. 2 e 3 Cedu. Il loro allontanamento darebbe quindi luogo alla violazione di tali disposizioni.
Con il caso A.S.N. e altri c. Paesi Bassi (Corte Edu, sentenza del 25.02.2020) cinque cittadini afghani di religione Sikh, le cui domande di asilo erano state rigettate per mancanza di credibilità, lamentavano una violazione del diritto alla vita e del divieto di tortura nel caso in cui venissero allontanati in Afghanistan. Ritenendo appropriato esaminare il caso solo sotto il profilo dell’art. 3 Cedu, la Corte Edu ricorda innanzitutto come la situazione generale in Afghanistan non sia così grave che ogni allontanamento comporterebbe una violazione della Cedu. Inoltre, essa nota come i Sikh costituiscano effettivamente una minoranza emarginata in Afghanistan (cfr., tra gli altri, EASO, Country Guidance: Afghanistan, 2019; Home Office del Regno Unito, Country Policy and Information Note “Afghanistan: Hindus and Sikhs”, Maggio 2019), tanto da subire limitazioni significative rispetto alla loro libertà di religione, nonché abusi e discriminazioni in svariati ambiti, compreso nel lavoro e nell’istruzione. Ciononostante, dalle stesse fonti emergono alcuni miglioramenti come il tentativo delle autorità afghane di migliorare l’accesso dei Sikh ai servizi essenziali o rispetto all’istruzione, con l’apertura di una scuola dedicata parzialmente finanziata con risorse pubbliche a Kabul. Ciò fa dire alla Corte Edu che i Sikh non sono sistematicamente esposti a torture o altri maltrattamenti ma che tale rischio dipenda piuttosto dalle circostanze personali (cfr. anche Corte Edu, A.A. c. Svizzera, 5.11.2019, in questa Rivista, XXII, 1, 2020). Venendo proprio alla situazione dei ricorrenti, la Corte ricorda come le autorità nazionali siano meglio situate per verificare la credibilità in questi contesti (cfr. Corte Edu, Grande Camera, F.G. c. Svezia, 23.03.2016, in questa Rivista, XIX, 1, 2017) e, nel caso dei ricorrenti, le autorità olandesi avevano condotto un esame rigoroso, a più livelli, del resoconto degli eventi che sarebbero accaduti in Afghanistan prima del loro arrivo in Europa. Quanto al rischio di subire maltrattamenti futuri, la Corte focalizza l’attenzione sia sul fatto che i ricorrenti siano adulti e in buona salute sia sulla presunta non ostilità della popolazione mussulmana e delle autorità afghane nei confronti dei Sikh, anche alla luce dei miglioramenti sopra menzionati. Pertanto, anche se i ricorrenti subissero discriminazioni una volta allontanati, non si può affermare che questi trattamenti raggiungano una severità tale da farli rientrare tra quelli vietati dall’art. 3 Cedu. Quindi, secondo la Corte Edu, nel loro caso l’allontanamento non darebbe origine a una violazione di tale disposizione.
In D. e altri c. Romania (Corte Edu, sentenza del 14.01.2020) un cittadino iracheno con moglie e tre figli cittadini rumeni lamentavano una violazione degli artt. 2 e 3 Cedu nel caso in cui il primo venisse allontanato in Iraq. In seguito ad alcune condanne per aver favorito l’ingresso in Romania di persone sospettate di aver legami con Al Qaeda, il sig. D. veniva ritenuto un pericolo per la sicurezza nazionale e trattenuto in attesa di allontanamento, con contestuale divieto temporaneo di re-ingresso in Romania. Anche la sua domanda di protezione internazionale veniva rigettata. Per i giudici interni i rischi lamentati dal primo ricorrente, tra cui la possibilità di essere condannato a morte in Iraq per terrorismo, non erano stati sufficientemente provati. Nè vi erano impedimenti all’allontanamento legati alla sua vita familiare tenuto conto che il sig. D. aveva divorziato dalla moglie, la quale aveva anche ottenuto l’affidamento esclusivo dei figli. La Corte Edu osserva innanzitutto come la situazione del primo ricorrente sia stata adeguatamente esaminata dalle autorità interne, in particolare nell’ambito della valutazione della domanda di asilo. Esse avevano puntualmente verificato come l’Iraq non processi nuovamente o applichi la pena di morte a persone già condannate all’estero per reati legati al terrorismo internazionale. Se tale situazione non appariva mutata rispetto alla data in cui la Corte Edu ha esaminato il caso, la Corte nota altresì che le circostanze individuali del sig. D. non lo espongono a rischi particolari in caso di allontanamento. Oltre a essere stato condannato sostanzialmente per favoreggiamento all’immigrazione clandestina e non per terrorismo, il primo ricorrente non ha fornito prove che l’Iraq non rispetti il principio del non bis in idem o che