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Fascicolo 1, Marzo 2021


La patria, Aztlàn
(...)
Una ferita aperta lunga 1.950 miglia / che divide un pueblo, una cultura,
scorre lungo il mio corpo, / pianta pali di recinzione nella mia carne,
mi lacera mi lacera /  me raja me raja
Questa è la mia casa / questa sottile linea di / filo spinato.
Ma la pelle della terra non ha cuciture. / Il mare non può essere chiuso in un recinto,
el mar non si ferma ai confini. / Per mostrare all'uomo bianco cosa pensava della sua 
arroganza / Yemaya ha rovesciato con un soffio la rete metallica.
(...)
(Gloria Anzaldùa, Terre di confine. La frontera, Bari, Palomar Edizioni, 2000)

Rassegna di giurisprudenza italiana: Allontanamento e trattenimento

In questo numero viene presa in rassegna la giurisprudenza relativa al terzo quadrimestre del 2020. Come di consueto, la rassegna è suddivisa in due parti: una relativa alle tematiche connesse alle espulsioni amministrative, e l’altra attinente alla fase esecutiva delle stesse.
 
ESPULSIONI
Espulsione per motivi di pericolosità sociale
Nella prassi amministrativa le prefetture non fanno spesso buon governo dei consolidati principi giurisprudenziali elaborati in tema di espulsioni ai sensi della lett. c) dell’art. 13, co. 2, d.lgs. 286/98, limitandosi ad elencare le condanne riportate dallo straniero per ricondurlo alle categorie di cui al d.lgs. 159/2011. E talvolta, ma non sempre, i Giudici di pace si adeguano agli atti emessi dalla PA. Esaminiamo, a questo proposito, tre ordinanze nelle quali il Supremo Collegio giunge a differenti approdi, pur a fronte di situazioni in parte simili tra loro.
Il Giudice di pace di Roma motivava la reiezione di un ricorso proposto da un cittadino albanese sulla base dei suoi numerosi precedenti penali e di polizia, chiaro indice della sua appartenenza alle predette categorie di persone pericolose, anche in considerazione del fatto che, per quegli stessi motivi, gli era stato revocato il premesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e, quindi, l’Amministrazione aveva ritenuto prevalente l’interesse pubblico alla cessazione della legale permanenza sul territorio rispetto ai suoi legami familiari costituitisi in Italia. La Suprema Corte, sez. lavoro, con ordinanza 29665/2020, pubblicata il 28.12.2020, ha ritenuto fondato il ricorso dello straniero richiamando la sua consolidata giurisprudenza secondo cui «Il Giudice di pace, che ha poteri di accertamento pieni e non già limitati da una insussistente discrezionalità dell’Amministrazione, deve tener conto del carattere oggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni, dell’attualità della pericolosità, nonché della necessità di effettuare un esame globale della personalità del soggetto, quale risulta da tutte le manifestazioni sociali della sua vita». Ad avviso della Corte, il giudice del merito ha dato corso ad un giudizio apodittico, omettendo di farsi carico di effettuare una valutazione in termini di attualità della pericolosità e omettendo altresì di valutare la convivenza coniugale con persona naturalizzata italiana, e la presenza di figli minori. È interessante notare che, nonostante il comma 2-bis dell’art. 13, d.lgs. 286/98 limiti il bilanciamento tra l’interesse pubblico all’allontanamento dello straniero pericoloso con i legami familiari alle sole ipotesi di cui alle lettere a) e b) del citato art. 13, ma non anche alle ipotesi di cui alla lett. c) ricorrente nel caso in questione la Corte faccia espresso richiamo al d.lgs. n. 5/2007 (di attuazione della Direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare) che, in tema di permesso di soggiorno per coesione familiare, ha abrogato il meccanismo di automatismo espulsivo derivante dalla ricorrenza di condanne penali, integranti una valutazione di pericolosità sociale effettuata ex ante in via legislativa, occorrendo, invece, la formulazione di un giudizio di pericolosità in concreto che tenga conto sia dell’attualità della minaccia per l’ordine e la sicurezza che della natura e durata dei vincoli familiari, dell’esistenza dei legami sociali e familiari con il Paese di