Questo numero esce a pochi giorni dal terremoto che ha sconvolto alcune zone della Siria e della Turchia e che ha condotto all’evacuazione di un gran numero di civili sopravvissuti, costretti ad abbandonare le loro case e i loro territori analogamente a quanto è avvenuto e avviene ogni giorno per coloro che sono costretti dai conflitti in corso alla fuga in cerca di condizioni di vita sicure.
Fuga via terra o via mare.
L’immigrazione via mare continua a essere una questione drammaticamente attuale dal punto di vista politico e giuridico nel nostro paese e mentre le persone continuano a morire in mare, la Camera dei Deputati approva in via definitiva il decreto legge n. 1/ 2023
(contenente Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori), con cui il Governo ha inteso fornire una nuova regolamentazione delle attività delle ONG che svolgono operazioni di search and rescue (SAR) nelle acque del Mediterraneo centrale. È recente l’intervento del Tribunale di Catania che ha stigmatizzato come illegittimo lo “sbarco selettivo” delle persone migranti dalla nave di soccorso Humanity1 cui, nel mese di ottobre, era stato concesso di sbarcare nel porto Catania solo donne e minori, sino a che l’autorità sanitaria dopo alcuni giorni impose di far scendere a terra tutte le persone presenti a bordo.
All’esito del Consiglio Europeo del 9 e 10 febbraio 2023, i Capi di Stato e di governo hanno deciso di concentrarsi sul rafforzamento dell’azione esterna, sulla cooperazione in materia di rimpatrio e di riammissione, sul controllo delle frontiere esterne, sulla lotta alla strumentalizzazione dei migranti a fini politici e sulla cooperazione con Europol, Frontex e Eurojust confermando il principio secondo cui il controllo dei flussi di migranti è essenzialmente un problema di sicurezza.
Si tratta, tuttavia, dei medesimi Paesi che sono intervenuti con sollecitudine nei confronti dei profughi ucraini che hanno potuto beneficiare di un’accoglienza giuridicamente assai più vantaggiosa, rispetto a quella ordinariamente riservata ai cittadini di altri Paesi terzi, pur in fuga da guerre o persecuzioni, come è posto in luce nell’intervento di Alessia Di Pascale intitolato L’attuazione della protezione temporanea a favore degli sfollati dell’Ucraina. Nel corposo articolo l’autrice si concentra sulla minuziosa analisi della disciplina della protezione temporanea, che, pur prevista nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (art. 78, par. 2 lett.c), non era mai stata attuata in precedenza nemmeno per la crisi dell’Afghanistan in relazione alla quale la Dichiarazione del Consiglio UE del 31 agosto 2022 rendeva, invece, palese l’intento di scoraggiare le persone ad intraprendere viaggi definiti pericolosi e illegali verso l’Europa. L’approfondita ricostruzione della disciplina dell’Unione Europea e del dibattito internazionale sul tema della protezione temporanea precede il particolareggiato esame dei presupposti, dei beneficiari e delle cause di esclusione, mettendo in evidenza le differenze con la protezione internazionale a cui si affianca, configurandosi quale terza componente dell’asilo europeo, concessa temporaneamente in funzione della necessità di garantire immediatamente un titolo di soggiorno e un complesso di diritti in capo ad un determinato gruppo di persone. Segue l’accurata disamina dell’attuazione della direttiva 2001/55/CE in Italia, di cui vengono illustrate sia le criticità sia i positivi elementi di novità, operando una riflessione conclusiva sulle prospettive per la politica di asilo.
