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Fascicolo 1, Marzo 2023


«Ogni classificazione delle popolazioni è arbitraria. Trovo disgustosa la situazione attuale e ammiro chi si oppone ma soprattutto l’ostinazione e il coraggio straordinario dei migranti»

(Étienne Balibar, in Confini, mobilità e migrazioni. Una cartografia dello spazio europeo, a cura di Lorenzo Navone, Milano, AgenziaX, 2020).

Rassegna di giurisprudenza italiana: Allontanamento e trattenimento

Apriamo il primo numero della Rassegna allontanamenti del 2023 prendendo in esame alcune decisioni, di merito e di legittimità, depositate nell’ultimo quadrimestre dello scorso anno. Come di consueto, la prima parte della Rassegna riguarda i temi delle espulsioni e dei respingimenti:
a questi ultimi dedichiamo un’attenzione maggiore rispetto al passato, mentre la seconda parte è dedicata alla giurisprudenza sull’istituto del trattenimento amministrativo.
 
RESPINGIMENTI
Respingimenti differiti: competenza
Il tema dei respingimenti disciplinati all’art. 10, co. 2 ss., d.lgs. 286/98 è stato relativamente poco esplorato dalla giurisprudenza. Prova ne sia che, nonostante l’istituto sia stato modificato con il d.l. n. 113/2018, convertito, con modificazioni, nella l. n. 113/2018, ancora si registrano incertezze circa la competenza a conoscere della legittimità di tali provvedimenti. Così, Cass. civ. sez I, ord. n. 26417/2022 pubblicata l’8.9.2022, annulla con rinvio un’ordinanza del Giudice di pace di Palermo del 2021 che aveva ritenuto competente il Tribunale ordinario. Per la verità, la stessa ordinanza del Supremo Collegio definisce il provvedimento impugnato in termini di «decreto di espulsione emesso dal prefetto di Roma», quando, invece, i decreti di respingimento differiti sono disposti dal questore come ben si evince dal testo dell’art. 10, co. 2 cit. Ad ogni buon conto, il refuso è superato dal tenore dell’ordinanza in commento, che riconosce la fondatezza della dedotta violazione degli artt. 10, co. 2-bis e 18, co. 7, d.lgs. 286/98. Effettivamente il Giudice di pace aveva assunto la propria decisione sulla base di Cass. SSUU, ord.10.6.2013, n.14502, che attribuiva la giurisdizione al giudice ordinario (e, segnatamente, al Tribunale), invece che a quello amministrativo, senza considerare che il c.d. Decreto sicurezza del 2018, introducendo il comma 2-bis nel testo del citato art. 10 espressamente rimanda alla disposizione di cui all’art. 13, co. 8, d.lgs. 286/98 che, a sua volta, rinvia all’art. 18, d.lgs. 150/2011 che radica in capo al Giudice di pace anche la competenza a conoscere della legittimità dei decreti di respingimento differito disposti dal questore, esattamente come previsto per le espulsioni prefettizie.
 