origine nonché della durata del pregresso soggiorno legale dello straniero. Ad avviso di chi scrive, tale approdo in contrasto con la lettera del comma 2-bis citato costituisce piena attuazione del principio giurisprudenziale concernente l’esame globale della personalità del soggetto, quale risulta da tutte le manifestazioni sociali della sua vita, che, logicamente, non può non concernere anche la vita privata e familiare, rilevante ai sensi dell’art. 8 CEDU. Infine la Corte, sul presupposto della dichiarata convivenza del ricorrente con moglie naturalizzata italiana, mostra di aderire all’orientamento giurisprudenziale maggioritario secondo cui ai sensi dell’art. 19, co. 2, lett. c), d.lgs. 286/98 lo straniero convivente con il coniuge italiano non è espellibile se non nei casi previsti dall’art. 13, co. 1, d.lgs. cit. (espulsione ministeriale per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato). A tal proposito, il Supremo Collegio richiama la differenza strutturale e morfologica dell’espulsione ministeriale rispetto a quella prefettizia: la prima, non essendo espressione di discrezionalità tecnica e ricognitiva di ipotesi già individuate tassativamente dal legislatore, implica una ponderazione valutativa degli interessi in gioco e costituisce provvedimento di alta amministrazione (Cass. SU n. 15693/2015); mentre la seconda non richiedendo alcun esercizio di discrezionalità amministrativa si configura come atto dovuto, in presenza delle condizioni previste normativamente (Cass., SU n. 18082/2015). Da questa analisi consegue la condizione di non espellibilità dello straniero convivente con il coniuge o familiari entro il secondo grado aventi la cittadinanza italiana, con il solo limite costituito dal provvedimento ministeriale di alta amministrazione, adottato a seguito della comparazione degli interessi in gioco.
A soluzioni parzialmente difformi è invece giunta Cass. civ. sez. I, ord. 26719/2020, pubblicata il 20.11.2020 chiamata a decidere un ricorso proposto dal Ministero dell’interno avverso il decreto del Giudice di pace di Padova che aveva annullato un’espulsione disposta nei confronti di uno straniero condannato per omicidio volontario commesso nel 2008 e per il quale la pena era stata completamente espiata (in quel caso non emergevano vincoli familiari con cittadini italiani). Qui la Corte di legittimità, dopo avere rammentato i consueti criteri di valutazione della pericolosità sociale che debbono guidare il giudice di merito, ha ritenuto che fosse stata del tutto omessa tale valutazione, in considerazione del grave allarme sociale del fatto delittuoso. L’estrema gravità dell’omicidio volontario aggravato da futili motivi, avrebbe dovuto indurre il Giudice di pace ad un maggiore approfondimento in ordine al giudizio prognostico di pericolosità dello straniero, di qui l’annullamento con rinvio. Traspare, dalla lettura dell’ordinanza in commento, una maggiore accentuazione della valutazione della pericolosità in stretta connessione con l’estrema gravità del reato commesso, scivolando, per così dire, in secondo piano la valutazione dell’attualità della pericolosità e quella relativa all’esame della personalità del prevenuto in tutte le manifestazioni della sua vita.
A soluzioni decisamente difformi è pervenuta Cass. civ. sez. III, ord. 26215/2020, pubblicata il 18.11.2020 che, a fronte di un ricorso fondato sulla condizione d’inespellibilità dello straniero in quanto convivente (sia pure da poco tempo, ma senza che fosse contestata in fatto l’effettività della convivenza) con coniuge italiana, ha ritenuto prevalente l’interesse generale alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza dello Stato posto a base dell’espulsione prefettizia in ragione di plurimi precedenti penali a carico dello straniero. Qui non solo non sono stati valutati i criteri che ordinariamente governano la valutazione della pericolosità sociale prima ricordati, ma nemmeno s’è posta la rilevante questione della riserva ministeriale all’esercizio della potestà espulsiva, in caso di straniero convivente con coniuge o parente entro il secondo grado avente cittadinanza italiana.
 
