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Fascicolo 2, Luglio 2022


Vivere una sola vita /in una sola città / in un solo Paese / in un solo universo/ vivere in un solo mondo / è prigione.
Amare un solo amico, /un solo padre, / una sola madre, / una sola famiglia / amare una sola persona / è prigione.
Conoscere una sola lingua, /un solo lavoro, / un solo costume, / una sola civiltà / conoscere una sola logica / è prigione.
Avere un solo corpo, / un solo pensiero, / una sola conoscenza, / una sola essenza / avere un solo essere / è prigione.

(Ndjock Ngana, Prigione, in Nhindo nero, Edizioni Anterem, 1994)

Penale

Incostituzionale la circostanza aggravante del reato di favoreggiamento dell’ingresso irregolare relativa all’utilizzo di servizi di trasporto internazionale o di documenti falsi
La Corte costituzionale, con sentenza n. 63 del 10.3.2022, ha accolto le censure di costituzionalità formulate dal Tribunale di Bologna (per l’ordinanza di rimessione, vedi la Rassegna pubblicata sul n. 1.2021 di questa Rivista) e ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della circostanza aggravante del reato di favoreggiamento
dell’immigrazione irregolare, prevista dall’art. 12, co. 3 lett. d) TUI, limitatamente alle parole «o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti» (per un primo commento alla decisione, cfr. Zirulia, La Corte costituzionale sul favoreggiamento dell’immigrazione irregolare: illegittima l’aggravante che parifica il trattamento sanzionatorio dei trafficanti a quello di coloro che prestano un aiuto per finalità solidaristiche, in Sist. pen., 23.3.2022, e Ciervo, L’irragionevole sicurezza: la Corte costituzionale alle prese con il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, in Oss. cost. AIC, 9.6.2022).
La Corte si pone nel solco di un orientamento che va consolidandosi, e che vede un suo ruolo sempre più deciso nel valutare la proporzionalità del trattamento sanzionatorio previsto dal legislatore per una certa figura di reato o (come nel caso di specie) per una circostanza aggravante. All’esito di un percorso argomentativo che si snoda attraverso le molte modifiche che hanno interessato le aggravanti del reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, la sentenza constata come il quantum di pena che la circostanza comporta per l’autore del fatto (si passa dalla pena detentiva prevista all’art. 12 co. 1 TUI, reclusione da 1 a 5 anni, a quella prevista per le ipotesi aggravate di cui al co. 3, reclusione da 5 a 15 anni) non trovi riscontro nel modesto (ove non del tutto assente) disvalore aggiuntivo che reca alla complessiva gravità del fatto la circostanza di aver utilizzato «un servizio internazionale di trasporto» [ipotesi rispetto a cui la Corte constata come «non pare, infatti, ragionevolmente ravvisabile alcun surplus di disvalore del fatto commesso mediante l’utilizzazione di servizi internazionali di trasporto rispetto alla generalità dei fatti riconducibili alla fattispecie base descritta nel comma 1: una tale modalità di commissione non offende alcun bene giuridico ulteriore rispetto a quello tutelato dal comma 1 (l’ordinata gestione dei flussi migratori), né rappresenta una modalità di condotta particolarmente insidiosa o tale da creare speciali difficoltà di accertamento alla polizia di frontiera»: § 4.4.1. del «considerato in diritto»] o di aver fatto uso di documenti falsi [ove secondo la Corte «non v’è dubbio che il possesso e l’uso di documenti totalmente o parzialmente falsi, o anche solo illecitamente ottenuti (presumibilmente, a mezzo di un’attività integrante altri reati), conferisca alla condotta una connotazione offensiva ulteriore rispetto a quella propria della fattispecie base», ma è al contempo manifestamente sproporzionato un aumento della cornice edittale di 4 anni per il mimino e addirittura di 10 anni per il massimo, quando le pene per i reati di falso previsti dal codice penale o dallo stesso TUI sono ben lontane dal raggiungere un tale livello di gravità].
L’oggetto dello scrutinio rimesso alla Corte era assai limitato, trattandosi della legittimità solo di una delle molte circostanze previste dall’art. 12 TUI, e l’intervento ablativo non muta dunque in modo sostanziale il quadro complessivo; tuttavia, la sentenza rappresenta la prima volta in cui la Corte accoglie una censura di costituzionalità relativa alla disciplina del reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, e ci auguriamo allora – considerati i gravi eccessi e squilibri punitivi che anche dopo tale sentenza affliggono la disciplina in materia, in ragione delle molteplici e spesso poco ponderate modifiche cui la stessa è andata incontro – che essa rappresenti il primo segnale di una più ampia messa in discussione della conformità al canone della proporzionalità dell’intero edificio sanzionatorio in materia di contrasto all’immigrazione irregolare.
 
