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Fascicolo 1, Marzo 2024


«Creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente delle scoperte "originali",

significa anche e specialmente diffondere criticamente delle verità già scoperte,

"socializzarle" per così dire e pertanto farle diventare base di azioni vitali».

Antonio Gramsci

 

Rassegna di giurisprudenza italiana: Allontanamento e trattenimento

In questo primo numero del 2024 della nostra Rivista, prenderemo in esame alcune pronunce pubblicate nell’ultimo quadrimestre dello scorso anno, sia in tema di espulsioni che di trattenimenti.

Espulsioni, profili sostanziali

Rilevanza della convivenza di fatto come declinazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare e art. 13, co. 2-bis, TUI

Un cittadino straniero, a seguito di decreto di espulsione disposto dal prefetto di Roma ai sensi dell’art. 13, co. 2, lett. b), TUI perché ormai privo di permesso di soggiorno (non rinnovato a causa di talune condanne penali e per carenza reddituale), proponeva ricorso al Giudice di pace, allegando la costituzione di una convivenza di fatto presso il Comune di Roma, con una cittadina italiana. Il Giudice di pace rigettava il ricorso perché costui non risultava coniugato né aveva provato la convivenza con parenti italiani.

Veniva quindi proposto ricorso per Cassazione che, a seguito di ordinanza interlocutoria, disponeva la trattazione del giudizio in pubblica udienza in ordine alla rilevanza della convivenza more uxorio ai fini della valutazione dell’inespellibilità.

La Corte, sez. I, con sentenza n. 35684/2023 (pubblicata il 21.12.2023) annullava il gravato provvedimento con rinvio, enunciando il seguente principio di diritto: «In materia di espulsione, ai sensi dell’art. 19, comma 1.1., TUI, nel testo vigente “ratione temporis”, ossia prima dell’entrata in vigore del d.l. 10.3.2023 n. 20, conv. nella l. 5.5.2023 n. 50, nonché ai sensi dell’art. 13 comma 2-bis d.lgs. n. 286/1998, integra causa ostativa all’espulsione del cittadino straniero la sussistenza di suoi «legami familiari» nel territorio dello Stato, con le concrete connotazioni previste dalle citate norme, in quanto espressione del diritto di cui all’art. 8 CEDU, bilanciato su base legale con una serie di altri valori tutelati, ma da declinarsi secondo i principi dettati dalla Corte di Strasburgo, in particolare dovendo perciò attribuirsi la nozione di “famiglia” non soltanto alle relazioni fondate sul matrimonio, ma anche ad altri “legami familiari” di fatto». A tanto perviene il Supremo Collegio dopo attenta ricostruzione ermeneutica. Punto di partenza è l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 13, co. 2-bis, TUI conseguente alla nota sentenza n. 202/2013 della Corte costituzionale (e fatta propria dalla consolidata giurisprudenza della Cassazione), secondo cui l’espresso richiamo – contenuto nelle norma indicata – al profilo della natura ed effettività dei vincoli familiari anche per lo straniero che, pur non trovandosi nelle condizioni per poter richiedere formalmente il ricongiungimento familiare, abbia legami familiari nel territorio dello Stato, amplia la nozione del diritto all’unità familiare, conformemente all’orientamento formatosi in sede di giurisprudenza EDU. Consegue che il diritto vivente ha individuato nei legami familiari un elemento ostativo all’espulsione, che consente allo straniero privo di permesso di soggiorno, il rilascio del titolo previsto all’art. 28, lett. b), d.p.r. 394/99 (che riguarda gli stranieri inespellibili). Pertanto, l’interpretazione dell’art. 13, co. 2-bis TUI cui perviene la Corte di cassazione, pone la sussistenza dei legami familiari in termini di centralità, relegando gli altri criteri previsti dalla disposizione (durata del soggiorno in Italia, esistenza di legami familiari, sociali o culturali con il Paese di origine) in posizione subalterna, non rilevanti autonomamente ma meramente integrativi, che possono venire in rilievo solo se lo straniero ha legami familiari nel nostro Paese. La sentenza poi affronta la questione dell’allargamento di questa interpretazione in conseguenza dell’entrata in vigore del d.l. 130/2020 – rilevante ratione temporis che aveva introdotto, nell’ambito dell’art. 19 TUI, il comma 1.1, a mente del quale si doveva tenere conto, ai fini della valutazione del rischio di violazione del rispetto alla vita privata e familiare, dei medesimi indici indicati all’art. 13, co. 2-bis TUI, richiamando espressamente i criteri valutativi di cui all’art. 8 CEDU.

Ora, com’è noto, quella disposizione è stata abrogata dal c.d. “decreto Cutro”. La sentenza in esame non entra nel merito di quel che accade nel “dopo Cutro”, perché la vicenda sottesa alla decisione è anteriore al d.l. 30/2023. Tuttavia, a nostro avviso, vi sono fondati motivi per sostenere che il principio di diritto prima ricordato conservi la sua attualità perché il novellato art. 19 co. 1.1 TUI, vieta l’espulsione «qualora ricorrano gli obblighi di cui all’art. 5, co. 5», che, a sua volta, in tema di rifiuto di permesso di soggiorno, fa salvo «il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano» tra i quali, com’è noto, rientra la Convenzione EDU. Consegue che la portata dell’art. 8 CEDU mantenga in pieno la sua valenza nell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 13, co. 2-bis, TUI e che le convivenze di fatto rientrino appieno nella nozione allargata di vita privata e familiare.

 

In termini analoghi, Cass. civ., sez. I, ord. n. 28162/2023, pubblicata il 6.10.2023, che conferma l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (che, evidentemente, stenta ad affermarsi nella giurisprudenza di merito, com’è dimostrato dal numero delle impugnazioni presentate e di cui si cerca di dar conto nelle rassegne di questa Rivista) che propone una lettura congiunta dell’art. 13, co. 2-bis, TUI con l’art. 19, co. 2, lett. c), TUI e con l’art. 8 CEDU, secondo cui la rilevanza dei legami familiari esistenti nel nostro Paese (valutati caso per caso) delinea una nozione del diritto all’unità familiare che travalica quella della famiglia nucleare fondata sul matrimonio, implicando anche il rispetto alla vita privata che, al pari di quella familiare, costituiscono estrinsecazione del medesimo diritto fondamentale tutelato dall’art. 8 CEDU, che non prevede gradazioni o gerarchie. Consegue che il giudice di merito erra se valuta sbrigativamente la mancata convivenza con il coniuge cittadino italiano, senza compiere un’attenta valutazione della effettività e rilevanza dei legami familiari di fatto – ovviamente ove puntualmente dedotti – anche in considerazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria che impone di acquisire tutte le informazioni necessarie quando venga allegato il rischio di violazione del diritto alla tutela della vita privata e familiare. Tale diritto, conclude la Corte «non solo è rimasto in vita nell’art. 5, comma 6, TUI, ma continua ad essere tutelato dall’art. 8 CEDU e rientra in quel “catalogo aperto” dei diritti fondamentali (cfr. Cass. SU, 24413/2021) connessi alla dignità della persona e al diritto di svolgere la propria personalità nelle formazioni sociali, tutelati dagli artt. 2,3,29,30 e 31 Cost., trovando dunque il suo fondamento in fonti sovraordinate rispetto alla legislazione ordinaria.».

 

Tuttavia, come si coniuga la rilevanza del descritto ampliamento della nozione di legami familiari di fatto, al lume dell’art. 8 CEDU e della sentenza n. 202/2013 della Corte cost., con le ipotesi di inespellibilità di cui all’art. 19, co. 2, TUI che, notoriamente, sono tassative ed insuscettibili di applicazione analogica? A nostro avviso questo è un punto centrale cui occorre trovare risposta se si vuol pervenire ad un’applicazione tendenzialmente omogenea dei nuovi principi faticosamente ricostruiti per via interpretativa e giurisprudenziale. 

