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Fascicolo 1, Marzo 2024


«Creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente delle scoperte "originali",

significa anche e specialmente diffondere criticamente delle verità già scoperte,

"socializzarle" per così dire e pertanto farle diventare base di azioni vitali».

Antonio Gramsci

 

Penale

La Cassazione si pronuncia sui requisiti per la sussistenza della fattispecie di violazione dell’ordine di allontanamento del questore ex art. 14 co. 5-ter TUI

Cass. pen., sez. I, sent. 14 marzo 2023, n. 15149, Pres. Boni, rel. Boni 

Il Giudice di pace di Novara aveva condannato al pagamento di una multa di 7.000 euro un cittadino straniero ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 14 co. 5-ter TUI (ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore, emesso ai sensi dell’art. 14 co. 5-bis TUI). Avverso tale decisione il ricorrente, per mezzo del difensore, ha proposto ricorso per Cassazione lamentando diffusi vizi e difetti di motivazione, articolati in quattro motivi. In particolare, nel primo motivo – l’unico esaminato dalla Corte – il ricorrente ha lamentato un vizio di motivazione con riguardo alla stessa esistenza e validità dell’ordine di allontanamento, non presente nel fascicolo processuale, la cui violazione aveva determinato la sua responsabilità penale ai sensi dell’art. 14 co. 5-ter TUI. 

La Cassazione – accogliendo il motivo di ricorso – osserva che l’assenza negli atti di detto ordine equivale alla mancata acquisizione della prova dei presupposti del reato contestato. Ricorda, infatti, la Corte che la fattispecie di cui all’art. 14 co. 5-ter TUI ha natura di reato omissivo proprio e che ai fini della configurabilità del reato e della sussistenza dell’obbligo di conformazione da parte del cittadino straniero è necessaria la contestuale presenza di due autonomi provvedimenti amministrativi che, congiuntamente, descrivono la tipicità del reato: l’ordine di allontanamento ex art. 14 co. 5-bis adottato dal questore e il provvedimento di espulsione o respingimento del prefetto (al quale l’ordine questorile è appunto chiamato a dare esecuzione). Nel caso in esame, riscontrata l’assenza agli atti dell’ordine di allontanamento, la Corte ha ritenuto di annullare la sentenza impugnata, ritenendo che sia compito del giudice di merito non solo accertarsi della presenza di tale ordine ma anche verificarne il contenuto, la validità e la congruità della motivazione, non potendo al contrario ritenerlo esistente, come avvenuto, in base a una immotivata presunzione. 

 

La Cassazione ritiene che un’interpretazione dell’art. 54 c.p. conforme alle disposizioni sovranazionali ne impone l’applicabilità alla vittima di tratta coinvolta in attività illecite

Cass. pen., sez. VI, sent. 16 novembre 2023 (dep. 18 gennaio 2024), n. 2319, Pres. De Amicis, rel. Di Nicola Travaglini

 

A fronte della condanna di una vittima di tratta per il delitto di trasporto illecito di sostanze stupefacenti la Corte di cassazione ha annullato la sentenza con rinvio a nuovo giudizio per la lacunosa e generica motivazione della mancata applicazione alla ricorrente – accertata essere vittima di tratta – della scriminante di cui all’art. 54 c.p. In entrambi i gradi di merito, infatti, i giudici avevano escluso lo stato di necessità prendendo unicamente in considerazione le modalità della vicenda (ad esempio, il fatto che le spese per la difesa in giudizio dell’imputata fossero state sostenute dal capo dell’associazione) e l’assenza di elementi a sostegno dell’assoluta impossibilità della donna di sottrarsi alle direttive degli sfruttatori e di rivolgersi alle istituzioni. Osserva la Corte – dopo un’ampia ed esaustiva disamina del quadro normativo internazionale di riferimento – che il giudice comune ha l’obbligo di provvedere a un’interpretazione del diritto interno conforme con il diritto dell’Unione e con le Convenzioni del Consiglio d’Europa; di conseguenza, l’art. 54 c.p. – ossia il solo strumento che nell’ordinamento interno consente di recepire le indicazioni internazionali in materia di tratta, che prevedono la non punibilità delle vittime di tratta per il loro coinvolgimento in attività illecite – deve essere interpretato secondo la ratio degli obblighi internazionali e la sua applicabilità non può essere esclusa con argomenti generici e apodittici che si risolvono in un’astrazione dei fatti dal contesto. Ricorda la Corte che l’autorità giudiziaria è innanzitutto obbligata ad accertare se la persona sia vittima di tratta (usando a tal fine i “parametri sintomatici” elaborati da UNODC e acquisiti nelle Linee guida italiane) e, successivamente, è tenuta a verificare se ricorrono i presupposti dell’art. 54 c.p. tenendo presente che, secondo i più recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. III, n. 15654 del 2 febbraio 2022), lo stato di necessità sussiste anche quando il pericolo si sostanzi in una coazione relativa, tale da limitare la libertà di autodeterminazione del soggetto coartato senza produrre un totale annullamento della sua facoltà volitiva. L’accertamento dei presupposti dell’art. 54 c.p., infine, dovrà tener conto della definizione di “vulnerabilità” data dalla Direttiva 2011/36/UE («situazione in cui la persona non ha altra scelta effettiva e accettabile se non cedere all’abuso») e dell’estensione della nozione di tratta, operata dalla medesima Direttiva, giunta a ricomprendere proprio lo “sfruttamento per attività criminali”. 

