RECENSIONE A:
Gabriele Del Grande, Il secolo mobile. Storia dell’immigrazione illegale in Europa, Mondadori, 2023
di Michele Colucci
Si può capire il presente guardando al passato e immaginando un altro futuro?
Nel corso degli ultimi 20 anni il tema della legalità delle migrazioni ha occupato uno spazio sempre più pervasivo nel dibattito pubblico, nei contesti mediatici e nelle ricerche scientifiche. La discussione sulla legalità dei movimenti internazionali di persone si è intrecciata alla questione della legittimità stessa delle migrazioni, all’interno di una cornice che sia in Italia sia in Europa è diventata anno dopo anno sempre più stretta. Il criterio della legalità e della illegalità dei flussi migratori è cambiato non solo in termini formali, a seconda delle norme e delle leggi, ma più in generale è stato condizionato dai contesti politici, sociali e culturali. I termini riconducibili alla irregolarità, alla clandestinità, alla illegalità delle persone sono entrati di prepotenza nel dibattito pubblico, finendo per ipotecare e condizionare in maniera pesante la percezione della mobilità e delle migrazioni.
Il libro di Gabriele Del Grande rappresenta uno strumento di lavoro utile per tutte e tutti coloro che intendono prendere sul serio tutta la centralità che occupa questo tema a partire dalla sua profondità storica, abbandonando forzature e semplificazioni.
Intelligentemente, Del Grande propone un breve prologo di apertura nel quale prima di addentrarsi nel passato immagina uno scenario futuro. Forse proiettandoci nel 2050 si può a suo avviso immaginare un futuro nel quale le isole di Lampedusa e Lesbo non siano più simboli di morte e sofferenza ma rappresentino importanti sedi museali da poter visitare, proprio come oggi si può visitare a New York il museo di Ellis Island, che racconta le immigrazioni negli anni a cavallo tra 800 e 900 (ma come dimostra la frontiera messicana anche negli Usa la mortalità nel tentativo di immigrare non è solo un ricordo del passato).
La narrazione prende le mosse dal periodo compreso tra la prima e la seconda guerra mondiale, soffermandosi sulle modalità con le quali per esigenze militari e logistiche i grandi imperi coloniali e le potenze europee reclutarono in maniera massiccia soldati e manodopera utili ai rispettivi sforzi bellici ed economici attingendo all’Africa e all’Asia. Del Grande mette in evidenza come tale fase abbia rappresentato un eccezionale laboratorio per la messa in pratica di politiche razziste e xenofobe, legate indissolubilmente alla vicenda coloniale ma declinate in maniera nuova a fronte della presenza fisica nei territori europei di persone provenienti da altri continenti. La fine della seconda guerra mondiale produce la nascita del moderno diritto d’asilo, coronato dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Del Grande sottolinea le ambiguità e le contraddizioni con cui tale diritto viene concepito e viene applicato, poiché ritagliato a suo avviso in modo eccessivamente sbilanciato attorno alla figura del profugo in fuga dall’Unione sovietica e in generale dai Paesi dell’Europa dell’est nello scorcio della fine della seconda guerra mondiale. Il terzo capitolo è dedicato alla lunga fase dei cosiddetti “trenta gloriosi”, quando tra la fine degli anni ’40 e la metà degli anni ’70 prendono corpo in tutta Europa cospicui movimenti migratori strutturati grazie all’incontro su scala internazionale tra domanda e offerta di lavoro, a partire dagli accordi sottoscritti dai governi dell’Europa occidentale con i Paesi africani e asiatici. Allo stesso tempo, si sofferma sull’emergere della questione razziale in Europa ma anche negli Stati Uniti, nella stagione delle grandi mobilitazioni per i diritti civili portate avanti dalle comunità afroamericane.