Di questo tema si occupa Cass. civ., sez. I, ord. 28189/2023, pubblicata in data 6.10.2023. Il caso era quello di una cittadina argentina che, espulsa per essersi trattenuta nel territorio dello Stato senza permesso di soggiorno, si opponeva alla sua espulsione assumendo di essere in procinto di contrarre matrimonio con un cittadino italiano in attesa di divorzio, con cui conviveva more uxorio. È da notare che il Giudice di pace rigettava il ricorso non sotto il profilo dell’irrilevanza di tale convivenza (come tanto facilmente quanto erroneamente avrebbe potuto motivare), ma perché «non risultano in atto le procedure per attivare il vincolo di coniugio da parte dell’asserito convivente e una mera dichiarazione peraltro postuma al decreto di espulsione non assolve l’onere di provare l’effettivo vincolo more uxorio da data risalente» (il che dimostra una presa d’atto del giudice di merito relativamente all’obbligo di valutare tale vincolo). La Corte di legittimità dà atto che, effettivamente, la giurisprudenza della Cassazione non ritiene che la convivenza more uxorio, anche se giustificata dall’attesa di ottenere lo scioglimento di un precedente matrimonio, non rientri tra le ipotesi tassative di cui all’art. 19 TUI, d’altronde anche la Corte costituzionale – ord. n. 313/2000 – dichiarò infondata una questione di legittimità sul punto, ponendo l’accento sull’esigenza di salvaguardare vincoli familiari sorretti da situazioni di certezza di rapporti giuridici, non rinvenibili nella situazione descritta. Cionondimeno, osserva la Corte che «l’inapplicabilità del divieto previsto dall’art. 19, comma secondo lett. c), del d.lgs. n. 286 del 1998 non esclude la possibilità di tenere conto, ai fini dell’adozione della misura espulsiva, delle relazioni sociali ed affettive eventualmente instaurate dallo straniero in Italia e dell’eventuale costituzione di un nucleo familiare, anche con un cittadino straniero, nell’ambito della valutazione richiesta dal comma 2-bis dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, introdotto dall’art. 2, comma primo, lett. c), n. 1, del d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5.». La motivazione prosegue citando la consueta giurisprudenza prima esaminata.

Parrebbe, dunque, di poter concludere che le ipotesi di inespellibilità delineate all’art. 19 TUI, se accertate, trovano applicazione istantanea e obbligata, senza esercizio di alcuna discrezionalità (incontrando il solo limite dell’espulsione disposta ai sensi dell’art. 13, co. 1, TUI), mentre la disposizione cui all’art. 13-bis cit. – interpretata al lume della sentenza Corte cost. 202/013 e della giurisprudenza della Corte di Strasburgo sull’art. 8 CEDU – tutela posizioni di più ampio respiro che debbono essere valutate, dall’amministrazione prima e dal giudice dopo, nell’esercizio della potestà espulsiva e che, previa attenta valutazione caso per caso, possono derogare all’esercizio di tale potestà a seguito di un giudizio di bilanciamento delle opposte esigenze: quelle statuali, corrispondenti alla necessità di allontanare lo straniero privo dei requisiti per il regolare soggiorno in Italia, e quelle relative alla tutela della vita privata e familiare (che necessariamente è bilaterale, coinvolgendo non solo l’espellendo ma pure i suoi familiari in senso ampio), con la conseguenza che, ove le prime siano valutate in termini di subvalenza, non si fa luogo all’espulsione. 

 

Espulsione in pendenza del termine per impugnare il rigetto della domanda di emersione

L’art. 103 del d.l. n. 34/2020, nel prevedere, al comma 1.1, la sospensione dei termini dei procedimenti amministrativi relativi all’ingresso e al soggiorno illegale nel territorio dello Stato nelle more della definizione del procedimento, prevede, al comma 13, che detta sospensione cessa di operare quando si procede al rigetto della domanda di emersione. Consegue che l’adozione di tale rigetto comporti la reviviscenza del potere amministrativo di dare corso ai procedimenti sospesi, per cui è inconferente la mancata scadenza del termine per impugnare eventuali provvedimenti conseguenti a tale ripresa dell’esercizio pieno dal potere in capo alla PA, come l’adozione di un decreto espulsivo e il conseguente trattenimento. Così Cass. sez. I, ord. 35448/2023, pubblicata il 19.12.2023.

 

Nozione di ingresso illegale, natura vincolata della potestà espulsiva, obblighi del giudice se ravvisa che l’espulsione è stata disposta in base ad un motivo erroneo; rapporto di pregiudizialità tra decreto di espulsione e contestuale trattenimento 

Un migrante soccorso in acque internazionali da un nave della Marina militare italiana, veniva espulso per violazione dell’art. 13, co. 2, lett. a), TUI per avere fatto ingresso illegale in Italia, dal prefetto di Ferrara. Contestualmente, veniva fatto oggetto di trattenimento presso il CPR di Torino che veniva convalidato dal Giudice di pace di quella città, avverso il decreto di convalida veniva proposto ricorso in Cassazione. Analogo ricorso veniva avanzato avverso l’ordinanza del Giudice di pace di Ferrara che aveva rigettato l’opposizione all’espulsione sul presupposto che la presenza dello straniero in Italia fosse irregolare e che sussistessero, al momento dell’espulsione, i presupposti di legge che imponevano l’adozione del provvedimento espulsivo. La Corte di cassazione, sez. I, con ordinanza n. 31625/2023, pubblicata il 14.11.2023, vista la correlazione tra i due provvedimenti, atteso che il trattenimento possa essere adottato solo sulla base di un’espulsione legittima, disponeva la riunione dei ricorsi, in ragione del rapporto di pregiudizialità tra i due provvedimenti impugnati. Ad avviso della Corte, infatti, l’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse – previsto dall’art. 274 c.p.c. – trova applicazione anche nei giudizi di legittimità (con richiamo a precedenti conformi). Tanto premesso, ricorda la Corte che l’obbligo di motivazione del decreto di espulsione (previsto espressamente dall’art. 13, co. 3, TUI) comporta che al suo interno sia chiaramente esposta la specifica situazione di fatto assunta a presupposto dell’espulsione, che consente all’espellendo di apprestare le sue difese. È per questo motivo che il decreto espulsivo è a carattere vincolato, impedendo al giudice di verificarne la legittimità facendo ricorso ad elementi ulteriori, che esulano dal thema decidendum, che, invece riguarda solo l’ipotesi specificamente contestata: nel caso in esame l’ingresso illegale. Siccome la circostanza di fatto incontestata (e riportata nel testo dell’espulsione) è che il ricorrente ha fatto ingresso in Italia via mare, a seguito di un’operazione di salvataggio della marina militare, pare evidente che non possa essere contestata l’ipotesi prevista all’art. 13, co. 2, lett. a), TUI, che presuppone l’ingresso sul territorio nazionale eludendo i controlli di frontiera. Conclude la Corte richiamando un principio di diritto ormai consolidato secondo cui «il giudice adito in sede di opposizione all’espulsione, ove accerti l’insussistenza dell'ipotesi contestata all’interno del relativo decreto, deve annullare il provvedimento, non potendo convalidarlo sulla base dell’accertata sussistenza di una diversa ragione di espulsione non contestata dal prefetto (Cass. 24271/2008)». L’illegittimità del decreto di espulsione travolge altresì, per illegittimità derivata, il conseguente decreto questorile di trattenimento.

