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Fascicolo 1, Marzo 2022


«Maybe we are all prospective migrants. The lines of national borders on maps are artificial constructs, as unnatural to us they are to birds flying overhead. Our first impulse is to ignore them».

(Mohsin Hamid)

Cittadinanza e apolidia

Ovviamente numerose risultano le pronunce emesse nei due quadrimestri dello scorso anno qui considerati (maggio-dicembre 2021). Ci si limita perciò a segnalare, all’interno del consueto filone giurisprudenziale dedicato alla cittadinanza per discendenza, alcuni orientamenti difformi sull’incidenza del noto e risalente fenomeno relativo alla naturalizzazione collettiva brasiliana;
nonché la reiezione di curiose richieste sulla trascrizione anticipata dei provvedimenti in materia appunto di cittadinanza per discendenza. Sono presenti in questo periodo le ormai piuttosto rare pronunce in tema di acquisto della cittadinanza per elezione. Come di consueto, in numero debordante e di vario segno risultano poi le decisioni sul procedimento di naturalizzazione: a tale riguardo debbono essere evidenziate una pronuncia delle Sezioni Unite sul riparto di giurisdizione ed una dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato sulla competenza territoriale dei Tribunali amministrativi regionali in relazione a quello del Lazio, sezione di Roma. Non mancano infine due decisioni in tema di apolidia.
 
Riconoscimento della cittadinanza per discendenza da avo italiano. a) Riconoscimento della cittadinanza per discendenza da cittadina italiana maritata a uno straniero con conseguente perdita della cittadinanza italiana per matrimonio. Incidenza delle sentenze costituzionali e di legittimità sull’accertamento della mancata perdita e sulla trasmissibilità dello status originario anche ai discendenti nati prima del 1° gennaio 1948. b) Riconoscimento della cittadinanza per discendenza da cittadina italiana maritata a uno straniero con conseguente perdita della cittadinanza italiana per matrimonio. Incidenza delle sentenze costituzionali sull’accertamento della mancata perdita e sulla trasmissibilità dello status originario ai discendenti nati dopo il 1° gennaio 1948. c) Richiesta di tutela all’autorità giudiziaria ordinaria nel caso di grave ritardo nell’espletamento della pratica di riconoscimento da parte della pubblica amministrazione. d) Cittadini emigrati in Brasile e destinatari dei provvedimenti di naturalizzazione collettiva emessi dall’autorità di quello Stato nel 1889. Facoltà di rinuncia a tale cittadinanza ai fini del mantenimento della cittadinanza italiana. Suo mancato esercizio. Effetti. Pronunce discordanti al riguardo e presa di posizione del Ministero dell’interno. e) Richiesta all’ufficiale di stato civile di immediata trascrizione di una decisione favorevole senza attenderne il passaggio in giudicato; legittimità del rifiuto. f) Facoltà di chiedere la cittadinanza italiana per gli emigrati dai territori ex austro-ungarici. Retroattività della cittadinanza al momento della nascita. Esclusione
All’interno del flusso incessante di richieste di riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis da parte di discendenti da madre cittadina, che aveva perso il proprio status civitatis originario a causa dell’acquisto involontario della cittadinanza straniera del marito ai sensi dell’art. 10 della precedente legge organica del 1912, si rinviene una decisione assolutamente conforme alle motivazioni più volte riportate nelle precedenti Rassegne sulla retroattività degli effetti delle sentenze costituzionali n. 87/1975 e n. 30/1983 anche alla luce della presa di posizione effettuata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 4466/2009. Unica nota distintiva, rispetto ad una assoluta preponderanza di richiedenti brasiliani, è quella della cittadinanza messicana degli istanti ( Trib. Roma, ord. 21.6.2021 e  ord. rettifica 12.10.2021 ).
 
