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Fascicolo 3, Novembre 2023


«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà:
se ce n’è uno è quello che è già qui,
l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. 

Due modi ci sono per non soffrirne.

Il primo riesce facile a molti:
accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.

Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui:
cercare e saper riconoscere chi e cosa,
in mezzo all’inferno,
non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».

Italo CalvinoLe città invisibili

 

Recensioni e materiali di ricerca

Segnalazioni bibliografiche

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Rapporti, riviste e siti Internet

CESPI-Osservatorio di politica internazionale, Flussi migratori, giugno-settembre 2023.

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Studi Emigrazione, Migrazioni dall'Italia e verso l’Italia: definizioni e categorizzazioni, 231, 2023.

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Fondazione Leone Moressa, XIII Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione, ottobre 2023.

Centro Studi e ricerche Idos in collaborazione con Centro Studi Confronti, Istituto di Studi Politici S. Pio V, Dossier statistico immigrazione 2023, Roma, 2023.

 

Studi in pillole

Campesi G., Coresi F., Maugeri C., Trattenuti. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri, ActionAid Italia, Università di Bari, 2023. 

I Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), costituiscono uno degli strumenti più controversi e meno trasparenti delle politiche migratorie italiane. Presidiati dalle forze dell’ordine, lontani dallo sguardo della società civile, tali strutture offrono un desolante quadro di inefficacia, confusione amministrativa e gestionale. 

Il progetto Trattenuti nasce con l’obiettivo di fare luce sul funzionamento del sistema detentivo per stranieri, mettendo a disposizione del pubblico i dati raccolti attraverso richieste di accesso agli atti rivolte a Ministero dell’interno, questure e prefetture. L’intento è quello di stimolare un dibattito più consapevole ed informato. 

ActionAid Italia ed il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Bari sono i partner di questo progetto la cui sola raccolta di informazioni ha richiesto 18 mesi di lavoro e 51 richieste di accesso agli atti e 30 richieste di riesame. 

 

Continuare ad investire sui Cpr?

Dal 2017 in poi, tutte le compagini governative hanno dichiarato di voler investire nella detenzione amministrativa degli stranieri, invariabilmente descritta come la chiave di una efficace politica di rimpatrio. Con l’intento di istituire un CPR in ogni Regione d’Italia, la capienza del sistema detentivo è stata progressivamente incrementata, raggiungendo i 1395 posti del 2022.

I nostri dati raccontano la storia del fallimento di questo progetto. Non solo l’obiettivo di portare a 20 le strutture attive non è stato centrato, ma il sistema non è mai entrato realmente a regime. La sostanziale ingestibilità di tali strutture, al cui interno si moltiplicano atti di autolesionismo, rivolte e disordini, ha fatto lievitare i costi di manutenzione straordinaria, rendendo indisponibile gran parte dei posti. A causa di questo, in media, dal 2017 in avanti, il sistema ha funzionato al 50% della sua capacità ufficiale.

Con l’obiettivo di sopperire alla cronica carenza di posti, a partire dal 2018 è stata prevista la possibilità di trattenere le persone in luoghi che la legge definisce come “strutture diverse” o “locali idonei”. La moltiplicazione di luoghi detentivi non censiti e affidati alla gestione dell’autorità di pubblica sicurezza ha ulteriormente complicato la geografia della detenzione, rendendola ancora più opaca. 

 

I costi di un sistema ingovernabile 

Il sistema detentivo per stranieri è di fatto privatizzato. Cooperative e soggetti for profit, tra i quali anche alcune multinazionali, gestiscono i 10 Centri attivi nel periodo della nostra rilevazione. La gestione del sistema detentivo si caratterizza per una allarmante confusione amministrativa. 

Nel periodo 2020-2023 la gestione di ben 6 dei 10 CPR attivi è stata prorogata, per un totale di oltre 3.000 giorni di proroghe. A ciò si aggiunga che nel periodo considerato dalla nostra ricerca, il capitolato d’appalto è cambiato tre volte. Le interminabili proroghe e l’avvicendarsi di capitolati distinti contribuiscono a creare un sistema caratterizzato da difformità di costi e servizi offerti.

Secondo le nostre stime il costo medio di ciascuna struttura è di un milione e mezzo l’anno, mentre il costo medio annuo di un posto è di quasi 21 mila euro.