le autorità irachene siano in qualche modo interessate nei suoi confronti. Pertanto, ritenuta ragionevole la conclusione cui erano giunte le autorità rumene (in senso contrario, ad es., Corte Edu, 14.11.2019, N.A. c. Finlandia, in questa Rivista, XXII, 1, 2020), per la Corte Edu l’allontanamento del sig. D. non darebbe origine a una violazione degli artt. 2 e 3 Cedu. Tenuto conto che le autorità interne avevano anche esaminato la presunta violazione dell’art. 8 Cedu in caso di allontanamento alla luce dei criteri stabiliti nella giurisprudenza della Corte (Corte Edu, 6.06.2013, Uner c. Svizzera, in questa Rivista, XV, 2, 2013, p. 89), specie rispetto alla gravità dei reati commessi, all’assenza di particolari legami tra il primo ricorrente e la sua famiglia e dalla mancata produzione di elementi da parte dei ricorrenti sufficienti a contestare le decisioni interne, la Corte Edu ha rigettato questa parte del ricorso come manifestamente infondata (come pure quella relativa alla presunta violazione dell’art. 6 Cedu per aspetti legati al suo processo penale). Tuttavia, poiché il primo ricorrente non ha avuto accesso a un mezzo di ricorso avente carattere sospensivo per lamentare i rischi di violazione degli artt. 2 e 3 Cedu, vi è stata comunque una violazione dell’art. 13 Cedu letto in combinato al diritto alla vita e al divieto di tortura.
Il caso B.L. e altri c. Francia (Corte Edu, decisione del 9.1.2020) riguarda richiedenti asilo che, arrivati in Francia, non avevano avuto accesso a misure di accoglienza tanto da essere costretti a stabilirsi in alcuni campi di fortuna in condizioni che avrebbero, a loro avviso, originato violazioni degli artt. 3 e 8 Cedu. Dopo aver radiato dal ruolo quasi tutti i ricorsi per mancanza di contatti tra i ricorrenti e il loro avvocato, la Corte Edu esamina il caso della prima ricorrente che aveva lamentato una violazione dell’art. 3 notando come essa abbia fornito indicazioni vaghe sulle effettive condizioni di vita in questi campi di fortuna e, comunque, di essere stata presa successivamente in carico da un’associazione. In tali circostanze, la Corte Edu non può ritenere che il trattamento riservato alla ricorrente abbia raggiunto il livello di gravità richiesto per applicare l’art. 3 Cedu e, pertanto, ha rigettato il ricorso come manifestamente infondato.
Art. 5: Diritto alla libertà e alla sicurezza
Il caso Bilalova e altri c. Polonia (Corte Edu, sentenza del 26.03.2020) riguarda una cittadina russa e i suoi cinque figli provenienti dalla Cecenia che, dopo aver visto negata ogni forma di protezione internazionale e essere stati trasferiti in Polonia ai sensi del Regolamento Ue “Dublino II”, venivano trattenuti in un centro per stranieri in vista del loro allontanamento. Prima di essere allontanati, i ricorsi volti a far valere l’illeggittimità del trattenimento, specialmente per la mancata considerazione dell’interesse dei minori coinvolti, veniva rigettati. La Corte Edu ha preso innanzitutto atto che lo Stato convenuto e i ricorrenti avevano raggiunto un regolamento amichevole circa la lamentata violazione dell’art. 8 Cedu, in ragione della mancata individuazione di alternative al trattenimento subito. Dopo aver ritenuto manifesta infondata la parte del ricorso relativa alla lamentata violazione dell’art. 3 Cedu, per la mancata dimostrazione del raggiungimento della soglia di severità richiesta da tale disposizione, la Corte Edu si concentra sulla presunta violazione del diritto alla libertà e alla sicurezza personale generata dalla decisione delle autorità polacche di prolungare il trattenimento. A tal fine, la Corte nota come, nonostante il trattenimento fosse previsto dalla legge e fosse avvenuto in condizioni materiali del tutto soddisfacenti (diversamente, ad es., da Corte Edu, 28.02.2019, Khan c. Francia, in questa Rivista, XXI, 2, 2019; 24.05.2018, N.T.P. e altri c. Francia, in questa Rivista, XX, 3, 2018; 21.06.2018, S.Z. c. Grecia, in questa Rivista, XX, 3, 2018), i minori erano pur sempre stati privati della loro libertà e mantenuti in una struttura simile a un istituto penitenziario per una durata significativa, pari a oltre cinque mesi. Peraltro, le autorità interne non avevano dato prova nè di aver profuso ogni sforzo per identificare un’alternativa ragionevole al trattenimento nè di aver agito con la dovuta diligenza per limitare il periodo di privazione della libertà a quanto strettamente necessario allo scopo perseguito. Pertanto, nei confronti dei ricorrenti minori, vi è stata una violazione dell’art. 5 Cedu.