Respingimenti differiti e domanda di protezione internazionale
Accade frequentemente che l’Amministrazione di pubblica sicurezza disponga provvedimenti di respingimento differito nei confronti degli stranieri che sbarcano sulle coste italiane e siano ammessi temporaneamente nel territorio nazionale per necessità di pubblico soccorso (ipotesi espressamente prevista dall’art. 10, co. 2, lett. b), d.lgs. 286/98). Con altrettanta frequenza si pone, tuttavia, la questione relativa all’accesso alla protezione internazionale da parte di chi è oggetto di tali provvedimenti. A questo proposito, registriamo due opposti orientamenti dell’ufficio del Giudice di pace di Agrigento (la cui competenza territoriale comprende Lampedusa).
Nel caso di cui al proc. n. 2527/2022 depositato il 14.10.2022 , si trattava di una impugnazione avverso decreto di respingimento differito adottato nei confronti di un cittadino tunisino, trattenuto in hotspot a fini identificativi ai sensi dell’art. 10-bis, d.lgs. 286/98, ritenuto legittimo sul presupposto errato che sia inibito al giudice alcun sindacato sulle ragioni che inducono la PA a disporre il respingimento o l’espulsione «trattandosi di modalità di organizzazione del servizio sottratte al controllo del G.O.».
Per ben comprendere l’erroneità grave di quanto asserito occorre riprendere la disciplina del respingimento differito come rammentata nel paragrafo precedente. Infatti, a seguito delle modifiche all’istituto in esame intervenute in occasione del decreto sicurezza 2018, si è determinata una sostanziale apparente equivalenza tra respingimento differito e l’espulsione per ingresso illegale di cui all’art. 13, co. 2, lett. a), d.lgs. 286/98: in entrambe le ipotesi stante l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 13, co. 5-bis, 5-ter, 7 e 8 ai respingimenti differiti ex art. 10, co. 2-bis, d.lgs. 286/98 la legittimità dei provvedimenti è devoluta al Giudice di pace; e, stante la previsione di cui ai successivi commi 2-ter, 2-quater, 2-quinquies e 2-sexies, al pari dell’espulso anche per il respinto in via differita è previsto un divieto di reingresso 3 a 5 anni (la cui trasgressione è sanzionata penalmente).
La conseguenza è che l’Amministrazione ha mano libera nel decidere se disporre l’espulsione per ingresso illegale, ovvero il respingimento: è per questo motivo che il Giudice di pace ha ritenuto che si trattasse di una mera modalità organizzativa interna alla P e, in quanto tale, insuscettibile di controllo giurisdizionale. In realtà, i due istituti non sono affatto sovrapponibili: il potere di respingere alla frontiera avviene in limine (respingimento immediato), ovvero appena cessano le necessità di soccorso (respingimento differito), diversamente sopravviene il potere di espellere. Non si tratta di questione meramente formale: infatti, poiché l’Italia si è avvalsa della facoltà consentita dall’art. 2, §2, lett. a) della direttiva 2008/115/CE di non applicare i diritti ivi riconosciuti ai respingimenti, consegue che agli stranieri respinti non si applica né il termine per la partenza volontaria, né l’istituto del riesame in caso di trattenimento amministrativo, a differenza degli stranieri destinatari di provvedimenti di espulsione, e, quindi, la persona destinataria di un provvedimento di respingimento ha meno garanzie di quella destinataria di un decreto di espulsione. E siccome le differenze indicate possono incidere significativamente su diritti soggettivi, non è affatto vero che si verta nell’ambito delle modalità organizzative delle questure, sottratte al controllo giurisdizionale: la scelta tra espellere e respingere non è affatto attività vincolata, al contrario, può essere connotata da un elevato grado di discrezionalità.
Infine, l’ordinanza in commento, pare censurabile anche per quanto concerne la sbrigativa valutazione dell’assenza di motivi di protezione. Ad avviso del giudice, infatti, la circostanza che la Tunisia sia un Paese di origine sicuro, unitamente al fatto che il ricorrente abbia dichiarato, in sede di intervista amministrativa, di non volere chiedere la protezione internazionale, vanificherebbero la domanda di asilo che non risulta formalizzata presso i competenti uffici.
Di diverso avviso è lo stesso Ufficio giudiziario come risulta dalla decisione resa da altro giudice nell’ambito del procedimento 3499/2022, depositato il 23.12.2022 . In questo caso il ricorrente impugnava un decreto di respingimento differito disposto dal questore di Agrigento il 27.10.2022, lamentando la violazione della normativa relativa all’accesso alla protezione internazionale. A fronte di una domanda di asilo avanzata presso la questura di Milano il 21.11.2022 (successivamente alla data di adozione del decreto opposto) il Giudice di pace ha annullato il provvedimento sul duplice presupposto che le domande di protezione internazionale non possono essere respinte né escluse dall’esame per il solo fatto di non essere state presentate tempestivamente (art. 8, d.lgs. 25/2008), e perchè il richiedente asilo ha diritto a rimanere nel territorio dello Stato fino a quando la sua domanda viene esaminata e decisa (art. 7, d.lgs. 25/2008).
Nel senso del provvedimento appena commentato, ma con motivazione più pertinente, si colloca l’ordinanza resa dal Giudice di pace di Siracusa nel ricorso RG n. 3569/2022, depositata il 9.1.2023 (atteso il confronto tra decisioni sul medesimo tema, si ritiene opportuno derogare per pochi giorni al criterio temporale di selezione dei provvedimenti pubblicati). Nel caso in esame il ricorrente è stato sottoposto a quarantena sanitaria appena sbarcato e, solo successivamente, è stato adottato nei suoi confronti un provvedimento di respingimento differito. In tale contesto, il giudice ha ritenuto plausibile che il ricorrente, dopo giorni di navigazione e giorni di quarantena, non avesse compreso l’invito, formulato dal personale della questura dopo lo sbarco dalla nave quarantena e senza la presenza di un interprete, volto ad informarlo del diritto di chiedere asilo, il che ha determinato l’adozione del provvedimento impugnato. Inoltre, lo straniero ha comunque dimostrato di avere successivamente presentato domanda di asilo presso la questura di Milano. Di qui l’annullamento del decreto opposto.
La recente ordinanza del Giudice di pace di Cagliari (cause riunite nn. 3684 e 3729/2022 R.G., ord. dep. 9.1.2023 ) affronta compiutamente il tema della omessa informazione del diritto di chiedere protezione internazionale alle persone appena sbarcate sul territorio nazionale.
Questo il fatto: un intero nucleo familiare algerino approdato sulle coste sarde veniva ammesso in Italia per necessità di soccorso. Dopo pochi giorni trascorsi presso un Centro di accoglienza, veniva adottato un provvedimento questorile di respingimento differito corredato da ordine di allontanamento nei successivi 7 giorni. Il nucleo familiare si trasferiva a Bolzano, ove presentava richiesta di protezione internazionale presso la locale questura. Successivamente, veniva presentato ricorso al competente Giudice di pace avverso i decreti di respingimento, fondato sulla violazione dell’obbligo di informazione circa le procedure per ottenere il riconoscimento della protezione internazionale ex art. 8, direttiva 2013/32/UE.
Il giudice, dopo aver rammentato che le disposizioni sui respingimenti non si applicano ai richiedenti protezione internazionale (art. 10, co. 8, d.lgs. 286/98), osserva opportunamente che tali garanzie presuppongono che lo straniero sia messo nelle condizioni di manifestare la volontà di chiedere asilo, diversamente, l’omessa tempestiva informazione oppure il tardivo recepimento della domanda, vanificano le disposizioni relative ai divieti di respingimento. Dopo avere richiamato le norme relative al diritto a ricevere un’adeguata informazione e l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’ordinanza in esame considera come, nel caso di specie, i ricorrenti abbiano sostenuto che nel corso della pre-identificazione la questura abbia compilato un foglio notizie privo del necessario contenuto informativo, senza averne però rilasciato loro copia (nemmeno prodotta in corso di causa). Peraltro, essendo invece documentato che i ricorrenti avevano proposto domanda di protezione, successivamente all’adozione del provvedimento impugnato, e considerando il loro diritto a rimanere in Italia fino all’esito della procedura di protezione, il giudicante accoglie il ricorso ed annulla i provvedimenti impugnati, sul presupposto che l’Amministrazione non abbia provato in giudizio di avere posto i ricorrenti nelle condizioni di essere compiutamente e tempestivamente informati circa il loro diritto ad accedere alla procedura di protezione. Fatto, quest’ultimo, solo allegato dai ricorrenti non essendo stata consegnata loro (come sempre accade) copia del foglio notizie che, tuttavia, ben avrebbe potuto l’Amministrazione produrre in giudizio.
 
