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Fascicolo 3, Novembre 2023


«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà:
se ce n’è uno è quello che è già qui,
l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. 

Due modi ci sono per non soffrirne.

Il primo riesce facile a molti:
accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.

Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui:
cercare e saper riconoscere chi e cosa,
in mezzo all’inferno,
non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».

Italo CalvinoLe città invisibili

 

Non discriminazione

Nel corso del secondo quadrimestre del 2023 si segnala che la Corte costituzionale è dovuta nuovamente intervenire per affermare l’illegittimità del requisito di lungo residenza inserito da alcune Regioni per accedere alle graduatorie per l’assegnazione di case popolari. Si segnala, altresì, che la Corte di cassazione ha chiarito il concetto di molestie per ragioni di razza o di etnia al fine di evidenziarne il carattere discriminatorio sulla base delle vigenti disposizioni.

Alloggi pubblici 

La Corte costituzionale con sentenza n. 145/2023 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 20-quater, comma 1, lettera a-bis), della legge della Regione Marche 16 dicembre 2005, n. 36 che prevedeva un requisito di almeno cinque anni di residenza continuativa nella Regione per accedere alle graduatorie per l’assegnazione delle case popolari. La pronuncia in esame ribadisce quanto esposto nelle precedenti sentenze n. 44/2020 e n. 77/2023 in relazione alle leggi regionali della Lombardia e della Liguria che pure avevano previsto il requisito di lungo residenza. La Corte costituzionale, dopo aver premesso che analoga disposizione, contenuta nella legge della Regione Lombardia era stata già dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza n. 44/2020, ne ha richiamato il contenuto sottolineando che «a differenza del requisito della residenza tout court (che serve a identificare l’ente pubblico competente a erogare una certa prestazione ed è un requisito che ciascun soggetto può soddisfare in ogni momento), quello della residenza protratta integra una condizione che può precludere in concreto a un determinato soggetto l’accesso alle prestazioni pubbliche sia nella regione di attuale residenza sia in quella di provenienza (nella quale non è più residente)». Di qui la necessità che le norme che introducono requisiti di questo tipo siano «vagliate con particolare attenzione, in quanto implicano il rischio di privare certi soggetti dell’accesso alle prestazioni pubbliche solo per il fatto di aver esercitato il proprio diritto di circolazione o di aver dovuto mutare regione di residenza». Infine la Corte ha voluto sottolineare come anche il requisito connesso alla durata della prestazione dell’attività lavorativa nella regione fosse analogamente censurabile precisando che «All’esito della dichiarata illegittimità costituzionale parziale della disposizione censurata, residua la previsione del requisito della prestazione di attività lavorativa in ambito regionale da almeno cinque anni. In ragione delle operata delimitazione del thema decidendum, infatti, il requisito connesso all’attività lavorativa – oggetto invece anch’esso della più volte citata sentenza n. 44 del 2020, con cui questa Corte, investita di un’analoga questione su entrambi i requisiti di cui qui si discute, ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale sul presupposto della comune idoneità lesiva – non può essere oggetto della presente pronuncia ». (in Banca dati Asgi)

Il Tribunale di Padova, con ordinanza del 18 maggio 2023, ha richiamato la sentenza n. 44/2020 della Corte costituzionale e ha sollevato questione di costituzionalità in relazione al requisito di lungo residenza previsto dall’art. 25, comma 2, lett. a) della l.r. Veneto n. 39/17 (in Banca dati Asgi)

 