La crisi del 1973 rappresenta nel volume uno spartiacque fondamentale, poiché determina l’avvio di una sistematica stretta nelle politiche migratorie europee. Del Grande si concentra sulle conseguenze di tale stretta, che colpisce principalmente i permessi di soggiorno per motivi di lavoro. Nel frattempo alcune rigidità previste dalla Convenzione del 1951 erano state superate e il diritto d’asilo inizia ad occupare uno spazio sempre più importante nelle strategie migratorie dei candidati all’arrivo nel continente. La svolta decisiva nella periodizzazione scelta dall’autore è rappresentata dagli eventi del 1989, che in brevissimo tempo vanno a modificare radicalmente il quadro: la rimozione della cortina di ferro a est produce la storica riapertura alla mobilità tra l’Europa occidentale e quella orientale ma allo stesso tempo la scelta di restringere le modalità con cui chiedere asilo in Europa e la blindatura verso le migrazioni provenienti dagli altri continenti prevista dall’attuazione del Trattato di Schengen inaugurano una stagione di progressiva chiusura dell’Europa rispetto al Mediterraneo, all’Africa e all’Asia. E infatti la seconda metà del libro abbraccia un ambito cronologico molto ristretto (gli ultimi 30 anni, a partire dal quarto capitolo che si apre con l’assedio di Sarajevo del 1992), nel quale gli eventi narrati si moltiplicano pagina dopo pagina e si fanno inevitabilmente molto più vorticosi. A dominare la scena nella prima metà degli anni 90 è la crescita delle domande di asilo verso i Paesi europei, contrastata da ulteriori strette legislative in Francia e Germania, i due Stati che infatti spingono per l’applicazione delle ormai note regole di Dublino, sottoscritte nel 1990. Sempre nella prima metà degli anni 90 l’autore colloca la ripresa su scala globale dei nuovi movimenti islamici di stampo radicale, la cui diffusione inizia ad allarmare i governi europei, che iniziano ad associarla anche alla mobilità migratoria.
Con la seconda metà degli anni 90 si comincia a delineare uno scenario che presenta molti tratti comuni a quello attuale. Se con Schengen l’Italia aveva di fatto ricevuto l’incarico di controllare le frontiere esterne dell’Europa, inizia in questa fase un processo di esternalizzazione del controllo della frontiera verso est e verso sud, che prevede accordi con Libia, Marocco e Tunisia. Prendono corpo movimenti nuovi, come quello tra Albania e Italia, e si moltiplicano gli spostamenti che attraversano il Mediterraneo, che tuttavia trovandosi di fronte un sistema molto più rigido e affidandosi a vettori criminali diventano anno dopo anno sempre più rischiosi: i morti, i naufragi, gli incidenti in mare sono sempre più numerosi. Le stagioni successive sono dominate da eventi che si susseguono in modo sempre più rapido. Ne ricordiamo solo tre, che hanno avuto un impatto molto forte sull’evoluzione delle migrazioni internazionali: l’11 settembre 2001, le cosiddette “primavere arabe” e la crisi economica internazionale. La questione migratoria in Europa e soprattutto in Italia occupa dopo il 2001 uno spazio sempre più centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Il tema dell’asilo – a partire dai nuovi flussi che attraversano il Mediterraneo all’indomani della stagione delle primavere arabe e dei nuovi conflitti che si scatenano – diventa oggetto di contese e di scontri. Del Grande fa notare come anche nei momenti di più grande discussione e mobilitazione attorno all’asilo, agli sbarchi, ai salvataggi in mare sia restata in ombra la necessità di ricostruire un sistema legale di mobilità verso l’Europa capace di superare l’inserimento subalterno degli immigrati nella società e nel mercato del lavoro. Tutta la parte conclusiva del volume è dedicata all’analisi di come e perché sarebbe possibile e realistico ripensare un meccanismo europeo di superamento della politica dei visti, basato sulla libertà di movimento e circolazione, non solo intraeuropea ma anche con Paesi non europei. Un meccanismo capace di superare quello, evidentemente fallimentare, messo in piedi negli ultimi 30 anni, che a detta dell’autore non solo ha provocato morte e sfruttamento ma non ha neanche funzionato. Nelle ultime pagine Del Grande auspica in questo senso una nuova vocazione universalista dell’Europa, capace di guardare al futuro ricomponendo in una unica visione le memorie e le storie di chi è venuto da lontano ed è ormai parte integrante delle società europee, perché «l’Europa non è uno spazio geografico da difendere» (p. 533).