ESPULSIONI
Istanza di revoca: quale giurisdizione in caso di silenzio o diniego?
In caso di espulsione prefettizia disposta con termine per la partenza volontaria (art. 13, co. 5, d.lgs. 286/98), il divieto di reingresso può essere revocato, su istanza dell’interessato, qualora costui abbia ottemperato all’obbligo di allontanarsi dal territorio nazionale nel termine concesso (art. 13, co. 14, d.lgs. 286/98), ovviamente fornendo adeguata prova, di norma consistente nella presentazione personale presso la Rappresentanza consolare italiana nel Paese di destinazione.
Un cittadino albanese ottemperava all’obbligo di lasciare il territorio nazionale in data 29.12.2021. Successivamente, il 12.1.2022, avanzava istanza di revoca del divieto di reingresso, rimasta senza esito. Ricorreva, pertanto, al Tar al fine di ottenere la condanna dell’Amministrazione a concludere il procedimento con un provvedimento espresso.
Il Tar per la Lombardia, sez. di Brescia, con sentenza 1075/22, pubblicata il 3.11.2022, dichiara inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, dichiarando la giurisdizione del giudice ordinario, con facoltà di riassunzione. La condivisibile decisione si fonda sulle seguenti considerazioni. È noto che le controversie in materia di espulsioni prefettizie rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione (cui la sentenza in commento fornisce ampi richiami), per il principio del contrarius actus è attratta alla giurisdizione del giudice ordinario anche la revoca dell’espulsione, ovvero il diniego di revoca. Analogamente, la valutazione dell’inerzia della PA sulla domanda di revoca del decreto di espulsione deve essere valutata dal giudice ordinario, attraverso un’azione di accertamento del diritto ad ottenere la revoca stessa. Infatti,«l’azione volta ad ottenere la dichiarazione d’illegittimità del silenzio serbato dalla Pubblica amministrazione in ordine ad un’istanza presentata da un privato, pur essendo esperibile esclusivamente dinanzi al giudice amministrativo, non dà luogo ad un’ipotesi di giurisdizione esclusiva o per materia di quest’ultimo, ma è limitata alle ipotesi in cui lo stesso sia fornito di giurisdizione in ordine alla pretesa sottostante; ai fini del riconoscimento della spettanza della giurisdizione al giudice amministrativo, non può quindi conferirsi rilievo al dato puramente formale costituito dall’impugnazione del silenzio-inadempimento, ma occorre preventivamente procedere alla qualificazione della situazione giuridica soggettiva fatta valere dall’istante, nonché, nel caso in cui la stessa sia configurabile come diritto soggettivo, verificare la sua eventuale riconducibilità ad un’ipotesi di giurisdizione esclusiva» (così, Cass., SU, sentenza n. 32688/2021; nello stesso senso, ex plurimis, Cass., SU, ordinanza n. 1390/2022).
 