 

La Cassazione rigetta tutti i motivi di ricorso e ritiene sussistente il dolo eventuale nelle condotte tenute dal comandante della Asso 28

Cass. pen., sez. V, sent. 12 ottobre 2023 (dep. 1° febbraio 2024), n. 4557, Pres. Stanislao, est. Cananzi

 

Nelle Rassegne dei numeri 1/2022 e 2/2023 era già stato dato conto delle sentenze con cui dapprima il Tribunale (GUP) e poi la Corte d’appello di Napoli avevano condannato il comandante della nave Asso 28 per i reati di abbandono di minori ed incapaci (art. 591 c.p.) e di sbarco arbitrario (art. 1155 cod. nav), assolvendolo, invece, dal delitto di abuso d’ufficio, in ordine al quale il GUP – con sentenza sul punto irrevocabile – aveva ritenuto non sussistente la prova dell’ingiusto vantaggio patrimoniale o dell’altrui danno (per un commento alle decisioni di primo e secondo grado, vedi su questa Rivista n. 2.2023 la nota di L. Masera).

I fatti, come noto, riguardavano lo sbarco in Libia di oltre cento naufraghi soccorsi in acque internazionali dalla Asso 28, nave di appoggio di una piattaforma petrolifera italiana. Senza informare tempestivamente i Centri di coordinamento e soccorso di Tripoli o l’IMRCC di Roma, il comandante della Asso 28 procedeva autonomamente alle operazioni di soccorso e successivamente allo sbarco in Libia dei naufraghi (mai identificati), seguendo le indicazioni di un presunto funzionario libico (mai identificato durante le operazioni e qualificato come “agente di dogana libico”) presente sulla piattaforma e successivamente imbarcato sulla Asso 28.

Contro la decisione della Corte d’appello l’imputato ha presentato cinque motivi di ricorso in Cassazione ritenuti, però, tutti infondati dalla Corte. 

 

In risposta alle doglianze contenute nel primo motivo e relative al vizio di motivazione circa l’elemento soggettivo richiesto dalle fattispecie incriminatici coinvolte, la Corte – dopo un’ampia riflessione sulla natura dei reati in esame e sul “pericolo” in concreto corso dai migranti sbarcati in Libia – approva l’operato della Corte d’appello. Da un lato, infatti, ricorda che il dolo richiesto dal delitto di abbandono di persone minori o incapaci sia generico e possa assumere la forma del dolo eventuale. Dall’altro, osserva che la sussistenza del dolo eventuale, in questo caso, sia stata ricavata dalla complessiva condotta dell’imputato (il quale non ha contattato i Centri di coordinamento, si è rimesso alle indicazioni di un non meglio identificato ufficiale di dogana libico, non ha operato i necessari accertamenti sui migranti, non ha verificato le condizioni del luogo di sbarco), parametrata con gli “indicatori di dolo eventuale” già individuati dalle Sezioni unite (Cass. SU, n. 38343 del 24 aprile 2014, dep. 18 settembre 2014, Espenhahn). Il comandante della Asso 28, in definitiva, ha aderito alla possibilità che si configurasse un pericolo per le persone offese vulnerabili (ai sensi dell’art. 591 c.p.) nonché per tutti i naufraghi sbarcati arbitrariamente in Libia (ai sensi dell’art. 1155 cod. nav.). 

Quanto al secondo motivo (violazione degli artt. 51 e 59 co. 4 c.p. e vizio di motivazione), la Cassazione – dichiarandolo infondato – osserva che l’operatività di tale esimente putativa presuppone un errore incolpevole sulla verità dei fatti che richiede, però, una diligenza operativa del tutto mancante nel caso concreto. L’individuazione nel presunto ufficiale libico salito a bordo della Asso 28 dell’autorità preposta a impartire un ordine legittimo non può ricadere in un errore scusabile dal momento che nessun accertamento sulla sua identità – e quindi sulla sua competenza e legittimazione a impartire ordini – è stato svolto. 