Ed altrettanto inconsueta appare, sia pure sotto il medesimo profilo, la richiesta ad opera di un gruppo di cittadini tunisini. Riguardo ad essi il giudice, nell’accoglierne le domande, pur dichiarando ripetutamente la cittadinanza italiana dei discendenti da cittadina italiana «anche se nati prima dell’entrata in vigore della Costituzione», individua poi il decorrere degli effetti delle suddette sentenze costituzionali dal 1° gennaio 1948 ( Trib. Roma, ord. 20.5.2021 ).
 
Di maggior interesse (anche se affronta un problema per nulla nuovo) appare una pronuncia che, pur partendo dalle medesime premesse e riguardando anch’essa un cittadino brasiliano, sancisce l’attività per così dire di supplenza del giudice italiano di fronte all’enorme ritardo che connota l’evasione di queste istanze da parte del Consolato italiano di San Paolo. Dunque, dopo un vano richiamo all’art. 2 della l. 7.8.1990, n. 241, sulla certezza dei tempi di definizione dei procedimenti, il Tribunale afferma che il decorso di un periodo di tempo irragionevole rispetto all’interesse vantato equivale a un diniego di riconoscimento del diritto sottostante e giustifica il ricorso alla tutela giurisdizionale; nonché, nel caso specifico, all’accoglimento della domanda ( Trib. Roma, ord. 22.4.2021 ).
 
Riguardo ad un altro aspetto di questo settore, sono state già esaminate in passato (v. questa Rassegna, fasc. 1/2020 e fasc. 2/2020) alcune decisioni nelle quali il Tribunale di Roma aveva esaminato gli effetti sulla cittadinanza italiana dei provvedimenti di naturalizzazione collettiva adottati dal decreto brasiliano nel 1889 nei confronti di tutti gli immigrati residenti. Veniva poi prevista l’ipotetica (ed ipocrita, nella consapevolezza della scarsa alfabetizzazione) facoltà per gli interessati di opporsi a tale acquisto tramite una apposita dichiarazione alle autorità del proprio Comune di pregressa residenza e, solo in seguito, in base a un successivo (e altrettanto sconosciuto) decreto brasiliano, anche davanti al Console del proprio Stato. Respingendo la contraria tesi del Ministero dell’interno, il giudice di merito aveva per così dire annullato gli effetti di tale mancata rinuncia sulla conservazione della cittadinanza italiana dichiarando perciò il possesso dello status civitatis per discendenza a favore alcuni singoli o gruppi di individui.
È successivamente intervenuta a più riprese la competente Corte d’appello con sentenze di diverso tenore. In particolare, una prima pronuncia ribalta le conclusioni del giudice di primo grado: ovviamente interpretando in modo opposto sia l’art. 11 del c.c. 1865 sia una celebre sentenza della Corte di cassazione di Napoli del 1907; e facendo leva soprattutto sul comportamento concludente degli avi e dei loro discendenti riguardo al godimento della cittadinanza brasiliana (  App. Roma, 5.7.2021 n. 5171 ).
A questa (ed a un’altra analoga) decisione fa riferimento la circolare del Ministero dell’interno n. 6497 del 6.10.2021 (v. infra, Osservatorio italiano, in questo fascicolo della Rivista), la quale invita gli ufficiali di stato civile ad astenersi dal trascrivere simili atti nei registri di cittadinanza, in attesa di un pronunciamento da parte della Corte di cassazione.
Senonché a distanza di due giorni è stata emessa un’ulteriore sentenza da parte di una diversa sezione della medesima Corte territoriale, la quale si distacca consapevolmente dall’orientamento adottato dalla prima, riprende l’interpretazione già prospettata dal Tribunale nei confronti della pronuncia della Corte napoletana, censura il richiamo operato ai principi costituzionali e richiama a sua volta una precedente ordinanza della Corte di cassazione al fine di dimostrare che spetta al Ministero la prova di fatti ostativi alla conservazione della cittadinanza ( App. Roma, 8.10.2021 ). Appare perciò più che evidente l’esigenza di un intervento della Suprema Corte in questo campo.
 
