«When day comes, we ask ourselves where can we find light in this never-ending shade?
The loss we carry, a sea we must wade.
We’ve braved the belly of the beast.
We’ve learned that quiet isn’t always peace,
and the norms and notions of what “just” isn’t always justice».
Le parole di Amanda Gorman – la perdita, il mare, le norme, la giustizia, la pace – toccano alcuni dei temi che rappresentano l’oggetto delle riflessioni che, da sempre, animano la Rivista e che, dopo un tempo sospeso, è importante ricordare, per ricominciare.
Il primo numero di questo nuovo anno si apre in una stagione ancora fortemente condizionata dalle conseguenze di un’emergenza sanitaria che ha costretto tutto il mondo a cambiare le proprie abitudini, a ridisegnare la tavola delle priorità ripensando a quelle che, secondo la passata “normalità”, venivano considerate indispensabili.
Un’emergenza sanitaria che ha acuito in modo insopportabile le diseguaglianze già esistenti, in termini di condizioni di accesso ed esercizio di diritti che contribuiscono a scolpire forma e contenuto del concetto di dignità della persona (l’accesso alle cure, lo studio, la casa, il lavoro). Numerosi i contributi che, ormai da mesi, esaminano come le pregresse condizioni di vulnerabilità (in termini di povertà, reddito, disuguaglianze, numero di sfollati interni, diffusione di altre malattie trasmissibili, insicurezza alimentare ed accesso alle informazioni) siano state fortemente incise dagli effetti diretti ed indiretti della pandemia da Covid-19 (anche in considerazione delle limitate capacità dei sistemi sanitari di molti dei paesi a reddito più basso). Tutte vicende, di portata dirompente, che dovranno essere esaminate e valutate con attenzione nei molti mesi nei quali i predetti effetti si dispiegheranno.
Con riferimento al concetto di «vulnerabilità», questo editoriale non può non aprirsi con un riferimento alle nuove norme – adottate per far fronte a «casi straordinari di necessità e di urgenza» – tese a disciplinare anche alcune delle situazioni soggettive riconducibili alle persone vulnerabili.
Il riferimento è al decreto legge 21 ottobre 2020 n. 130 (convertito nella legge del 18 dicembre 2020 n. 173), che è intervenuto sulla disciplina dei permessi di soggiorno (e sulla relativa possibilità di conversione), che ha introdotto modifiche in materia di protezione complementare, ridisegnando l’art. 19 del T.U.I., ha modificato la disciplina delle procedure accelerate e prioritarie (provvedendo ad eliminare alcune delle principali disposizioni contrastanti con la Direttiva 2013/32/UEI), ha apportato modifiche alle misure di trattenimento a fini di espulsione di cittadini dei Paesi terzi e, prendendo atto della decisione della Corte Costituzionale (nella pronuncia n. 186 del 2020), ha previsto che il permesso per richiesta asilo consenta l’iscrizione anagrafica.
Con particolare riferimento alla protezione umanitaria, il d.l. 130 del 2020 non ha ripristinato direttamente il permesso per motivi umanitari ed ha mantenuto la dicitura «protezione speciale», ampliando le ipotesi in cui il permesso per protezione speciale può essere rilasciato e consentendo la sua conversione in permesso di lavoro. Nell’art. 5, co. 6, del TUI. è stata parzialmente ripristinata la clausola di salvaguardia, con una dizione che riprende il richiamo agli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato, ma non il riferimento ai seri motivi di carattere umanitario. Nell’art. 19 del citato TUI., inoltre, sono state estese le ipotesi di divieto di respingimento del comma 1.1 a quelle in cui lo straniero rischi di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti, ed a quelle in cui vi siano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare.