In Jeddi v. Italy (Corte Edu, sentenza del 9.01.2020) la Corte ha esaminato la presunta violazione dell’art. 5 Cedu lamentata da un cittadino tunisino, giunto in Italia nel 2011, al quale veniva riconosciuto dal Tribunale di Napoli il diritto a un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Prima di ottenere tale permesso, però, il ricorrente raggiungeva la Svizzera da dove, ai sensi del Regolamento Ue “Dublino”, veniva nuovamente trasferito in Italia. Giunto a Milano, veniva trattenuto in un CIE in vista del suo allontanamento. Dinanzi i giudici italiani, il ricorrente aveva lamentato il fatto che l’ordine di trattenimento era stato adottato senza una previa verifica della sua situazione personale, in particolare della titolarità a ricevere un permesso di soggiorno. Condividendo le argomentazioni dei giudici interni, la Corte Edu nota come, oltre a essere fuggito clandestinamente in Svizzera prima di ottenere l’esecuzione della decisione del Tribunale di Napoli, il ricorrente stesso fosse tenuto a dimostrare, al suo arrivo a Milano, un titolo di soggiorno valido. Mentre il trattenimento appariva necessario data la situazione personale del sig. Jeddi, non essendo in grado di dimostrare la sua identità e avendo fornito riferimenti vaghi su quanto era accaduto precedentemente in Italia, la buona fede delle autorità italiane era dimostrata dal suo rilascio immediato, dopo 14 giorni di trattenimento, un volta ottenuta copia della decisione del Tribunale di Napoli. Pertanto, non potendosi ritenere arbitrario, per la Corte Edu il trattenimento del ricorrente non ha dato origine a una violazione dell’art. 5, para. 1, Cedu.
Art. 8: Diritto al rispetto della vita privata e familiare
In Makdoudi c. Belgio (Corte Edu, sentenza del 18.02.2020) un cittadino tunisino veniva allontanato nel suo Paese di origine in seguito a varie condanne per reati gravi. Nonostante i legami familiari stabiliti in Belgio dopo il riconoscimento di una minore come sua figlia, il ricorrente vedeva rigettati tutti i suoi ricorsi in quanto, per i giudici interni, l’allontanamento non era una misura sproporzionata rispetto a esigenze familiari ritenute non provate. Dopo aver ricordato come si possa stabilire una vita familiare anche in assenza di coabitazione e in seguito a riconoscimento, anche tardivo, di un minore al di fuori del matrimonio, la Corte Edu ritiene che il sig. Makdoudi abbia subito, attraverso l’allontanamento, un’interferenza nel godimento del suo diritto al rispetto per la sua vita familiare. Essendo tale interferenza prevista dalla legge e volta a perseguire un obiettivo legittimo, come la difesa dell’ordine pubblico, la Corte concentra il suo esame sulla necessità dell’allontanamento in una società democratica. A tal fine, essa nota come nell’ambito dei ricorsi interni non sia stato effettuato un vero e proprio bilanciamento tra gli interessi collettivi e gli interessi del ricorrente. In assenza di argomentazioni specifiche e sufficientemente circostanziate, basate sui criteri stabiliti dalla stessa Corte Edu (Corte Edu, 6.06.2013, Uner c. Svizzera, in questa Rivista, XV, 2, 2013, p. 89), per quest’ultima vi è stata una violazione dell’art. 8 Cedu. Inoltre, nel caso del sig. Makdoudi, vi è stata anche una violazione dell’art. 5, para. 4, Cedu poiché il ricorrente non ha avuto a disposizione un mezzo di ricorso effettivo per far valere l’illegittimità di una delle detenzione subite e, di conseguenza, di ottenere la sua liberazione in tempi rapidi.