Il contributo di Michela Castiglione dal titolo Oltre l’hazard paradigm: la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati e il fondato timore di essere perseguitato a seguito dei cambiamenti climatici, disastri naturali e degradazione ambientale si segnala per l’estrema attualità della tematica affrontata e per il taglio originale della riflessione proposta in merito all’ambito di applicazione in senso evolutivo della Convenzione anche a coloro che migrano al difuori dei confini del loro Stato in conseguenza di cambiamento climatico, disastri, terremoti e situazioni di degradazione ambientale. Muovendo dalla considerazione, suffragata dai dati offerti dallo Internal Displacement Monitoring Centre, che i disastri rappresentino la principale causa al mondo di sfollamento interno di persone e suffragata dalla considerazione della mancanza di uno strumento internazionale giuridicamente vincolante che offra protezione adeguata a questa categoria di migranti forzati, l’autrice si è proposta di verificare se sia possibile inquadrare questo tipo di migranti nell’alveo dello status affrontando le tre questioni principali: la definizione di «timore di essere perseguitato», la natura del nesso causale e se le persone più vulnerabili al cambiamento climatico e agli eventi ambientali possano rientrare nel concetto di particolare gruppo sociale. L’autrice, dopo aver illustrato il dibattito a livello internazionale e regionale sul gap in protection, circa la mancata previsione di uno strumento giuridico vincolante che protegga coloro che fuggono dagli eventi avversi del cambiamento climatico, disastri improvvisi e degradazioni a lenta insorgenza, denunciandone l’astrattezza ed evidenziando la generale riluttanza che gli Stati nell’interpretare espansivamente l’ambito di applicazione della protezione internazionale, si sofferma sul concetto di gap in recognition che ostacola le persone nell’ottenere la protezione. La riflessione dell’autrice si concentra sia sul contributo in negativo degli operatori del diritto (operatori legali, avvocati, commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e tribunali) sia degli stessi richiedenti asilo. I primi, in quanto sovente mancano dell’attento scrutinio del caso individuale, necessario per una corretta qualificazione giuridica dei fatti, focalizzano la loro ricerca sul motivo della permanenza degli stranieri nel Paese ospitante piuttosto che sul motivo per il quale hanno lasciato la propria terra. Rileva, in proposito, l’autrice che dai verbali di audizione delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e nei verbali di udienza sono spesso assenti del tutto domande sulle condizioni generali del Paese di origine e, quando poste, di rado vengono approfondite le cause più profonde. I secondi, in quanto nel tentativo di conciliare la loro narrazione con i requisiti stabiliti per il riconoscimento della protezione internazionale omettono di indicare elementi utili relativamente al timore di danni legati ai disastri.
Le difficoltà connesse all’attento e necessario scrutinio dei casi individuali in presenza di scarse risorse dedicate e di un numero imponente di domande da esaminare viene analizzata anche nell’approfondita analisi di Luca Perilli dal titolo Le sezioni specializzate in materia di immigrazione a cinque anni dalla loro istituzione: un’indagine sul campo che offre una ricognizione del lavoro delle sezioni specializzate per la protezione internazionale a cinque anni dalla loro istituzione prendendo le mosse dalle risultanze di un questionario inviato a tutte le 26 sezioni specializzate attualmente esistenti. Il contributo ha analizzato gli effetti della modifica legislativa intervenuta con il d.l. 17.02.2017 n. 13, poi convertito dalla l. 13.04.2017 n. 46, in relazione agli obiettivi che il legislatore si era prefisso, nonché i modelli organizzativi ed il concreto funzionamento delle sezioni evidenziandone le criticità derivanti in primis dalla carenza di risorse destinate a tale delicato compito che non hanno consentito l’accelerazione della disamina delle domande, a fronte dei numeri assai rilevanti dei ricorsi. L’autore ha dato conto delle prassi affermatesi nei vari tribunali (quanto a disamina preliminare dei fascicoli, alle modalità di trattazione delle udienze, alla gestione delle audizioni) per cercare di coniugare la qualità della decisione con le gravi difficoltà nella gestione dei casi, conseguenti all’inadeguata dimensione delle sezioni per l’insufficienza dei giudici ad esse destinati. Nel contributo vengono analizzate anche le misure del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e le ricadute sulle sezioni di protezione internazionale che hanno rappresentato un terreno di sperimentazione (virtuosa) dell’Ufficio per il Processo evidenziando come in tutti i distretti le sezioni specializzate abbiano predisposto progetti organizzativi volti ad assicurare non solo un aumento di produttività, ma ad accrescere la qualità della risposta giudiziaria. L’autore ha posto in luce l’importanza dell’audizione del richiedente quale momento centrale del processo che non può prescindere da un’adeguata dotazione di risorse umane che consentano al giudice di dedicare ad ogni persona il tempo indispensabile per un esame individuale approfondito ed accurato. L’articolo illustra, infine, le caratteristiche del processo di protezione internazionale italiano, plasmato da una giurisprudenza costituzionalmente orientata, nel contesto del Sistema comune europeo dell’asilo.