 

Espulsione e pericolosità sociale

Cass, sez. I, ord. n. 35294/2023, pubblicata il 18.12.2023, in tema di espulsione ai sensi dell’art. 13, co. 2, lett. c), TUI, ribadisce il principio di diritto ormai consolidato secondo cui «in tema di valutazione della ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 286 del 1998, la valutazione della sussistenza del requisito della pericolosità sociale dello straniero va effettuata in concreto ed all’attualità, tenendo conto dell’esame complessivo della sua personalità, desunta dalla condotta di vita e dalle manifestazioni sociali nelle quali quest’ultima si articola, senza limitarsi ad una mera valutazione dei precedenti penali (tra le tante da ultimo Cass. 23423/2022; Cass.26173/2023).».

 

Profili formali 

È affetto da nullità il decreto di espulsione che non sia stato consegnato all’espellendo: «secondo quanto impone l’art. 13, comma 7, d.lgs. n. 286/1998: si tratta di una nullità rispetto alla quale, come rilevato da questa Corte a proposito dell’ipotesi di consegna di copia del provvedimento mancante dell’attestazione di conformità, non è del resto invocabile il principio, valido per i soli atti del processo, del raggiungimento dello scopo (Cass. 17 dicembre 2019, n. 33507; Cass. 27 luglio 2010, n. 17569), onde è privo di significato che lo straniero avesse, nella circostanza, comunque proposto tempestiva opposizione.». Così Cass. sez. I, ord. n. 30177/2023, pubblicata in data 31.10.2023.

 

Tra i requisiti formali dei decreti espulsivi v’è la sottoscrizione dell’atto da parte del prefetto, ovvero da un funzionario da lui delegato, tuttavia Cass. sez. I, ord. n. 30047/2023, pubblicata il 30.10.2023 assume che chi deduca l’illegittimità del provvedimento per insussistenza della delega di firma «ha l’onere di provare tale fatto negativo, con la conseguenza che, nel caso in cui non riesca a procurarsi la pertinente relativa attestazione da parte dell’Amministrazione, è tenuto comunque a sollecitare il giudice ad acquisire informazioni ex art. 213 c.p.c. ovvero ad avvalersi dei poteri istruttori di cui all’art. 23, comma 6, della l. n. 689 del 1989 presso l’Amministrazione medesima, la quale non può esimersi dalla relativa risposta; con la conseguenza che se l'opponente rimanga del tutto inerte processualmente, la presunzione di legittimità che assiste il provvedimento sanzionatorio non può reputarsi superata».

 

In caso di mancata comparizione delle parti all’udienza di trattazione dell’opposizione all’espulsione amministrativa, il Giudice di pace, verificata la regolarità della notifica del ricorso del decreto, ha l’obbligo di pronunciarsi nel merito, non essendo applicabile l’art. 181, co. 1, c.p.c. Il rito semplificato, disciplinato dall’art. 18, d.lgs. 150/2011, si caratterizza per una particolare celerità e semplicità di forme e, una volta instaurato, è dominato nel suo svolgimento dall’impulso officioso; deve quindi escludersi che il giudice di merito possa, sic et simpliciter ed in assenza di esplicita disposizione normativa in tal senso, sanzionare la mancata presenza della parte opponente all’udienza fissata o attribuire alla sua mancata comparizione la valenza di rinuncia tacita all’impugnativa. Così Cass. sez. I, ord. n. 31526/2023, pubblicata in data 13.11.2023.

 

Trattenimento

Motivazione

La Corte di cassazione (ordinanza sez. I civ. 31.10.2023, n. 30178) ha ribadito che nel provvedimento di proroga del trattenimento il giudice deve rendere una motivazione che sia non solo graficamente esistente ma sia anche idonea a rendere percepibile il fondamento della decisione, cioè esporre argomentazioni obiettivamente idonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture. Nel caso di specie il Giudice di pace si era limitato a un mero richiamo delle motivazioni della questura, senza alcuna disamina delle difese del ricorrente riportate nel verbale d’udienza e senza alcuna esplicitazione, pur sintetica, delle ragioni di condivisione delle argomentazioni della questura e finanche neppure delle ragioni giustificative della proroga.

Il principio è ribadito nell’ordinanza sez. I civ. 31.10.2023, n. 30205 che ha dichiarato illegittimo e cassato il provvedimento di proroga del trattenimento che il giudice di pace aveva motivato utilizzando la clausola di mero stile preventivamente predisposta «Ritenute fondate le motivazioni della questura di Torino che qui integralmente si richiamano», omettendo di confrontarsi con le specifiche deduzioni difensive. La Corte ha affermato che tale motivazione è meramente apparente e non soddisfa il requisito del «minimo costituzionale» secondo i parametri della sentenza delle Sezioni Unite n. 8053/2014, in particolare non prendendo alcuna posizione sulla specifica questione, sollevata dal ricorrente, della manifesta illegittimità del decreto di espulsione. Nella stessa pronuncia la Corte ha ribadito altresì che l’illegittimità del decreto di convalida o di proroga del trattenimento determina la conseguente illegittimità delle successive proroghe.

In applicazione dello stesso principio la Corte, con ordinanza sez. I civ. 13.11.2023, n. 31541, investita del ricorso contro il decreto di convalida dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica con autorizzazione al trattenimento fino all’esecuzione del provvedimento medesimo (non oltre 24 ore), ne ha affermato l’illegittimità poiché la motivazione, consistente nell’affermazione della sussistenza dei presupposti di legge, non consentiva di comprendere l’iter argomentativo seguito dal giudice, risolvendosi in formule generiche che non si relazionano con gli specifici fatti processuali e le questioni giuridiche prospettate dal ricorrente.

Il mero richiamo fatto dal giudice di merito all’art. 13 d.lgs. 286/1998 integra una motivazione che, benché graficamente esistente, non rende affatto percepibile il fondamento della decisione, recando argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento. Esaminando la denuncia di vizio motivazionale, pertanto, la Corte (sez. I civ. ordinanza 18.12.2023, n. 35301) dichiara l’illegittimità del provvedimento di convalida del trattenimento poiché del tutto immotivato.

L’onere motivazionale è rafforzato quando la difesa del destinatario della misura ha sollevato specifiche questioni; in assenza di specifiche questioni dedotte dalla difesa, la Corte di cassazione (sez. I civ., ordinanza 13.11.2023, n. 31466) ritiene sufficiente la motivazione del Giudice di pace che ha affermato la sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 14, comma 1-bis, d.lgs. 286/1998 e pertanto convalidato le misure alternative al trattenimento.

È legittimo e non affetto da vizio di motivazione il provvedimento del Giudice di pace che ha convalidato il trattenimento dando conto della necessità di disporre accertamenti in ordine all’identità del cittadino straniero, di acquisire documenti per il viaggio, di attendere la disponibilità di vettori o mezzi di trasporto idonei; secondo la Corte di cassazione (sez. I civ. ordinanza 15.11.2023, n. 31758) una siffatta motivazione consente di individuare l’iter argomentativo del giudice.

Del pari legittimo, secondo l’ordinanza sez. I civ. sez. I civ. 18.12.2023, n. 35297, è il provvedimento fondato su una motivazione, sia pur sintetica, che contiene un rimando al caso concreto e in particolare alle questioni difensive dedotte. Tale motivazione, riportata nell’ordinanza della Corte di cassazione, sarebbe la seguente: «ritenuta l’inammissibilità in questa sede dell’eccezione relativa alla manifesta illegittimità in quanto appartiene al giudice investito dell’opposizione avverso il decreto di respingimento...», accompagnata da un tratto di penna che barrava dal modulo prestampato di decisione la parte «non sussistono» per indicare quindi la sussistenza dei presupposti della proroga. La Corte rileva che il ricorrente non ha riportato le ragioni di opposizione alla proroga che assume svolte in una memoria depositata in udienza, sicché il ricorso sarebbe in effetti carente sotto il profilo dell’autosufficienza; desta tuttavia qualche perplessità l’affermazione di legittimità della motivazione che ritiene sussistente e sufficiente una motivazione che, per quanto par di capire, si limitava ad affermare la sussistenza dei presupposti di legge senza illustrare l’iter motivazionale.