Con il caso Hudorovič e altri c. Slovenia (Corte Edu, sentenza del 10.03.2020), la Corte Edu viene chiamata dai ricorrenti, tutti di origine Rom e residenti in campi situati in alcune periferie cittadine, a stabilire se lo Stato convenuto avesse violato varie disposizioni della Cedu per non aver posto in essere le infrastrutture necessarie volte a garantire loro un eguale accesso a servizi pubblici essenziali, quali acqua potabile e raccolta rifiuti. In particolare, se il governo sloveno riteneva di aver fatto quanto possibile per assicurare tale accesso, per i ricorrenti le misure adottate dalle autorità pubbliche risultavano inadeguate. Ritenendo che il caso sollevasse aspetti rilevanti sotto il profilo degli artt. 8 e 14 Cedu, la Corte Edu afferma che, per quanto l’accesso all’acqua potabile non è protetto come tale dal diritto al rispetto per la vita privata, un prolungato periodo senza accesso all’acqua potabile può comunque avere un impatto sulla salute e sulla dignità personale tale da incidere sul diritto di cui all’art. 8 Cedu. Pertanto in talune situazioni, alla luce delle circostanze individuali, come l’appartenenza a un gruppo minoritario, e delle condizioni economiche e sociali generali, uno Stato parte può essere chiamato a osservare obblighi positivi anche in materia di accesso a servizi di pubblica utilità, pur in presenza di un ampio margine di apprezzamento. Tenuto conto che la Slovenia dimostra di essere consapevole della particolare condizione vissuta dalla minoranza Rom, tanto da prevedere strategie e programmi specifici per migliorare la loro condizione di vita, la Corte Edu osserva come i ricorrenti non versano in condizioni di estrema povertà ma, al contrario, ricevono adeguati benefici sociali che permettevano loro di avviare iniziative private per migliorare le loro condizioni di vita. Inoltre, le autorità locali avevano cercato soluzioni pratiche, come l’acquisto di grandi serbatoi e l’invio periodico di acqua, per permettere loro l’accesso all’acqua potabile, che talora rimaneva impossibile per comportamenti o scelte imputabili agli stessi ricorrenti e non allo Stato convenuto. Infine, il sig. Hudorovič e gli altri non avevano avanzato informazioni sufficienti che potessero far pensare che le autorità dessero priorità nell’accesso ai servizi a zone abitate da comunità non Rom, nè avevano sostenuto che le misure adottate avessero messo in pericolo la loro salute. Pertanto, in assenza di conseguenze significative rispetto al nucleo essenziale del diritto di cui all’art. 8 Cedu, nel caso dei ricorrenti non vi è stata violazione di tale disposizione o del divieto di discriminazione (art. 14 Cedu) letto in combinato con l’art. 8. Infine, anche assumendo che l’art. 3, letto isolatamente o in combinato con l’art. 14 Cedu, risulti applicabile in una situazione siffatta (cfr. Corte Edu, Grande Camera, 21.01.2011, M.S.S. c. Belgio e Grecia, in questa Rivista, XIII, 2, 2011, p. 111), non vi è stata violazione di tale disposizione nel caso dei ricorrenti.
