Profondo dolore e tristezza si intrecciano indissolubili nello scrivere queste inadeguate note per il primo numero della Rivista dopo che Cecilia Corsi ci ha lasciato. Quei bellissimi e grandi occhi, la sua affascinante inflessione toscana, la cultura multiforme così profonda e appassionata, la dolce pacatezza, unita ad una ferma determinazione, hanno costituito un tratto indimenticabile che lascia un segno indelebile in tutte le persone che l’hanno incontrata e conosciuta.
Il suo stimatissimo percorso scientifico si innestava su un raro incrocio di affabilità, riservatezza e disponibilità: professoressa di istituzioni di diritto pubblico all’Università degli studi di Firenze, studiosa da sempre delle tematiche dell’immigrazione, era diventata Direttrice della Rivista dal 2017, dopo aver fatto parte in precedenza della Redazione.
È stato sicuramente un privilegio per ognuno aver potuto collaborare con Cecilia, testimone del cammino della Rivista nel passaggio cruciale dalla carta stampata all’edizione on line, dirigendo con maestria e con grande senso di appartenenza: una conduzione che ha dimostrato in modo inequivoco quanto credesse nella cultura dei diritti e nella diffusione della loro conoscenza, dando luogo così ad un lavoro collettivo basato sulla varietà delle opinioni.
Non esistono percorsi affidabili che consentano, al di là di richiami che rischiano di essere retorici, di perpetuare il ricordo di Cecilia, se non cercare di superare quella sensazione di sentirsi spersi, per poter continuare adeguatamente nel solco del suo insegnamento. Insegnamento che vuol dire rigore nella ricerca scientifica, ma anche apertura a nuovi e diversi contributi, in una spinta verso una pluralità di vedute ma in un’ottica di applicazione e implementazione dei principi della nostra Costituzione e delle Convenzioni internazionali che costituiscono il sistema dei diritti umani, elaborato e nato da tanti drammi e tragedie.
Sorge spontanea la domanda su come Cecilia avrebbe continuato ad affrontare la pesante deriva autoritaria che il nostro Paese sta subendo con drastiche e veloci modifiche legislative, con le tragedie nel Mediterraneo che si susseguono senza sosta, trasformandolo non solo in enorme cimitero, ma in una “crime scene” dove le responsabilità dei vari attori sono sempre più evidenti. Un’agevole risposta la si trova non solo nella linea della Rivista da lei diretta, ma anche nei suoi precedenti e numerosi scritti. Ed è per questa ragione che nel presente numero della Rivista si è ritenuto giusto riportare il saggio “Diritti fondamentali e cittadinanza” pubblicato nella Rivista Diritto Pubblico nell’anno 2000 (anno VI n. 3). Il periodo di tempo trascorso, più che ventennale, non fa che ampliare la profondità, l’acutezza e la lucidità di pensiero di Cecilia. La lettura dello scritto, se si riesce a superare quel groppo in gola inevitabile per il lancinante ricordo della sua persona, si impone per l’evidente attualità e la visione di una società che per dirsi democratica non può e non deve deflettere dai basilari principi di uguaglianza di tutti gli esseri umani. Laddove si pone in rilievo come purtroppo “la tensione tra apertura universale e senso di appartenenza è ancora irrisolta” e si evidenzia un nodo centrale per cui “…. i diritti umani cominciano a scontrarsi con il principio della cittadinanza nazionale e con gli stessi confini della nazione”. Si pone l’accento sul contenuto effettivo della cittadinanza che “è variato a seconda dei momenti storici” ma sottolineando un necessario processo evolutivo: “…ed è noto quanto gli ideali delle rivoluzioni settecentesche abbiano contribuito a questo cammino e come soprattutto la nascita di un diritto umanitario stia contribuendo a favorire il superamento dell’idea che il diritto sia teso a proteggere coloro che appartengono a quella comunità” (…)“Il diritto umanitario tende a sradicare tale concezione e sebbene nei suoi contenuti si rifaccia alla tradizione del costituzionalismo moderno, la sua novità sta nel mirare a coinvolgere tutti gli Stati al rispetto di certi principi, per cui molti diritti devono essere garantiti ad ogni essere umano perché persona e non perché cittadino”.
Il respiro storico di tutto lo scritto fa risaltare davanti ai nostri occhi la profondità di pensiero di Cecilia, la sua articolata personalità, che la portavano ad essere paladina dei principi di uguaglianza, della non discriminazione, dell’accesso degli stranieri ai diritti sociali. Il profondo impegno profuso da Cecilia rappresenta certamente un esempio arduo da seguire, ma costituisce anche l’auspicio che proprio dagli insegnamenti di una persona che ci ha lasciato così improvvisamente, si possa trarre quella spinta razionale ed emotiva per poter continuare nel cammino indicato.