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Fascicolo 3, Novembre 2023


«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà:
se ce n’è uno è quello che è già qui,
l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. 

Due modi ci sono per non soffrirne.

Il primo riesce facile a molti:
accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.

Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui:
cercare e saper riconoscere chi e cosa,
in mezzo all’inferno,
non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».

Italo CalvinoLe città invisibili

 

Rassegna di giurisprudenza italiana: Allontanamento e trattenimento

Come di consueto anche in questo numero della Rivista la Rassegna allontanamenti prenderà in considerazione l’esame delle decisioni ritenute più rilevanti in materia di espulsioni (sia ministeriali che prefettizie), respingimenti e trattenimenti, depositate nel secondo quadrimestre del corrente anno, sia pure con qualche scivolamento settembrino dettato dall’urgenza di evidenziare taluni approdi giurisprudenziali di peculiare rilevanza.

Espulsioni “ministeriali”

Esaminiamo congiuntamente tre sentenze del Tar Lazio, assolutamente simili tra loro: Tar Lazio sede di Roma, sez. III, n. 7691/2023 , pubblicata l’8.5.2023; Tar Lazio, sede di Roma, sez. III, n. 13229/23 , pubblicata il 9.8.2023, e Tar Lazio, sede di Roma, sez. III, n. 13727/23 , pubblicata il 12.9.2023. I casi che hanno determinato queste sentenze sono anch’essi simili: si tratta di cittadini stranieri regolarmente soggiornanti, in due casi titolari di permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, che sono stati sottoposti alla misura di espulsione ai sensi dell’art. 13, co. 1, d.lgs. 286/98 in ragione del loro collegamento con ambienti prossimi al radicalismo islamico (anche attraverso il web) pure senza avere ripotato condanne per reati connessi al terrorismo. Il Tribunale regionale conferma il consolidato orientamento secondo cui l’espulsione in parola è caratterizzata da alta discrezionalità amministrativa, che ha natura di misura di prevenzione – sicché è sufficiente che vi siano “fondati motivi” per ritenere i destinatari pericolosi per la sicurezza dello Stato – e, conseguentemente, il sindacato del giudice deve essere meramente estrinseco, non potendosi spingere oltre la verifica di un sufficiente supporto istruttorio, tenendo conto delle ragioni di tutela della riservatezza delle fonti. A fronte di tali condotte, valutate negli stretti limiti descritti, recedono i legami familiari esistenti in Italia, la convivenza con la coniuge e i figli cittadini italiani, la durata del soggiorno sul territorio nazionale, le condizioni di salute ed il rispetto della vita privata e familiare, ivi compresi i divieti di espulsione previsti all’art. 19, co. 2, d.lgs. 286/98. La revoca del permesso di soggiorno – anche se di lungo periodo – avviene contestualmente alla notifica del provvedimento ablativo, escludendo quindi in radice la possibilità di previa tutela giurisdizionale.

Pare importante rilevare che in due delle sentenze citate (Tar Lazio sent. n. 7691/2023 e sent. 13229/2023) si sovrappone l’espulsione disposta dal Ministro dell’interno ai sensi dell’art. 13, co. 1, d.lgs. 286/98 (per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato), con quella di cui all’art. 3, d.l. 144/2005, convertito in l. 155/2005, disposta dal Ministro dell’interno o, su sua delega, dal prefetto, per motivi di prevenzione del terrorismo, anche internazionale trattandosi, quest’ultima, di «norma aggiuntiva che rafforza il potere di espulsione» già previsto per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato (così sent. n. 7601/2023 cit.).

La situazione sommariamente descritta deve essere confrontata con le recentissime disposizioni di cui all’art. 1, d.l. n. 133/2023, pubblicato in G.U. 6.10.2023, attualmente in fase di conversione: invero, la citata disposizione modifica l’art. 9, co. 10, d.lgs. 286/98 (è la norma che disciplina l’espulsione del soggiornante di lungo periodo ) prevedendo che l’espulsione può essere disposta per gravi motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato dal Ministro dell’interno e la tutela giurisdizionale è davanti al Tar Lazio, mentre se ricorrono gravi motivi di pubblica sicurezza l’espulsione è disposta dal prefetto, e il ricorso si propone innanzi al giudice ordinario (sezione specializzata per l’immigrazione) con richiesta di nullaosta se il destinatario è sottoposto a procedimento penale e non si trova in carcere. Com’è agevole notare, la disposizione di nuovo conio non distingue tra le due tipologie di espulsione in questione (ordine pubblico e sicurezza dello Stato, da un lato, e prevenzione del terrorismo, dall’altro) sicché è opportuno che in sede di conversione del d.l. si chiarisca se, qualora la seconda sia disposta dal prefetto, sia pure su delega del Ministro, il relativo ricorso ricada nella giurisdizione amministrativa, ovvero in quella ordinaria.

Sarebbe infine opportuno chiarire normativamente la differenza tra i concetti di ordine pubblico, sicurezza dello Stato, prevenzione del terrorismo e gravi motivi di pubblica sicurezza, onde evitare differenti prassi applicative, con possibili diverse conseguenze in termini di tutela giurisdizionale.

 

Respingimento differito

Competenza

In tema di respingimento di cui all’art. 10, co. 2, d.lgs. 286/98 Cass. civ., sez. I, ord. 24116/23, pubblicata l’8.8.2023, cassa con rinvio l’ordinanza del Giudice di pace di Messina con cui è stato improvvidamente dichiarato inammissibile il ricorso avverso un provvedimento di respingimento differito per difetto di competenza del giudice adito, ritenendo competente il Tribunale ordinario.

Il grave errore in cui è incorso il Giudice di pace si sostanzia nella violazione dell’art. 10, co. 2-bis, d.lgs. 286/98 (introdotto dal d.l. n. 113/2018, convertito, con modificazioni, nella l. n. 132/2018), a mente del quale si applicano le disposizioni previste dall’art. 13, co. 8 che, a sua volta, rinvia all’art. 18, d.lgs. 150/2011 e, quindi, attribuisce la competenza a conoscere le controversie in questione all’ufficio del Giudice di pace del luogo in cui ha sede l’autorità che ha disposto l’espulsione. La stessa Corte specifica che il Tribunale è, invece, competente a conoscere delle controversie in materia di respingimento alla frontiera disposto ai sensi dell’art. 10, co. 1, d.lgs. 286/98. A quest’ultimo proposito, pare utile evidenziare che con legge 10.8.2023 n. 103 (legge di conversione del c.d. “decreto salva infrazioni”) è stato introdotto all’art. 10, d.lgs. 286/98 il comma 1-bis che così recita: «Contro i provvedimenti di respingimento alla frontiera di applicazione immediata adottati ai sensi del comma 1 è ammesso ricorso al Tribunale amministrativo regionale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio di polizia di frontiera che ha disposto il respingimento. La procura al difensore può essere rilasciata innanzi all’autorità consolare italiana competente per territorio».

 

Domanda di protezione internazionale: rilevanza del foglio notizie, obbligo di cooperazione istruttoria

Sempre in tema di respingimento differito e con specifico riguardo al suo rapporto con la protezione internazionale, merita attenzione Cass. civ. sez. I, ord. 28149/23, pubblicata il 6.10.2023.

Il Giudice di pace di Agrigento ha rigettato un ricorso avverso un respingimento differito proposto da un cittadino tunisino rintracciato a Lampedusa, privo dei requisiti per l’ingresso in Italia, ritenendo che fosse stato pienamente informato sulla possibilità di chiedere protezione internazionale ma che non avesse inteso avvalersene, come risulta dalle dichiarazioni inserite nel foglio notizie, facenti fede sino a querela di falso, poiché rese dinnanzi ad un pubblico ufficiale. Inoltre, il ricorrente non avrebbe allegato, prodotto e dedotto tutti gli elementi e i documenti necessari a motivare la sua domanda di protezione internazionale. In sede di ricorso introduttivo, il ricorrente chiedeva espressamente che il Giudice ordinasse l’esibizione del foglio notizie, al fine di riscontrare la violazione degli obblighi informativi imposti all’autorità di pubblica sicurezza dalla legge, ma tale richiesta non aveva trovato accoglimento.

A tal proposito, osserva la Corte che ha errato il giudicante in quanto nulla ha osservato rispetto alla lamentata difformità del foglio notizie rispetto alle prescrizioni normative inerenti gli obblighi informativi, trincerandosi dietro alla sua natura di atto fidefacente.