Espulsione e protezione internazionale
Un cittadino nigeriano, espulso per motivi di pericolosità sociale, ricorre al Giudice di pace di Napoli lamentando, tra l’altro, di essere inespellibile in quanto richiedente protezione internazionale (richiesta presentata dopo la notifica del decreto espulsivo). Il Giudice del merito rigetta l’opposizione ritenendo che in ragione dei suoi precedenti penali la sua domanda di protezione verrà anch’essa rigettata. La Corte di cassazione, sez. III civ., con ord. 25964/2020, depositata in data 16.11.2020, dopo avere ricostruito le vicende relative all’efficacia sospensiva derivante dalla proposizione di ricorsi giurisdizionali in materia di protezione internazionale in ragione delle modifiche del 2017, afferma il principio di diritto, peraltro pacifico, secondo cui «È affetto da violazione di legge il provvedimento del Giudice di pace emesso nell’ambito della opposizione a decreto di espulsione in cui, invece di dare atto della attuale inespellibilità fino all’esito del contestualmente pendente giudizio di riconoscimento della protezione internazionale, il giudicante compia una propria, autonoma valutazione prognostica, negativa, sulla accoglibilità della domanda di protezione, sulla base dei precedenti penali del richiedente, sulla base della quale decida immediatamente l’opposizione, reputando non necessario attendere l’esito del giudizio sulla protezione internazionale per definire il giudizio di opposizione al decreto di espulsione».
Sempre a proposito delle conseguenze dell’avvenuta presentazione di domanda (anche reiterata) di protezione internazionale dopo l’adozione di un decreto espulsione, Cass. civ. sez. lavoro, ord. 29848/2020, pubblicata il 30.12.2020, ha confermato che detta domanda non è idonea ad inficiare la legittimità del decreto espulsivo, restandone soltanto sospesa l’efficacia, sicché è inibita al Giudice di pace la pronuncia di annullamento del decreto di espulsione.
 
Profili procedurali
La legittimazione passiva in materia di espulsione amministrativa spetta unicamente al prefetto, titolare di autonoma legittimazione ai sensi dell’art. 13-bis, d.lgs. 286/98 (che gli consente di stare in giudizio personalmente o di avvalersi di funzionari appositamente delegati) che si estende anche ai giudizi di cassazione. Consegue che, qualora il prefetto non si sia avvalso della difesa erariale nel procedimento di merito, la notifica del ricorso in cassazione presso l’Avvocatura generale dello Stato sia affetta da nullità ed occorra ordinarne la rinotificazione presso la sede della prefettura. Tuttavia, in caso di ricorso per cassazione manifestamente infondato, può farsi applicazione del principio per cui il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, sicché il processo può essere definito senza necessità di disporre la rinnovazione della notifica nulla, che si tradurrebbe in un aggravio di spese ed in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio, senza alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti. Così Cass. civ. sez. lavoro, ord. 29968/2020, depositata il 31.12.2020.
È radicalmente nullo per difetto assoluto di motivazione il decreto, emesso dal Giudice di pace di Milano, avente ad oggetto la convalida dell’accompagnamento immediato alla frontiera dello straniero espulso che si sostanzi in un modulo prestampato, integrato dall’enumerazione di una serie di cause di riconoscimento dei presupposti di legittimità dell’atto amministrativo cui sia associata una casella vuota, destinata ad essere spuntata da parte del giudicante, qualora il decreto sia del tutto privo di qualsiasi segno di selezione in corrispondenza delle predette caselle. Così Cass. civ. sez. III, ord. 25970/2020 pubblicata il 16.11.2020.
Secondo Cass. civ. sez. I, ord. 1339/2021, pubblicata il 22.1.2021, in caso di revoca in autotutela del decreto di espulsione a seguito di ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Giudice di pace che ha rigettato il ricorso avverso il decreto espulsivo, è dichiarata la cessazione della materia del contendere col favore delle spese per la parte ricorrente, secondo i principi della soccombenza virtuale, a condizione che almeno uno dei motivi di ricorso appaia fondato.
 