Espulsione in pendenza di domanda di emersione
Cass. civ. sez. I, ord. n. 26863/2022, pubblicata il 13.9.2022, cassa senza rinvio l’ordinanza del Giudice di pace di Agrigento con cui era stato rigettato un ricorso avverso un decreto di espulsione disposto ai sensi dell’art. 13, co. 2, lett. b), d.lgs. 286/98, nonostante la previa presentazione di istanza di emersione del lavoro irregolare ai sensi dell’art. 103, co. 1, d.l. n. 34/2020.
Il Supremo Collegio, dopo avere riassunto la disciplina di cui all’emersione 2020, richiama l’orientamento giurisprudenziale relativo all’emersione di cui all’art. 1, d.l. n. 195/2002, convertito in legge n. 222/2002, secondo cui in tema di espulsione amministrativa dello straniero, in presenza di prospettazione della pendenza della procedura di emersione al giudice spetta solo verificare la data e la certezza dell’inoltro della domanda, senza compiere alcuna prognosi circa l’esito della stessa. Viceversa, qualora l’istanza di emersione sia stata presentata posteriormente all’emissione del decreto di espulsione, il provvedimento è legittimo, seppure esposto a revoca ex tunc quale effetto dell’accoglimento della domanda.
Peraltro, ai sensi dell’art. 103, co. 17, d.l. 34/2020, fino alla conclusione della procedura di emersione non possono essere adottati nei confronti dei lavoratori stranieri che hanno presentato la relativa domanda, provvedimenti di allontanamento dallo Stato, salvo per motivi di ordine pubblico e di tutela della sicurezza dello Stato. Pertanto, il Giudice di pace avrebbe dovuto limitarsi a verificare la data e la certezza dell’inoltro della domanda, ai soli fini della verifica della condizione d’inespellibilità dettata dal citato art. 103, co. 17.
 
Espulsione per pericolosità sociale
Premesso che nel giudizio di opposizione a provvedimenti espulsivi la legittimazione a stare in giudizio, anche nella fase di legittimità, spetta esclusivamente al prefetto, quale autorità che ha emesso il decreto impugnato, cui consegue l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’interno, Cass. civ. sez. I, ord. n. 26096/2022, pubblicata il 5.9.2022, ribadisce che in materia di espulsioni la valutazione della sussistenza del requisito della pericolosità sociale dello straniero va effettuata in concreto e all’attualità. Invero, l’art. 4, co. 3, d.lgs. 286/98, che individua le condanne penali ostative all’ingresso in Italia dei cittadini di Paesi terzi, non introduce una presunzione sempre idonea a precludere automaticamente il soggiorno in Italia, pur in presenza di condanne penali per i titoli di reato ostativi. Infatti, la necessità del bilanciamento tra l’interesse pubblico a vietare ingresso e soggiorno agli stranieri condannati per taluni reati con l’interesse alla salvaguardia dei diritti di cui è titolare lo straniero è richiesta in caso di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari, in caso di autorizzazione al soggiorno del familiare di minore straniero presente in Italia da parte del Tribunale minorile, in caso di coesione familiare, in caso di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno al marito convivente col coniuge italiano. In tutti questi casi il giudice non può limitarsi alla valutazione dei precedenti penali, ma deve compiere il suo esame in base ad un accertamento oggettivo e non meramente soggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni, estendendo il suo giudizio anche all’esame complessivo della personalità dello straniero, desunta dalla sua condotta di vita e dalle manifestazioni sociali nelle quali quest’ultima si articola, verificando in concreto l’attualità della pericolosità sociale. Nel caso in esame il Giudice di pace, pur in presenza di plurime condanne per gravi reati, ha omesso qualsiasi valutazione in ordine alla situazione personale e familiare dello straniero, pur rappresentata nel giudizio di merito, di qui l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
 
Espulsione a titolo di misura di sicurezza nei confronti di rifugiata
La Corte d’appello di Brescia ha applicato la misura di sicurezza dell’espulsione, ex art. 86, d.p.r. 309/90, nei confronti di una cittadina nigeriana condannata per spaccio di sostanze stupefacenti, nonostante la produzione in giudizio della decisone del Tribunale civile di Roma che aveva riconosciuto lo status di rifugiata alla donna in ragione del suo orientamento sessuale.
A seguito di ricorso del difensore, la Corte di cassazione, sez. IV penale sent. n. 42029, pubblicata l’8.11.2022, ha cassato con rinvio la decisione sulla base dei seguenti motivi.
La Corte di legittimità valorizza le modifiche apportate dal d.l. 130/2020, convertito, con modificazioni, nella l. 173/2020, all’art. 19, co.1 e 1.1, d.lgs. 286/98. Si prevede espressamente il divieto di espulsione verso uno Stato in cui lo straniero può essere oggetto di persecuzione tra l’altro anche per motivi di orientamento sessuale. La Corte territoriale non ha quindi tenuto nella debita considerazione la decisione del Tribunale capitolino che ha riconosciuto lo status di rifugiata all’imputata in ragione del suo orientamento sessuale che in Nigeria costituisce reato, punito con la reclusione, omettendo di valutare la sussistenza della condizione ostativa all’espulsione prevista dall’art. 19, co. 1, d.lgs. 286/98.
 