Inoltre, ed è forse il dato motivazionale più rilevante, secondo la Corte il Giudice di pace si è discostato dal costante insegnamento di legittimità secondo cui la mancata presentazione della domanda di protezione non vale ad escludere il dovere di cooperazione istruttoria in merito al divieto di respingimento previsto dall’art. 19, co. 1, d.lgs. 286/98. Invero, incombe sul Giudice di pace l’obbligo di valutare in concreto il pericolo – ove prospettato dal ricorrente – di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti in caso di rientro nel Paese di origine, perché l’art. 19 cit. è norma che introduce una forma di protezione di carattere negativo, che conferisce al beneficiario il diritto a non vedersi immesso in un contesto ad elevato rischio personale, essendo sufficiente che lo straniero assolva all’onere di allegazione di tale pericolo.

Infine, di peculiare rilievo è la conclusione della Corte di legittimità circa la permanenza dell’obbligo di tutelare il diritto alla vita privata e familiare. Si afferma infatti che «di recente si è poi precisato che il divieto di espulsione o di respingimento di cui all’art. 19 TUI impone al Giudice di pace, in adempimento del suo obbligo di cooperazione istruttoria, di esaminare e di pronunciarsi sull’allegata sussistenza dei divieti di espulsione sanciti non solo dal comma 1 ma anche dal comma 1.1. – (nel testo vigente “ratione temporis”) introdotto dal d.l. n. 130 del 2020, convertito con modifiche dalla l. n. 173 del 2020 – con la conseguenza che, ove sia allegato il rischio di violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, la valutazione deve avere riguardo anche al criterio dell’effettivo inserimento sociale in Italia (Cass. 8724/2023)».

 

Espulsioni prefettizie

Sulla valenza del foglio notizie

Occorre rammentare che il c.d. “foglio notizie” altro non è che un modulo su cui vengono riportate le dichiarazioni rese in sede di intervista amministrativa cui vengono sottoposti i migranti all’atto del loro rintraccio sul territorio nazionale in condizioni di irregolarità, con l’ausilio di un interprete, qualora disponibile e ritenuto necessario dall’amministrazione. Vengono raccolte le dichiarazioni rese dagli stranieri relative ai dati anagrafici, alle modalità ed ai motivi di ingresso in Italia, alle condizioni familiari e di vita ed alla lingua parlata; tali dichiarazioni costituiscono la base su cui l’amministrazione orienta le proprie decisioni e, quindi, le sorti del dichiarante. Sovente tali dichiarazioni sono poste a sostegno dell’adozione di provvedimenti ablativi, di qui la valenza di queste dichiarazioni di cui si occupa la giurisprudenza.

Cass. civ. sez. I, ord. n. 23533/2023, pubblicata il 2.8.2023, si occupa di un caso ricorrente: una donna, in sede di opposizione ad un decreto di espulsione, espone di essersi recata presso la questura di Udine al fine di presentare domanda di protezione internazionale, di essere stata invitata a ripresentarsi in più occasioni ed, infine, di avere ricevuto un decreto di espulsione per irregolarità del soggiorno. Il Giudice di pace di Udine respingeva il ricorso sul presupposto che la ricorrente – nel foglio notizie redatto con l’ausilio di un interprete – avesse dichiarato di non volere chiedere protezione internazionale, aggiungendo che la stessa non aveva disconosciuto la propria firma apposta in calce al foglio notizie, né aveva proposto querela di falso; tutto ciò nonostante la donna avesse documentato quanto occorso e avesse offerto prove testimoniali a supporto della sua tesi, rimaste lettera morta.

La Corte di legittimità annulla con rinvio il provvedimento impugnato, richiamando un precedente analogo (ord. 11309/2019) secondo cui «non può alla medesima intervista riconoscersi valenza istruttoria circa la volontà di non presentare domanda di protezione internazionale, essendo alla questura riconosciuti i soli poteri di cui all’art. 26, co. 2, d.lgs. 25/2008». Tale disposizione, rubricata «istruttoria delle domanda di protezione internazionale», prevede appositi modelli – diversi dal foglio notizie – redatti dalla Commissione nazionale (il mod. C3) su cui la questura redige il verbale delle dichiarazioni del richiedente, sicché la legge non prevede alcun ulteriore onere da parte della questura (ovviamente oltre all’obbligo di trasmettere detto verbale alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale). In particolare, evidenzia la Corte, non è prevista da alcuna disposizione normativa la raccolta, da parte della questura, della dichiarazione di non voler presentare la domanda di protezione. Al contrario, la questura è competente solo a registrare la domanda di protezione. Tuttavia, siccome le dichiarazioni contenute nel foglio notizie, poiché rese innanzi ad un pubblico ufficiale, da questo sottoscritte unitamente al dichiarante, fanno fede sino a querela di falso, sono astrattamente idonee ad inficiare la credibilità di successive dichiarazioni di segno contrario rese dalla persona straniera, come nel caso di specie, il Giudice di pace avrebbe dovuto verificare se la procedura seguita era conforme a quella legislativamente prevista in materia di protezione internazionale, specie a fronte delle dichiarazioni della donna, supportate da prove testimoniali nemmeno considerate, circa il fatto di essersi recata più volte in questura per formalizzare la sua domanda di protezione, senza alcun esito diverso dall’adozione del provvedimento espulsivo. In termini analoghi si veda Cass. civ. sez. I, ord. 23531/2023, pubblicata in data 2.8.2023.

 

Sulla rilevanza dei legami familiari

È noto che l’art. 13, co. 2-bis, d.lgs. 286/98 prescrive che nell’adottare un decreto espulsione per ingresso o soggiorno irregolare (ipotesi riconducibili all’art. 13, co. 2, lett. a) e b), d.lgs. 286/98) nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, ovvero del familiare ricongiunto, si debba tenere conto della natura e dell’effettività dei legami familiari, della durata del soggiorno in Italia, nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali dello straniero con il suo Paese di origine. In tali casi, l’amministrazione prima, ed eventualmente il giudice dopo, debbono effettuare un bilanciamento in concreto e caso per caso tra l’interesse pubblico all’allontanamento dello straniero irregolare e la situazione familiare in cui versa l’espellendo, sicché la potestà espulsiva non è automatica.

La giurisprudenza di legittimità propende per un’interpretazione rigorosa della norma in esame, essendo applicabile solo ed esclusivamente nelle ipotesi espressamente previste di cui alle lettere a) e b) dell’art. 13, d.lgs. 286/98, con esclusione dell’espulsione disposta ai sensi dell’art. 14, co. 5-ter, del medesimo decreto legislativo. In tal senso si era espressa Cass. civ. sez. I, ord. n. 7946/2022 (pubblicata nella Rassegna del n. 2.2022 di questa Rivista), nonché Cass. civ. sez. I, ord. 25754/2021 (pubblicata nella Rassegna del n. 1.2022 di questa Rivista, e sottoposta a dura critica da parte di chi scrive) che aveva affermato il principio di diritto secondo cui «In tema di espulsione del cittadino straniero, ove il provvedimento di espulsione del prefetto sia adottato a norma dell’art. 14 comma 5-ter d.lgs. n. 286/1998, successivamente alla violazione da parte del cittadino straniero di un precedente ordine di allontanamento del questore a norma dell’art. 13 comma 5-bis, in virtù del richiamo da parte dell’art. 14 comma 5-ter alle sole previsioni dei commi 4 [riguardanti l’esecuzione dell’espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera] e 5 [inerenti alle ipotesi di concessione del termine per la partenza volontaria] dell’art. 13 legge cit., l’adozione del provvedimento espulsivo non impone alcuna valutazione né della pericolosità dello straniero, né dei legami familiari (criteri previsti rispettivamente dall’art. 13 comma 2, lett. c) e comma 2-bis)».

Tanto premesso, salutiamo con favore Cass. civ. sez. I, ord. n. 22508/2023, pubblicata il 26.7.2023 che, pur ribadendo i limiti applicativi derivanti dal dettato normativo, afferma il seguente principio di diritto: «il divieto di espulsione previsto dall’art. 19, comma 1.1, del d.lgs. n. 286 cit., nella parte in cui dispone che: “non sono ... ammessi il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare”; “ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine”; debba trovare applicazione, per la sua valenza di norma protettiva di carattere generale, anche per l’espulsione disposta, come quella in esame, ai norma dell’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 cit..». È proprio il caso di dire che la giurisprudenza di legittimità fatica ad inseguire la rapidissima evoluzione della legislazione domestica in materia migratoria: infatti, l’ordinanza in commento recepisce la normativa di cui al d.l. 130/2020, convertito, con modificazioni, nella l. 173/2020 che, com’è noto, aveva modificato l’art. 19, co. 1.1, d.lgs. 286/98, attribuendo la giusta rilevanza alla tutela della vita privata e familiare di cui all’art. 8 CEDU. Sennonché, com’è tristemente noto, il d.l. 20/2023, convertito, con modificazioni, nella l. 50/2023 ha abrogato parte della novella del 2020, sicché quella porzione dell’art. 19, co. 1.1. citata nell’ordinanza in commento (applicata ratione temporis), oggi è abrogata. Sennonché la scure del legislatore non ha potuto – per evidenti obblighi costituzionali – abrogare quella parte dell’art. 19, co. 1.1 cit. che fa espresso riferimento al divieto d’espulsione «nei casi in cui ricorrano gli obblighi di cui all’art. 5, co. 6», che, a sua volta, impone il rispetto «degli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato italiano» che, avendo ratificato con l. 4.8.1955 la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, consente di ritenere che la CEDU rientri nel novero di tali obblighi. In tal modo, il divieto di espulsione connesso alla salvaguardia del diritto alla vita privata e familiare rimane un obbligo per lo Stato italiano e, conseguentemente, può trovare applicazione l’art. 13, co. 2-bis, d.lgs. 286/98 anche con riferimento alle espulsioni disposte ai sensi dell’art. 14, co. 5-ter, del citato corpo normativo, esattamente come suggerito dall’ordinanza in commento.