La valutazione dell’esistenza di una vita privata e familiare del richiedente protezione deve essere, poi, effettuata tenendo conto di elementi specifici, normativamente individuati, quali la natura e l’effettività dei vincoli familiari dell’interessato, il suo effettivo inserimento sociale in Italia, la durata del suo soggiorno nel territorio nazionale e l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine (indicazione specifica che ha portato i primi commentatori a ritenere che non debba più farsi luogo al giudizio comparativo indicato dalla Suprema Corte nella nota sentenza n. 4455/2018 per le ipotesi di protezione umanitaria da c.d. integrazione sociale e lavorativa).
Mentre appare evidente come dalla riforma emerga la chiara volontà del legislatore di riconoscere la protezione complementare ai ricorrenti che, nel tempo trascorso in Italia, abbiano raggiunto un’integrazione sociale, lavorativa o familiare, si rende necessaria un’attenta interpretazione delle norme ai fini di tutelare i diritti delle persone straniere che, non presentando fattori di inclusione nelle due forme di protezione maggiore, versino in una condizione di vulnerabilità (si pensi, ad esempio, alle donne vittime di tratta che, per la storia personale, non soddisfino i requisiti per ottenere lo status di rifugiato, alle persone che abbiano subito violenze, fisiche e psicologiche, nel paese di transito, ai ricorrenti che provengano da paesi caratterizzati da conflitti cd. “a bassa intensità”, ecc.). Il riferimento alle «condizioni personali o sociali», ai «trattamenti inumani o degradanti» e la portata espansiva degli «obblighi costituzionali o internazionali» rappresentano parametri valutativi con i quali l’interprete dovrà misurarsi, con rigore, allo scopo di garantire una tutela effettiva nelle tre forme che (sebbene con una denominazione legislativa ormai mutata che non incide, però, sull’esistenza di diritti meritevoli di tutela) attuano ed inverano il diritto di asilo costituzionale, come la Suprema Corte ha da tempo chiarito.
Nell’attesa di conoscere le decisioni delle corti di merito e di leggere prossimi numeri della Rivista che raccoglieranno contributi specifici per l’analisi delle principali novità normative, già il primo numero del 2021 è in parte dedicato all’esame di molti dei temi oggetto del recente intervento legislativo.
Nel contributo di Marco Borraccetti sul Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo vengono esaminate le principali criticità relative al rispetto del principio di solidarietà tra gli Stati membri, alla dimensione internazionale (con particolare riferimento alle relazioni con gli Stati terzi che occupano una posizione strategica nella dinamica migratoria) ed alla gestione delle domande di protezione internazionale, con particolare attenzione alla procedura di frontiera ed al criterio per l’individuazione dello Stato membro competente a decidere sulla domanda.
Il saggio di Monia Giovannetti è dedicato alla riforma del sistema accoglienza di cui al d.l. 130/2020 ed all’analisi delle modifiche relative alle categorie di beneficiari che possono accedere al Sistema di accoglienza e integrazione, alle prestazioni, ai servizi da garantire ai richiedenti protezione internazionale ed alle modalità di relazione tra i diversi livelli di governo coinvolti nell’implementazione delle politiche di accoglienza ed integrazione. L’esame compiuto dall’Autrice consente una prima riflessione sul complesso tema dell’integrazione (che, come ci ricorda, non si esaurisce con la fine del periodo di accoglienza, ma prosegue attraverso l’individuazione di percorsi specifici, a supporto dei beneficiari del Sistema di accoglienza e integrazione in un percorso di autonomia) e del diritto all’accoglienza (che non può ridursi ad una concessione discrezionale caratterizzata da molteplici differenziazioni sulla base delle condizioni dei beneficiari).
Lambisce il tema dell’accoglienza anche il commento di Stefano Rossi, dedicato alla questione della competenza giurisdizionale in relazione ai provvedimenti volti a limitare la pandemia da Covid-19 da applicare nei Centri di accoglienza straordinaria, luoghi nei quali l’eccezionalità e la provvisorietà che li caratterizza esplica effetti anche sulla condizione giuridica di coloro che li abitano. Nel suo contributo, l’Autore si sofferma sul delicato tema del rapporto tra diritto fondamentale (alla salute) e potere pubblico, per riflettere anche sulla condizione di coloro che, ospiti delle strutture di accoglienza – pur vedendosi riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana – «soffrono di una vulnerabilità istituzionalizzata» e dispongono di una capacità ridotta di ricorrere alla protezione che, sulla carta, l’ordinamento riconosce loro.