Espulsione del coniuge convivente con donna in gravidanza
Il Giudice di pace di Parma convalidava il decreto di accompagnamento coattivo alla frontiera emesso in danno di un cittadino albanese nonostante costui avesse dichiarato di esser coniugato e convivente con la moglie gravida. Analogamente, lo stesso giudice respingeva il ricorso tempestivamente proposto avverso il decreto di espulsione sostenendone la legittimità poiché il ricorrente era privo di permesso di soggiorno, la sua domanda di rinnovo era stata dichiarata inammissibile, lo stato di gravidanza della moglie era stato portato a conoscenza dell’Amministrazione solo il giorno successivo all’adozione dei provvedimenti, il pericolo di fuga era da considerarsi fondato non avendo lo straniero risorse economiche sufficienti provenienti da fonti lecite, e, infine, costui si era reso inottemperante a pregresso decreto espulsione corredato da ordine di allontanamento questorile.
Avverso entrambi i provvedimenti venivano proposti ricorsi per Cassazione, successivamente riuniti, stante la connessione soggettiva ed oggettiva.
Cass. civ, sez. VI, ord. n. 36719/2022, pubblicata in data 15.12.2022, ha cassato con rinvio entrambi i provvedimenti.
Con riferimento al procedimento contro il decreto espulsivo, l’ordinanza in commento ricorda che la Corte costituzionale, con sentenza n. 376/2000, dichiarò l’incostituzionalità dell’art. 19, co. 2, d.lgs. 286/98 nella parte in cui non estendeva il divieto di espulsione della donna gravidanza, o nei sei mesi dalla nascita del figlio, al marito straniero convivente, salva la sussistenza di motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato. L’ampliamento di tale divieto di espulsione è stato ancora recentemente ribadito dalla Cassazione con ordinanza n. 17640/2021. Peraltro, il Supremo Collegio rammenta altresì che il Giudice di pace, in sede di opposizione a decreto espulsivo ha poteri di accertamento pieni, ivi compreso quello di accertare la sussistenza di una condizione di inespellibilità, essendo totalmente priva di rilevanza la circostanza che tale condizione fosse già nota all’Amministrazione prima dell’adozione del decreto espulsivo. Mentre, per quanto concerne la convalida dell’accompagnamento, la Corte ha rilevato la totale assenza di motivazione.
L’ordinanza in questione è, ovviamente, scontata. Merita però si essere segnalata perchè emblematica dello svilimento della funzione giurisdizionale in materia di libertà personale.
 
Nozione di diritto alla tutela dell’unità familiare rilevante ai fini dell’inespellibilità
Circa i limiti alla rilevanza dei legami familiari rispetto alle espulsioni amministrative (art. 13, co. 2-bis, d.lgs. 286/98) è utile citare Cass. civ, sez. VI, ord. n. 31596/2022, pubblicata il 25.10.2022. La Cassazione ritiene legittima l’ordinanza con cui il Giudice di pace di Pistoia ha respinto il ricorso avverso un decreto di espulsione in cui il ricorrente lamentava la sussistenza della causa di inespellibilità di cui all’art. 19, co. 2, lett. c), d.lgs. 286/98, perchè convivente con la sorella italiana, sul presupposto della mancata prova dell’effettività della convivenza, desunta dalla considerevole distanza tra il luogo di lavoro dello straniero (Toscana) e l’abitazione della congiunta (Friuli); giudicando inammissibile il ricorso perchè sotto l’apparenza di una denuncia di violazione di legge in realtà riproponeva una diversa lettura di una questione di fatto, non consentita in sede di legittimità.
Però, con l’occasione, la Corte precisa i limiti della rilevanza dei legami familiari ai fini della sussistenza della condizione di inespellibilità in questione, a seguito della nota sentenza n. 202/2013 della Corte costituzionale. La nozione del diritto all’unità familiare delineata con riferimento alla giurisprudenza della Corte EDU a proposito dell’art. 8 CEDU si applica allo straniero che abbia legami familiari in Italia, anche se non versa nella posizione di richiedente il ricongiungimento familiare, a condizione che tali rapporti siano soggettivamente qualificati ed effettivi. Pertanto il giudice deve preventivamente verificare, a titolo esemplificativo, l’effettività del coniugio, la convivenza, la vivenza a carico ed ogni altro elemento che sia sintomatico dell’effettività del rapporto familiare. Solo successivamente possono essere presi in considerazione i criteri suppletivi previsti dall’art. 13, co. 2-bis, cit. quali la durata del soggiorno in Italia dello straniero, il suo grado di integrazione sociale e la sussistenza di legami familiari, culturali e sociali nel Paese di origine.
 