Sulla stessa linea interpretativa, si colloca Cass. civ. sez. I, ord. n. 28162/2023, pubblicata in data 6.10.2023 (la stretta connessione con l’ordinanza precedente suggerisce una deroga al rispetto delle cadenze temporali dei provvedimenti esaminati in questa rassegna). Il caso da cui prende le mosse l’ordinanza in commento muove da un’espulsione disposta per soggiorno illegale (art. 13. co. 2, lett. b. d.lgs. 286/98) conseguente al fatto che un cittadino straniero non aveva lascito il territorio nazionale a seguito di un rifiuto di rilascio di carta di soggiorno per motivi familiari. Il giudice del merito ha ritenuto inapplicabile il divieto di espulsione di cui all’art. 19, co. 2, lett. c), d.lgs. 286/98, per «difetto del presupposto di nazionalità italiana del soggetto (moglie) con il quale il ricorrente convive (nata nella Repubblica dominicana ma “naturalizzata cittadina italiana”) e per difetto di prova in merito alla riferita convivenza con i suoi familiari presenti sul territorio (sorella coniugata con cittadino italiano e loro figli)». L’ordinanza in commento glissa elegantemente sulla, tanto pretestuosa quanto giuridicamente infondata, distinzione tra “nazionalità italiana” e cittadinanza per naturalizzazione, quasi ci fossero cittadini italiani di serie A e cittadini di serie B, quando, com’è noto, il concetto di nazionalità è privo di rilevanza giuridica: o si è cittadini italiani o no lo si è (mi sia permesso di osservare, incidentalmente, come il costante richiamo alla “nazione” pervada financo taluni ambiti della giurisdizione). Venendo al merito delle questioni, il ricorrente lamentava la violazione degli artt. 13, co. 2-bis e 19, co. 2, lett c), d.lgs. 286/98 in quanto il giudicante aveva affermato che costui nulla avesse documentato circa i suoi rapporti familiari, pur a fronte di ampia produzione documentale (certificato di matrimonio, stato di famiglia, contratto di locazione e documenti d’identità di tutti i suoi familiari: moglie cittadina italiana, sorella, cognato italiano e due nipoti); nonché violazione dell’art. 19 co. 1.1, d.lgs. 286/98, sotto il profilo della violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare. La Corte di cassazione, annulla con rinvio il provvedimento impugnato richiamando il suo costante orientamento secondo cui l’art. 13, co. 2-bis, cit. debba trovare applicazione in sede di opposizione al decreto di espulsione anche quando il ricorrente non si trovi formalmente nella posizione di richiedente il ricongiungimento familiare, in conformità alla nozione di diritto all’unità familiare delineata dalla sentenza n. 202/2013 della Corte costituzionale, senza distinzione tra vita privata e vita familiare, con ampi riferimenti giurisprudenziali di legittimità. Inoltre, ed è l’aspetto di maggior rilievo per la novità della decisione, la Cassazione dà atto che il d.l. 20/2023, convertito nella l. 50/2023, ha abrogato il terzo e quarto periodo dell’art. 13, co. 1.1., ma ha altresì sancito l’irretroattività della novella rispetto alla data di entrata in vigore del d.l. stesso:13.3.2023. Ma, sopratutto, l’ordinanza in esame afferma il seguente principio di diritto «in ogni caso, il diritto a rispetto alla vita privata e familiare non solo è rimasto in vita nell’art. 5, co. 6, TUI, ma continua ad essere tutelato dall’art. 8 CEDU e rientra in quel catalogo aperto dei diritti fondamentali (cfr. Cass. SSUU 24413/2021) connessi alla dignità della persona e al diritto di svolgere la propria personalità nelle formazioni sociali, tutelati dagli artt. 2, 3, 29,30 e 31 Cost., trovando dunque il suo fondamento in fonti sovraordinate rispetto alla legislazione ordinaria».

 

Espulsione di titolari di permesso di soggiorno rilasciato da altro Stato membro

Sulla nozione di ingresso illegale

Cass. civ. sez.I, ord. n. 17356/2023, pubblicata il 16.6.2023, affronta un tema scarsamente ricorrente: l’espulsione di stranieri titolari di permesso di soggiorno rilasciato da altro Stato membro che conferisce il diritto a soggiornare in Italia, e, inoltre, chiarisce la nozione di ingresso illegale rilevante per le espulsioni di cui all’art. 13, co. 2, lett. a), d.lgs. 286/98.

Ai sensi dell’art. 5, co. 7, d.lgs. 286/98 i cittadini stranieri muniti di permesso di soggiorno rilasciato da altro Stato membro che conferisce il diritto a soggiornare in Italia sono tenuti ad effettuare la dichiarazione di presenza al questore entro otto giorni lavorativi dall’ingresso, ai contravventori si applica una sanzione pecuniaria. In caso di trattenimento superiore a tre mesi (dopo aver effettuato la dichiarazione di presenza) il comma 7-bis della stessa norma prescrive che il questore intimi allo straniero di recarsi entro il termine massimo di sette giorni nello Stato membro che ha rilasciato il titolo di soggiorno e, a mente del comma 7-ter, solo dopo che sia inutilmente spirato tale termine, è adottato il decreto di espulsione per soggiorno illegale (art. 13, co. 2, lett. b), d.lgs. 286/98. Tanto premesso, nel caso esaminato dall’ordinanza in esame, la ricorrente dimostrava di avere fatto ingresso sul territorio nazionale attraverso la frontiera aeroportuale di Napoli-Capodichino, ciononostante il Giudice di pace di Caserta aveva ritenuto che costei avesse fatto ingresso in Italia sottraendosi ai controlli di frontiera, inoltre il giudicante non aveva considerato che la sua espulsione doveva essere preceduta dall’invito di cui al citato art. 5, co. 7-bis, essendo la stessa titolare di permesso di soggiorno rilasciato da altro Stato membro.

La Corte, precisa la nozione di ingresso illegale nei seguenti termini: intanto si può parlare di ingresso clandestino nel territorio dello Stato, con sottrazione ai controlli di frontiera, in quanto dalle autorità preposte non venga effettuato alcun controllo sull’ingresso dello straniero. Quando, invece, il controllo sia stato effettuato e – ancorché erroneamente – non abbia evidenziato ostacoli all’ingresso dello straniero in Italia, non si versa più nell’ipotesi di sottrazione ai controlli di frontiera, potendosi porsi il diverso problema della mancanza di un titolo di soggiorno, rilevante per la diversa ipotesi di cui all’art. 13, co. 2, lett. b), d.lgs, 286/98. Inoltre, nel caso di specie risulta fondata la violazione del citato art. 5, co. 7-bis.

 

Sui rapporti tra espulsione ed estradizione

Può un cittadino di Paese terzo essere espulso per irregolarità del suo soggiorno in Italia, quando è sottoposto a procedimento di estradizione? E questo il caso di cui si occupa Cass. civ. sez. I, ord. n. 14308/2023, pubblicata il 24.5.2023. Osserva correttamente la Corte di legittimità che una volta che il provvedimento della Corte d’appello che accoglie la domanda di estradizione è divenuto definitivo l’autorità giudiziaria non può più rifiutare l’estradizione, essendo tale facoltà esercitabile solo dal Ministro della giustizia, quale autorità politica, in quanto trattasi di scelta attinente alla dimensione politica della cooperazione giudiziaria tra Stati. Da ciò consegue che l’allontanamento dello straniero dallo Stato non può avvenire tramite espulsione amministrativa, ma secondo le procedure vigenti per l’esecuzione della procedura di estradizione. Osserva ancora la Corte che la fattispecie scrutinata è analoga a quella dello straniero sottoposto a misura restrittiva in Italia, e presenta profili ancora più vincolanti, perché involge l’interesse dello Stato estero che chiede il trasferimento della persona per scopi di giustizia. In conclusione, lo straniero deve restare in territorio italiano fino all’esecuzione dell’estradizione.