La conclusione della vicenda Vos Thalassa: la Cassazione riconosce la legittima difesa ai migranti che si sono opposti al tentativo di riportarli in Libia
Si è infine conclusa con la decisione di annullamento senza rinvio della decisione di condanna della Corte d’appello di Palermo la controversa vicenda giudiziaria dei migranti che, dopo essere stati soccorsi in acque internazionali dalla nave italiana Vos Thalassa, si erano ribellati al tentativo del capitano di riportarli in Libia [abbiamo già messo a disposizione dei lettori tanto la decisione di primo grado del Tribunale di Trapani, che aveva assolto i migranti riconoscendo loro la legittima difesa (cfr. la nota di Ruggiero sul n. 1.2020), quanto la sentenza d’appello, che al contrario li aveva condannati a pesanti pene detentive (cfr. la Rassegna penale del n. 3.2020; per un commento, cfr. Masera, I migranti che si oppongono al rimpatrio in Libia non possono invocare la legittima difesa: una decisione che mette in discussione il diritto al non refoulement, in Sist. pen., 20.7.2020, e Natale, Il caso Vos Thalassa: il fatto, la lingua e l’ideologia del giudice, in Quest. giust., 23.7.2020)].
La Cassazione sez. VI con sent 15869/2022 prende le mosse dal ricordare come, in capo ai giudici d’appello che intendano condannare un imputato assolto in primo grado, gravi un «onere di motivazione rafforzata», che impone di individuare con precisione gli errori della sentenza di assoluzione, e di argomentare a fondo le ragioni della diversa decisione. I giudici di legittimità constatano come la decisione della Corte palermitana non faccia nulla di tutto ciò, limitandosi a generiche e poco comprensibili critiche alla sentenza appellata, e fondando la propria diversa ricostruzione sulla base di un’erronea interpretazione del diritto del mare e del diritto della protezione internazionale (la Cassazione censura in particolare la messa in dubbio dello statuto di diritto fondamentale del diritto al non refoulement), oltre che di una errata ricostruzione dei presupposti fondanti nel caso di specie la legittima difesa (la sentenza sottolinea l’insostenibilità del ritenere volontariamente cagionato il pericolo di respingimento, che la decisione di primo grado aveva posto a fondamento della legittima difesa, quando al più si sarebbe potuto dubitare dell’involontarietà dell’esposizione al pericolo di naufragio, che tuttavia non era rilevante ai fini del giudizio sulla legittima difesa).
 