Nell’ordinanza sez. I civ. 18.12.2023, n. 35448, la Corte di cassazione afferma che la motivazione del provvedimento di convalida che dia conto dei fatti posti a base della decisione e consenta pertanto di individuare l’iter argomentativo del giudice è sufficiente e il relativo provvedimento è pertanto legittimo. Nel caso di specie, il Giudice di pace aveva ritenuto che sussistessero i presupposti di cui agli artt. 13, 13-bis e 14 TUI in ragione del fatto che lo straniero: si era trattenuto nel territorio dello Stato senza aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto; aveva fornito false attestazioni e dichiarazioni sulla sua identità; era un soggetto pericoloso; i suoi precedenti di polizia ostavano alla permanenza nel territorio nazionale.

 

Corrispondenza tra i motivi di trattenimento invocati dalla questura e quelli posti a base della decisione del giudice

Con ordinanza sez. VI civ. 6.10.2022, n. 29151 (segnalata nel n. 1.2023 di questa Rassegna), perviene a un esito diametralmente opposto e afferma che il giudice della proroga è vincolato al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in particolare deve esaminare la richiesta di proroga in base agli elementi invocati dalla questura e non può fondare la proroga su elementi diversi.

 

Atto presupposto e poteri di sindacato del giudice della convalida

La Corte di cassazione, con la sentenza sez. I civ. 20.11.2023, n. 32070 e con l’  ordinanza sez. I civ. 31.10.2023, n. 30166 , ha ribadito il principio, affermato sin dal 2014, dell’obbligo del giudice della convalida del trattenimento di valutare in via incidentale la non manifesta illegittimità dell’atto presupposto; della sentenza n. 32070/2023 riportiamo i principî di diritto infra, nel paragrafo dedicato agli oneri informativi; il caso esaminato nell’ordinanza n. 30166/2023 si segnala invece perché la Corte afferma che tale obbligo di sindacato incidentale dell’atto presupposto grava anche sul giudice della c.d. riconvalida del trattenimento disposto, ai sensi dell’art. 6, comma 3, d.lgs. 142/2015; è pertanto illegittimo il provvedimento di convalida del trattenimento, disposto nei confronti del cittadino straniero che, già trattenuto in un CPR in attesa dell’esecuzione di un decreto di espulsione o (come nel caso di specie) di respingimento, abbia presentato una domanda di protezione internazionale, quando il Tribunale abbia ritenuto irrilevanti le contestazioni svolte dalla difesa del richiedente protezione in merito all’asserita illegittimità dell’atto presupposto, poiché tale atto costituisce il fondamento della regolarità dell’intera procedura e, qualora esso sia manifestamente illegittimo, il trattenimento non può essere disposto ai sensi dell’art. 6, comma 3, d.lgs. 142/2015, ma soltanto in presenza delle diverse condizioni previste dall’art. 6, comma 2, dello stesso decreto.

La Corte, con le citate ordinanze sez. I civ. 18.12.2023, n. 35448, ha precisato che un siffatto potere di rilevazione esige che la manifesta illegittimità emerga dagli atti, non potendo il giudice procedere di sua iniziativa ad accertamenti di fatto, al fine di stabilire se il provvedimento sia esente da vizi. Conseguentemente, ove si lamenti, in sede di legittimità, il mancato rilievo incidentale della manifesta illegittimità del provvedimento espulsivo, occorre dedurre, a pena di inammissibilità della censura per difetto di specificità, anche l’emersione, nel corso del giudizio di merito, degli elementi che avrebbero dovuto indurre il giudice a ravvisare detta illegittimità.

Il dovere di esaminare la non manifesta illegittimità dell’originario atto ablativo, in base al quale il trattenimento era stato inizialmente disposto, anche da parte del giudice della c.d. riconvalida del trattenimento è ribadito dalla Corte anche nell’ordinanza sez. I civ. 13.11.2023, n. 31559, nella quale tuttavia la Corte ha escluso la manifesta illegittimità del decreto di trattenimento adottato nei confronti di persona che aveva già manifestato la volontà di chiedere la protezione internazionale con dichiarazione rivolta non all’autorità a ciò preposta o a diversa autorità statuale tenuta alla sua trasmissione alle autorità competenti, ma alla Croce Rossa Italiana, ribadendo poi tale manifestazione di volontà nell’udienza di convalida del trattenimento conseguente al decreto di respingimento.

Il giudice della convalida (e della proroga, come nel caso esaminato dalla Corte di cassazione nell’ordinanza sez. I civ. 31.10.2023, n. 30181) del trattenimento ha dunque il potere e dovere di valutare la non manifesta illegittimità degli atti presupposti, tra i quali il decreto di espulsione in corso di esecuzione, che il questore è tenuto a depositare con la richiesta di convalida o di proroga; il giudice ha altresì la facoltà di ricercare tutti gli altri elementi di prova che egli ritenga rilevanti ai fini della propria decisione, senza che i suoi poteri di controllo siano in nessun caso limitati ai soli elementi dedotti dall’autorità amministrativa interessata. Ciò tuttavia non implica che il giudice della convalida sia in ogni caso tenuto, solo perché sollecitato da una richiesta della difesa, a compiere una qualsiasi attività di ricerca di documentazione differente da quella che il questore è tenuto a depositare in sede di convalida, perché una simile attività istruttoria non è compatibile con la necessaria sollecitudine che caratterizza questo giudizio. È onere, invece, della difesa del destinatario dei provvedimenti di espulsione e di trattenimento produrre quella documentazione ulteriore (rispetto agli atti che il questore deve necessariamente depositare) che ritenga utile al fine di ampliare il novero degli elementi posti a disposizione del giudice della convalida o della proroga e suffragare le proprie tesi in ordine alla manifesta illegittimità del provvedimento di espulsione o respingimento a cui ha fatto seguito il trattenimento. Nel caso sottoposto all’esame della Corte, il ricorrente lamentava che la questura, nel chiedere la proroga del trattenimento di un cittadino straniero espulso poiché inottemperante a un precedente ordine di allontanamento, non avesse trasmesso tale ordine di allontanamento e il presupposto decreto di espulsione, atti che a loro volta costituivano il presupposto del decreto di espulsione su cui si fondava il trattenimento in corso.

 

Pendenza di una procedura di emersione

La già citata ordinanza sez. I civ. 18.12.2023, n. 35448 si segnala infine per l’esame di una questione relativa alla sospensione della potestà espulsiva per effetto di una procedura di emersione (c.d. sanatoria). La pendenza di tale procedura amministrativa determina, ai sensi dell’art. 103, comma 11, d.l. 34/2020, la sospensione dei termini dei procedimenti amministrativi relativi all’ingresso e al soggiorno illegale nel territorio nazionale. Il successivo comma 13 prevede che tale sospensione venga meno quando l’istanza di emersione venga rigettata. La Corte afferma che la sospensione non permane nella pendenza del termine per proporre impugnazione contro il rigetto dell’istanza, sicché in pendenza di tale termine è legittima l’espulsione e quindi anche il trattenimento del cittadino straniero la cui istanza di emersione sia stata rigettata.