Assegno unico universale

Il Tribunale di Trento ha accolto la richiesta di una cittadina extra UE in possesso del permesso per attesa occupazione di ottenere l’assegno unico universale negatogli dall’INPS sul presupposto che siffatto permesso «non è titolo idoneo alla percezione della prestazione» come indicato nel messaggio INPS n. 2951 del 25.7.2022. Il Tribunale ha affermato che costituisce una discriminazione diretta individuale, per violazione dell’art. 12 della direttiva 98/2011, la condotta dell’INPS consistente nell’aver negato la corresponsione dell’assegno unico universale, ritenendo non rientrasse, tra i requisiti soggettivi idonei a consentire al cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea l’accesso alla suddetta prestazione, la titolarità del permesso di soggiorno per attesa occupazione ex art. 22 co. 11 d.lgs. 286/1998 ed ex art. 37 co. 5 d.p.r. 394/1999 ed ha sottolineato che costituisce discriminazione diretta collettiva la condotta con cui l’INPS, mediante il messaggio n. 2951 del 25.7.2022, ha escluso dai beneficiari i titolari del permesso per attesa occupazione, con conseguente pregiudizio per i cittadini degli Stati non appartenenti all’Unione europea che, essendo in possesso del citato permesso di soggiorno in attesa di occupazione, non hanno presentato domanda di corresponsione della prestazione perché dissuasi dall’orientamento interpretativo espresso dall’Istituto. Nella pronuncia in esame il Tribunale di Trento ha respinto anche l’eccezione di carenza di legittimazione ad agire dell’associazione intervenuta chiarendo che «l’ASGI, essendo certamente, alla luce delle previsioni del suo statuto (doc. 3 fasc. interv.), rappresentativo dell’interesse delle comunità straniere alla parità di trattamento (oltre che essere iscritta nell’elenco ex art. 5 ult. co. d.lgs. 215/03), è legittimata ad esercitare l’azione contro la discriminazione collettiva afferente il fattore della nazionalità qualora non siano individuabili in modo diretto e immediato le persone lese». Pertanto il Tribunale di Trento ha ordinato all’INPS anche di provvedere alla «modifica della circolare n. 23/2022, indicando i titolari di permesso di soggiorno per attesa occupazione ex art. 22 co. 11 d.lgs. 286/1998 ed ex art. 37 co. 5 d.p.r.394/1999 tra gli aventi diritto all’AUU». Infine è stata prevista, a favore dell’associazione interveniente, il pagamento di una penale per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordine di rimozione degli effetti derivanti dalla discriminazione diretta collettiva, sia in relazione alla modificazione della circolare n. 23/2022 che alla pubblicità di tale modificazione (prevista sulla home page del sito istituzionale dell’Istituto), con decorrenza dal centoventesimo giorno successivo alla data di pronuncia del provvedimento. (Tribunale di Trento sentenza n. 121/2023 del 19 settembre 2023 in Banca dati Asgi

 

Prestazioni assistenziali 

Il Tribunale di Lecce si è pronunciato in via di urgenza affermando la sussistenza del diritto del cittadino straniero extracomunitario, residente in Italia con permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, a percepire la pensione di inabilità anche nel periodo intercorrente tra la scadenza del permesso di soggiorno di cui aveva chiesto tempestivamente il rinnovo, stante l’indiscussa natura assistenziale della prestazione in parola, in quanto il richiedente non può essere pregiudicato dal dilatarsi dei tempi per il completamento della procedura di rinnovo «risultando al contrario logico e ragionevole ritenere che in tale ipotesi il cittadino extracomunitario, comunque legittimamente soggiornante nel territorio nazionale, ha diritto a continuare a godere delle prestazioni in precedenza riconosciutegli sino al momento della definizione della procedura». (ordinanza del 1 giugno 2023 in Banca dati Asgi)

 

Discriminazione per ragioni di razza o di etnia 

La Corte di cassazione ha avuto modo di chiarire la nozione di discriminazione per ragione di razza o di etnia in relazione a due post che erano stati pubblicati su un profilo Facebook a distanza di quattro mesi l’uno dall’altro che, secondo l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, integravano una molestia per ragioni di razza o di etnia contro i Rom, tesi che era stata respinta dal Tribunale e dalla Corte d’appello di Torino. In particolare il Tribunale aveva evidenziato che dalla lettura dei due post, che riteneva tra loro collegati, il primo dei quali immediatamente successivo ad un furto subito dal fidanzato della convenuta, il secondo pubblicato in occasione della giornata mondiale dei Rom, Sinti e Caminanti, emergesse un attacco «genericamente rivolto a tutti coloro che, connazionali o zingari, si trovassero a delinquere sul territorio italiano» e non mirato nei confronti dell’etnia Rom. La Corte d’appello di Torino, pur reputando non collegati i due post, aveva ritenuto non provato l’elemento oggettivo dell’illecito, ovvero escludeva che i suddetti post potessero assurgere a comportamenti integranti una molestia nei confronti dell’etnia Rom, ai sensi e per gli effetti della normativa antidiscriminatoria.