Nullità del decreto espulsivo per omessa traduzione in lingua conosciuta dallo straniero
Il decreto amministrativo di espulsione e gli atti attuativi debbono essere tradotti in lingua conosciuta dallo straniero, qualora questi non conosca la lingua italiana.
Cass. civ. sez. III, ord. 25965/2020, depositata il 16.11.2020, specifica che grava sull’Amministrazione l’onere di provare l’eventuale conoscenza della lingua italiana o di una delle c.d. lingue veicolari (inglese, francese e spagnolo) da parte del destinatario del provvedimento, è invece compito del giudice di merito accertare in concreto se la persona conosca la lingua nella quale il decreto espulsivo che gli è stato notificato sia stato tradotto. Per compiere tale valutazione il Giudice di pace deve valutare tutti gli elementi probatori acquisiti al processo, compreso il c.d. foglio notizie in cui si sostanzia l’intervista amministrativa cui è sottoposto l’espellendo in questura prima dell’adozione del provvedimento ablativo (trattasi di atto fidefacente, che fa fede fino a querela di falso). È pertanto corretta la decisione del Giudice di pace che motiva il rigetto dello specifico motivo di ricorso sulla base della dichiarazione resa dallo straniero nel foglio notizie relativa alla conoscenza della lingua italiana qualora «non si evochi un possibile difetto di informazione ovvero la possibilità che sia stato sottoposto al ricorrente per la firma il foglio notizie senza richiamare su di esso la sua attenzione anche in relazione alla lingua di redazione dell’atto». Tale precisazione pare rilevante nei casi in cui lo straniero affermi che la sottoscrizione del foglio notizie sia avvenuta in modo affrettato, senza la presenza di un interprete, in presenza solo di un operatore di polizia che non parla la lingua dell’espellendo. Ovviamente, però, tale rilievo deve essere eccepito nel procedimento di merito, non potendosi eccepirlo per la prima volta in sede di legittimità.
Cass. civ. sez. lavoro, ord. 29668/2020, pubblicata il 28.12.2020, accoglie l’eccezione di nullità del decreto espulsivo dedotta dal ricorrente senegalese per mancata traduzione in lingua wolof (asseritamente l’unica conosciuta), sulla base del consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui «è nullo il provvedimento di espulsione tradotto in lingua veicolare per l’affermata immediata irreperibilità di un traduttore nella lingua conosciuta dallo straniero, salvo che l’Amministrazione non affermi, ed il giudice ritenga plausibile, l’impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità ovvero l’inidoneità di tal testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta». È interessante notare che, seppur la lingua wolof sia diffusa solo in talune parti dell’Africa occidentale, la Corte cassa senza rinvio il decreto gravato proprio perché il giudice del merito ha ritenuto «legittimo l’uso della lingua veicolare senza aver previamente verificato la presenza, nel decreto di espulsione, di una valida giustificazione circa la mancata traduzione del provvedimento in lingua conosciuta dal destinatario», e questo indipendentemente dal livello di diffusione di tale lingua.
In termini analoghi Cass. civ. sez. III, ord. 25972/2020, pubblicata il 16.11.2020.
 
Concessione del termine per la partenza volontaria
Ai sensi dell’art. 13, co. 4-bis, lett. a), d.lgs. 286/98 la mancanza del passaporto da parte dello straniero espellendo configura un’ipotesi di rischio di fuga, sicché è preclusa la concessione del termine per la partenza volontaria ai sensi del comma 4 dell’art. 13 cit. Tuttavia, nell’ipotesi in cui lo straniero abbia smarrito il passaporto, producendo la relativa denuncia, si desume che egli sia entrato nel territorio dello Stato munito di passaporto, il che induce ad escludere che egli versi nella specifica condizione da cui si desume il rischio di fuga. Sicché «non può essere aprioristicamente accomunata, all’interno della nozione di soggetto a rischio di fuga (escluso quindi dalla possibilità di allontanarsi volontariamente dal territorio italiano per far ritorno in patria, senza dover essere sottoposto all’accompagnamento coattivo alla frontiera), la condizione di chi sia entrato regolarmente in Italia munito di documento di identità valido e lo abbia successivamente smarrito (adempiendo all’obbligo di denunciare lo smarrimento e sottoponendosi alle conseguenza, anche penali, per eventuali dichiarazioni mendaci) e la situazione di chi sia entrato in Italia privo di alcun documento identificativo». Così Cass. civ. sez. III, ord. 25965/2020.
 