La ricostruzione dei costi è spesso ardua se non impossibile. In alcuni casi, dove i CPR coesistono all’interno della stessa area con strutture di accoglienza, persino le prefetture faticano a scindere i costi delle due tipologie di strutture, restituendoci la misura del caos gestionale in cui versa il sistema. 

Altro dato rilevante, è quello dei costi delle manutenzioni straordinarie. Oltre il 60% dei quasi 15 milioni spesi per la manutenzione dei CPR nel periodo 2018-2021 è stato utilizzato per interventi di manutenzione straordinaria. 

Sembra altresì esistere una correlazione diretta tra il prolungamento dei tempi di trattenimento e la crescita delle spese di manutenzione straordinaria: nel 2018 a 27 giorni di permanenza media in un CPR corrispondono 1.2 milioni di euro per costi di manutenzione straordinaria; nel 2020, a fronte di 41 giorni di permanenza media i costi erano balzati a 4.1 milioni. 

Il succedersi dei capitolati di gara ha inoltre prodotto una progressiva riduzione dei più basilari servizi. Secondo l’attuale capitolato, ciascun detenuto ha a disposizione solo 9 minuti settimanali di assistenza sociale e supporto legale e 28 minuti di mediazione linguistica.

 

Tra Centri di frontiera e propaggini del carcere

Nel periodo 2014-2021, oltre il 74% delle 37.000 persone che hanno fatto ingresso in un CPR sono state trattenute nei Centri di Caltanissetta (22%), Roma (21%), Torino (19%) e Bari (12%). Di queste strutture, solo due Centri hanno ospitato al loro interno una sezione femminile: Torino (fino al 2015) e Roma (fino al 2021). La percentuale di donne trattenute è in costante calo: dal 20,5% sul totale degli ingressi del 2016 allo 0,1% del 2021. Al momento di chiudere la nostra analisi, non esistevano sezioni detentive dedicate alle donne.

L’analisi dei dati relativi alle singole strutture ci permette di intravedere una diversificazione di fondo nel sistema detentivo per stranieri, al cui interno sembrano emergere due tipologie principali di CPR. Da un lato i Centri di frontiera, che a tempi di permanenza più corti della media associano un’elevata incidenza dei rimpatri eseguiti (Caltanissetta, Trapani). Dall’altro i CPR che funzionano come propaggini del carcere, caratterizzate da tempi di permanenza piuttosto lunghi e bassa incidenza di rimpatri (Torino e Brindisi). 

La specializzazione delle strutture che si intuisce grazie all’analisi dei dati, sembra corrispondere ad un disegno di progressiva diversificazione del sistema detentivo. Diversificazione che passa attraverso l’emersione di un circuito detentivo in graduale ibridazione con il sistema di prima accoglienza per richiedenti asilo e destinato alla gestione delle procedure d’asilo e di rimpatrio nelle zone di frontiera. 

 

A cosa servono i CPR?

Accanto all’immagine di un sistema ingovernabile, i nostri dati suggeriscono che il sistema detentivo per stranieri sia anche largamente inefficace nel conseguire gli obiettivi che ufficialmente gli sono assegnati. 

L’investimento nei CPR non ha infatti portato ai risultati annunciati, al contrario la percentuale di persone rimpatriate rispetto al numero degli ingressi è in chiara decrescita: dal 55,1% del periodo 2014-2017 si passa al 48,3% nel 2018-2021. A ciò deve aggiungersi che il calo nella percentuale dei rimpatri eseguiti si registra in un periodo in cui aumentano i tempi di permanenza medi. Ciò dimostra che all’aumentare dei tempi di detenzione non corrisponde una maggiore probabilità di rimpatriare.

Altro aspetto che emerge dalla nostra analisi è che i CPR abbiano una incidenza limitata sul numero di provvedimenti di allontanamento effettivamente eseguiti. I dati raccolti mostrano infatti che l’efficacia della politica di rimpatrio italiana è in chiara diminuzione, ma soprattutto evidenziano che il periodo in cui il numero di rimpatri eseguiti è maggiore coincide con la fase in cui la capacità del sistema detentivo e i termini di permanenza massimi sono ai loro minimi storici. 