 

Espulsioni: profili procedurali

Ricorso per cassazione: errore nella qualificazione della doglianza

In che misura l’errore nella qualificazione della doglianza inficia il ricorso per Cassazione avverso un provvedimento di rigetto del ricorso in opposizione a decreto espulsivo?

Cass. civ. sez. I, ord. n. 22512/2023, del 26.7.2023 ritiene che, poiché dal testo del ricorso emerge in modo inequivoco che il ricorrente abbia inteso censurare il provvedimento impugnato per omesso esame di un fatto decisivo e controverso nel giudizio, benché abbia erroneamente indicato il dato normativo relativo ad un diverso parametro, la doglianza possa comunque essere presa in esame (e non determinare l’inammissibilità del ricorso) perché, ferma restando l’indispensabilità dell’articolazione del ricorso per Cassazione in specifici motivi riconducibili chiaramente ad una delle cinque ragioni di impugnazione individuate nell’art. 360 c.p.c., nello sviluppo del motivo il ricorrente articola con coerenza argomenti riconducibili alla fattispecie corretta.

 

Termine per l’impugnazione del decreto espulsivo

Cass, civ. sez. I, ord. 23915/2023, pubblicata in data 7.8.2023, precisa che il termine per impugnare avanti il Giudice di pace il decreto prefettizio di espulsione è di trenta giorni, a pena di inammissibilità, non essendo applicabile il termine di sessanta giorni di cui all’art. 18, co. 3, d.lgs. 150/2011 quando, come nel caso in esame, dagli atti risulti che il ricorrente ha dichiarato di essere domiciliato in Italia (pur soggiornando illegalmente e, dunque, essendo privo di residenza in Italia).

 

Mancata comparizione delle parti

Cass. civ. sez. I, ord. 19601/2023, pubblicata l’11.7.2023, chiarisce che la regola generale di cui all’art. 181 c.p.c. – che impone la fissazione di una nuova udienza in caso di mancata comparizione delle parti – è incompatibile con il giudizio di opposizione al decreto prefettizio di espulsione, trattandosi di procedimento caratterizzato da celerità, semplificazione ed ufficiosità dell’impulso.

 

Sull’obbligo di traduzione del decreto espulsivo

Cass. civ. sez.I, ord. 23668, pubblicata il 3.8.2023, ribadisce l’orientamento secondo cui l’omessa traduzione del decreto di espulsione nella lingua conosciuta dallo straniero comporta la nullità del decreto espulsivo, salvo che lo straniero conosca la lingua italiana e che di tale circostanza venga fornita prova, anche presuntiva. Il giudice del merito ha il compito di accertare in concreto se lo straniero conosce la lingua nella quale il decreto espulsivo sia stato tradotto, valutando a tal fine gli elementi probatori acquisiti al processo, tra cui assumono rilievo anche le dichiarazioni rese dall’interessato nel c.d. foglio-notizie, ove abbia dichiarato di conoscere la lingua nella quale il provvedimento sia stato tradotto.

 

Sulla legittimazione passiva

Secondo il consolidato orientamento della Corte di legittimità, il ricorso per Cassazione avverso il provvedimento emesso a seguito dell’opposizione al decreto prefettizio di espulsione, va proposto nei confronti dell’autorità che ha emanato il provvedimento impugnato e notificato presso la stessa prefettura. Deve essere pertanto dichiarato inammissibile il ricorso proposto contro il Ministero dell’interno e ad esso notificato presso l’Avvocatura generale dello Stato (Cass. civ. sez.I, ord. 14112/2023, pubblicata il 23.5.2023).

 

Trattenimento

Motivazione

La Corte di cassazione (ordinanza sez. I civ. 4.5.2023 n. 11637) ha ritenuto legittimo, in quanto fondato su idonea motivazione, il provvedimento di proroga del trattenimento da parte del Giudice di Pace che aveva «ritenute fondate le motivazioni della questura di Torino che qui integralmente si richiamano»: secondo la Corte è sufficiente la motivazione che rinvia per relationem ad argomenti svolti in atti noti alle parti. Del pari legittimo, secondo l’ordinanza sez. I civ. 10.7.2023 n. 19499, il decreto di convalida in cui il Giudice di pace abbia dato atto che occorreva procedere ad accertamenti supplementari in ordine alla identità ed alla nazionalità del cittadino straniero trattenuto; in questo caso la Corte ha ritenuto inammissibile, per difetto di autosufficienza, il motivo di ricorso che lamentava l’omessa motivazione sugli argomenti dedotti in una memoria, poiché il ricorrente non ha indicato il tenore delle memorie depositate in udienza in relazione al cui contenuto si qualificherebbe l’omissione della motivazione.

Non è invece legittimo il provvedimento di proroga adottato dal Giudice di pace usando un prestampato («sussistono/non sussistono i presupposti, ritenute non condivisibili le difese», sbarrando la casella corrispondente a questa seconda ipotesi) con motivazione apparente e apodittica, senza neppure fare richiamo per relationem alla richiesta del questore e così facendo ha violato i principi fondamentali in tema di motivazione dei provvedimenti che incidono sulla libertà personale: così Cass. ordinanza sez. I civ. 11.5.2023 n. 12864. Nello stesso senso le ordinanze sez. I civile 16.5.2023 n. 13324, sez. I civ. 13.6.2023 n. 16714, sez. I civ. 13.6.2023 n. 16717, sez. I civ. 24.7.2023 n. 22013.

Non è legittima la proroga (successiva alla prima) del trattenimento del cittadino straniero quando il giudice, a fronte di concreti e specifici elementi forniti dalla difesa (costituiti dall’inutile decorso di ben 5 mesi di trattenimento nella totale assenza di collaborazione da parte delle autorità del Paese di origine) dai quali era evincibile la mancanza di ragionevoli prospettive di esecuzione della sua espulsione, ha concesso la seconda proroga astenendosi dall’indicare in base a quali concreti elementi potesse ritenersi probabile l’identificazione dello straniero e l’acquisizione di documentazione idonea per il rimpatrio e limitandosi a richiamare le informative sollecitate e a dare atto della ulteriore richiesta di identificazione inoltrata dalla PA: così Cass. ordinanza sez. I civ. 5.5.2023 n. 11964; nello stesso senso Cass. ordinanza sez. I civ. 12.5.2023 n. 13044.

Analogo principio ispira la decisione assunta in Cass. ordinanza sez. I civ. 11.5.2023 n. 12884, che ha annullato il decreto di proroga motivato dal Giudice di pace per relationem alle richieste della questura, senza fare cenno alle questioni pur dedotte dalla difesa all’udienza di proroga, anche con memoria scritta, con cui si eccepiva in particolare la manifesta illegittimità del decreto di espulsione presupposto del trattenimento, nonché in numerose altre pronunce relative a fattispecie nelle quali pure il Giudice di pace non aveva preso alcuna posizione sui punti sottoposti dal ricorrente alla sua attenzione: Cass. ordinanza sez. I civ. 12.5.2023 n. 13041, Cass. ordinanza sez. I civ. 13.6.2023 n. 16722, Cass. ordinanza sez. I civ. 13.6.2023 n. 16729, Cass. ordinanza sez. I civ. 13.6.2023 n. 16730, Cass. ordinanza sez. I civ. 13.6.2023 n. 16734, Cass. ordinanza sez. I civ. 15.6.2023 n. 17127, Cass. ordinanza sez. I civ. 16.6.2023 n. 17360 , Cass. ordinanza sez. I civ. 26.6.2023 n. 18162, Cass. ordinanza sez. I civ. 30.6.2023 n. 18560, Cass. ordinanza sez. I civ. 10.7.2023 n. 19404, Cass. ordinanza sez. I civ. 10.7.2023 n. 19416, Cass. ordinanza sez. I civ. 10.7.2023 n. 19520, Cass. ordinanza sez. I civ. 11.7.2023 n. 19617, Cass. sez. I civ. 24.7.2023 n. 22054 (quest’ultima, tuttavia, ha annullato il decreto di proroga ma respinto il ricorso contro il decreto di convalida, ritenuto sufficientemente motivato), Cass. ordinanza sez. I civ. 24.7.2023 n. 22072, Cass. ordinanza sez. I civ. 24.7.2023 n. 22088, Cass. ordinanza sez. I civ. 24.7.2023 n. 22108, Cass. ordinanza sez. I civ. 25.7.2023 n. 22241, Cass. ordinanza sez. I civ. 25.7.2023 n. 22248, Cass. ordinanza sez. I civ. 25.7.2023 n. 22258, Cass. ordinanza sez. I civ. 25.7.2023 n. 22269, Cass. ordinanza sez. I civ. 26.7.2023 n. 22489, Cass. ordinanza sez. I civ. 26.7.2023 n. 22520, Cass. ordinanza sez. I civ. 23.8.2023 n. 25172, Cass. ordinanza sez. I civ. 24.8.2023 n. 25256, Cass. ordinanza sez. I civ. 28.8.2023 n. 25339.

