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Fascicolo 1, Marzo 2024


«Creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente delle scoperte "originali",

significa anche e specialmente diffondere criticamente delle verità già scoperte,

"socializzarle" per così dire e pertanto farle diventare base di azioni vitali».

Antonio Gramsci

 

Famiglia e minori

CORTE DI CASSAZIONE, ordinanze del 6 ottobre 2023 n. 28161 e 28162

Espulsione del cittadino straniero - divieto di espulsione in presenza di legami familiari - d.l. 20/2023 e tutela del diritto fondamentale al rispetto della vita privata familiare

Com’è noto, il d.l. 10 marzo 2023 n. 20 ha abrogato il terzo e il quarto periodo dell’art. 19.1.1. d.lgs. n. 286/1998, ponendo la questione giuridica rilevantissima del trattamento da riservarsi agli stranieri che pur integrando i requisiti posti da tale disposizione non possano invocare tale disposizione, per il venir meno del suo ambito di efficacia temporale.

A tale questione risponde, sia pure con un obiter dictum, la Corte di cassazione con le due ordinanze in Rassegna. In entrambi i casi, i ricorrenti avevano fatto valere il diritto al rispetto della loro vita familiare nell’ambito di un procedimento di espulsione; essendo stata rigettata la loro opposizione nel procedimento davanti al Giudice di pace, avevano fatto valere in sede di legittimità le medesime censure.

Va precisato che ad entrambe le fattispecie poteva trovare ancora applicazione l’art. 19.1.1. d.lgs. n. 286/1998, trattandosi di vicende prodottesi prima dell’abrogazione della disposizione normativa.

La Suprema Corte avrebbe potuto dunque limitarsi a decidere il caso, senza prendere in considerazione la questione della tutela del diritto alla protezione della vita familiare successivamente all’entrata in vigore del d.l. 10 marzo 2023, n. 20.

I Giudici di legittimità colgono tuttavia l’occasione per svolgere la propria funzione nomofilattica, facendo importanti affermazioni in relazione agli effetti del c.d. decreto Cutro in materia.

Nella motivazione delle decisioni, il Collegio ribadiva in primo luogo che in base alla nozione di diritto all’unità familiare delineata della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 202 del 2013 e ribadita dalla Suprema Corte, l’art. 13 comma 2-bis d.lgs. n. 286/98 è applicabile al cittadino straniero che ha legami familiari nel territorio dello Stato italiano, previa valutazione caso per caso, «anche in sede di opposizione al decreto di espulsione ed anche quando formalmente non si trovi nella posizione di richiedente il ricongiungimento familiare». A questo proposito la Suprema Corte ricordava che il diritto di cui all’art. 8 della CEDU non ammette distinzioni tra vita privata e familiare, non prevede “gradazioni o gerarchie” e si riferisce non solo alla famiglia fondata sul matrimonio, ma anche alla nozione più ampia elaborata dalla Corte di Strasburgo (comprensiva dei legami di fatto e dei legami con parenti che pur non facendo parte della famiglia nucleare possono assumere una grande rilevanza).

In applicazione di tali principi, la Corte censurava le ordinanze impugnate dai ricorrenti per non aver valutato attentamente e concretamente la complessiva condizione di vita privata, familiare (e lavorativa) dei ricorrenti, considerando la natura ed effettività dei loro legami personali. 

In secondo luogo, – ed è qui che troviamo le statuizioni più rilevanti in un’ottica de futuro – la Suprema Corte dava atto che il diritto al rispetto della vita privata e familiare ha il suo fondamento in fonti sovraordinate rispetto alla legge ordinaria e, dunque, continua ad essere tutelato anche dopo che il d.l. n. 20/2023 ha abrogato il terzo e quarto periodo dell’art. 19 c. 1.1. TUI. 

A questo proposito i Giudici di legittimità evidenziavano che anche dopo il c.d. decreto Cutro «il diritto al rispetto della vita privata e familiare «non solo è rimasto in vita nell’art. 5, comma 6, TUI, ma continua ad essere tutelato dall’art. 8 CEDU e rientra in quel “catalogo aperto” dei diritti fondamentali connessi alla dignità della persona e al diritto di svolgere la propria personalità nelle formazioni sociali, tutelati dagli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 Cost., trovando dunque il suo fondamento in fonti sovraordinate rispetto alla legislazione ordinaria».