La Corte di cassazione, invece, dopo aver ricostruito la nozione di discriminazione ha evidenziato che «La decisione impugnata non rispetta, sotto i diversi profili che si andranno ad illustrare seguendo l’ordine e il contenuto dei motivi, le norme che si denunciano violate e si caratterizza per un complessivo fraintendimento e una totale sottovalutazione dei valori da esse tutelati e dell’accertamento da compiere per verificare se tale violazione sia effettivamente avvenuta, oltre che per una motivazione totalmente illogica e contrastante con il significato comune delle parole, in riferimento alle espressioni linguistiche utilizzate dalla all’interno dei suoi post, in particolare del primo di essi». Ha quindi cassato con rinvio affermando il seguente principio di diritto: «“Integra molestia per ragioni di razza o di etnia, equiparata alle ipotesi di discriminazione diretta e indiretta e tutelata dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 215 del 2003, qualsiasi comportamento che sia lesivo della dignità della persona e sia potenzialmente idoneo a creare o incrementare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo nei confronti della predetta etnia, al di là e a prescindere da qualsiasi motivazione soggettiva”; “Può integrare gli estremi della molestia rilevante ai sensi dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 215 del 2003 sia la denigrazione diretta delle caratteristiche di una etnia in quanto tale, sia l’associazione di tale etnia a comportamenti delittuosi”; “La manifestazione del proprio pensiero sui social network, anche se inizialmente indirizzata ad una cerchia limitata di persone (gli “amici” su facebook) deve comunque avvenire nel rispetto del criterio formale della continenza e, ove sia accertato che abbia contenuti lesivi dell’altrui dignità, può integrare gli estremi della molestia discriminatoria se rivolta verso un determinato gruppo etnico, in quanto è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile di persone”». (ordinanza n.14836/2023 del 26 maggio 2023 in Banca dati Asgi)

 

La Corte di cassazione ha affermato, in una successiva pronuncia, che integra molestia per ragioni di razza o di etnia, equiparata alle ipotesi di discriminazione diretta e indiretta e tutelata dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 215 del 2003, qualsiasi comportamento che sia lesivo della dignità della persona e sia potenzialmente idoneo a creare o incrementare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo nei confronti della predetta etnia, al di là e a prescindere da qualsiasi motivazione soggettiva.

La pronuncia in esame è stata emessa a conclusione di una vicenda iniziata nel 2016 quando le associazioni ASGI e NAGA avevano agito in giudizio avanti al Tribunale di Milano contro la Lega che aveva convocato una manifestazione a Saronno affiggendo cartelli in cui chiamava i richiedenti asilo “clandestini”. Ad avviso delle due associazioni qualificare i richiedenti asilo come clandestini costituisce un comportamento idoneo ad offendere la dignità della persona ed a creare un clima umiliante degradante e offensivo. I giudici di merito avevano accolto la tesi delle associazioni ricorrenti e la Lega aveva impugnato la decisione della Corte d’appello avanti alla Corte di cassazione la quale ha confermato la pronuncia impugnata sottolineando che «gli stranieri che fanno ingresso nel territorio dello stato italiano perché corrono il rischio effettivo, in caso di rientro nel Paese di origine, di subire un “grave danno”, non possono a nessun titolo considerarsi irregolari e non sono dunque “clandestini”.». La Corte ha anche respinto la tesi della Lega che invocava il diritto del partito politico alla libera manifestazione della sua posizione evidenziando che «il diritto alla libera manifestazione del pensiero, cui si accompagna quello di organizzarsi in partiti politici, non può essere equivalente o addirittura prevalente, sul rispetto della dignità personale degli individui» specie, aggiunge la Corte, quando si tratta degli individui più fragili, come le persone migranti. (Corte di cassazione sezione III civ., sentenza 24686/2023 del 22 maggio 2023 dep. 16 agosto 2023 in Banca dati Asgi)

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