 

Respingimento e obblighi di informazione

Gli artt. 1, comma 2, e 3 del d.lgs. n. 142 del 2015, in attuazione dell’art. 8 della direttiva 2013/32/CE, pone a carico delle autorità competenti, qualora vi siano indicazioni che cittadini stranieri o apolidi, presenti ai valichi di frontiera in ingresso nel territorio nazionale, desiderino presentare una domanda di protezione internazionale, il dovere di fornire loro informazioni sulla possibilità di farlo, a pena di nullità dei conseguenti decreti di respingimento e trattenimento. Il principio è stato ribadito dalla Corte di cassazione nell’  ordinanza sez. I civ. 6.10.202, n. 28149 , che ha annullato il provvedimento del Giudice di pace che, in sede d’impugnazione del c.d. respingimento differito di cui all’art. 10, comma 2, d.lgs. 286/1998, non aveva dato conto della completezza delle informazioni contenute nel c.d. foglio notizie sottoscritto dal ricorrente, cittadino tunisino, al suo arrivo alla frontiera, omettendo, inoltre, di dare riscontro motivazionale al rigetto della richiesta di esibizione del suddetto documento.

Nel caso esaminato dalla Corte di cassazione nell’ordinanza sez. I civ. 2.11.2023, n. 30424, un cittadino straniero, già destinatario di decreto di respingimento e trattenuto quale richiedente protezione internazionale, proponeva ricorso per Cassazione contro il provvedimento di convalida del trattenimento adottato dal Tribunale, davanti al quale aveva lamentato che al momento del respingimento non gli fosse stata data idonea informazione sulla facoltà di chiedere la protezione internazionale; il Tribunale aveva ritenuto che tale onere di informazione fosse stato assolto e in ogni caso che il giudice della convalida del trattenimento fosse tenuto a controllare solo la regolarità formale del provvedimento di trattenimento, mentre l’atto presupposto del respingimento può essere esaminato solo nella sua obiettiva esistenza e legittimità formale. La Corte di cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso affermando che la valutazione sull’assolvimento dell’obbligo di informativa costituisce un apprezzamento di fatto e non può essere censurato in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione nei ristretti limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.; inoltre il ricorrente non aveva censurato l’altra ratio decidendi del Tribunale, che aveva escluso il potere del giudice della convalida di sindacare il provvedimento espulsivo sottostante il trattenimento.

La Corte è tornata sulla questione con la sentenza sez. I civ. 20.11.2023, n. 32070, nella quale ha affermato i seguenti principî di diritto: «Ai sensi dell’art. 10-ter del d.lgs. n. 286/1998 deve essere assicurata a tutti gli stranieri condotti per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso gli appositi punti di crisi una informativa, completa ed effettiva, sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito, trattandosi di un obbligo diretto ad assicurare la correttezza delle procedure di identificazione e a ridurne i margini di errore operativo; detto obbligo sussiste anche nel caso in cui lo straniero non abbia manifestato l’esigenza di chiedere la protezione internazionale, posto che il silenzio ovvero una eventuale dichiarazione incompatibile con la volontà di richiederla, che deve in ogni caso essere chiaramente espressa e non per formule ambigue, non può assumere rilievo se non risulta che la persona è stata preventivamente compiutamente informata».

«Non è sufficiente, al fine di ritenere assolto l’obbligo di informativa di cui all’art 10-ter TUI che nel decreto di respingimento o di trattenimento si indichi genericamente che il soggetto è stato compiutamente informato, se, nella contestazione dell’interessato, nulla emerge, in ordine alla informativa, dal foglio notizie né da altri atti, documenti o mezzi di prova offerti dalla amministrazione; e segnatamente se non emergono i tempi e le modalità con cui l’informativa è stata somministrata, con specifico riguardo alla lingua utilizzata, alla presenza di un interprete o mediatore culturale e ciò al fine di consentire una verifica sulla comprensibilità delle informazioni fornite».

 

Nulla osta all’espulsione

Costituisce orientamento consolidato della Corte di cassazione quello secondo il quale lo straniero che ricorra avverso il decreto di espulsione, e nei cui confronti penda in Italia un procedimento penale o che sia persona offesa nel medesimo, non può far valere, quale motivo di invalidità del provvedimento, la mancanza del nulla osta all’espulsione da parte del giudice penale, perché non ha alcun interesse protetto alla denunzia di tale omissione, essendo detta previsione posta a salvaguardia delle esigenze della giurisdizione penale, mentre l’interesse dell’espulso all’esercizio del diritto di difesa e alla partecipazione al processo penale è tutelato dall’autorizzazione al rientro contemplata dall’art. 17 del d.lgs. 286/1998. Nel caso deciso dalla Corte con ordinanza sez. I civ. 20.12.2023, n. 35556, si trattava però di una situazione di fatto diversa, in particolare veniva in questione la rilevanza dell’omessa richiesta del nulla osta sul trattenimento. La Corte ha affermato che tale omissione non incide sulla legittimità del provvedimento di convalida del trattenimento. Si tratta di un principio più volte affermato dalla Corte in relazione alle opposizioni proposte contro decreti di espulsione ma forse per la prima volta in questa sede in relazione al trattenimento. Nel caso di specie, il ricorrente, consapevole dell’orientamento di legittimità formatosi sulle controversie in materia di espulsione, aveva espressamente dedotto di non avere affermato l’illegittimità del decreto di espulsione, ma di avere invocato l’illegittimità dell’adozione della misura del trattenimento in assenza della richiesta di nulla osta; la tesi del ricorrente poggiava sul dettato dell’art. 13, comma 3, d.lgs. 286/98, che prevede la possibilità di adottare la misura del trattenimento «in attesa della decisione sulla richiesta di nulla osta»; secondo il ricorrente pertanto la richiesta del nulla osta era condizione che doveva necessariamente precedere l’adozione dell’ordine di trattenimento. La Corte non si è sofferma sulla specifica censura e si è limitata a richiamare il proprio orientamento formatosi in relazione ai giudizi relativi al decreto di espulsione, ribadendo che lo straniero che ricorra avverso il decreto di espulsione, e nei cui confronti penda in Italia un procedimento penale o che sia parte offesa nel medesimo, non può far valere, quale motivo di invalidità del provvedimento, la mancanza del nulla osta all’espulsione da parte del giudice penale, perché non ha alcun interesse protetto alla denunzia di tale omissione, essendo detta previsione posta a salvaguardia delle esigenze della giurisdizione penale, mentre l’interesse dell’espulso all’esercizio del diritto di difesa e alla partecipazione al processo penale è tutelato dall’autorizzazione al rientro contemplata dall'art. 17 del d.lgs. 286/1998.

 

Garanzie processuali: avviso al difensore di fiducia

Nell’ordinanza sez. I civ. 21.12.2023, n. 35774 la Corte di cassazione ribadisce il proprio costante orientamento secondo il quale nei procedimenti di convalida e di proroga del trattenimento le garanzie del contraddittorio, consistenti nella necessaria partecipazione del difensore e nell’audizione dell’interessato, si applicano senza che sia necessaria la richiesta dell’interessato di essere sentito; ne consegue che la mancata partecipazione del difensore di fiducia (la cui nomina risulti in atti) all’udienza, poiché non avvisato, costituisce vizio che non può essere sanato dalla presenza di un difensore d’ufficio.