Secondo i Giudici di legittimità, pertanto, l’intervento del Legislatore non può valere a privare gli stranieri di diritti che hanno un fondamento in fonti superiori, di per sé sole idonee a garantire la protezione della vita familiare. 

 

 

TRIBUNALE DI ROMA,  sentenza del 6 novembre 2023

Ricongiungimento familiare - necessità di tenere conto del caso concreto nella valutazione del reddito minimo

Con la sentenza in esame, il Tribunale di Roma si è espresso sulla questione del reddito minimo necessario per il ricongiungimento familiare.

Nel caso concreto, in sede di riesame di un procedimento di ricongiungimento rigettato per difetto dell’idoneità alloggiativa, in realtà conseguita nel corso del procedimento amministrativo, la prefettura rilevava quale motivo ostativo l’insufficienza del reddito prodotto dal ricorrente, in quanto quest’ultimo aveva percepito nel corso del 2022 un reddito pari a 8.378,00 euro, anziché la superiore somma di 9.119,00 prevista dalla normativa come parametro necessario per il rilascio del nulla.

Il ricorrente aveva visto ridotto il proprio reddito nell’anno di riferimento in ragione di un incidente che lo aveva costretto ad interrompere l’attività lavorativa.

Con la sentenza in commento, il Tribunale di Roma, adito dallo straniero per l’accertamento del diritto al rilascio del nulla osta al ricongiungimento, accoglieva la domanda, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo cui gli Stati membri non possono stabilire un reddito minimo al di sotto del quale la domanda di ricongiungimento viene automaticamente rigettata, essendo necessaria una valutazione caso per caso, conformemente all’art. 17 della Direttiva 2003/86/CE che impone un’individualizzazione dell’esame delle domande di ricongiungimento (sentenza Corte di Giustizia del 4 marzo 2010 - C-578/08, Chakroun). 

Secondo il Tribunale di Roma, nella fattispecie, «il quadro reddituale complessivo si presentava sufficiente ed idoneo, in virtù di una valutazione prospettica, ad ottenere il nulla osta» anche in considerazione del fatto che il ricorrente si era immediatamente reimmesso nel circuito lavorativo una volta concluso il periodo di convalescenza.

La vicenda esaminata dal Tribunale di Roma dimostra come principi statuiti dalla Corte di Giustizia da più di un decennio siano ancora frequentemente disapplicati in sede amministrativa, con conseguente necessità di agire in giudizio per ottenerne l’applicazione.

 

 

MINORI

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO, 23 novembre 2023, causa C-47287/17 (Caso A.T. ed altri c. Italia) 

Accoglienza di minore straniero non accompagnato in Italia - sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti

Con la decisione A.T. ed altri c. Italia del 23 novembre 2023 (ricorso n. 47287/2017), la Corte di Strasburgo è tornata a condannare l’Italia per le condizioni di accoglienza dei cittadini stranieri minorenni, richiamando tra le altre le precedenti decisioni rese nei procedimenti Khlaifia ed altri c. Italia (no. 16483/12, sentenza del 15 dicembre 2016), Darboe e Camara c. Italia (no. 5797/17, sentenza del 21 luglio 2022) e J.A. ed altri c. Italia (no. 21329/18, sentenza del 30 giugno 2023) sulle condizioni di accoglienza negli hotspot, con particolare riferimento ai minorenni, al diritto ad un ricorso effettivo con riferimento alla possibilità per i cittadini stranieri di contestare le ragioni della loro detenzione di fatto davanti a un Tribunale. 

Nel caso esaminato dalla Corte, i ricorrenti, tutti minorenni, avevano raggiunto l’Italia a bordo di un’imbarcazione di fortuna a maggio 2017 ed erano stati trasferiti nell’hotspot di Taranto dove avevano subito richiesto la protezione internazionale. I ricorrenti si trovavano a vivere per quasi due mesi in un Centro destinato ad adulti, sovraffollato, in condizioni di accoglienza inadeguate; avevano documentato le scarse condizioni igieniche e la mancanza di spazio con fotografie. Era stata altresì richiamata una relazione del Vicepresidente della Commissione per i diritti dell’uomo del Senato della Repubblica del gennaio 2017, da cui emergeva che i cittadini stranieri, tra cui minori, rimanevano nel Centro oltre il periodo massimo previsto per questa tipologia di Centri e che le condizioni di accoglienza, igieniche e di alloggio, erano critiche. 