In altre parole, l’investimento nei CPR a partire dal 2017 ha solo prodotto una crescita dei costi umani e materiali delle politiche di rimpatrio, non della loro efficacia. Dall’Italia si rimpatria di meno e in maniera sempre più coercitiva.

Ma chi viene rimpatriato dai CPR? I nostri dati suggeriscono che la nazionalità e il genere determinino destini diversi per chi entra in un CPR. 

La percentuale di donne effettivamente rimpatriate su quelle in ingresso è relativamente bassa. Le donne rimpatriate rappresentano nel periodo 2018-2021 in media il 2,6% del totale dei rimpatri effettuati da un CPR, mentre sono in media il 7,9% degli ingressi.

Gli unici ad avere una significativa probabilità di essere rimpatriati sono gli uomini di nazionalità tunisina, che nel periodo 2018-2021 rappresentano il 50% degli uomini in ingresso in un CPR e quasi il 70% dei rimpatri effettivamente eseguiti. Le altre nazionalità hanno probabilità maggiori di rimanere in detenzione fino a decorrenza dei termini di trattenimento a causa della scarsa probabilità di essere rimpatriati o rilasciati per provvedimento dell’autorità giudiziaria.

In definitiva, la nostra analisi mostra come i CPR si siano progressivamente trasformati in uno strumento per l’esecuzione dei rimpatri accelerati dei cittadini di nazionalità tunisina, soprattutto a partire dalle strutture situate nei pressi delle zone di frontiera. Oltre a sollevare diversi interrogativi circa l’effettività dell’accesso al diritto d’asilo e la qualità della tutela giurisdizionale, tale specializzazione funzionale dei CPR appare di dubbia efficacia dato che i tunisini rappresentano solo il 18% delle persone sbarcate in Italia tra 2018 e 2023.

 

Cambio di paradigma?

L’introduzione di una disciplina specifica per il trattenimento dei richiedenti asilo è forse la novità più dirompente degli ultimi anni. La nostra analisi si basa su dati che arrivano fino al 2021, ma già registra una crescita sensibile del numero di richiedenti asilo trattenuti in detenzione.

Nel quadriennio 2018-2021 circa il 16% delle persone trattenute nei CPR italiani era composto da richiedenti asilo. L’incidenza dei richiedenti sul totale dei detenuti è passata dal 15,4% del 2018, al 19,2% del 2021. In particolare, tale crescita sembra potersi imputare all’aumento del numero dei richiedenti che hanno fatto in ingresso in detenzione pur non avendo ancora ricevuto un provvedimento di allontanamento, che nel 2021 raggiungono il 22% sul totale dei richiedenti trattenuti.

Tali dati, associati alle recenti evoluzioni normative, lasciano presagire uno scenario in cui il numero di richiedenti asilo in detenzione è destinato a crescere in maniera molto significativa, in particolare in relazione alla gestione delle domande d’asilo presentate da persone provenienti dai c.d. “Paesi terzi sicuri”.

 

Conclusioni

A dispetto dei milioni di euro spesi e delle migliaia di persone trattenute, l’impatto avuto dai CPR sull’efficacia della politica di rimpatrio è rimasto limitato. Il crescente investimento nel sistema detentivo per stranieri non ha prodotto un aumento del numero dei rimpatri eseguiti in rapporto al numero di provvedimenti di allontanamento adottati. Al contrario, dall’Italia si rimpatria sempre di meno e con modalità̀ sempre più̀ coercitive. 

Accanto all’allarmante aumento dei costi umani ed economici della politica di rimpatrio, preoccupa la sempre maggiore diversificazione del sistema detentivo. Ciò è da imputarsi non solo alla confusione amministrativa e gestionale che ne caratterizza il funzionamento, ma all’emergere di un circuito detentivo specifico dedicato alla gestione delle procedure accelerate di asilo e di rimpatrio direttamente a partire dalle c.d. zone di frontiera.

Oltre al rischio di una crescente ibridazione tra il sistema di accoglienza e quello di detenzione, ciò rischia di portare ad una moltiplicazione di luoghi detentivi non censiti, situati in luoghi “idonei” o in aree militarizzate sottratte al controllo della società civile. Il rischio è quello di una ulteriore riduzione della trasparenza e dell’accessibilità di luoghi dove, è bene ricordarlo, le persone vengono private della libertà personale senza aver violato la legge penale.

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