Profili procedurali
Motivazione apparente
Le tre pronunce di seguito riportate si segnalano perchè sintomatiche di un approccio, tanto frettoloso quanto giuridicamente gravemente errato, che ancora talvolta persiste nell’esercizio della funzione giurisdizionale da parte di alcuni Giudici di pace nella materia del diritto dell’immigrazione.
Cass. civ. sez. VI, ord. n. 33637/2022, pubblicata il 15.11.2022, cassa l’ordinanza del Giudice di pace di Ancona che, nel rigettare un ricorso avverso espulsione amministrativa, si è limitato a motivare richiamando le considerazioni svolte nell’atto di costituzione della PA, ritenendole parte integrante del suo provvedimento. Correttamente, la Corte osserva che tale stringata motivazione non è idonea a sorreggere la decisione, poiché si limita ad indicare la fonte di riferimento senza indicazione né del suo contenuto né delle ragioni della condivisione. Trattasi di motivazione apparente, affetta da nullità.
Analogamente, Cass. civ. sez. VI, ord, n. 32058/2022, pubblicata il 28.10.2022, cassa l’ordinanza del Giudice di pace di Milano che aveva rigettato un ricorso in considerazione dei delitti commessi dal ricorrente, essendo tale condotta assorbente su ogni altra considerazione. Ad avviso della Corte, trattasi di motivazione inferiore al minimo costituzionale.
La nozione di motivazione apparente è ben esplicitata da Cass. civ. sez. VI, ord. n. 27831/2022, pubblicata il 22.9.2022. «La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture».
 
Patrocinio a spese dello Stato
Cass. civ. sez. II, ord. n. 33935/2022, pubblicata in data 17.11.2022, conferma il principio di diritto secondo cui «nel procedimento di convalida del decreto di espulsione il cittadino extracomunitario è ammesso al gratuito patrocinio ex lege, ditalché il diritto del difensore a pretendere la liquidazione dei compensi maturati per l’attività svolta nel predetto procedimento prescinde dalla presentazione di un’apposita istanza di ammissione (Cass. n. 24102/2022)», precisando altresì che «sulla scia della giurisprudenza costituzionale, questa Corte ha chiarito che, in applicazione dell’art. 142 del d.p.r. n. 115 del 2002, «la decisione giudiziale sull’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, per lo speciale procedimento impugnatorio de quo, non può che seguire una strada “obbligata”, dovendo il giudice adito limitarsi a verificare la sussistenza dei presupposti di ammissione (la qualità di straniero extracomunitario e il tipo di procedimento oggetto di richiesta) (Cass. n. 13833/2008)».
 
TRATTENIMENTO
Motivazione
La Corte di cassazione (ordinanza sez. VI civ. 15.12.2022 n. 36811) ha affermato la legittimità del provvedimento di proroga del trattenimento motivato con richiamo integrale alle deduzioni della questura, la quale aveva fornito una giustificazione della richiesta della proroga del trattenimento del cittadino straniero. La Corte ha affermato che una siffatta motivazione soddisfa il requisito del «minimo costituzionale». Del tutto insufficiente è stata invece ritenuta, con ordinanza sez. VI civ. 12.10.2022 n. 29881, la motivazione del provvedimento di proroga del trattenimento che afferma di ritenere non condivisibili i motivi dedotti nelle memorie difensive, senza dar conto delle ragioni della proroga né delle ragioni di rigetto delle deduzioni difensive, le quali ultime non sono richiamate neppure per sintesi.
Non è sufficiente la motivazione del provvedimento di convalida del trattenimento che, a fronte di specifiche doglianze difensive circa la manifesta illegittimità del decreto di espulsione presupposto, si limiti ad affermare la sussistenza dei presupposti per il trattenimento «vista la ritualità della notifica del provvedimento del questore e del prefetto»: così afferma la Corte di cassazione, con ordinanza sez. VI civ. 15.12.2022 n. 36719, ribadendo che il giudice della convalida del trattenimento deve verificare, oltre all’esistenza e all’efficacia dell’atto presupposto, anche la sua non manifesta infondatezza.
Con ordinanza sez. VI civ. 19.10.2022 n. 30871, resa in relazione a un ricorso proposto contro la convalida di misure alternative al trattenimento, la Corte ha escluso che possa costituire causa di manifesta illegittimità del decreto di espulsione la relazione affettiva instaurata con cittadino italiano, anche se tradottasi in un rapporto di convivenza more uxorio, poiché essa non rientra tra le ipotesi tassative di divieto di espulsione indicate dall’art. 19 d.lgs. 286/1998, norme eccezionali che derogano alla regola generale che impone l’espulsione nelle ipotesi previste dall’art. 13 d.lgs. 286/1998 e pertanto non suscettibili di interpretazione estensiva o analogica.
Il controllo giurisdizionale sul trattenimento deve sempre comprendere la verifica della effettiva e attuale sussistenza dei presupposti per la limitazione della libertà personale. Tale controllo è dovuto sia in sede di convalida del trattenimento, sia in sede di proroga: poiché si tratta di misure cautelari, su di esse non si forma alcun giudicato e quindi l’esame di tale questione non è sottratto al giudice della proroga. In applicazione di tale principio, la Corte di cassazione, con ordinanza sez. VI civ. 6.10.2022 n. 29152, ha annullato il provvedimento di un Giudice di pace che, chiamato a decidere sulla richiesta di proroga del trattenimento, a fronte di specifica istanza della difesa tesa a verificare la presenza agli atti del decreto di espulsione e dell’ordine di trattenimento, ha ritenuto che tale verifica gli fosse preclusa poiché già oggetto del giudizio di convalida concluso con provvedimento non impugnato. La Corte ha colto l’occasione per ricordare che i provvedimenti di convalida e di proroga sono misure cautelari suscettibili di revoca e modifica ai sensi dell’art. 742 c.p.c. e in applicazione diretta dell’istituto del riesame previsto dall’art. 15, par. 4, della direttiva 2008/115/CE.
Con l’ordinanza sez. VI civ. 6.10.2022 n. 21951 la Corte ha ribadito il proprio orientamento secondo cui è legittima la proroga del trattenimento richiesta e disposta sulla base di motivi diversi da quelli posti a base dell’ordine di trattenimento.
 