L’autore soffermandosi soprattutto sugli arrivi provenienti dai continenti extraeuropei tiene fuori altre esperienze migratorie che sarebbero state utili da includere. Ad esempio alcuni movimenti migratori intraeuropei considerati illegali hanno avuto non solo una centralità storica indiscutibile nel continente europeo ma hanno anche contribuito a disegnare le forme con cui le classi dirigenti hanno poi costruito l’intera architettura del governo europeo delle migrazioni provenienti da altri continenti. Si pensi alla profonda e duratura esperienza dell’emigrazione clandestina tra Italia e Francia fin dagli anni del fascismo e del dopoguerra, sviluppatasi lungo una linea di confine che ancora oggi è particolarmente calda e delicata (per approfondimenti si veda S. Rinauro, Il cammino della speranza. L’emigrazione clandestina degli italiani nel secondo dopoguerra, Einaudi, 2009). O alla stessa migrazione interna in Italia, che per lungo tempo è avvenuta al di fuori delle regole istituzionali, costringendo alla clandestinità anche coloro che dovevano spostarsi da un Comune all’altro (per approfondimenti si veda il volume di S. Gallo, Senza attraversale le frontiere. Le migrazioni interne dall’Unità a oggi, Laterza, 2012).
Il libro di Del Grande pur contenendo la parola “storia” nel sottotitolo non è propriamente costruito come un libro di storia, si muove in modo disinvolto tra luoghi e periodi differenti e di fatto non utilizza il metodo storico per impostare la narrazione. Non tiene in considerazione la cospicua letteratura scientifica che sia in Italia sia all’estero ha da tempo iniziato ad indagare il tema da lui affrontato (si pensi ad esempio a livello internazionale agli studi di Peter Gatrell e in Italia a quelli di Silvia Salvatici solo per far due esempi tra i moltissimi). Ma questo non si tratta necessariamente di un punto di debolezza: tale approccio permette probabilmente all’universo dei lettori non specialisti di accedere a informazioni e a storie che altrimenti difficilmente sarebbero stati disponibili in un’unica opera. Più che un libro di storia potremmo definirlo un libro di storie, in linea con il suo percorso di reporter, giornalista e scrittore. L’importanza di connettere passato e presente nell’evoluzione dei fenomeni migratori anche al di fuori delle scienze storiche ha prodotto risultati importanti e va indubbiamente incoraggiata, perché può sostenere la diffusione di una cultura dello studio delle migrazioni.
Il volume contiene una gran mole di informazioni, che spaziano dall’analisi dei conflitti locali e globali alle scelte delle classi dirigenti, dal ruolo delle organizzazioni internazionali alla strategia delle mafie e delle organizzazioni criminali, dalle trasformazioni dei mercati del lavoro al razzismo, istituzionale e non. La lettura rischia a tratti di risultare schiacciata da una massa così ampia di materiale, che però alla fine dei conti risulta indispensabile per raggiungere l’obiettivo che si propone Del Grande: comprendere in maniera profonda le radici dello scenario migratorio attuale, con tutte le sue immense e drammatiche criticità. Comprenderlo significa quindi tornare indietro di un secolo e analizzare punto dopo punto tutte le tracce che possono sostenere questo sforzo. Anche perché come suggerisce nelle ultime pagine le alternative e le innovazioni che potrebbero migliorare la situazione sono realistiche e potrebbero contribuire a costruire una nuova storia. Il lavoro da fare, sul presente e sul passato, è ancora molto ma indubbiamente si sta facendo strada la consapevolezza che sull’immigrazione non è più possibile ripartire sempre e comunque da zero: esiste un passato, vicino e lontano, che non si può più ignorare.
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