Art. 2, Protocollo 4: libertà di circolazione e diritto di lasciare il proprio Paese
Il caso Torresi c. Italia (Corte Edu, decisione del 16.01.2020) riguarda un cittadino italiano che non aveva ricevuto il passaporto a causa del mancato consenso della moglie, alla quale non versava quanto pattuito per il mantenimento delle loro figlie dopo una separazione di fatto. Per parte dei giudici intervenuti nell’ambito dei ricorsi presentati dal sig. Torresi, il mancato rilascio del passaporto risultava giustificato anche sulla base dell’interesse delle figlie poiché una volta stabilitosi in Cina, dove aveva una nuova famiglia, sarebbe stato difficile ottenere gli assegni alimentari non corrisposti. Qualificando il rifiuto di rilasciare un passaporto come un’interferenza nel godimento del diritto di lasciare il proprio Paese, protetto dall’art. 2, para. 2, del quarto Protocollo addizionale alla Cedu, la Corte Edu nota come siffatta interferenza, oltra a essere prevista dalla legge interna, avesse lo scopo di tutelare gli interessi delle figlie del ricorrente. Quanto alla necessità di tale misura in una società democratica, la Corte concentra l’attenzione sul periodo relativamente breve in cui il ricorrente aveva subito la restrizione della sua libertà di circolazione e sulla valutazione periodica assicurata dai giudici interni circa la necessità e la proporzionalità di tale limitazione, che era venuta meno al raggiungimento di un accordo con la ex moglie. Pertanto, ritenendo il ricorso del sig. Torresi manifestamente infondato, la Corte Edu lo ha dichiarato inammissibile.
Art. 4, Protocollo 4: divieto di espulsioni collettive
Con N.D. e N.T. c. Spagna (Corte Edu, Grande Camera, sentenza del 13.02.2020), la Grande Camera è chiamata a pronunciarsi sulla presunta violazione del divieto di espulsioni collettive, sancito dall’art. 4 del quarto Protocollo addizionale alla Cedu, lamentata da due migranti provenienti rispettivamente dal Mali e dalla Costa d’Avorio. Se per la Camera che aveva esaminato il caso in precedenza le autorità spagnole avevano violato tale disposizione (Corte Edu, sentenza del 3.10.2017, in questa Rivista, XX, 1, 2018), la Grande Camera giunge a una conclusione opposta. Ricordando nuovamente i fatti alla base del ricorso, entrambi i ricorrenti erano giunti in Marocco e, dopo aver soggiornato per mesi nell’accampamento situato nei pressi del monte Gourougou, tentavano più volte di attraversare con altri migranti le tre recinzioni poste a protezione del confine tra Marocco e la città spagnola di Melilla. Nel 2013, scavalcata la terza recinzione, entrambi i ricorrenti venivano fermati dalla Guardia Civil spagnola e respinti direttamente verso il Marocco, senza prima procedere ad alcuna identificazione o garantire loro assistenza medica e/o legale. L’anno successivo, pur riuscendo a entrare nel territorio spagnolo, ne veniva ordinato l’allontanamento verso i Paesi di origine. Dopo aver rigettato le obiezioni del Governo spagnolo, in particolare quella relativa alla giurisdizione basata sull’esistenza di circostanze eccezionali legate alla gestione dell’immigrazione che limiterebbero il suo effettivo esercizio di potere sul territorio intorno al confine di Melilla, la Grande Camera precisa come questo sia il primo caso in cui è chiamata ad applicare l’art. 4 del quarto Protocollo addizionale all’allontanamento immediato di migranti arrivati attraverso un confine terrestre nel contesto di un più ampio tentativo di attraversamento irregolare del confine in massa (cfr. Corte Edu, Grande Camera, 23.02.2012, Hirsi Jamaa e altri c. Italia, in questa Rivista, XIV, n. 1, 2012, p. 104; Corte Edu, 21.10.2014, Sharifi e altri c. Italia e Grecia, in questa Rivista, XVI, n. 3-4, 2014, p. 154; Corte Edu, Grande Camera, 15.12.2016, Khlaifia e altri c. Italia, in questa Rivista, XIX, n. 1, 2017). La Corte ribadisce innanzitutto la necessità che la protezione dei diritti sanciti nella Cedu sia effettiva e non illusoria, ricorda l’importante legame tra il divieto di espulsioni collettive, la Convezione di Ginevra sullo status dei rifugiati e il divieto di refoulement anche nell’attuale difficile contesto della gestione dei flussi migratori, nonché stabilisce che la nozione di “espulsione”, di cui all’art. 4 del Prot. 4, copre anche casi di allontanamento forzato e immediato come quello subito dai ricorrenti. Quanto alla natura collettiva di tale allontanamento, la Grande Camera osserva come il criterio principale per comprendere se sia avvenuta o meno una violazione dell’art. 4, Prot. 4 rimanga quello legato