Scadenza del visto per soggiorni di breve durata durante l’emergenza sanitaria
Il Giudice di pace di Monza (ord. 12.12.2020) ha annullato il decreto di espulsione, con concessione della partenza volontaria, elevato nei confronti di un cittadino australiano che si era trattenuto in Italia oltre il termine di novanta giorni dall’ingresso avvenuto per motivi di turismo e visite a causa della sospensione dei voli per il rientro nel Paese di provenienza (la Cina) e in quello di cui è cittadino (l’Australia). Infatti, ai sensi dell’art. 33 del Regolamento CE n. 810/2009, gli Stati membri possono prorogare il periodo di validità dei visti d’ingresso per soggiorni di breve durata a fronte della dimostrazione dell’esistenza di motivi di forza maggiore che impediscono di lasciare il territorio dello Stato membro nel termine previsto. Il giudice ha ritenuto l’esimente della forza maggiore nel caso dello straniero che abbia dimostrato documentalmente di non avere potuto lasciare il territorio nazionale per la sospensione dei voli a causa della pandemia Covid 19.
 
TRATTENIMENTO
Provvedimento presupposto
La Corte di cassazione ha ribadito con ordinanza sez. L del 28.12.2020 n. 29666 che in sede di convalida delle misure di cui all’art. 14, co. 1-bis, del d.lgs. 286/1998, strumentali, al pari della misura del trattenimento, all’allontanamento ed al rimpatrio coattivo del cittadino straniero, il giudice deve verificare che il provvedimento espulsivo che ne costituisce il presupposto sia dotato di efficacia esecutiva, dovendo, in mancanza, dichiararne l’illegittimità, senza che possa attribuirsi alcun rilievo alla mera sussistenza di esigenze di pubblica sicurezza, atteso che per la tutela di tali esigenze l’ordinamento ha predisposto le misure di prevenzione, che, pur potendo avere un contenuto analogo alle misure alternative al trattenimento ed essendo astrattamente compatibili con l’espulsione amministrativa, possono tuttavia essere disposte esclusivamente dal giudice penale, all’esito dell’apposito procedimento ed in presenza degli specifici requisiti di cui all’art. 1 del d.lgs. 159/2011.
È inoltre ormai consolidato l’orientamento di legittimità che impone al giudice della convalida di verificare, oltre all’esistenza e all’efficacia del decreto di espulsione, anche la sua non manifesta illegittimità; il principio è stato ribadito dalla Corte con ordinanza, sez. II del 18.12.2020 n. 29119 che ha annullato senza rinvio il provvedimento di convalida di un cittadino straniero, richiedente protezione internazionale che aveva proposto ricorso pendente, alla data dell’espulsione, dinanzi al Tribunale ordinario.
 
Avviso al difensore
La Corte di cassazione, con ordinanza sez. L del 29.12.2020 n. 29759, esamina, tra l’altro, la questione della tempestività dell’avviso al difensore di fissazione dell’udienza di proroga del trattenimento. La Corte ribadisce che le garanzie dei diritti difensivi, previste dall’art. 14, co. 4, d.lgs. 286/1998 per l’udienza di convalida del trattenimento, valgono anche per le proroghe previste dal successivo comma 5. L’udienza quindi deve svolgersi con la partecipazione necessaria di un difensore che deve essere tempestivamente avvertito. Sulla tempestività di tale avviso, la Corte precisa che essa va considerata in relazione alla finalità di consentire al difensore di partecipare all’udienza stessa, sicché quando il difensore abbia partecipato all’udienza l’avviso non potrà essere ritenuto intempestivo. Nel caso di specie il difensore, avvertito un’ora e mezza prima della celebrazione dell’udienza, vi aveva partecipato; nel ricorso per cassazione, lo straniero aveva denunciato la violazione dei diritti difensivi perché tale esiguo termine aveva di fatto impedito di potere organizzare, unitamente al proprio difensore, la strategia difensiva ritenuta più conveniente. La Corte ha escluso la violazione dei diritti difensivi, rilevando che il difensore aveva partecipato all’udienza e svolto le difese anche nel merito, e nel ricorso per cassazione non aveva indicato una concreta lesione del diritto di difesa. La Corte ha richiamato il principio per cui la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione.
 