Nell’ordinanza sez. I civ. 24.7.2023 n. 22136 la Corte di cassazione ha ritenuto soddisfatto il requisito minimo di sussistenza e comprensibilità della motivazione della proroga, laddove il Giudice di pace aveva osservato che le circostanze evidenziate dalla difesa erano già state prese in considerazione in fase di convalida (con una motivazione, ivi resa, per vero tautologica).

La Corte di cassazione, nell’ordinanza sez. I civ. 24.7.2023 n. 22097, ha riconosciuto come viziata (in quanto errata o assente) la motivazione in diritto resa dal Giudice di pace ma ha comunque ritenuto corretta la decisione e pertanto ha rigettato il ricorso, procedendo alla correzione della motivazione.

 

Proroga

Oltre alle decisioni già menzionate nel paragrafo dedicato alla motivazione, che spesso è carente in relazione alla sussistenza degli specifici presupposti della proroga successiva alla prima, segnaliamo qui altre decisioni in cui la Corte di cassazione ha esaminato la sussistenza di tali presupposti poiché dedotta dal ricorrente quale violazione di legge sostanziale e non quale violazione di legge processuale (i.e. omessa motivazione).

In particolare con ordinanza sez. I civ. 16.5.2023 n. 13317 la Corte di cassazione ha annullato il decreto del Giudice di pace che, nel concedere la quarta proroga del trattenimento, non aveva avuto cura di accertare la sussistenza di «elementi concreti che consentano di ritenere probabile l’identificazione» dello straniero, ovvero verificare che il mantenimento del trattenimento «sia necessario al fine di organizzare le operazioni di rimpatrio», come richiesto dall’art. 14, comma 5, d.lgs. 286/1998, nel testo vigente ratione temporis, limitandosi a dare atto che l’amministrazione era in attesa di una risposta dell’Ambasciata in relazione alla richiesta di identificazione, elemento, che, tuttavia, è irrilevante ai fini della concessione della seconda proroga e di quelle successive.

Similmente con ordinanza sez. I civ. 16.5.2023 n. 13323 la Corte di cassazione ha annullato il decreto di ulteriore proroga del trattenimento del Giudice di pace la cui motivazione, pur sufficiente a individuare l’iter argomentativo seguito (e pertanto non censurabile per violazione di legge processuale), non dava tuttavia conto della strumentalità della misura richiesta e autorizzata rispetto al fine dell’identificazione dello straniero o dell’organizzazione delle operazioni di rimpatrio.

Con altra decisione (ordinanza sez. I civ. 13.6.2023 n. 16720) la Corte di cassazione ha ribadito, richiamando la propria precedente ordinanza n. 2457/2021, che nel giudizio di proroga del trattenimento ben può essere rimessa in discussione la legittimità dell’iniziale decreto di trattenimento e della sua convalida. Lo stesso principio è affermato nell’ordinanza sez. I civ. 10.7.2023 n. 19554 (che richiama, a sua volta, l’ordinanza 24721/2021).

La Corte di cassazione, con ordinanza sez. I civ. 30.6.2023 n. 18561, ha annullato il decreto di proroga del trattenimento che si fondava su ragioni diverse da quelle previste dalla legge.

È illegittimo il decreto di ulteriore proroga del trattenimento motivato con un generico riferimento all’attesa della «documentazione ai fini della riammissione», nonché all’inerzia non imputabile alla PA, che non permette neppure di comprendere quale sia stata la ragione giustificativa della seconda proroga, tra le due previste dalla norma (identificazione oppure esigenze organizzative ai fini del rimpatrio): così ha stabilito la Corte di cassazione nell’ordinanza sez. I civ. 24.7.2023 n. 22092.

Nell’ordinanza sez. I civ. 24.7.2023 n. 22136, citata sopra, la Corte di cassazione ha affermato che la necessità di reperire un vettore per il rimpatrio, menzionata espressamente nell’art. 14, comma 1, d.lgs. 286/1998 come ragione idonea a giustificare la convalida del trattenimento, può costituire anche ragione di proroga, benché essa non sia menzionata nell’art. 14, comma 5; la Corte giunge a tale conclusione muovendo dall’osservazione che la norma sulla proroga richiama espressamente, quale ragione giustificativa, la necessità «di organizzare le operazioni di rimpatrio», ciò che comprenderebbe ogni esigenza organizzativa finalizzata al rimpatrio, inclusa l’acquisizione della disponibilità del vettore.

Tra le circostanze che possono giustificare la ulteriore proroga la Corte (ordinanza sez. I civ. 25.7.2023 n. 22179) ha ritenuto conforme alla disciplina – e pertanto scevra dalla denunciata violazione di legge – la decisione di proroga fondata sul rilievo che l’autorità consolare avrebbe rilasciato in tempi ragionevoli il lasciapassare che la questura aveva richiesto già prima della precedente proroga, e in assenza di alcuna ulteriore attività organizzativa (anche di sollecito) del rimpatrio da parte della questura. La Corte ha affermato che si tratta di un apprezzamento in fatto che sarebbe censurabile in sede di legittimità solo quando il giudice di merito sia incorso nel vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ma non quando il giudice abbia omesso – o errato – l’esame delle risultanze istruttorie ma abbia comunque preso in esame il fatto rilevante. Situazione pressoché identica è quella esaminata nella citata ordinanza sez. I civ. 25.7.2023 n. 22269, nonché nell’ordinanza sez. I civ. 26.7.2023 n. 22503, nelle quali la Corte ha invece ritenuto inidonea la motivazione della proroga disposta dal Giudice di pace, affermando tuttavia – nell’ordinanza n. 22503 – che non può essere sindacata in sede di legittimità la valutazione del Giudice di pace che abbia, sia pure implicitamente, escluso l’esistenza di un ritardo imputabile all’amministrazione la quale abbia trasmesso alle autorità diplomatiche la richiesta di identificazione del cittadino straniero espulso sei giorni prima l’udienza di proroga e quattordici giorni dopo la convalida del trattenimento.

 

Precedente espulsione

La Corte di cassazione (ordinanza sez. I civ. 11.5.2023 n. 12886) ha ritenuto legittimo il provvedimento di convalida del trattenimento nel quale la difesa aveva denunciato la mancata trasmissione degli atti relativi a un decreto di espulsione, anteriore a quello della cui esecuzione in quella sede si trattava, ma ritenuto necessario dalla difesa al fine di verificare la legittimità della procedura.

È invece illegittimo l’ordine di trattenimento che sia fondato su un precedente decreto di espulsione già eseguito con ordine di allontanamento, poiché in questo caso, ai sensi dell’art. 14, comma 5-ter, d.lgs. 286/1998, deve essere adottato un nuovo decreto di espulsione per violazione all’ordine di allontanamento adottato dal questore ai sensi del comma 5-bis dello stesso articolo. Ne consegue che è illegittimo e va cassato il provvedimento di convalida del trattenimento: così Cass. ordinanza sez. I civ. 25.7.2023 n. 22354.

 

Traduzione

La Corte di cassazione, con ordinanza sez. I civ. 15.6.2023 n. 17130, ha annullato il decreto del Giudice di pace che aveva convalidato le misure alternative al trattenimento benché l’ordine impositivo non fosse tradotto in lingua conosciuta dal destinatario.

 

Presenza del trattenuto

È legittimo, secondo Cass. ordinanza sez. I civ. 26.7.2023 n. 22523, il provvedimento di proroga del trattenimento adottato all’esito di udienza alla quale non abbia partecipato il cittadino straniero trattenuto, quando la questura affermi la consegna a mani proprie del trattenuto del biglietto di Cancelleria recante l’indicazione dell’udienza fissata e quando la mancata traduzione del cittadino straniero sia giustificata dall’essere questi stato posto in quarantena in via precauzionale a causa di un focolaio Covid 19.

La Corte di cassazione (ordinanza sez. I civ. 15.1.2023 n. 17126) ha ribadito il proprio costante orientamento secondo il quale il procedimento previsto dagli artt. 21, comma 2, e 28, comma 2, del d.lgs. 25/2008, ai fini della proroga del trattenimento del richiedente asilo, è contraddistinto dalle stesse garanzie del contraddittorio previste dall’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, cui rinvia l’art. 21 cit., per il procedimento di convalida della prima frazione temporale, consistenti nella partecipazione necessaria del difensore e nell’audizione dell’interessato, senza che risulti indispensabile una richiesta di quest’ultimo ad essere ascoltato.