 

Garanzie processuali: la traduzione degli atti

È pacifico che gli atti amministrativi (concernenti espulsione, respingimento, allontanamento coattivo, trattenimento, misure alternative, partenza volontaria) debbano essere tradotti in lingua comprensibile al cittadino straniero che ne è destinatario. Tale onere di traduzione non si estende ai relativi atti processuali. La Corte di cassazione, nell’ordinanza sez. I civ. 31.10.2023, n. 30173, ha osservato che gli atti del procedimento giurisdizionale di convalida dell’accompagnamento coattivo quale misura esecutiva del decreto di espulsione devono essere redatti in lingua italiana e non ne è imposta né prevista la traduzione in lingua nota alla parte, la quale sta in giudizio con il ministero di un difensore in grado di comprendere e spiegarle la portata e le conseguenze delle pronunce giurisdizionali che la riguardano. È pertanto rigettato il ricorso che invochi la nullità del provvedimento di convalida per omessa traduzione.

La pronuncia della Corte, senz’altro corretta e condivisibile, offre tuttavia lo spunto per una riflessione sulle garanzie linguistiche nel processo e in particolare sul diritto alla comprensione degli atti. Se non v’è dubbio che per il processo civile sia prescritto l’uso della lingua italiana, e può anche convenirsi che il difensore sia o quanto meno dovrebbe essere in grado di comprendere la portata e le conseguenze degli atti, qualche dubbio si può nutrire sulla affermazione della Corte secondo cui il difensore sia anche in grado di spiegare il significato degli atti alla parte assistita; escluso che la Corte attribuisca agli avvocati una competenza linguistica tale da renderli capaci di tradurre efficacemente concetti giuridici in altre lingue (potenzialmente centinaia, concretamente almeno qualche decina), residua l’ipotesi che la Corte ritenga che il difensore possa valersi dell’assistenza di un interprete, ciò che è senz’altro possibile quando il cliente si trovi in stato di libertà, ma difficilmente può avvenire quando la parte assistita sia ristretta in un centro di detenzione, dove l’interprete, quando pure presente nella struttura, svolge il proprio incarico in favore dell'ente gestore e non del difensore e del cliente, sicché anche qualora si volesse ritenere che la comunicazione tra il difensore e la parte assistita alloglotta possa avvenire per il tramite di un interprete messo a disposizione dal centro di permanenza per i rimpatri dovrebbe porsi il problema della riservatezza delle comunicazioni tra avvocato e cliente veicolate attraverso l’opera di un terzo soggetto, contrattualmente legato alla struttura di detenzione. L’alternativa, almeno in teoria, potrebbe essere il ricorso a un interprete di fiducia del difensore o del cliente, ma in tal caso resterebbe problematico l’accesso di tale soggetto nella struttura detentiva, così come il regime delle relative spese: gli artt. 13, comma 5-bis, e 14, comma 4, del d.lgs. 286/1998 prevedono, nella disciplina delle udienze di convalida delle misure coattive di esecuzione dell’espulsione, che il cittadino straniero «è altresì ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato, e, qualora sia sprovvisto di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice nell’ambito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all’articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nonché, ove necessario, da un interprete». Si potrebbe pertanto ritenere che il cittadino straniero abbia diritto all’assistenza sia legale sia linguistica, con oneri a carico dello Stato.

 

Questioni processuali: il ricorso per Cassazione

Menzioniamo qui per completezza una pronuncia relativa a questioni di rito: si tratta dell’anodina ordinanza sez. I civ. 31.10.2023, n. 30170, con cui la Corte, a fronte della denuncia del vizio di omessa o apparente motivazione sulla convalida del trattenimento a fronte delle deduzioni difensive, rileva che il ricorrente ha invocato principî affermati dalla stessa Corte in relazione alla proroga del trattenimento (in particolare, l’obbligo del giudice di accertare la specificità dei motivi addotti a sostegno della richiesta, nonché la loro congruenza rispetto alla finalità di rendere possibile il rimpatrio) e ritiene che il ricorso sia pertanto inammissibile poiché fondato su una situazione di fatto diversa da quella del giudizio di merito. Dalla sintetica motivazione dell’ordinanza risulta che il ricorrente avesse descritto esattamente la situazione di fatto del giudizio di merito e lamentato uno specifico vizio di motivazione; non è dato comprendere perché la prospettazione di argomenti difensivi tratti da pronunce relative a una fattispecie giuridica distinta ma almeno in parte sovrapponibile esima il giudice dall'onere di motivazione.

Anche nell’ordinanza sez. I civ. 22.12.2023, n. 35832 la Corte evita di esaminare la doglianza, relativa alla valutazione sulla violazione degli artt. 10, comma 4, e 10-ter d.lgs. 286/198, dedotta dal destinatario di provvedimenti di respingimento e di successivo trattenimento, per la ritenuta natura collettiva del provvedimento ablativo, poiché la ritiene valutazione di fatto riservata al giudice di merito che, se motivata sia pur implicitamente, non può essere oggetto di ricorso in sede di legittimità.

 

Questioni processuali: i termini

Nella già citata ordinanza sez. I civ. 15.11.2023, n. 31758 la Corte ha ribadito che l’inosservanza del termine di 48 ore entro cui il questore deve trasmettere la richiesta di convalida del trattenimento, decorrente dall’inizio della privazione delle libertà personale, attiene alla disciplina delle modalità di privazione della libertà personale adottabile in presenza delle condizioni di legge, coperta dalla garanzia costituzionale dell’art. 13 Cost., e pertanto determina l’inefficacia della misura, analogamente alla situazione in cui il giudice non rispetta il termine a lui assegnato per la convalida della misura.

La Corte ha altresì ribadito, nell’ordinanza sez. I civ. 13.11.2023, n. 31559 citata sopra, che la misura dell’isolamento per quattordici giorni quale quarantena precauzionale sanitaria non costituisce misura limitativa della libertà personale bensì solo della libertà di circolazione sul territorio dello Stato e pertanto non spiega alcun effetto sulla tempestività dei provvedimenti di trattenimento e respingimento.

 

Questioni processuali: la convalida delle misure alternative al trattenimento

La Corte di cassazione, nella citata ordinanza sez. I civ. 13.11.2023, n. 31466, ribadisce altresì che il provvedimento di convalida delle misure alternative al trattenimento è adottato all’esito di un procedimento contraddistinto dal contraddittorio solo cartolare, senza lo svolgimento di un’udienza con la partecipazione delle parti, sicché nessun avviso dello svolgimento di tale udienza è dovuto al destinatario delle misure, che deve invece essere informato della facoltà di presentare memorie.

 

Accompagnamento coattivo alla frontiera e possesso del passaporto

Menzioniamo ancora la già citata ordinanza sez. I civ. 31.10.2023, n. 30173 per un altro aspetto ivi trattato: la mancanza del passaporto o di altro documento valido per l’espatrio. La Corte afferma che tale mancanza non è ostativa all’esecuzione dell’espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera. La Corte rileva che l’art. 13, comma 5, d.lgs. 286/1998, prevede la possibilità per lo straniero espulso di chiedere la concessione di un termine per la partenza volontaria a condizione che non sussista il rischio di fuga, che ai sensi dell'art. 13, comma 4-bis, si configura anche in caso di «mancato possesso del passaporto o di altro documento equipollente, in corso di validità». Aggiungiamo noi che se è vero che la mancanza del passaporto non è in sé un elemento ostativo all’accompagnamento immediato alla frontiera, tale accompagnamento in tanto può avvenire in quanto la persona espulsa sia identificata e munita di un titolo di viaggio, sicché l’assenza di tali presupposti integra una di quelle «situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento» e che possono costituire il presupposto per il trattenimento ai sensi dell’art. 14 d.lgs. 286/1998.

 

Proroga

L’ordinanza sez. I civ. 31.10.2023, n. 30205, segnalata sopra, si segnala anche per l’affermazione, non nuova ma opportunamente ribadita, che l’illegittimità del decreto di convalida o di proroga del trattenimento determina la conseguente illegittimità delle successive proroghe.