Il contributo di Kamilla Galicz si concentra invece sui rapporti fra corte UE e corte Nazionale per individuare a quale spetti la revisione delle misure adottate nelle diverse fasi procedurali e quali conseguenze a livello giurisdizionale possa comportare l’implementazione congiunta di leggi e politiche europee. La disamina viene circoscritta in particolare all’asilo, concentrandosi in primo luogo sull’emergere dei procedimenti composti nell’ambito del c.d. approccio hotspot e sul rafforzamento degli organi dell’UE, in particolare dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO). L’articolo descrive e sottolinea i cambiamenti riconducibili alla recente istituzione dell’Agenzia dell’Unione Europea per l’asilo (EUAA), ai sensi del Regolamento (UE) 2021/2303 offrendo, altresì, una prima valutazione delle attività della nuova Agenzia nelle situazioni di crisi sviluppate ai confini orientali d’Europa e conclude auspicando la revisione giudiziaria in procedimenti composti di asilo adottando una prospettiva basata sui diritti fondamentali.
Il contesto europeo viene abbandonato nei due ultimi saggi il primo dei quali dal titolo Nuove norme in materia di immigrazione e asilo nel Regno Unito dopo la Brexit: applicazioni amministrative e giurisprudenziali analizza la disciplina adottata dal Regno Unito all’indomani della formalizzazione giuridica della Brexit e del venir meno dei corrispondenti vincoli normativi europei. Gli autori, Daniele Camoni e Eleonora Celoria, si addentrano nella lettura delle politiche di immigrazione del periodo transitorio e del post-Brexit evidenziandone l’incidenza sulla libertà di movimento dei cittadini europei che hanno visto venire meno le prerogative collegate al diritto di free movement, ritenuta effettiva ed unica novità della disciplina in materia di immigrazione. Osservano gli autori che il diritto alla libertà di movimento si è sostanzialmente disintegrato con la Brexit, non soltanto in ragione del recesso del Regno Unito dall’UE (art. 50 TUE), ma anche a causa della precisa scelta politica di equiparazione tra cittadini europei ed extraeuropei ai fini dell’applicazione delle regole in materia di ingresso e soggiorno per studio e lavoro. Nel contributo si sottolinea poi, con riferimento alla disciplina specifica del diritto di asilo, la frattura netta con la normativa europea sino ad allora applicabile, ma nel contempo si segnala che la cesura perseguita con l’abbandono dell’UE si scontra con la persistenza di un legame con fonti che continuano a essere vincolanti per il Regno Unito e cioè quelli imposti dalla CEDU, dalla Convenzione di Ginevra e dai Trattati di diritto internazionale in genere. Si tratta di argini che, ad avviso degli autori, impediscono una pericolosa regressione della qualità democratica del Regno Unito e della incondizionata tutela dei diritti fondamentali, in parte già verificatasi a seguito della sottoscrizione del controverso MoU con il Ruanda.