 

Questioni procedurali

È nullo il decreto di proroga del trattenimento adottato dal Giudice di pace prima della scadenza del termine, concesso dallo stesso giudice, per il deposito di note difensive; il ricorrente, che deduca tale nullità, non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia (Cass. ordinanza sez. I civ. 10.7.2023 n. 19415).

Non è viziato il decreto di convalida del trattenimento adottato all’esito di udienza alla quale non abbia partecipato, e della quale non sia stato avvisato, il difensore di fiducia il quale abbia trasmesso la propria nomina alla Cancelleria del Giudice di pace per posta elettronica certificata, in data anteriore a quella di entrata in vigore della disciplina che prevede il deposito degli atti per via telematica al Giudice di pace civile (Cass. ordinanza sez. I civ. 13.7.2023 n. 20036).

Merita specifico approfondimento un’ordinanza, già citata supra (sez. I civ. 24.7.2023 n. 22072), nella quale la Corte di cassazione, nel rilevare la violazione della norma che prevede i presupposti per la proroga del trattenimento, si sofferma sulla natura delle deduzioni svolte in udienza dall’amministrazione, cui il Giudice di pace aveva attribuito «fede privilegiata». La Corte da un lato afferma l’irrilevanza delle circostanze dedotte, dall’altro precisa che «la fede privilegiata di certo non assiste il contenuto ideologico delle dichiarazioni soggettivamente ascrivibili alla pubblica amministrazione (cfr. Cass. (ord.) 29.9.2017, n. 22903) ed a fortiori non assiste il contenuto delle dichiarazioni rese in giudizio dalla parte pubblica.».

 

Interesse a impugnare

La Corte di cassazione, con la citata ordinanza sez. I civ. 24.7.2023 n. 22136, ha ribadito che persiste un interesse attuale a impugnare il provvedimento di convalida o proroga del trattenimento, pur dopo che il trattenimento sia cessato, sia per il diritto al risarcimento derivante dall’illegittima privazione della libertà personale, sia al fine di eliminare ogni impedimento illegittimo al riconoscimento della sussistenza delle condizioni di rientro e soggiorno nel territorio italiano. Nello stesso senso anche la citata ordinanza sez. I civ. 25.7.2023 n. 22241.

 

Doppia tutela

È inammissibile il ricorso per Cassazione proposto contro il provvedimento di convalida del trattenimento nel quale la parte ricorrente tuttavia censuri il decreto di espulsione: così Cass. ordinanza sez. I civ. 25.7.2023 n. 22247.

Nella citata ordinanza sez. I civ. 8.9.2023 n. 26198 la Corte ha ribadito che in sede di convalida della misura esecutiva del decreto di espulsione (nella fattispecie, misure alternative al trattenimento) il sindacato del giudice della convalida è limitato all’esame delle condizioni che giustificano la misura attuativa e può estendersi alla valutazione dell’atto presupposto (il decreto di espulsione) solo nel caso in cui esso sia affetto da manifesta illegittimità perché l’amministrazione ha agito al di fuori della propria competenza ovvero in mala fede.

 

Consegna di copia conforme del provvedimento al destinatario

Alla luce della specifica indicazione specifica, contenuta nella relata di notifica dell’ordine di sottoposizione alle misure alternative ove si afferma che «il destinatario dell’atto ha preso visione dell’“unico originale”», la consegna allo stesso di copia fotostatica del decreto cui non è in calce certificata la sua conformità all’originale non determina nullità della comunicazione, posto che il ricorrente risulta avere comunque «preso visione» dell’originale dell’atto: così Cass. ordinanza sez. I civ. 8.9.2023 n. 26198.

 

Misure alternative al trattenimento

La citata ordinanza sez. I civ. 8.9.2023 n. 26198 ha ribadito che non è prevista udienza partecipata per la convalida delle misure alternative, quindi nessun avviso della celebrazione dell’udienza spetta alla parte o al suo difensore.

 

Riesame del trattenimento

La Corte di cassazione ribadisce l’ammissibilità del riesame del provvedimento di convalida del trattenimento, e censura per omessa motivazione il provvedimento che aveva rigettato l’istanza di riesame senza valutare gli elementi dedotti nell’istanza e rilevanti per la revisione (Cass. ordinanza sez. I civ. 8.5.2023 n. 12149).

Secondo l’ordinanza sez. I civ. 31.7.2023 n. 23160 è legittimo il provvedimento di rigetto della richiesta di riesame del trattenimento fondata sulla produzione di una dichiarazione di ospitalità recante data anteriore a quella della convalida del trattenimento, e quindi non costituente elemento nuovo, e inoltre non suffragata da alcuna conferma, all’attualità, da parte del dichiarante. La Corte ha poi aggiunto che l’erronea individuazione della data della dichiarazione di ospitalità da parte del giudice costituisce errore che non può essere denunciato con ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 3 o 360 n. 5 né ai sensi dell’art. 360 n. 4; la denuncia di un errore di fatto, consistente nella inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, non costituisce motivo di ricorso per Cassazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. ma di revocazione ex art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c. (Cass. 23279/2016).

 

Trattenimento del richiedente asilo

Il trattenimento dei richiedenti asilo è stato oggetto di alcune pronunce della Corte di cassazione e di decisioni di giudici di merito.

La Corte di cassazione, con tre ordinanze coeve ( Cass. sentenza I civ. 13.7.2023 n. 20028 , Cass. sentenza I civ. 13.7.2023 n. 20034 , Cass. sentenza I civ. 13.7.2023 n. 20070 , ha recepito i principî enunciati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza del 25.6.2020, causa C-36/20, e ha affermato che il Giudice di pace dinanzi al quale si celebri l’udienza di convalida del trattenimento rientra tra le «altre autorità» che, ai sensi dell’art. 6, primo paragrafo, secondo comma, della direttiva 2013/32/UE, pur non essendo competenti alla registrazione della domanda di protezione internazionale possono – nondimeno – essere destinatarie della dichiarazione di voler proporre tale domanda; la manifestazione di volontà di chiedere la protezione internazionale espressa dinanzi al Giudice di pace dal cittadino straniero trattenuto durante l’udienza di convalida costituisce pertanto «presentazione» della domanda di protezione, con la conseguenza che il cittadino straniero assume in quel momento la qualità di richiedente protezione internazionale, e da quel momento decorre il termine (di tre o sei giorni lavorativi a seconda che la domanda sia stata presentata all’autorità competente alla registrazione o ad altra autorità preposta a riceverla) entro il quale le autorità devono registrare la domanda (detto termine può essere prorogato di dieci giorni lavorativi, quando ricorra l’ipotesi prevista dall’art. 6, paragrafo 5, della direttiva 2013/32/UE, cioè «qualora le domande simultanee di protezione internazionale da parte di un numero elevato di cittadini di Paesi terzi o apolidi rendano molto difficile all’atto pratico rispettare il termine» di cui sopra). Al cittadino straniero che abbia assunto, con la presentazione della domanda, la qualità di richiedente asilo non si applica la direttiva 2008/115/UE (c.d. direttiva rimpatri), bensì la direttiva 2013/32/UE, art. 26 par. 1, e la direttiva 2013/33/UE, art. 8, par. 1: dal combinato disposto di queste due disposizioni risulta che gli Stati membri non possono trattenere una persona per il solo fatto di essere un richiedente protezione internazionale e che i motivi e le condizioni del trattenimento nonché le garanzie per i richiedenti trattenuti devono essere conformi alle suddette direttive e sottoposti alla verifica giurisdizionale di cui all’art. 9 della medesima direttiva. Calata nel diritto italiano, tale norma impone che il trattenimento del richiedente asilo sia convalidato ai sensi dell’art. 6 d.lgs. 142/2015 dal Tribunale entro i termini (di 48 + 48 ore) dal c.d. mutamento del titolo, che si individua, come detto, nel momento della presentazione (e non della registrazione) della domanda.