Sempre in tema di accertamento dello status civitatis va poi segnalata una decisione che trae origine da una curiosa richiesta da parte dell’avvocato difensore della parte vittoriosa all’ufficiale di stato civile, relativa all’immediata trascrizione degli atti di stato civile derivanti da una decisione favorevole al riconoscimento della cittadinanza, senza attenderne il passaggio in giudicato. Di fronte ad un ragionevole rifiuto appare ancor più curioso il ricorso al Tribunale civile competente, ai sensi degli artt. 95 e ss. del d.p.r. n. 396/2000. Tale è la fattispecie sottesa a due provvedimenti dei giudici di merito competenti territorialmente. In un primo provvedimento il giudice rigetta tale ricorso e dichiara legittimo l’atto di rifiuto, ricordando che le sentenze di accertamento così come quelle costitutive non sono idonee, in riferimento all’art. 282 c.p.c., ad avere efficacia anticipata rispetto al momento del passaggio in giudicato; infatti tale norma, allorché prevede la provvisoria esecuzione delle sentenze di primo grado, intende riferirsi necessariamente alle sentenze di condanna (T rib. Mantova, decreto 16.9.2021, n. 6446 ).
 
Tuttavia, è stato pervicacemente investito della medesima azione anche un altro giudice. In questo caso, non si è prospettata la necessità di ulteriori motivazioni, dato che, nelle more del processo, ha potuto essere effettuata la trascrizione richiesta in virtù del passaggio in giudicato della sentenza rilevante. E pur tuttavia il giudice competente non si è limitato a dichiarare il non luogo a procedere per l’ovvia cessazione della materia del contendere, ma ha voluto comunque riprendere le motivazioni del precedente provvedimento relative all’art. 282 c.p.c. ( Trib. Treviso, 28.9.2021 ).
 
Sono state riproposte infine alcune questioni relative ai discendenti di coloro che, prima del 16 luglio 1920, erano emigrati dai territori dell’impero austro-ungarico che furono trasferiti al Regno d’Italia con il Trattato di Saint Germain en Laye del 10 settembre 1919. La prima data corrisponde del resto a quella di entrata in vigore suddetto Trattato, stipulato tra le potenze alleate e l’Austria al termine della prima guerra mondiale. La l. 379/2000 aveva infatti consentito a costoro di ottenere la cittadinanza italiana in virtù di una apposita dichiarazione entro un certo termine, successivamente prorogato ma ormai scaduto. A tale riguardo, la Corte di cassazione ha respinto il ricorso della figlia di una di queste persone, diretto ad interpretare tale acquisto come retroattivo al momento della nascita del richiedente. Ha inoltre dichiarato inammissibili le censure di incostituzionalità prospettate riguardo alla diversa disciplina dettata per il riacquisto della cittadinanza italiana in riferimento ai Trattati di pace successivi (art. 17-bis della legge organica), sia per motivi procedurali sia nel merito in quanto relativa a individui che erano appunto già stati cittadini italiani (Cass., 23.7.2021, n. 21236).
 