Nell’ultimo saggio proposto dal titolo Selettività del mercato e persistenza differenziante nelle politiche migratorie: il caso giapponese tra necessità economica e dicotomie culturali, Nicola Costalunga ricostruisce le dinamiche che hanno condotto il Giappone ad approvare l’emendamento alla Legge sul Controllo dell’Immigrazione e il Riconoscimento dei Rifugiati (ICRRA) nel dicembre del 2018 aprendo per la prima volta la possibilità di ricorrere alla forza di lavoro straniera a basso costo ed a bassa qualifica adattandosi alle esigenze del mercato, non mancando di sottolineare quanto ancora sia radicata l’essenza differenziante della società nipponica. L’interessante analisi muove dalla constatazione che, dalla ricostruzione economica iniziata dal termine del secondo conflitto mondiale agli inizi degli anni novanta, il Giappone, caso unico tra i Paesi appartenenti all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), è divenuto la seconda potenza economica mondiale (dopo gli Stati Uniti), senza alcun utilizzo di forza lavoro straniera per poi analizzare i soggetti da cui sono provenute le spinte all’apertura in tal senso (media e piccola – spesso piccolissima e famigliare – impresa (PMI). Il contributo fornisce una panoramica del caso giapponese, inquadrando la tensione esistente tra spinte trasformative liberalizzanti e quelle di natura socio-economica tendenti all’immobilismo proponendosi di identificare le determinanti che hanno portato il Giappone alla svolta attuata con l’emendamento. L’analisi che muove dai risultati della ricerca, operata tramite una serie di interviste qualitative condotte tra gennaio 2020 e gennaio 2022, ha consentito all’autore di trarre la conclusione che la revisione del 2018 dell’ICRRA ha fatto emergere un nuovo principio di differenziazione e di divisione tra chi è membro dell’uchi, ovvero i giapponesi, e chi invece fa parte del soto, i non giapponesi, dimostrando che si è venuto a creare un ulteriore processo di separazione attraverso l’istituzione di nuovi status di residenza solo flebilmente connessi a un vero e proprio cambiamento nelle politiche migratorie nazionali.
La sezione si chiude con due commenti a decisioni giudiziarie. Irini Papanicolopulu e Giulia Losi affrontano l’esame della sentenza emessa il 1 agosto 2022 dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), su rinvio pregiudiziale del TAR Sicilia in una vertenza promossa dalla Organizzazione Sea Watch per contestare la legittimità del fermo di due sue navi, la Sea Watch 3 e la Sea Watch 4, da parte delle autorità portuali italiane. Lo scritto, premessa una breve presentazione del contenuto della sentenza, si concentra sull’analisi multi-livello delle diverse fonti normative coinvolte, sulla tensione esistente tra i regimi giurisdizionali dello Stato del porto e dello Stato di bandiera e sulla rilevanza primaria dell’obbligo di soccorso in mare e il suo rapporto con le politiche contro l’immigrazione. Le autrici sottolineano la rilevanza di tale decisione per il tema dell’immigrazione e del soccorso in mare, chiarendo sia gli effetti pratici che la pronuncia ha sulla possibilità per la Sea Watch di poter usare le proprie navi, sia le indispensabili gerarchie tra le varie attività che Stati e soggetti privati si trovano a svolgere mettendo in luce il necessario bilanciamento tra Stato del porto e Stato di bandiera nel controllare le navi. Rilevano le autrici che l’Italia, a soli pochi mesi dalla pubblicazione della sentenza analizzata, ha già adottato una nuova normativa d.l. n. 1/2023 che parrebbe avallare le pratiche censurate dalla CGUE, contraddicendone in parte l’insegnamento.
Il commento di Antonello Ciervo dal titolo Limitazioni alla libertà personale e garanzia della riserva di giurisdizione nella recente giurisprudenza costituzionale: due precedenti importanti anche per il diritto dell’immigrazione? analizza le sentenze nn. 22 e 127/2022 della Corte costituzionale individuando i principi applicabili per le garanzie in materia di libertà personale degli stranieri sottoposti a detenzione amministrativa. Osserva l’autore che sebbene nelle sentt. nn. 22 e 127/2022 non si parli mai di immigrazione, esse siano destinate ad aprire la strada ad una nuova giurisprudenza non solo costituzionale, ma anche di legittimità, molto più garantista rispetto al passato per quanto concerne la tutela delle modalità di detenzione degli stranieri nei Cpr, vieppiù necessaria ove si consideri che – con una direttiva del 19 maggio 2022 – il Ministro dell’interno ha ulteriormente dettagliato le modalità di trattenimento degli stranieri in questi Centri, ancora una volta in evidente violazione delle garanzie connesse alla riserva di legge assoluta di cui all’art. 13, co. 2 Cost.