Nei casi esaminati da Cass. sentenza I civ. 13.7.2023 n. 20028 e da Cass. sentenza I civ. 13.7.2023 n. 20070 i ricorrenti lamentavano che la registrazione della domanda fosse avvenuta ben oltre i termini sopra descritti e che il trattenimento fosse pertanto divenuto illegittimo poiché non convalidato entro i termini. La Corte, alla luce della disciplina come testé ricostruita, ha accolto i ricorsi. Riportiamo testualmente i principî di diritto affermati dalle due sentenze:

«In conformità alla previsione dell’art. 6, della direttiva 2013/32/UE, la domanda di protezione internazionale deve essere registrata nei termini ivi previsti e la proroga di dieci giorni del termine, prevista dall’ultimo periodo dell’art. 26, comma 2-bis, d.lgs. 25/2008 introdotta dal legislatore nazionale con il d.lgs. 142/2015 in sede di recepimento della suddetta direttiva, deve essere applicata solo in presenza del comprovato, relativo, presupposto, costituito dall’elevato numero di domande in conseguenza di arrivi consistenti e ravvicinati» (Cass. 20028/23).

«In conformità alla previsione dell’art. 6, paragrafo 1, comma 2 della direttiva 2013/32/UE, la domanda di protezione internazionale può essere presentata dallo straniero, che abbia in corso il trattenimento ai fini dell’esecuzione dell’espulsione o del respingimento ai sensi dell’art. 14 d.lgs. 286/1998, anche avanti al Giudice di pace nel corso dell’udienza di convalida prevista dall’art. 14, comma 5, d.lgs. cit.; in siffatta ipotesi, la domanda, immediatamente trasmessa al questore, deve essere registrata nel termine perentorio di sei giorni lavorativi, e sempre dalla domanda deriva la sospensione dei termini del trattenimento disposto ex art. 14, comma 5, d.lgs. 286/1998 come previsto dall’art. 6, comma 5, d.lgs. 142/2015; la eventuale successiva convalida adottata, ai fini dell’esame della protezione internazionale, ai sensi di tale norma, ma oltre la scadenza del termine di sei giorni succitato, non consente proroga alcuna del trattenimento, ai sensi dell’art. 6, comma 6, ultima parte, del d.lgs. n. 142/2015» (Cass. 20070/23).

Il caso esaminato da Cass. sentenza I civ. 13.7.2023 n. 20034 riguardava una proroga del trattenimento ex art. 6 d.lgs. 142/2015 richiesta dalla questura dopo il rigetto della domanda di protezione internazionale. La Corte di cassazione, all’esito di una approfondita e completa ricognizione del quadro normativo, ha affermato che non sussistevano i presupposti per la proroga del trattenimento, disposta ai sensi dell’art. 6, commi 7 e 8, del d.lgs. 142/2015, dopo la notifica del decreto di rigetto della domanda da parte della commissione territoriale e nella pendenza del termine per proporre ricorso (paragrafi 43 e 44 della sentenza). Riportiamo anche in questo caso il principio di diritto affermato dalla Corte:

«In conformità alla previsione dell’art. 6, paragrafo 1, comma 2 della direttiva 2013/32/UE, la domanda di protezione internazionale può essere presentata dallo straniero, che abbia in corso il trattenimento ai fini dell’esecuzione dell’espulsione o del respingimento ai sensi dell’art. 14 d.lgs. 286/1998, anche avanti al Giudice di pace nel corso dell’udienza di convalida prevista dall’art. 14, comma 5, d.lgs. cit.; in siffatta ipotesi, la domanda, immediatamente trasmessa al questore, deve essere registrata nel termine perentorio di sei giorni lavorativi, e sempre dalla domanda deriva la sospensione dei termini del trattenimento disposto ex art. 14, comma 5, d.lgs. 286/1998 come previsto dall’art. 6, comma 5, d.lgs. 142/2015; il trattenimento dello straniero richiedente protezione cessa dopo la decisione della Commissione territoriale sulla domanda di protezione internazionale e la eventuale successiva richiesta di proroga del trattenimento, disposto ex art. 6 d.lgs. 142/2015, è illegittima, salvo che non vengano dedotti e comprovati dall’amministrazione ulteriori motivi di trattenimento, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998.»

 

Sempre sul rapporto tra il diritto del richiedente asilo a restare nel territorio durante l’esame della domanda – da parte della Commissione territoriale ed eventualmente da parte del Tribunale – e le ipotesi di trattenimento dello stesso soggetto, si segnala peraltro un’ordinanza della stessa sezione (ordinanza sez. I civ. 24.7.2023 n. 22097), nella quale la Corte di cassazione ha deciso in modo differente un caso simile ma non uguale: la Corte ha affermato che l’effetto sospensivo ex art. 6, comma 5, del d.lgs. 142/2015 del termine di efficacia del trattenimento (convalidato), correlato alla proposizione della domanda di protezione internazionale, non viene meno con la pronuncia, da parte del Tribunale, del decreto di rigetto della domanda di protezione internazionale, bensì è protratto per il termine (di trenta o quindici giorni) entro il quale il richiedente può proporre ricorso per Cassazione avverso il provvedimento del Tribunale, nonché per l’ulteriore periodo di cinque giorni corrispondente al termine per proporre, dopo la presentazione del ricorso per Cassazione, richiesta di sospensione del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 35-bis, comma 13, d.lgs. 25/2008, e anzi ancora fino alla decisione del Tribunale sull’istanza di sospensione proposta.

Ancora sullo stesso tema l’ordinanza sez. I civ. 30.6.2023 n. 18567 nella quale la Corte ha ribadito che il trattenimento non dipende dall’efficacia esecutiva del provvedimento della Commissione che abbia rigettato la domanda; piuttosto è il trattenimento a integrare una delle ipotesi nelle quali la proposizione del ricorso giurisdizionale avverso il decreto di rigetto della domanda non produce automaticamente la sospensione degli effetti di tale decreto, che può essere disposta dal Tribunale adìto su istanza del ricorrente. Se il Tribunale accoglie l’istanza e dispone la sospensione, il richiedente mantiene il diritto a restare nel territorio per tutta la durata del procedimento, e pertanto non può essere espulso, ma ciò non incide sul trattenimento disposto ai sensi dell’art. 6 d.lgs. 142/2015 che non è preordinato al rimpatrio del richiedente asilo bensì a consentire l’espletamento della procedura di esame della domanda assicurando la reperibilità del soggetto quando sia ravvisato il rischio di fuga o la pericolosità (art. 6, comma 2), o quando la domanda sia ritenuta pretestuosa e diretta a evitare il rimpatrio (art. 6, comma 3); pertanto il trattenimento permane, salva la verifica periodica della sussistenza dei presupposti che lo giustificano ai sensi dell’art. 6 d.lgs. 142/2015.

Nell’ordinanza sez. I civ. 30.6.2023 n. 18567 la Corte ha ribadito che il trattenimento non dipende dall’efficacia esecutiva del provvedimento della Commissione che abbia rigettato la domanda; piuttosto è il trattenimento a integrare una delle ipotesi nelle quali la proposizione del ricorso giurisdizionale avverso il decreto di rigetto della domanda non produce automaticamente la sospensione degli effetti di tale decreto, che può essere disposta dal Tribunale adìto su istanza del ricorrente. Se il Tribunale accoglie l’istanza e dispone la sospensione, il richiedente mantiene il diritto a restare nel territorio per tutta la durata del procedimento, e pertanto non può essere espulso, ma ciò non incide sul trattenimento disposto ai sensi dell’art. 6 d.lgs. 142/2015 che non è preordinato al rimpatrio del richiedente asilo bensì a consentire l’espletamento della procedura di esame della domanda assicurando la reperibilità del soggetto quando sia ravvisato il rischio di fuga o la pericolosità (art. 6, comma 2), o quando la domanda sia ritenuta pretestuosa e diretta a evitare il rimpatrio (art. 6, comma 3); pertanto il trattenimento permane, salva la verifica periodica della sussistenza dei presupposti che lo giustificano ai sensi dell’art. 6 d.lgs. 142/2015.

Sulla scorta dei principî affermati nelle tre sentenze della Corte di cassazione e nella sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea poc’anzi citate, il Tribunale di Roma ha modificato l’orientamento espresso nei mesi precedenti (che avevamo segnalato nel precedente numero di questa Rassegna) e che ancora si trovava in provvedimenti emessi prima della pubblicazione delle sentenze della Corte di cassazione ( cfr. Trib. Roma, decreto 9.6.2023 ). Si segnalano quindi alcuni provvedimenti del Tribunale capitolino ( Trib. Roma, decreto 4.8.2023 , Trib. Roma, decreto 2.10.2023 ) che mostrano piena adesione ai principî espressi dalla Corte di cassazione nelle sentenze, espressamente menzionate.

Diamo infine conto di alcuni dei provvedimenti che hanno suscitato molto clamore mediatico, per lo più estraneo al merito delle decisioni. Qui ne esamineremo invece l’aspetto propriamente giuridico.