Contraddittorio, presenza dello straniero trattenuto
La Corte di cassazione torna a ribadire che il provvedimento giurisdizionale di convalida e di proroga del trattenimento del cittadino straniero presso un Centro d’identificazione ed espulsione può essere assunto soltanto all’esito di un procedimento di natura camerale caratterizzato dalla partecipazione necessaria del difensore e dall’audizione dell’interessato, senza che sia necessaria una richiesta di quest’ultimo di essere sentito; è quindi illegittimo il provvedimento di convalida o di proroga del trattenimento adottato all’esito di udienza cui non abbia partecipato lo straniero trattenuto.
Il principio è affermato tanto per la convalida (ordinanza sez. III del 11.11.2020 n. 25290) quanto per la proroga (ordinanza sez. III del 6.11.2020 n. 24906).
 
Legittimazione passiva
La Corte ha ribadito il proprio costante orientamento secondo cui il ricorso avverso il decreto di convalida del trattenimento o delle misure alternative deve essere proposto nei confronti del Ministero dell’interno, legittimato in via esclusiva, e notificato presso l’Avvocatura generale dello Stato (ordinanze sez. L del 16.11.2020 n. 25988, sez. L del 28.12.2020 n. 29666, sez. L del 29.12.2020 n. 29758, sez. L del 29.12.2020 n. 29759, sez. L del 29.12.2020 n. 29760).
 
Misure alternative al trattenimento
Con ordinanza sez. III del 30.12.2020 n. 24013, la Corte di cassazione, nel solco della sentenza della Corte costituzionale n. 280/2019, ha escluso la violazione di principi costituzionali e sovranazionali nella disciplina che non prevede, per la convalida delle misure alternative al trattenimento, la celebrazione di un’udienza con la partecipazione del destinatario e del suo difensore. La Corte, inoltre ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale (anche in relazione alla CEDU) della norma nella parte in cui non prevede un termine di durata per le misure alternative al trattenimento. La Corte rileva che le misure alternative al trattenimento postulano una condizione del migrante in procinto di essere rimpatriato, la quale consente, pertanto, anche rispetto ai limiti imposti dalla CEDU, il reiterato controllo previsto (anche in termini di possibile protezione) e sostituiscono la misura ben più afflittiva del trattenimento. In effetti, tuttavia, la «condizione del migrante in procinto di essere rimpatriato» può protrarsi anche per un tempo molto lungo: se ne ha conferma nel decreto del Giudice di Pace di Roma del 28.10.2020 R.G. 18740/2018 , che ha revocato (per l’avvenuto avvio della pratica di emersione dello straniero) le misure alternative al trattenimento disposte il 21.3.2018 e quindi ancora in esecuzione dopo oltre due anni e mezzo.
Se è escluso il diritto alla partecipazione all’udienza di convalida delle misure alternative, deve tuttavia essere ribadito il diritto del cittadino straniero e del suo difensore a esercitare la difesa, sia pure in modalità cartolare attraverso la presentazione di memorie. Tale diritto presuppone, ovviamente, che essi siano tempestivamente informati del provvedimento del questore e della relativa richiesta di convalida. Nel caso esaminato dalla Corte di cassazione nell’ordinanza sez. L del 16.11.2020 n. 25988, il provvedimento del questore era stato notificato al destinatario unitamente al decreto di convalida, adottato dal Giudice di pace senza previo avviso al cittadino straniero e al suo difensore.
È quindi dovuta la notifica del provvedimento del questore, mentre non è ammissibile per carenza di interesse il motivo di ricorso per cassazione che denuncia l’omessa notifica del provvedimento di convalida; così ha deciso la Corte di cassazione con ordinanza sez. II del 2.12.2020 n. 27530.
Quanto all’oggetto del sindacato del giudice chiamato a convalidare le misure alternative al trattenimento, la Corte di cassazione con ordinanza sez. II del 4.11.2020 n. 24584 ha confermato il principio della c.d. doppia tutela e affermato che il giudizio di convalida ha oggetto limitato alla verifica della proporzionalità e adeguatezza delle misure disposte dall’autorità di pubblica sicurezza in attesa del rimpatrio, mentre la sede processuale in cui far valere i vizi del decreto di espulsione (tra i quali il ricorrente invocava le ragioni della coesione familiare) è quella del giudizio di opposizione al provvedimento di espulsione, salvo il dovere di rilevare in via incidentale la manifesta illegittimità del provvedimento presupposto.
 