La giurisdizione del giudice italiano per fatti di omicidio verificatisi in acque internazionali
Una recente decisione della Cassazione (15556/2022) contiene affermazioni di grande interesse rispetto al tema della giurisdizione del giudice italiano rispetto a fatti di omicidio verificatisi in acque internazionali.
La vicenda era relativa alla responsabilità di un soggetto individuato come colui che si trovava alla guida di un barcone carico di migranti, il cui naufragio aveva provocato la morte di più di 200 persone: la sentenza della Corte d’assise d’appello lo aveva condannato per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, in concorso con il reato di cui all’art. 586 c.p. (morte come conseguenza non voluta di altro delitto).
La giurisdizione per il primo reato non pone particolari problemi, in quanto la Corte non fa che richiamarsi all’orientamento consolidato per cui «sussiste la giurisdizione dello Stato italiano per il delitto di procurato ingresso illegale nel territorio dello Stato di cittadini extra-comunitari quando i migranti, provenienti dall’estero a bordo di navi “madre”, siano abbandonati in acque internazionali, su natanti inadeguati a raggiungere le coste italiane, allo scopo di provocare l’intervento dei soccorritori che li condurranno in territorio italiano, poiché la condotta di questi ultimi, che operano sotto la copertura della scriminante dello stato di necessità, è riconducibile alla figura dell’autore mediato di cui all’art. 48 cod. pen., in quanto conseguente allo stato di pericolo volutamente provocato dai trafficanti, e si lega senza soluzione di continuità alle azioni poste in essere in ambito extraterritoriale».
Decisamente innovativa è invece l’argomentazione relativa alla giurisdizione per il reato di cui all’art. 586 c.p. I giudici di merito avevano motivato ritenendo sussistenti tutte le condizioni previste dall’art. 10 co. 2 c.p. per fondare la giurisdizione nel caso di delitto commesso all’estero a danno di uno straniero (apposita richiesta del Ministro della giustizia; presenza dell’imputato nel territorio dello Stato; procedimento per delitto per il quale è stabilita la pena dell’ergastolo ovvero della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni; non concessione dell’estradizione); con particolare riferimento alla pena edittale, la sentenza d’appello aveva ritenuto doversi fare riferimento, in virtù del principio della perpetuatio jurisdictionis, alla originaria contestazione ex art. 575 c.p. piuttosto che al reato ritenuto in sentenza, la cui pena minima, stante il rinvio all’art. 589 c.p. e pur tenendo conto del previsto aumento, è inferiore a tre anni di reclusione. La Cassazione rifiuta tale argomentazione, ricordando come, secondo un consolidato indirizzo, «il giudice deve costantemente verificare, anche ex officio, i presupposti fattuali e normativi dai quali dipende la titolarità della giurisdizione e deve dichiararne il difetto non appena gli elementi di prova raccolti modifichino la struttura e l’impianto originari dell’imputazione facendola esorbitare dalla sfera cognitiva assegnatagli dall’ordinamento». La Corte propone, allora, un ragionamento diverso, che prende le mosse dalle disposizioni della Convenzione di Palermo del 2000 contro la criminalità organizzata transnazionale, che, oltre ad essere stata emendata quanto al catalogo dei reati dai Protocolli addizionali contestualmente sottoscritti – tra cui quelli concernenti il traffico di migranti –, risulta applicabile, e fonda la giurisdizione italiana, quando i reati sono di natura transazionale e vedono coinvolto un gruppo criminale organizzato, e si tratta di «reati gravi», per tali intendendosi ai sensi dell’art. 2 della Convenzione quelli puniti «con una pena privativa della libertà personale di almeno quattro anni nel massimo o con una pena più elevata», ipotesi in cui rientra certamente la morte come conseguenza di altro delitto ex art. 586 c.p.; così argomentando, la giurisdizione viene allora ritenuta sussistente, anche in mancanza di una espressa disposizione legislativa interna al riguardo, ai sensi dell’art. 7 c.p., per cui si applica la legge italiana per «ogni reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l’applicabilità della legge penale italiana».
 
False dichiarazioni volte ad ottenere indebitamente il Reddito di cittadinanza e requisito della residenza decennale in Italia
Meritano infine un cenno due sentenze di merito, relative entrambe a profili di responsabilità penale per il reato di cui all’art. 7 co. 1 l. n. 4/2019, derivanti dall’avere falsamente dichiarato, al fine di ottenere il Reddito di cittadinanza, di possedere il requisito della residenza decennale in Italia. Si tratta di un contenzioso penale che sta assumendo negli ultimi mesi contorni numericamente sempre più significativi, posto che i controlli dell’INPS hanno fatto emergere migliaia di situazioni in cui tale requisito risulterebbe in realtà insussistente, con la conseguenza di configurare la fattispecie ad hoc introdotta dalla legge istitutiva del RDC per contrastare le false dichiarazioni. Con la prima decisione, del Tribunale di Lagonegro 3-31.3.2022, n. 27 , l’imputato viene prosciolto per mancanza dell’elemento oggettivo del reato, posto che, se le risultanze anagrafiche ne attestavano la residenza in Italia da meno di 7 anni, la difesa aveva fornito elementi da cui emergeva che il soggiorno in Italia dell’imputato fosse iniziato in data precedente alle risultanze fornite dall’accusa. La seconda decisione, del  Tribunale di Asti, 26-29.4.2022, n. 208 esclude la responsabilità dell’imputata per carenza dell’elemento soggettivo del reato, dal momento che dai documenti dalla stessa presentati risultava in maniera inequivoca il mancato possesso del requisito, e dunque non può ritenersi provata la sua volontà di ottenere indebitamente un beneficio di cui era consapevole di non avere diritto.

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