Il Tribunale di Catania ( decreti 29.9.2023 R.G. 10459/2023 , R.G. 10461/2023 , R.G. 10465/2023 , tutti con identica motivazione, nonché decreto 8.10.2023  con motivazione sostanzialmente sovrapponibile) è stato investito della richiesta di convalida del trattenimento disposto dal questore ai sensi dell’art. 6-bis d.lgs. 142/2015 poiché il cittadino straniero, proveniente da un Paese designato di origine sicura ai sensi dell’art. 2-bis del d.lgs. 25/2008, aveva presentato domanda di protezione internazionale nella zona di transito di cui all’art. 28-bis, comma 4, d.lgs. 25/2008, nell’ambito della procedura di cui al comma 2, lettere b) e b-bis), dello stesso articolo; lo stesso, inoltre, non aveva consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validità e non aveva prestato garanzia finanziaria secondo le disposizioni del decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della giustizia e il Ministro dell’economia e delle finanze, del 14.9.2023, recante indicazione dell’importo e delle modalità di prestazione della garanzia finanziaria a carico dello straniero durante lo svolgimento della procedura per l’accertamento del diritto di accedere al territorio dello Stato.

Il Tribunale, dopo aver richiamato la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 8.11.2022 (cause riunite C-704/20 e C-39/21) secondo la quale il giudice del trattenimento deve rilevare d’ufficio, in base agli elementi del fascicolo portati a sua conoscenza, come integrati o chiariti durante il procedimento contraddittorio dinanzi a sé, l’eventuale mancato rispetto di un presupposto di legittimità anche se non dedotto dall’interessato, nonché la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 14.5.2020 (cause riunite C-924/19 e C-925/19) secondo la quale alla luce degli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33/UE il richiedente protezione internazionale non può essere trattenuto per il solo fatto che non possa sovvenire alle proprie necessità, e tale trattenimento non può aver luogo senza la previa adozione di una decisione motivata che disponga il trattenimento e senza che siano state esaminate la necessità e la proporzionalità di una siffatta misura, ha rilevato che il provvedimento questorile non era corredato di idonea motivazione, difettando ogni valutazione su base individuale delle esigenze di protezione manifestate, nonché della necessità e proporzionalità della misura in relazione alla possibilità di applicare misure meno coercitive.

Il Tribunale etneo ha poi osservato che la garanzia finanziaria prevista dall’art. 6-bis d.lgs. 142/2015 non si configura come misura alternativa al trattenimento bensì come requisito amministrativo imposto al richiedente prima di riconoscere i diritti conferiti dalla direttiva 2013/33/UE, per il solo fatto che chiede protezione internazionale; inoltre ha rilevato che la determinazione dell’importo di 4938 euro quale garanzia finanziaria idonea per la disponibilità di un alloggio adeguato sul territorio nazionale, della somma occorrente al rimpatrio e di mezzi di sussistenza minimi necessari per il periodo di 28 giorni corrispondente al periodo massimo di trattenimento ai sensi dell’art. 6-bis, e la previsione che tale somma debba essere versata in unica soluzione, con fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa, e precludendo la possibilità che essa sia versato da terzi, siano incompatibili con gli artt. 8 e 9 della direttiva 2013/33/UE sopra menzionati e debbano pertanto essere disapplicati dal giudice nazionale.

Inoltre, il Tribunale ha osservato che la direttiva 2013/32/UE non autorizza, salve le ipotesi eccezionali di cui al comma 3 dell’art. 43, l’applicazione della procedura alla frontiera – presupposto, nella specie, della misura del trattenimento – in zona diversa da quella di ingresso e nella quale il richiedente sia stato coattivamente condotto in assenza di precedenti provvedimenti coercitivi.

Il Tribunale ha poi rilevato che ai sensi dell’art. 43, paragrafo 1, della direttiva 2013/32/UE, un trattenimento fondato sulla disposizione di cui all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera c), della direttiva 33/2013/UE è giustificato soltanto al fine di consentire allo Stato membro interessato di esaminare, prima di riconoscere al richiedente protezione internazionale il diritto di entrare nel suo territorio, se la sua domanda non sia inammissibile, ai sensi dell’articolo 33 della direttiva 2013/32/UE, o se essa non debba essere respinta in quanto infondata per uno dei motivi elencati all’articolo 31, paragrafo 8, di tale direttiva, e ciò al fine di garantire l’effettività delle procedure previste dal medesimo articolo 43, e che ciò presuppone che il presidente della Commissione territoriale abbia assunto una decisione sul punto, che nel caso di specie non era stata adottata.

Infine, il Tribunale ha ritenuto che la lettera c) dell’art. 8 della direttiva 2013/33/UE non si applichi nelle ipotesi di soccorso in mare, nelle quali il diritto di ingresso nel territorio deriva dalla normativa interna e internazionale (art. 10-ter d.lgs. 286/1998; punto 3.1.9 della Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979, come emendata nel 2004, successivamente alla risoluzione del 20.5.2004 del Maritime Safety Committee dell’OMI), e che peraltro il citato art. 8, lett. c), della direttiva 2013/33/UE va in ogni caso interpretato secondo il principio sancito dall’art. 10, comma 3, Cost., nel significato chiarito dalla Corte di cassazione a sezioni unite nella sentenza 26.5.1997, n. 4674, secondo la quale, alla luce del principio costituzionale fissato da tale articolo, deve escludersi che la mera provenienza del richiedente asilo da Paese di origine sicuro possa automaticamente privare il suddetto richiedente del diritto a fare ingresso nel territorio italiano per richiedere protezione internazionale.

 

Procedura “Dublino” e trattenimento

Segnaliamo infine una decisione di merito ( Trib. Roma, decreto 4.10.2023 ) sul trattenimento del richiedente asilo sottoposto alla procedura per la determinazione dello Stato competente all’esame della domanda di protezione internazionale, secondo la disciplina del regolamento 2013/604/UE (c.d. Dublino III).

L’art. 6 d.lgs. 142/2015 prevede il trattenimento in ipotesi di pericolosità del ricorrente o per la congiunta sussistenza di necessità istruttorie nel merito della domanda di asilo e di rischio di fuga, che deve essere valutato caso per caso attualmente – in seguito alla modifica intervenuta per effetto del d.l. 20/2023 conv. in l. 50/2023 – sulla base di alcuni dei criteri indicati dall’art. 13, comma 4-bis, del d.lgs. 286/1998 (è stato escluso solo quello relativo alla disponibilità di un alloggio, previsto dalla lettera b) dell’art. 14): a) mancato possesso del passaporto o di altro documento equipollente in corso di validità; c) precedente falsa dichiarazione o attestazione delle generalità; d) precedente inottemperanza a ordini esecutivi di misure espulsive; e) violazione delle misure disposte a corredo della partenza volontaria quale modalità di esecuzione dell’espulsione. Nonostante la tralatizia prescrizione normativa di una valutazione concreta e individuale, costituisce dato di esperienza che la mera ricorrenza di una delle circostanze contemplate sia sufficiente a integrare il rischio di fuga.

L’art. 6-ter d.lgs. 142/2015 prevede invece che il richiedente asilo in attesa del trasferimento possa essere trattenuto in caso di «notevole rischio di fuga», da valutare caso per caso quando il richiedente si sia si sia sottratto a un primo tentativo di trasferimento, ovvero qualora ricorrano almeno due delle seguenti circostanze: a) mancanza di un documento di viaggio; b) mancanza di un indirizzo affidabile; c) inadempimento all’obbligo di presentarsi alle autorità competenti; d) mancanza di risorse finanziarie; e) sistematico ricorso a dichiarazioni o attestazioni false sulle generalità anche al solo fine di evitare l’adozione o l’esecuzione di un provvedimento di espulsione.

Il Tribunale di Roma ha ritenuto che tale specifica ipotesi di trattenimento si aggiunga ma non si sostituisca, per il richiedente asilo soggetto alla procedura “Dublino”, alle ipotesi di trattenimento generalmente previste dall’art. 6 d.lgs. 142/2015, nel caso di specie ritenute sussistenti, restando pertanto irrilevante la sussistenza o meno dei presupposti per il trattenimento ex art. 6 ter. Deve tuttavia rilevarsi come i termini massimi di durata del trattenimento siano diversi nelle due ipotesi, segnatamente l’art. 6 prevede un periodo massimo di dodici mesi mentre l’art. 6-ter prevede un periodo massimo di sei settimane. Nel caso di specie il trattenimento era già stato disposto ai sensi dell’art. 6, comma 2, d.lgs. 142/2015, per un periodo di trenta giorni, e il Tribunale lo ha prorogato per quindici giorni in conformità alla richiesta formulata dalla questura; il Tribunale sembra quindi aver ritenuto applicabile una disciplina mista risultante dall’art. 6 quanto ai presupposti sostanziali del trattenimento, dall’art. 6-ter quanto alla durata dello stesso.

 

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