Il terzo motivo attinente al vizio di motivazione in ordine al vantaggio economico che la sentenza di primo grado aveva, però, già ritenuto non provato viene ritenuto manifestamente infondato. 

Anche il quarto motivo (violazione dell’art. 603 co. 3 c.p.p. per la mancata rinnovazione dibattimentale in ordine all’identità del funzionario libico) viene ritenuto manifestamente infondato dalla Corte che ricorda come nel giudizio abbreviato d’appello, poiché l’unica attività d’integrazione probatoria consentita è quella esercitabile officiosamente, non è configurabile un vero e proprio diritto alla prova di una delle parti cui corrisponda uno speculare diritto della controparte alla prova contraria; il mancato esercizio da parte del giudice d’appello dei poteri officiosi di integrazione probatoria, dunque, non può mai integrare il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. d) c.p.p. 

Infine, anche l’ultimo motivo (violazione di legge per la mancata applicazione delle attenuanti generiche) è stato ritenuto infondato poiché, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la motivazione della Corte d’appello non si è limitata alla sola omessa confessione e alla insufficienza della incensuratezza, ma ha preso in esame anche l’allarme sociale delle condotte e l’assenza di ogni riscontro a posteriori sulle condizioni di ricovero dei naufraghi una volta sbarcati, come avrebbe imposto la posizione di garanzia gravante in capo al comandante. 

 

Il Tribunale di Monza esclude l’elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie di falsa dichiarazione di residenza per l’ottenimento del reddito di cittadinanza nel caso in cui lo straniero sia stato aiutato da un ente nella compilazione della domanda

Trib. Monza, Ufficio GIP, sent. 7 luglio 2023, giud. E. Sechi

 

Con la sentenza allegata il Tribunale di Monza ha ritenuto di pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei confronti di un cittadino nigeriano imputato del delitto di cui all’art. 7 co. 1 d.l. 4/2019 per aver falsamente dichiarato di essere residente in Italia da più di dieci anni al fine di ottenere il cd. reddito di cittadinanza. In particolare, il giudice ha ritenuto che nel caso concreto non fosse possibile giungere a un’idonea dimostrazione dell’elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie; l’imputato, infatti, regolarmente presente sul territorio italiano dal 2015 (periodo comunque non sufficiente a integrare il requisito per l’ottenimento del beneficio economico) si era fatto assistere nella compilazione e nell’invio della domanda da un Ente che, pur conoscendo le sue condizioni soggettive, non gli aveva fatto presente la necessaria sussistenza di tale ulteriore requisito. 

 

La Corte d’appello di Perugia valorizza la “presenza effettiva” sul territorio per escludere il reato di falsa dichiarazione del requisito della residenza decennale per l’ottenimento del reddito di cittadinanza

Corte app. Perugia, sent. 27 ottobre 2023, Pres. Micheli, rel. Micheli

 

Ancora una vicenda che riguarda una cittadina straniera accusata di aver falsamente dichiarato la sussistenza del requisito della residenza in Italia da almeno dieci anni per l’ottenimento del reddito di cittadinanza. Discostandosi dalla decisione del Tribunale di Terni – che aveva condannato a un anno di reclusione con pena sospesa – la Corte d’appello ha dato rilevanza al fatto che, al momento della dichiarazione, la donna avesse maturato una permanenza di poco inferiore a 10 anni e pari a 9 anni, 7 mesi e 7 giorni. Nel motivare la propria decisione assolutoria i giudici di secondo grado hanno infatti sostenuto che, ai fini dell’erogazione del reddito di cittadinanza, non deve aversi riguardo al requisito della residenza formale (decorrente dalla data in cui, come nel caso in esame, il cittadino straniero ha ottenuto un codice fiscale avendo iniziato a lavorare in regola) bensì quello della presenza effettiva sul territorio. Tale diverso momento è sicuramente antecedente – anche di qualche mese – alla data di ottenimento di un formale riconoscimento della presenza e coincide con il momento in cui la persona, giunta in Italia, si attiva per cercare un lavoro. Sulla scorta di tale ragionamento, secondo la Corte l’incertezza circa la data esatta di inizio della presenza effettiva sul territorio, verosimilmente coincidente con il periodo di tempo mancante per l’ottenimento del beneficio, non può che portare a una pronuncia assolutoria. 

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