Al tema delle peculiarità della tutela giurisdizionale “differenziata” dei diritti dei migranti e, in particolare, della cooperazione istruttoria e della valutazione della credibilità delle dichiarazioni rese è dedicato il saggio di Danilo De Santis. Nello scritto, l’Autore esamina l’interpretazione dei criteri di cui all’art. 3, co. 5 del d.lgs. 251/2007, anche alla luce della recente giurisprudenza della Suprema Corte, per soffermarsi poi sulla collocazione sistematica delle dichiarazioni del ricorrente nella disciplina dei mezzi di prova e sul controllo della valutazione di credibilità in fase di legittimità.
Il primo numero del 2021 ospita, inoltre, due saggi dedicati all’analisi di alcune disposizioni introdotte dal legislatore del 2018.
Al tema della revoca della cittadinanza italiana a chi sia stato condannato per reati legati al terrorismo (fattispecie di cui all’art. 10-bis della l. 5.2.1992, n. 91, come modificata dall’art. 14, co. 1, lett. d) del d.l. n. 113/2018) è dedicato il saggio di Luigi Viola. Il contributo si sofferma sulla dubbia compatibilità costituzionale della nuova ipotesi di revoca della cittadinanza (compatibilità esaminata con riferimento a tutti i numerosi profili di possibile contrasto con la Carta costituzionale, con particolare riguardo alla discriminazione tra il cittadino italiano per nascita che, commettendo i reati previsti, non perderebbe la cittadinanza, e lo straniero che, acquisita diversamente la cittadinanza, in quelle ipotesi la perderebbe), per esaminarne, poi, la compatibilità con il diritto dell’Unione (alla luce delle decisioni della Corte di giustizia e della necessità di operare il “doppio test di proporzionalità”) nonché con la CEDU e le altre convenzioni internazionali.
Nicola Canzian, nel suo scritto, si occupa del tema dell’esclusione dei richiedenti asilo dall’iscrizione anagrafica (di cui all’art. 4 del d.lgs. 142/2015, introdotta dall’art. 13, co. 1, lett. a) n. 2 del d.l. 113/2018). L’Autore ripercorre le linee ricostruttive seguite dalla dottrina e giurisprudenza all’indomani dell’introduzione della predetta disposizione – apparsa sin dall’inizio agli interpreti come vessatoria, irragionevole e discriminatoria – per esaminare, poi, il contenuto della sentenza n. 186/2020 del Giudice delle leggi (che ha accolto le questioni di costituzionalità sollevate con riferimento alla violazione dell’art. 3 Cost., sotto il duplice aspetto della irrazionalità della disposizione censurata e della irragionevole disparità di trattamento a danno degli stranieri richiedenti asilo).
Molti gli spunti di riflessione, molte le questioni ancora aperte. Le riforme legislative modificano i nomi degli istituti, incidono sulle condizioni di esercizio dei diritti, richiedono l’attenzione e lo studio degli interpreti, ma lasciano immutata la domanda che la Costituzione italiana rivolge al Paese intero quando, all’art. 2, discorrendo di riconoscimento e di garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo, impone di approntare tutti gli strumenti necessari alla attuazione di uno dei più alti principi di civiltà non solo giuridica e normativa, impedendo che il tempo ne corroda e ne consumi la universale portata di umanità.
Una domanda alla quale, tra gli altri, il legislatore, l’accademico, l’avvocato, il giudice sono incessantemente chiamati ad offrire una risposta non soltanto declamatoria.
Possibilmente, una risposta di Giustizia.