Acquisto della cittadinanza per elezione: a) Individuazione dei diversi criteri utili a determinare la residenza legale del minore. b) Utilizzabilità di qualsiasi documento rilevante ai fini della prova della residenza legale. c) Apposito permesso di soggiorno provvisorio ai fini di tale acquisto
Come più volte ricordato, il c.d. acquisto della cittadinanza per elezione, disciplinato dall’art. 4, co. 2, della l. 91/1992, successivamente integrato dall’art. 33, co. 1, del d.l. 21.6.2013, n. 69, conv. nella l. 9.8.2013, n. 98, richiede la nascita in territorio italiano e ivi la residenza legale ininterrotta sino al compimento del diciottesimo anno di età, data dalla quale può chiedere entro un anno il riconoscimento dello status civitatis.
Una nuova decisione illustra il significato da attribuire al concetto di residenza legale. Dopo aver dichiarato l’illegittimità della chiamata in giudizio di Roma Capitale dato che l’ufficiale di stato civile è organo periferico del Ministero dell’interno, il giudice richiama dapprima l’art. 1, co. 2, del d.p.r. 572/93, la circolare del Ministero dell’interno K 64.2/13, n. 22/07 del 7 novembre 2007 in tema di residenza anagrafica e l’art. art. 33, co. 1, sopra citato, dedicati al requisito della residenza anagrafica ed ai mezzi probatori sostitutivi. Tuttavia, da un lato non si rinviene nell’ordinamento una norma primaria che parifichi la residenza legale con quella anagrafica; dall’altro, con specifico riferimento ai minori nati o comunque dimoranti nel territorio italiano si pongono diversi tipi di situazioni sussumibili nel concetto in esame. Così, i minori stranieri destinatari di provvedimenti dell’autorità giudiziaria minorile hanno il c.d. domicilio di soccorso, ad esempio presso la casa famiglia in cui vengono collocati; per i minori sottoposti a tutela, poiché questa si apre a norma dell’art. 343 c.c. presso il Tribunale del circondario dove è la sede principale degli affari ed interessi del minore, viene ripreso il concetto di residenza e domicilio ex art. 43 c.c. Ed ancora, nella giurisprudenza in materia di diritti dei minori la dimora abituale di questi costituisce il criterio privilegiato di riferimento ed è legato alle scelte di vita e di lavoro del genitore con il quale il minore vive, in relazione al c.d. diritto di custodia o di affidamento. Vengono infine ricordati l’art. 8 del regolamento (CE) n. 2201/2003, il quale, ai fini della competenza giurisdizionale nelle controversie sulla responsabilità parentale, stabilisce il criterio della residenza abituale del minore al momento della proposizione della domanda, intendendo come tale il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale e non quello risultante da un calcolo puramente aritmetico del vissuto; nonché l’art. 3 della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sulla sottrazione internazionale di minori e l’art. 19, co. 2, lett. a) del d.lgs. n. 286/98, che vieta l’espulsione del minore straniero, dai quali si può desumere il principio generale secondo il quale la residenza del minore in uno Stato è sempre legale, a meno che non si tratti di minore illecitamente trasferito.
Al termine di queste premesse, il giudice non trascura comunque di esaminare sia la documentazione fornita dal ricorrente comprovante la sua residenza in Italia nei primi anni di vita sia l’attestazione risultante dalla successiva residenza anagrafica (T rib. Roma, ord. 7.11.2021 ) .
 
Ad alcuni dei principi sopra riportati si era già ispirata una sentenza nella quale i giudici giungono del resto a valutare, ai fini della residenza, anche il periodo passato in carcere dal padre dell’istante e dall’istante stessa, costretta dai genitori a compiere reati, attingendo a un decreto del Tribunale dei minorenni (  App. Firenze, 8.7.2021 ).
 
A puro titolo di completezza, in quanto pur sempre attinente al tema in esame, va ricordato una decisione nel quale il giudice adotta un provvedimento cautelare inaudita altera parte con contestuale fissazione dell’udienza ex art. 702-bis c.p.c., ai fini del rilascio di un permesso di soggiorno provvisorio per attesa cittadinanza a favore di una minorenne, già titolare di un permesso di soggiorno per attesa occupazione al momento dell’introduzione del giudizio per la cittadinanza, ma in seguito scaduto ( Trib. Roma, ord. 7 .11.2021 ).
 
Acquisto della cittadinanza per matrimonio: rinvio
Si veda in tema la rilevante pronuncia delle Sezioni Unite n. 29297/2021 di cui al punto successivo.
 