 

Riesame del trattenimento

La Corte, con ordinanza sez. I civ. 18.12.2023, n. 35445, ha ribadito l’ammissibilità del riesame del trattenimento senza che abbia rilievo il precedente rigetto di analoga istanza o la mancata impugnazione del provvedimento di convalida o di proroga, non sussistendo in materia il limite del ne bis in idem, poiché le misure in questione hanno natura cautelare e il sindacato giurisdizionale su di esse non è idoneo alla formazione del giudicato, tant’è che le relative statuizioni sono ricorribili per Cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., non per la natura decisoria delle stesse ma perché si tratta di atti che incidono sulla libertà personale.

 

Trattenimento di richiedenti protezione internazionale

Competenza

Nel caso esaminato dall’ordinanza sez. I civ. 18.12.2023, n. 35301, citata sopra, il ricorrente invocava la violazione delle norme sulla competenza, perché, in pendenza di una richiesta di protezione internazionale, il giudizio sulla convalida del trattenimento spetta al Tribunale ordinario e non al Giudice di pace. La ricostruzione del fatto fornita dall’ordinanza è lacunosa e non è dato comprendere quale fosse la situazione: la Corte afferma che «il provvedimento di trattenimento era stato emanato quando il precedente trattenimento era già stato annullato, unitamente al decreto di respingimento a cui era correlato» e che il trattenimento in esame è successivo a quelli testé descritti, ma non spiega se e quando il ricorrente avesse perso la qualità di richiedente asilo che determina la competenza del Tribunale.

 

Sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento di rigetto della domanda di protezione internazionale

La Corte, con ordinanza sez. I civ. 19.12.2023, n. 35479, ha annullato il provvedimento di convalida del trattenimento di cittadino straniero, richiedente protezione internazionale, la cui domanda era stata rigettata dalla Commissione territoriale e che aveva proposto ricorso al Tribunale, chiedendo e ottenendo la sospensione cautelare dell’efficacia esecutiva del decreto della Commissione.

Il diritto dello straniero richiedente protezione internazionale a restare nel territorio dello Stato, riconosciuto con alcune eccezioni dagli artt. 7 e 32 del d.lgs. 25/2008, si configura in pendenza della domanda di protezione internazionale, non già per il solo diritto astratto alla presentazione di una domanda reiterata di protezione internazionale (così la già citata ordinanza sez. I civ. 31.10.2023, n. 30173).

 

Termine per la c.d. riconvalida del trattenimento disposto ex art. 6, comma 3, d.lgs. 142/2015

La Corte costituzionale, con sentenza 4.12.2023 n. 212, ha esaminato la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Milano nell’ordinanza 11.12.2022 di cui avevamo dato notizia nel numero 1.2023 di questa Rassegna. La Corte ha dichiarato inammissibile la questione ritenendo che il giudice rimettente non avesse operato una completa ricostruzione del quadro normativo. La sentenza della Consulta presenta un’argomentazione che non brilla per chiarezza; tenteremo qui di interpretarla, dando conto anche dell’esegesi che ne ha fatta la Corte di cassazione in alcune ordinanze.

La questione di legittimità concerneva il momento iniziale del termine entro il quale il questore deve chiedere la convalida del trattenimento disposto, ai sensi dell’art. 6, co. 3, d.lgs. 142/2015, della persona che abbia presentato domanda di protezione internazionale – ritenuta dilatoria – mentre era già trattenuta ad altro titolo. Il Tribunale di Milano riteneva che il momento iniziale di tale termine non potesse essere individuato (con interpretazione costituzionalmente orientata) in quello della presentazione della domanda di protezione internazionale, poiché la disposizione fa riferimento alla «adozione del provvedimento» di trattenimento e tale espressione implica un comportamento attivo da parte dell’amministrazione, che tuttavia potrebbe giungere a distanza di un notevole lasso di tempo dalla assunzione della qualità di richiedente asilo e ben superiore a quello di 48 ore previsto dall’art. 13 Cost.: dubitava pertanto della legittimità costituzionale della norma.

La Corte costituzionale osserva che il giudice rimettente avrebbe trascurato l’ultimo periodo della disposizione censurata (l’art. 6, comma 5, d.lgs. 142/2015), che invece stabilisce che i termini di restrizione della libertà personale previsti dall’art. 14, comma 5, del d.lgs. 286/1998 (la Corte indica il d.lgs. 142/2015, ma il riferimento è chiaramente diretto alla norma del TUI), trattenimento che scaturisce cioè da un primo ordine già convalidato dal giudice di pace, sono sospesi fino a quando non sopraggiunga la decisione sull’ulteriore convalida, che può permetterne la protrazione per altri sessanta giorni. La Corte aggiunge poi che il giudice, al quale spetti la competenza a verificare la sussistenza o la persistenza di un legittimo titolo restrittivo della libertà personale dello straniero già trattenuto non può, pertanto, che confrontarsi con tale previsione normativa, con la quale il legislatore ha inteso disciplinare lo status libertatis nel tempo che intercorre tra la presentazione della domanda di protezione internazionale e il preliminare esame di essa da parte dell’autorità amministrativa, quanto alla eventuale protrazione, nei casi indicati dalla legge, del restringimento in corso. Prosegue la Corte, con una prosa alquanto criptica, e afferma che «se, infatti, da un lato la norma non permette all’autorità giudiziaria di rilevare la carenza del titolo restrittivo per tale periodo (che nella prassi può durare a lungo, sebbene ciò non sia accaduto nel caso oggetto del giudizio principale), dall’altro lato resta integro il potere del giudice non certo di disapplicarla (come accadrebbe se, nonostante tale previsione, si ritenesse cessata l’efficacia del primo provvedimento restrittivo, a seguito della presentazione della domanda di protezione internazionale), ma, invece, di valutarla, nei limiti delle proprie competenze, con riferimento al fascio delle garanzie assicurate dall’art. 13 Cost., e, in particolare, alla regola che impone alla legge di determinare i termini massimi dei trattenimenti disposti in via preventiva, allo scopo di evitare che essi si prolunghino indefinitamente, anche a causa di prassi applicative distorte.». La Corte, cioè, afferma che il giudice non può rilevare la carenza del titolo restrittivo per il periodo tra la presentazione della domanda (quindi in cui sono sospesi i termini ex art. 14 TUI) e la riconvalida. La parte immediatamente successiva della motivazione risulta di difficile interpretazione: non appare chiaro a quale norma la Corte faccia riferimento, né quali sarebbero le competenze nei cui limiti il giudice potrebbe esercitare il proprio potere non di disapplicazione ma di valutazione; resta infine oscuro il richiamo alle garanzie dell’art. 13 Cost., in particolare alla riserva di legge sui termini massimi del trattenimento.

Sulla scorta della sentenza della Corte costituzionale, la Corte di cassazione con   ordinanza sez. I civ. 29.12.2023, n. 36522  ha affrontato un motivo di ricorso relativo al rispetto dei termini previsti dall’art. 6, comma 5, d.lgs. 142/2015, per la c.d. riconvalida del trattenimento, disposto ai sensi dell’art. 6, comma 3, d.lgs. 142/2015 nei confronti del cittadino straniero che ha presentato domanda di protezione internazionale, ritenuta pretestuosa, mentre era già trattenuto in esecuzione di un decreto di espulsione o di respingimento. Il punto di diritto sollevato dal ricorrente concerne l’individuazione del momento iniziale del decorso di tale termine. Dalla sentenza della Corte costituzionale la Corte di cassazione ha tratto la conclusione che nel caso di domanda presentata da persona già trattenuta ai sensi dell’art. 14 d.lgs. 286/1998, quando il questore ritenga tale domanda pretestuosa e disponga il trattenimento ex art. 6, comma 3, d.lgs. 142/2015, il termine per la convalida di quest’ultimo decorre non dalla manifestazione di volontà di chiedere la protezione internazionale bensì dall’adozione del nuovo ordine di trattenimento (che, ritiene la Corte, non è soggetta a un preciso limite temporale); fino all’adozione del nuovo ordine di trattenimento, il trattenimento già disposto e convalidato dal Giudice di pace ex art. 14 d.lgs. 286/1998 non cessa di avere efficacia ma se ne sospendano solo i termini.