alla possibilità data alle persone interessate di presentare in modo effettivo la loro situazione prima dell’allontanamento, a cui si aggiungono sostanzialmente l’esistenza di un rischio di subire maltrattamenti nel Paese di destinazione e i tipo di condotta adottata da tali persone che può perfino giustificare l’assenza di ogni preventiva identificazione o adozione di decisioni individualizzate. Proprio su tale aspetto si concentra di fatto la valutazione della Corte. Per quanto la Spagna garantisse all’epoca dei fatti canali di accesso legali, compresa la possibilità di presentare domanda di protezione internazionali presso le rappresentanze diplomatiche in Marocco o nei Paesi di origine dei ricorrenti o al confine tra Marocco e Spagna presso Beni Enzar, i sigg. N.D. e N.T. non vi avevano fatto ricorso e non avevano tantomeno sollevato elementi da cui si può dedurre che tali possibilità fossero solo illusorie. A tal proposito, per rispondere a taluni dubbi sollevati dai ricorrenti, la Corte Edu ha ritenuto che non è possibile attribuire alle autorità spagnole la responsabilità per eventuali politiche di controllo da parte del Marocco che non avrebbero permesso ai migranti di raggiungere il punto di raccolta delle domande di asilo presso Beni Enzar. I ricorrenti, i quali comunque non lamentavano rischi particolari in caso di allontanamento, avevano scelto di entrare forzosamente in territorio spagnolo approfittando dell’arrivo in massa di migranti al confine così da giustificare, per la Corte, la reazione delle autorità spagnole. In tali circostanze, nonostante l’allontanamento immediato e la mancata identificazione, per la Grande Camera non vi è stata violazione dell’art. 4, Prot. 4. Per le stesse ragioni legate alla condotta dei ricorrenti, non vi è stata nemmeno violazione del diritto a un ricorso effettivo letto in combinato al divieto di espulsioni collettive.
Il caso Asady e altri c. Slovacchia (Corte Edu, sentenza del 24.03.2020) riguarda diaciannove cittadini afghani che, dopo essere giunti al confine slovacco nascosti in un camion ed identificati in una stazione di polizia, venivano allontanati lo stesso giorno in Ucraina. Lamentavano quindi una violazione dell’art. 4, Prot. 4, ritenendo di aver subito un’espulsione collettiva in assenza di un preventivo esame individuale delle loro circostanze personali, e dell’art. 13 Cedu, per non avere avuto accesso a un mezzo di ricorso effettivo per lamentare l’illegittimità di siffatto allontanamento. Esaminando il caso unicamente rispetto ai ricorrenti che avevano mantenuto un contatto significativo con il loro avvocato, anche attraverso la creazione su Facebook di un account dedicato, la Corte Edu nota come questi siano stati condotti nei locali di polizia al loro arrivo per essere identificati e, dopo un colloquio individuale durato all’incirca dieci minuti, abbiano ricevuto una decisione amministrativa redatta quasi in modo identico. Richiamando la sua giurisprudenza (ad es., Corte Edu, Grande Camera, 15.12.2016, Khlaifia e altri c. Italia, in questa Rivista, XIX, 1, 2017), la Corte osserva come la similitudine delle decisioni possa trovare una spiegazione plausibile nel fatto che le interviste non avessero fatto emergere alcun rischio di maltrattamenti in caso di allontanamento in Ucraina. Proprio in relazione a tali interviste, la Corte pone l’attenzione sul fatto che le relative trascrizioni siano state firmate dagli interessati alla presenza di un interprete e, per quanto fanno pensare che la polizia abbia posto domande standardizzate, dimostrano che sia comunque stata data loro l’effettiva opportunità di sollevare eventuali argomenti contro il loro allontanamento. Non a caso le autorità interne hanno segnalato per ognuno dei ricorrenti un ammontare diverso di denaro in loro possesso al momento dell’arrivo in Slovacchia, denotando così un approccio in sostanza individualizzato. Inoltre, se da un lato la Corte non ritiene di avere prove che tali trascrizioni non corrispondano al vero, dall’altro i ricorrenti non avevano lamentato rischi di persecuzione per giustificare il loro viaggio in Europa ma avevano riportato motivi essenzialmente economici. Per la Corte appare anche significativo che altre persone giunte nello stesso momento dei ricorrenti avevano avuto la possibilità di presentare domanda di asilo dopo aver manifestato tali rischi, venendo trasferiti in un apposito centro di accoglienza. Pertanto, rigettando il resto del ricorso come manifestamente infondato, per la Corte Edu non vi è stata violazione dell’art. 4, Prot. 4 alla Cedu.