Acquisto della cittadinanza per naturalizzazione. a) Rigetto delle domande, da parte del Ministero dell’interno, a causa di precedenti penali; valutazione differenziata delle denunce risalenti non seguite da condanne. b) Rigetto delle domande a causa di contiguità a movimenti pericolosi per la sicurezza nazionale. c) Insufficiente motivazione nei confronti di precedenti penali risalenti di lieve entità. d) Computo dei termini per la definizione dei procedimenti. e) Parificazione del titolare di protezione sussidiaria al rifugiato riguardo alla esenzione dalla presentazione di documenti in originale reperibili nello Stato di origine. f) Possibile concorso di quello del coniuge nel computo del reddito dell’istante; impossibilità di valutare come tale il reddito di cittadinanza. g) Pronuncia delle Sezioni Unite sul riparto di giurisdizione tra autorità giudiziaria ordinaria e giudice amministrativo. h) Pronuncia del Consiglio di Stato sul riparto di competenza tra i Tribunali amministrativi regionali e il Tar Lazio, sezione di Roma in riferimento all’impugnazione di un atto prefettizio di inammissibilità dell’istanza per la concessione della cittadinanza
Perennemente consistente il numero delle sentenze dei Tar, in particolar modo di quello del Lazio, investiti dai ricorsi contro il numero altrettanto consistente dei decreti di rigetto emessi dal Ministero dell’interno, concernenti le domande di acquisto della cittadinanza in base al procedimento di naturalizzazione.
La maggior parte di tali provvedimenti contestano la valutazione dei precedenti penali dell’istante e vengono puntualmente respinti adducendo il potere del Ministero di esperire una valutazione globale di tali precedenti, sulla base di argomenti usuali quali l’ampiezza del potere discrezionale in questo settore e la constatazione di gravi indizi di mancata integrazione dell’aspirante cittadino nella comunità sociale italiana (Tar Lazio, sez. I-ter, sent. 2.7.2021 n. 7828), anche nel caso di reati che di per sé non denotano una particolare pericolosità sociale (Tar Lazio, sez. I-ter, sent. 8.4.2021 n. 4159) oppure nel caso in cui si adducano semplici liti familiari tenendo celate altre più gravi condanne (Tar Lazio, sez. I-ter, sent. 5.7.2021 n. 7919).
 
Fa eccezione un provvedimento che, senza disconoscerne l’ampio potere discrezionale, ricorda al Ministero, sulla base di un orientamento manifestato anche dal Consiglio di Stato, che esso non è vincolato agli accertamenti del giudice penale; in particolare, ci si chiede per quale ragione, a distanza di circa venti anni, i medesimi comportamenti per i quali il ricorrente è stato soltanto denunciato e non condannato siano ancora concretamente indice di un mancato inserimento sociale, tenuto conto viceversa della sua condotta di vita, della sua permanenza sul territorio nazionale, della sua attività lavorativa, e di tutti gli elementi ritenuti rilevanti (Tar Lazio, sez. I-ter, sent. 25.11.2021 n. 12147).
 
Piuttosto frequenti risultano poi le sentenze che respingono le censure dei ricorrenti sulla valutazione della loro contiguità a movimenti pericolosi per la sicurezza della Repubblica e sulla insufficiente o secretata documentazione al riguardo.
Ferma restando l’ampiezza del suddetto potere discrezionale da parte della PA, talvolta è lo stesso Consiglio di Stato a disporre l’acquisizione del materiale istruttorio e a confermare le determinazioni del Ministero, ricordando tra l’altro che questo tipo di giudizio viene declinato con modalità differenti rispetto a quello inerente al rilascio della carta di soggiorno (Cons. St., sez. III, sent. 20.5.2021 n. 3896); altre volte spetta al giudice di primo grado ricordare non solo l’abbondante giurisprudenza del Consiglio di Stato in materia, ma altresì rammentare che questo genere di controllo prescinde dall’eventuale compimento di reati (Tar Lazio, sez. I-ter, sent. 15.7.2021 n. 8473).
 
Non manca tuttavia qualche pronuncia dei consiglieri di Palazzo Spada che censura una decisione di primo grado, muovendo dalla considerazione che il parametro della «motivazione sufficiente» non ha carattere rigido né assoluto, ma deve essere adeguatamente calibrato. In particolare, si rileva che il provvedimento ministeriale controverso non fa alcun cenno né al particolare disvalore della condotta sanzionata (condanna, risalente a quasi vent’anni prima, per guida sotto il probabile effetto di sostanze psicotrope) rispetto ai principi fondamentali della convivenza sociale, né alla condizione sociale dello straniero, limitandosi viceversa a constatare in modo meccanicistico la mancata coincidenza tra l’interesse pubblico e quello del richiedente alla concessione della cittadinanza italiana, senza una adeguata valutazione della sua prolungata permanenza in Italia in condizione di piena e sana integrazione nel tessuto sociale, nonché del radicamento sul territorio italiano del nucleo familiare dell’interessato (Cons. St., sez. III, sent. 31.5.2021 n. 4151).
 