I ricorrenti, tramite i propri rappresentanti, avevano inoltre rilevato di essere stati arbitrariamente privati della libertà durante il loro soggiorno nell’hotspot di Taranto, in assenza di una base giuridica chiara ed accessibile e di un provvedimento motivato, che non era stato nominato un tutore legale e che queste circostanze avevano reso impossibile contestare la legittimità della privazione della libertà. 

I Giudici di Strasburgo hanno accertato che: i ricorrenti erano stati sottoposti a trattamenti inumani e degradanti durante il loro soggiorno nell’hotspot di Taranto, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione; che erano stati illegalmente trattenuti, in violazione dell’articolo 5, paragrafi 1, 2 e 4 della Convenzione; che era stato violato il combinato disposto degli articoli 13 e 3 della Convenzione non essendo stato nominato un tutore e non essendo stata fornita ai ricorrenti alcuna informazione sulla possibilità di contestare in giudizio la condizione di detenzione. Lo Stato italiano è stato condannato al risarcimento dei danni. 

La decisione della Corte è particolarmente significativa in ragione del carattere sistematico delle violazioni accertate nei confronti di un alto numero di minori non accompagnati presenti in Italia.

 

 

TRIBUNALE DI ROMA,  ordinanza del 16 giugno 2023

Ricongiungimento familiare con il figlio minorenne - accertamento dell’età del minore - sussistenza del requisito della minore età al momento della presentazione della domanda - sufficienza

Con l’ordinanza del 16 giugno 2023, il Tribunale di Roma coglie l’occasione per indicare i presupposti e la procedura da seguirsi per un eventuale accertamento dell’età del minore da parte dell’autorità consolare sottolineando che il requisito della minore età deve sussistere al momento della presentazione della domanda di nulla osta all’ingresso, non rilevando se sopraggiunge la maggiore età durante il procedimento amministrativo. 

La fattispecie in oggetto riguardava la domanda di ricongiungimento familiare che era stata presentata a favore del figlio minore da un cittadino bengalese titolare di permesso per soggiornante di lungo periodo in Italia che, in seguito al rilascio del nulla osta, presentava all’autorità consolare domanda di rilascio del visto di ingresso, allegando il certificato di nascita e copia del passaporto del figlio minore dal quale risultava la sua minore età. 

L’Ambasciata d’Italia a Dhaka, senza contestare il contenuto e l’attendibilità della documentazione allegata dal ricorrente, disponeva l’accertamento dell’età del minore, che veniva effettuato da un medico ortopedico senza il rispetto delle procedure prescritte dalla normativa italiana. Nonostante il minore si fosse autonomamente sottoposto al test del DNA per ulteriormente supportare la prova del legame di parentela, all’esito dell’esame di accertamento dell’età, l’Ambasciata rigettava la richiesta del visto sostenendo che in occasione dell’esame il minore aveva già raggiunto la maggiore età e che l’esame avrebbe evidenziato un’età non compatibile con quella riportata sul passaporto. 

Il Tribunale, nell’accogliere il ricorso proposto dal genitore, ha in primo luogo evidenziato che l’utilizzo del procedimento per l’accertamento dell’età è legittimo solo quando sussistono dubbi fondati e motivati in merito all’attendibilità dei documenti e che lo stesso deve essere effettuato nel rispetto delle procedure previste, «in particolare attraverso una procedura multidisciplinare di determinazione dell’età, condotta da personale specializzato e secondo procedure appropriate che tengano conto anche delle specificità relative all’ordine etnica e culturale del minore»

In proposito, il Tribunale ha censurato la circostanza che l’Amministrazione non avesse contestato l’autenticità della documentazione prodotta, prima di effettuare l’esame di accertamento dell’età, e avesse eseguito l’esame senza il rispetto delle modalità procedurali previste dalla normativa italiana. 

In secondo luogo, il Tribunale ha ribadito il principio secondo cui, per determinare la minore età nelle procedure di ricongiungimento familiare, bisogna fare riferimento al momento della presentazione della domanda di nulla osta, non assumendo dunque alcun rilievo il momento del rilascio del nulla osta o della richiesta di visto. 

Non essendosi l’Ambasciata attenuta a tali principi, la stessa veniva condannata al rilascio del visto di ingresso in favore del minore e al risarcimento dei danni subiti dal ricorrente per violazione del diritto all’unità familiare oltre al rimborso delle spese di lite.

Sito realizzato con il contributo della Fondazione "Carlo Maria Verardi"

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