Motivazione
La Corte di cassazione, con ordinanza sez. I del 24.11.2020 n. 26720, ha annullato il provvedimento di proroga del trattenimento che il Giudice di pace aveva adottato facendo generico riferimento (barrando la casella del verbale predisposto) ai presupposti di legge, senza addurre alcuna specifica motivazione. La Corte ha precisato che la motivazione è necessaria per consentire al destinatario di individuare con la normale diligenza il nucleo della decisione.
È invece legittimo, secondo la Corte (ordinanze sez. L del 29.12.2020 n. 29758, sez. L del 29.12.2020 n. 29759, sez. L del 29.12.2020 n. 29760), il provvedimento di proroga del trattenimento che nella motivazione faccia riferimento, purché puntuale, alla richiesta di proroga depositata dal questore, perché questa è atto conoscibile dalla parte e dal difensore.
 
Proroga
La richiesta di proroga del trattenimento (nel caso di specie, disposto ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. 142/2015 nei confronti di un cittadino straniero richiedente asilo) deve essere motivata dal questore, ma non è necessario che assuma la forma o il nome di un decreto (così ha deciso la Corte di cassazione con ordinanza sez. III del 9.12.2020 n. 28063). D’altra parte, nella stessa ordinanza la Corte ha affermato che la proroga del trattenimento (così come lo stesso trattenimento) dello straniero è una misura del tutto eccezionale, posto che si risolve in una restrizione della libertà personale consentita solo in casi determinati e tassativa, e di conseguenza, in virtù del rango costituzionale e della natura inviolabile del diritto inciso, essa non è adeguatamente motivata mediante il generico riferimento a segnalazioni di polizia e condanne, in sé insufficienti a fondare un giudizio di pericolosità in concreto.
Proprio per il rango costituzionale e la natura inviolabile del diritto inciso dal trattenimento, la Corte di cassazione ha sempre affermato che l’autorità amministrativa è priva di qualsiasi potere discrezionale e negli stessi limiti opera anche il controllo giurisdizionale, non potendo essere autorizzate proroghe non rigidamente ancorate a limiti temporali e a condizioni legislativamente imposte. Desta quindi sorpresa e preoccupazione il provvedimento del Giudice di pace di Gorizia del 4.8.2020 R.G. 1083/2020 che ha autorizzato la proroga del trattenimento, come richiesta dal locale questore, per un periodo di 60 giorni, laddove l’art. 14 del d.lgs. 286/1998, nella formulazione al tempo in vigore, prevedeva la durata massima del trattenimento in 180 giorni, con per periodi prorogabili di 30 giorni. Deve essere segnalato che il Giudice di pace di Roma, (10.11.2020 R.G. 38487/2020) al quale è stata successivamente chiesta una ulteriore proroga di 60 giorni del trattenimento dello stesso cittadino straniero, nel frattempo trasferito, ha mostrato di ritenere astrattamente ammissibile e tempestiva la richiesta di proroga per ulteriori 60 giorni, ma in concreto ha autorizzato la proroga per 30 giorni.
Come è noto, il 22.10.2020 è entrato in vigore il d.l. 130/2020, che ha modificato l’art. 14, co. 5, d.lgs. 286/1998, e, sostituendo la disposizione precedentemente in vigore che prevedeva un periodo massimo di trattenimento di 180 giorni, ha determinato il periodo massimo di trattenimento in 90 giorni, prorogabile per altri trenta giorni qualora lo straniero sia cittadino di un Paese con cui l’Italia abbia sottoscritto accordi in materia di rimpatri. La norma fa generico riferimento ad accordi in materia di rimpatri sottoscritti dall’Italia, ma molti accordi di riammissione sono stipulati con i Paesi terzi dall’Unione europea, che con altri Paesi ha concordato delle procedure operative standard, giuridicamente non vincolanti. È lecito domandarsi se gli accordi stipulati dall’Unione europea e non direttamente dall’Italia possano consentire l’ulteriore proroga del trattenimento. Una lettura rigorosa della norma, in ossequio alla stretta riserva di legge posta dall’art. 13 della Costituzione, potrebbe portare a escludere la rilevanza di accordi non sottoscritti direttamente dall’Italia. Altro problema è poi quello della conoscibilità di tali accordi: trattandosi di accordi internazionali, essi dovrebbero essere pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale o almeno sul sito del Ministero degli affari esteri, mentre non sono pubblicate le intese di natura operativa.
 