In altre occasioni i giudici amministrativi sono intervenuti in merito alla ondivaga disciplina dei termini per la definizione del procedimento, sempre respingendo i ricorsi via via presentati: a volte ricordando che l’originario termine di 730 giorni era stato elevato a 48 mesi dall’introduzione nella legge organica dell’art. 9-ter ad opera dell’art. 14 del d.l. 113/2018 (Tar Lazio, sez. I-ter, sent. 6.5.2021 n. 5276); a volte rilevando la mancata entrata in vigore, al momento della presentazione della domanda, della legge di conversione del d.l. n. 130/2020 il cui art. 4 riporta il termine suddetto a 24 mesi (Tar Lazio, sez. I-ter, sent. 22.11.2021 n. 12024).
 
Neppure poi manca una decisione del Tar Veneto che ribadisce l’estensione al titolare di protezione sussidiaria dell’esenzione dalla presentazione di documenti in originale reperibili nello Stato di origine e la loro sostituzione con un atto notorio, come previsto per i rifugiati (Tar Veneto, sez. III, sent. 15.9.2021 n. 1097).
 
Usualmente frequenti sono inoltre i provvedimenti che decidono sulla congruità del reddito dell’istante. In particolare, di fronte a un ricorso che lamentava il rigetto dell’istanza di concessione della cittadinanza a causa dell’insufficienza del reddito e a precedenti penali, il giudice amministrativo censura sotto entrambi i profili le motivazioni del Ministero: riguardo al secondo, sulla base della constatazione che non è stata considerata l’assoluzione rispetto ai reati ascritti e neppure il contenuto (intonso) dei successivi certificati del casellario giudiziario. Riguardo al computo del reddito, dopo aver richiamato i parametri fissati dal Ministero, si rileva che quest’ultimo ha omesso di considerare la presenza del coniuge il cui reddito avrebbe dovuto essere valutato unitamente a quello della ricorrente, al fine di determinarne la complessiva sufficienza per il sostentamento dell’intero nucleo familiare, alla stregua della circolare n. K.60.1 del 5 febbraio 2007, la quale ritiene necessario, «nel rispetto del concetto di solidarietà familiare cui sono tenuti i membri della famiglia, valutare la consistenza economica dell'intero nucleo al quale l’aspirante cittadino appartiene» (Tar Lazio, sez. I-ter, sent. 24.4.2021 n. 4933).
Ad opposta conclusione giunge un diverso Tar nei confronti di una persona che invece godeva di somme derivanti dalla benevolenza della persona che ospitava lei e la figlia nonché del reddito di cittadinanza (Tar Valle d’Aosta, sez. unica, sent. 23.4.2021 n. 26). In quest’ultima sentenza viene ricordato che, in base alla circolare del 22.3.2019, che ha dato attuazione alle modifiche introdotte nella legge organica dall’art. 14 del d.l. n. 113/2018, (anche) i requisiti formali ai fini del procedimento di naturalizzazione debbono essere verificati dai prefetti competenti per territorio, quali organi periferici del Ministero dell’interno.
 