Proroga
La Corte di cassazione, con ordinanza sez. VI civ. 21.9.2022 n. 27267, ha confermato il proprio costante orientamento secondo cui, in caso di seconda (o ulteriore) proroga del trattenimento, il giudice deve accertare e dar conto della sussistenza di «elementi concreti che consentano di ritenere probabile l’identificazione» dello straniero, ovvero verificare che il mantenimento del trattenimento «sia necessario al fine di organizzare le operazioni di rimpatrio», indicando specificamente gli indici concreti dai quali desume la sussistenza di tali presupposti; la Corte ha ribadito che è inesistente e comunque apparente la motivazione del provvedimento di (seconda) proroga del trattenimento in cui il giudice, a fronte di specifiche censure di violazione dell’art. 14, co. 5, d.lgs. 286/1998, si sia limitato ad affermare la fondatezza delle argomentazioni dell’Amministrazione che ha richiesto la proroga, là dove l’Amministrazione non abbia indicato neppure sommariamente gli indici della sussistenza dei presupposti per la proroga (nel caso di specie, si dava atto che in data anteriore alla precedente proroga era stata inoltrata richiesta di lasciapassare alle autorità del Paese di origine dello straniero e che le autorità non avevano neanche risposto alla richiesta di conferma sulla cittadinanza dell’interessato). Decisione analoga, in un caso sovrapponibile a quello testé esposto, ha adottato la Corte nell’ordinanza sez. I civ. 27.12.2022 n. 37778. Il principio è altresì ribadito nell’ordinanza sez. VI civ. 28.12.2022 n. 37903 e nell’ordinanza sez. VI civ. 4.11.2022 n. 32570; tale ultima pronuncia si segnala perché censura il decreto impugnato, definendolo del tutto apodittico, in quanto non consente di ricavare un percorso argomentativo esaustivo e coerente, idoneo a essere posto a base della conclusione raggiunta, e in particolare la Corte osserva che l’integrale richiamo delle motivazioni addotte dall’Amministrazione non si è accompagnato né all’incorporazione almeno di sintesi dell’atto esterno (scil. la richiesta di proroga), né ad altra forma di inclusione nel testo provvedimentale idonea a permetterne il controllo. La corte ribadisce quindi i confini dell’ammissibilità della motivazione per relationem, che in tanto è legittima in quanto indichi le ragioni di adesione da parte del decidente agli argomenti cui rinvia. Con altra decisione, ordinanza sez. VI civ. 15.12.2022 n. 36811, la Corte ha tuttavia ritenuto sufficiente a soddisfare il «minimo costituzionale» la motivazione della proroga adottata con richiamo integrale alle deduzioni dell’Amministrazione.
 