Trattenimento di richiedenti asilo
L’art. 6, d.lgs. 142/2015 disciplina il trattenimento di chi abbia chiesto la protezione internazionale; la norma prevede presupposti distinti e termini diversi da quelli previsti dall’art. 14, d.lgs. 286/1998 per il trattenimento finalizzato all’esecuzione dell’espulsione o del respingimento, e attribuisce al Tribunale ordinario la competenza sulle richieste di convalida e di proroga del trattenimento. La qualità di richiedente asilo si assume con la presentazione dell’istanza, o con la manifestazione della volontà di chiedere la protezione, e cessa quando il procedimento innescato dalla richiesta si conclude con una decisione definitiva. Nel caso in cui la domanda sia stata rigettata dalla competente Commissione territoriale, e sia inutilmente decorso il termine per proporre ricorso avverso tale decisione, il cittadino straniero perde la qualità di richiedente asilo e di conseguenza viene meno l’applicabilità dell’art. 6, d.lgs. 142/2015 e la competenza del Tribunale ordinario.
In questo senso si segnala la pronuncia del Tribunale di Roma, sez. XVIII, del 30.12.2020 R.G. 55706/2020-1 , che ha rilevato come in seguito alla notifica del provvedimento di rigetto della domanda di protezione internazionale e dell’inutile spirare del termine per proporre ricorso il cittadino straniero trattenuto avesse perso la qualità di richiedente asilo, e pertanto non ha autorizzato la proroga del trattenimento richiesta dal questore ai sensi dell’art. 6, d.lgs. 142/2015.
Diversa è invece la fattispecie in cui il cittadino straniero trattenuto abbia proposto ricorso avverso il provvedimento di rigetto della domanda di protezione internazionale. In tal caso, ai sensi dell’art. 35-bis, co. 3, d.lgs. 25/2008, l’efficacia del provvedimento impugnato non è sospesa per la sola proposizione del ricorso, ma può essere sospesa dal Tribunale su istanza di parte. Se l’istanza cautelare è rigettata, il cittadino straniero mantiene la qualità di richiedente asilo ma perde il diritto al soggiorno nel territorio italiano, previsto dagli artt. 7 e 32, d.lgs. 25/2008, e può quindi essere espulso. Secondo quanto deciso dal Tribunale di Roma con decreto del 25.11.2020 R.G. 49073-1/20 , ciò non fa venir meno la competenza del Tribunale ordinario, bensì muta il titolo di trattenimento che trova il suo fondamento non più nei commi 2 e 3 dell’art. 6, d.lgs. 142/2015, bensì nel successivo comma 3-bis che consente il trattenimento del richiedente asilo per la determinazione o la verifica dell’identità o della cittadinanza, per periodi eguali a quelli previsti dall’art. 14, d.lgs. 286/1998.

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