Ebbene, muove proprio da un’azione civile intentata da una aspirante cittadina contro un provvedimento prefettizio di inammissibilità della richiesta per la concessione di cittadinanza il successivo ricorso della medesima per regolamento preventivo di giurisdizione, chiedendo che sia dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario. A tale proposito, la ricorrente invocava l’art. 3, co. 2, del d.l. 17.2.2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla l. 13.4.2017, n. 46, osservando che tale disposizione, nell’attribuire alle sezioni specializzate in materia di immigrazione la competenza in ordine alle controversie sull’accertamento dello stato di cittadinanza italiana, avrebbe concentrato nella giurisdizione ordinaria tutte le controversie afferenti l’acquisto della cittadinanza italiana, qualunque sia il presupposto per la relativa richiesta. In sintesi, secondo la ricorrente, si sarebbe dovuto escludere una differenziazione tra il modo di acquisto della cittadinanza fondato sul matrimonio e quello fondato sulla naturalizzazione.
Avvertiamo subito che le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno respinto tale tesi, sulla base di motivazioni di per sé ben note ai lettori di queste Rassegne. Ciò nonostante, la pronuncia si presenta assai elaborata e connotata da qualche spunto originale (Cass., SU, ord. 21.10.2021 n. 29297). Essa si apre con un lungo excursus sul procedimento di naturalizzazione ai sensi dell’art. 9, co. 1, lett. f) della l. 91/1992, nel quale, sulla scorta della ben conosciuta e qui condivisa giurisprudenza del Consiglio di Stato, si sottolinea sia il carattere costitutivo sia quello altamente discrezionale del provvedimento di concessione della cittadinanza. Proprio nel corso di tale analisi spicca a più riprese la differenza tra questo procedimento e quello relativo all’acquisto della cittadinanza per matrimonio (anch’esso estesamente vagliato) del quale si sottolineano le ben note diversità rispetto al primo, corrispondenti al diritto soggettivo all’acquisto sotteso a buona parte di esso e viceversa all’interesse legittimo sotteso al primo. Tali differenze incidono evidentemente sul riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario, alla stregua di una giurisprudenza civile risalente (la Corte trascura quella più recente dei giudici di merito spesso qui ricordata), e d’altro canto, come già rilevato, di un nutrito e tuttora aggiornato orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato. Degna di nota appare comunque la condivisione sia della tesi che estende l’applicazione dei motivi ostativi di cui all’art. 6 co. 1 anche al procedimento di naturalizzazione, pur negandone contestualmente la sufficienza ai fini della valutazione complessiva, sia della tesi relativa ai necessari confini della discrezionalità, escludendo valutazioni sommarie e superficiali.
Sulla base di tali premesse le Sezioni Unite escludono che le norme processuali sull’ampliamento della competenza delle sezioni specializzate dei Tribunali civili a determinate controversie in materia di cittadinanza abbiano mutato il suddetto riparto di giurisdizione, alla luce della loro natura di (pure e semplici) norme sulla competenza dei singoli giudici all’interno della giurisdizione ordinaria.
 
In tema di riparto della competenza interna nel processo amministrativo, è invece intervenuto il Consiglio di Stato: in particolare, riguardo alla competenza territoriale a conoscere dell’impugnazione del provvedimento, adottato dalla prefettura, con il quale viene dichiarata inammissibile una domanda di concessione di cittadinanza italiana. Ciò comporta la soluzione della questione relativa alla portata, regionale o estesa al territorio nazionale, del provvedimento prefettizio impugnato, oggetto della questione. A questo proposito i Consiglieri preliminarmente ricordano, in relazione ai due criteri di competenza territoriale previsti dall’art. 13, co. 1, c.p.a., che il criterio principale è quello della sede dell’autorità che ha adottato l’atto impugnato, ma, nel caso in cui la potestà pubblicistica spieghi i propri effetti diretti non esclusivamente nell’ambito territoriale di un Tribunale periferico, il criterio della sede cede il passo a quello dell’efficacia spaziale. Al termine di una circostanziata disamina del suddetto articolo e di altre norme processuali rilevanti, il Consiglio di Stato afferma la competenza del tribunale amministrativo locale, ovvero della sede della prefettura, anziché di quella del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma.
Nella stessa scia si muovono le considerazioni finali relative alla natura dell’atto prefettizio impugnato. In sintesi, la valutazione compiuta dalla prefettura qui non incide sulla pretesa sostanziale dello straniero e, dunque, sul suo status, ma solo sul profilo preliminare, inerente alla regolarità della domanda; al relativo provvedimento di inammissibilità non può connettersi perciò un’efficacia erga omnes, e quindi ultraregionale, propria invece di un provvedimento che, entrando nel merito, presuppone un giudizio circa la spettanza del bene della vita, peraltro riconoscibile solo dall’autorità centrale. Il provvedimento di inammissibilità infatti non è un atto di diniego della cittadinanza, ma un atto di un organo periferico che si inserisce nell’iter amministrativo, determinandone l’arresto (Cons. St., Ad. plen., ord. 13.7.2021, n. 13).
 