Trattenimento del richiedente asilo
Il  Tribunale di Milano ha sollevato, con ordinanza 11.12.2022 , questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, co. 5, d.lgs. 142/2015. In questa sede daremo brevemente conto dei termini della questione, rinviando alle prossime edizioni della Rassegna per un esame più dettagliato.
La vicenda riguardava un cittadino straniero che, mentre era trattenuto in forza di un decreto di espulsione, aveva presentato domanda di protezione internazionale. Il questore aveva disposto il trattenimento ai sensi dell’art. 6, co. 3, d.lgs. 142/2015, ritenendo che la domanda fosse strumentale e tesa solo a ritardare o impedire l’esecuzione dell’espulsione, e aveva trasmesso al Tribunale di Milano la richiesta di convalida, che il Tribunale aveva accolta. In seguito, il cittadino straniero aveva proposto istanza di riesame del trattenimento, deducendo la tardività della decisione della Commissione territoriale sulla domanda di protezione internazionale con riguardo ai termini della procedura accelerata previsti dall’art. 28-bis, d.lgs. 25/2008 e l’illegittima protrazione della misura restrittiva. Il Tribunale ha ritenuto tale doglianza infondata, osservando che i termini imposti alla Commissione territoriale decorrono dalla data in cui essa riceve dalla questura gli atti relativi a tale domanda e non dal momento in cui l’interessato ha presentato la richiesta.
Il Tribunale, però, ha esaminato anche un altro profilo emergente dagli atti e dall’istanza di riesame, e cioè la tempestività della richiesta di convalida del trattenimento disposto ai sensi dell’art. 6, co. 3, d.lgs. 142/2015. Risultava infatti che il cittadino straniero trattenuto aveva presentato domanda di protezione internazionale, ricevuta dalla questura il 25 ottobre, e che il questore aveva disposto il trattenimento il 31 ottobre, trasmettendo in quella stessa data la richiesta di convalida al Tribunale.
Il Tribunale, in sede di riesame del trattenimento, osserva che quando il questore dispone il trattenimento nei confronti di cittadino straniero che si trova in stato di libertà, ai sensi dell’art. 14 d.lgs. 286/1998, tale norma prevede l’obbligo di trasmettere la richiesta di convalida entro 48 ore dall’adozione del provvedimento di trattenimento; tale norma si applica, per quanto compatibile, per espresso rinvio, anche al trattenimento disposto ai sensi dell’art. 6, co. 2, d.lgs. 142/2015 nei confronti del cittadino straniero, richiedente asilo, che non sia già trattenuto ad altro titolo. L’art. 6, co. 3, d.lgs. 142/2015, invece, disciplina la diversa ipotesi in cui il richiedente asilo si trovi «in un Centro di cui all’art. 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in attesa dell’esecuzione di un provvedimento di respingimento e di espulsione» e prevede che, quando sussistono «fondati motivi per ritenere che la domanda è stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione del respingimento o dell’espulsione», il richiedente asilo rimanga nel Centro, mentre i termini del trattenimento c.d. pre-espulsivo si sospendono: muta quindi il titolo del trattenimento. Anche in questo caso l’ordine di trattenimento deve essere adottato per iscritto, motivato e trasmesso al Tribunale per la convalida. E qui è il punto della questione: qual è il momento dal quale decorre il termine perentorio per la richiesta di convalida? Come si è detto prima, tale termine è ancorato, dall’art. 14 d.lgs. 286/1998 (applicabile per espresso rinvio anche alle ipotesi disciplinate dall’art. 6, d.lgs. 142/2015), all’adozione del provvedimento di trattenimento, che coincide con l’inizio della detenzione amministrativa del cittadino straniero. Nell’ipotesi disciplinata dall’art. 6, co. 3, d.lgs. 142/2015, però, la detenzione amministrativa è già in corso, e l’Amministrazione potrebbe, come era avvenuto nel caso di specie, adottare il provvedimento di trattenimento anche dopo un lasso di tempo non trascurabile (nel caso di specie, sei giorni), nel quale il trattenimento sarebbe privo di titolo, perché non più applicabile, al soggetto ora richiedente asilo, quello disposto ai fini dell’espulsione. La limitazione della libertà personale, disposta dall’autorità amministrativa, sarebbe così protratta per un tempo indefinito e sottratta al controllo giurisdizionale imposto dall’art. 13 della Costituzione. Il Tribunale esclude la possibilità di una interpretazione costituzionalmente orientata, quale sarebbe quella che individua il momento iniziale del decorso del termine (la «adozione del provvedimento») nel momento in cui il cittadino straniero manifesta la volontà di chiedere la protezione internazionale e resta, purtuttavia, trattenuto; osserva il Tribunale che l’«adozione del provvedimento» implica un comportamento attivo, e tale non può essere definito il comportamento dell’Amministrazione che, in presenza della manifestazione di volontà di chiedere protezione internazionale da parte di un cittadino straniero trattenuto, mantenga la detenzione amministrativa senza compiere alcuna azione ulteriore. Il Tribunale ravvisa quindi un contrasto con l’art. 13 Cost. e rimette la questione alla Corte costituzionale.
Restando in argomento, giova rammentare che il trattenimento del richiedente asilo previsto dall’art. 6 d.lgs. 142/2015 presuppone che questi abbia diritto a restare nel territorio italiano. Tale diritto è previsto, con alcune eccezioni, dall’art. 7 d.lgs. 25/2008 per la durata della procedura amministrativa, e dall’art. 35-bis, co. 3, d.lgs. 25/2008, per la durata del procedimento giurisdizionale in caso di rigetto della domanda, con altre eccezioni. Quando non ha diritto a restare nel territorio italiano, il richiedente asilo può essere trattenuto non ai sensi dell’art. 6, d.lgs. 142/2015 bensì ai sensi dell’art. 14, d.lgs. 286/1998.
In proposito si segnala una decisione del Tribunale di Roma ( Trib. Roma 19.12.2022 ) che non ha prorogato il trattenimento di un richiedente asilo per il quale, avendo perduto il diritto a restare in Italia poiché il Tribunale aveva rigettato l’istanza cautelare proposta ai sensi dell’art. 35-bis, co. 4, d.lgs. 25/2008, era cessato il titolo di trattenimento ex art. 6 d.lgs. 142/2015 ed era ripreso il trattenimento ex art. 14, d.lgs. 286/1998, i cui termini erano stati sospesi col c.d. mutamento del titolo di trattenimento. Nel caso esaminato dal Tribunale di Roma, il termine massimo di trattenimento ex art. 14, d.lgs. 286/1998 era decorso e pertanto il Tribunale non ha prorogato il trattenimento.

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