La Corte formula il seguente principio di diritto: «Ove il cittadino straniero, già presente in un CPR in attesa dell’esecuzione di un decreto di espulsione e in forza di trattenimento disposto ex art. 14 del d.lgs. n. 286/1998, sia nuovamente ivi trattenuto ai sensi dell’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 142 del 2015, per avere presentato una domanda di protezione internazionale, il termine di 48 ore per la convalida del secondo trattenimento disposto dal questore ex art. 6 citato non decorre dalla manifestazione di volontà del ricorrente di richiedere la protezione internazionale, ma dall’adozione del suddetto secondo provvedimento restrittivo».

Ci si può domandare che cosa accada se, dopo la manifestazione di volontà e prima dell’adozione dell’ordine di trattenimento ex art. 6, comma 3, d.lgs. 142/2015, giunga a scadenza il termine del trattenimento pre-espulsivo convalidato dal Giudice di pace. Si tratta di un caso attualmente piuttosto inverosimile, considerata l’estensione dei periodi di trattenimento prevista dall’ultimo intervento normativo in materia, ma merita comunque considerazione: poiché il trattenimento non cessa di avere efficacia ma i relativi termini sono sospesi, sembrerebbe doversi concludere che tale trattenimento possa protrarsi anche oltre il periodo previsto dalla legge e oggetto della convalida del Giudice di pace, in attesa del nuovo ordine di trattenimento che il questore potrà disporre secondo la propria discrezione e senza alcun limite temporale. Se tale è la disciplina, appare difficile affermarne la conformità all'art. 13 della Costituzione, dal momento che sottrae all'autorità giudiziaria il controllo sulla durata della privazione della libertà personale.

 

Termini di durata del trattenimento ex art. 6 d.lgs. 142/2015

I termini relativi al trattenimento delle persone che hanno chiesto la protezione internazionale sono oggetto di numerose pronunce della Corte di cassazione. Esaminiamo per prima l’ordinanza sez. I civ. 15.12.2023, n. 35172, nella quale la Corte ha affermato che quando venga proposta domanda di protezione internazionale da parte di cittadino straniero già trattenuto in un Centro per i rimpatri, il termine di durata del trattenimento resta sospeso fino alla comunicazione al Ministero dell’interno dell’adozione del provvedimento ex art. 35-bis, comma 4, d.lgs. 25/2008 (i.e. la decisione del Tribunale sull’istanza di sospensione cautelare degli effetti esecutivi del rigetto della domanda di protezione internazionale da parte della Commissione territoriale). Ne consegue che, cessato l’effetto sospensivo previsto dal citato art. 35, comma 4, l’obbligo dell’amministrazione procedente di riattivare l’originario procedimento per la proroga del trattenimento decorre dalla comunicazione del Tribunale al ministero dell’interno e non dalla data della successiva comunicazione dell'autorità centrale (il Ministero dell’interno) a quella territoriale (la questura). Nel caso di specie, il termine di 30 giorni era già scaduto al momento della presentazione dell’istanza da proroga, ove correttamente calcolato dal momento della comunicazione del provvedimento del Tribunale sulla sospensiva ex art. 35, comma 4, d.lgs. 25/2008 all’amministrazione procedente.

Passiamo ora in rassegna una serie di pronunce relative ai termini previsti dall’art. 28-bis d.lgs. 25/2008 per la procedura accelerata di esame della domanda di protezione internazionale, con particolare riferimento al trattenimento del richiedente asilo in corso. La Corte, con ordinanza sez. I civ. 18.12.2023, n. 35445, dopo aver ribadito l’ammissibilità del riesame del trattenimento come sopra esposto, ha affermato, in continuità con il recente orientamento, che i termini previsti dall’art. 28-bis d.lgs. 25/2008 per la procedura accelerata di esame della domanda di protezione internazionale non sono perentori e il loro superamento non comporta la cessazione del trattenimento.

Analogo principio afferma la sopra citata ordinanza sez. I civ. 29.12.2023, n. 36522, richiamando quanto già affermato nell’ordinanza sez. I civ. 1.6.2022 n. 17834, già segnalata in questa Rassegna (n. 3.2022 al quale rimandiamo per una più dettagliata analisi): i termini della procedura accelerata non sono perentori, la durata del trattenimento della persona richiedente protezione internazionale è stabilita dall’art. 6, comma 5, d.lgs. 142/2015 in 60 giorni per consentire l’espletamento della procedura di esame della domanda. 

La Corte ha poi affermato che il lasso di tempo che intercorre tra la formulazione della domanda di protezione internazionale e la trasmissione dei relativi atti dalla questura alla Commissione territoriale sia sindacabile soltanto ai fini dell’applicazione del principio generale secondo il quale non si può estendere il trattenimento oltre il tempo necessario all’esame della domanda. La Corte ha affermato che il giudice della convalida o della proroga può sindacare tale lasso di tempo, non in relazione ai termini previsti per la procedura accelerata, ma rilevandone «la funzionalità rispetto allo scopo e la mancanza di inerzia colpevole»; la Corte rimarca che «il parametro normativo non è quello, caratterizzato dalla non perentorietà dei termini, relativo alla durata massima della procedura accelerata, ma quello, più flessibile ma non per questo rimesso alla discrezionalità incontrollata ed incontrollabile dell’autorità amministrativa, della funzionalità del periodo temporale trascorso rispetto all’esame adeguato della domanda, all’interno del perimetro massimo consentito per il trattenimento ex art. 6, commi 6, 7, 8 d.lgs. 142/2015». La Corte rimette pertanto al giudice della convalida una valutazione evidentemente di merito e pertanto sottratta al vaglio di legittimità al di fuori dell’ipotesi di assenza di motivazione.

Nello stesso senso si esprimono le ordinanze sez. I civ. 2.1.2024 nn. 14 ,   15  e   17 , che menzioniamo qui per la stretta connessione, pur essendo state depositate nel 2024: la Corte ribadisce che i termini non sono perentori e che sono sindacabili esclusivamente dal giudice di merito alla luce di quello che descrive come «l’inutile scorrere o l’inerzia colpevole» nell’oltrepassare il limite legale da parte dell’amministrazione, con la precisazione che la necessità di oltrepassare tale termine deve essere valutata dal giudice in concreto, «in funzione dell’adeguatezza dell’esame da svolgere». La Corte si astiene dall’indicare i parametri di valutazione di tale adeguatezza, che potrebbero essere individuati nelle limitate risorse dell’amministrazione, il cui peso a quanto pare può prevalere nel bilanciamento con la tutela della libertà individuale.

La Corte esclude specificamente, nelle ordinanze n. 14/2024 e n. 17/2024, che la mancata informazione del ritardo alla persona trattenuta rilevi ai fini della legittimità del trattenimento, potendone il giudice di merito solo sindacare la giustificazione ex post alla luce dell’adeguatezza dell’esame; si tratta, ancora una volta, di una valutazione di merito come tale insindacabile in sede di legittimità.

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