Accertamento dell’apolidia
Le due decisioni qui riportate presentano un aspetto comune e innovativo rispetto alle precedenti, poiché entrambe coinvolgono individui provenienti dall’Africa.
Questo è anzitutto il caso di una donna sbarcata da anni a Lampedusa e integratasi nel tessuto sociale italiano, munita di un passaporto italiano con l’indicazione «cittadinanza. Costa D’Avorio» pur non avendo nessun documento che certifichi tale status; ed è evidente che lo Stato italiano non potrebbe rilasciare documenti di questo genere, anche se il passaporto di per sé non costituisce in generale una prova sufficiente del possesso della cittadinanza. L’ordinanza del giudice è ampia e dettagliata. La prima parte di essa riporta largamente le motivazioni di Cass., 24 novembre 2017, n. 28153 (in questa Rassegna, fasc. 3/2017), nella quale viene chiarito il percorso interpretativo da seguire per l’accertamento dell’apolidia ai sensi della Convenzione di New York del 28.9.1954 sullo statuto degli apolidi. Successivamente il Tribunale intraprende una minuziosa analisi sugli eventuali contatti dell’attrice con alcuni Stati al fine di individuarne l’eventuale cittadinanza. Si tratta invero di analisi assai complesse considerando il difficile vissuto della suddetta, sfornita di istruzione scolastica, trasferitasi dalla Costa d’Avorio al Ghana, sempre senza alcun documento, ignara dello status civitatis dell’unica parente. Ciò nonostante, dopo aver escluso l’acquisto della cittadinanza di entrambi i suddetti Stati sulla base delle norme ivi vigenti ed aver richiesto (a volte invano) una corrispondente certificazione ai relativi Consolati, viene riconosciuta la condizione di apolide ( Trib. Brescia, ord. 26.10.2021 ).
 
Ad analogo esito è giunto un diverso Tribunale al termine di un procedimento ancora più complesso in quanto coinvolgeva anche la richiesta di protezione internazionale da parte dell’attore. Nell’ultima parte di questo ampio provvedimento viene anzitutto dichiarata la propria competenza ai sensi dell’art. 3, co. 2, del d.l. 13/2017, convertito nella l. 46/2017, relativo alle sezioni specializzate, confermato dall’art. 19-bis del d.lgs. n. 150/2011. Successivamente, viene correttamente ricordato come la previsione di un apposito procedimento amministrativo dedicato all’accertamento dell’apolidia, disciplinato dall’art. 17 del d.p.r. 572/1993 (primo regolamento di esecuzione della legge organica sulla cittadinanza), non precluda affatto la possibilità di ricorrere alla tutela dell’autorità giudiziaria ordinaria, configurandosi così una sorta di doppio binario al fine di raggiungere il medesimo risultato, così come sancito sia dalla giurisprudenza civile di legittimità sia da quella costituzionale. Segue poi anche in questo caso, una minuziosa indagine sulla situazione pregressa del ricorrente, nato da genitori maliani ma adottato giovanissimo, a causa della morte di entrambi, da cittadini ghanesi. Tuttavia, alla luce delle molteplici norme reperite, l’astratta possibilità di aver acquistato la cittadinanza maliana viene smentita dalla opposta impossibilità di provare la condizione giuridica dell’interessato; riguardo alle norme ghanesi, che pur ammettono l’acquisto della cittadinanza per adozione, tale effetto viene escluso poiché si è trattato di un’adozione di fatto. Viene perciò riconosciuto lo status di apolide in capo all’attore ( Trib. Firenze, decreto 29.11.2021 n. 6558 ) .

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