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Fascicolo 2, Luglio 2024


«Il volontariato, nelle sue diverse forme, è un orgoglio del nostro Paese. Trasmette energia preziosa. I valori che esprime sono parte della cultura e della stessa identità del nostro popolo. Questo è il carattere dell’Italia, ampiamente diffuso nella concreta vita quotidiana, ed è quel che la rende, in conformità alla sua storia, un Paese di grande civiltà.

Contro questa grande civiltà stridono - gravi ed estranei - episodi e comportamenti come quello avvenuto tre giorni fa, quando il giovane Satnam Singh, lavoratore immigrato, è morto, vedendosi rifiutati soccorso e assistenza dopo l’ennesimo incidente sul lavoro.

Una forma di lavoro che si manifesta con caratteri disumani e che rientra in un fenomeno - che affiora non di rado - di sfruttamento del lavoro dei più deboli e indifesi, con modalità e condizioni illegali e crudeli.

Fenomeno che, con rigore e con fermezza, va ovunque contrastato, totalmente eliminato e sanzionato, evitando di fornire l’erronea e inaccettabile impressione che venga tollerato ignorandolo».

Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, 22.6.24

Penale

Il GIP di Lucca valuta la idoneità decettiva della falsa dichiarazione per l’ottenimento del reddito di cittadinanza

GIP Tribunale di Lucca, sent. 5 dicembre 2023 (dep. 11 gennaio 2024), n. 694, Giud. Trinci

 

Con la sentenza allegata il GIP presso il Tribunale di Lucca ha assolto per insussistenza del fatto un cittadino straniero imputato del reato di cui all’art. 7 co. 1 d.l. 4/2019 convertito in l. 26/2019 per aver falsamente dichiarato di essere residente in Italia da più di dieci anni al fine di ottenere il cd. reddito di cittadinanza. Dopo l’accoglimento della domanda, da un accertamento presso l’Ufficio anagrafe del Comune di residenza, era emerso che l’imputato risultava iscritto da dicembre 2016 e, dunque, da un momento non idoneo a integrare il requisito dei dieci anni di residenza in Italia previsto dalla normativa per i cittadini extracomunitari al fine di poter accedere al beneficio del reddito di cittadinanza. 

Il giudice evidenzia, tuttavia, che dalla lettura degli atti emerge che in sede di presentazione della richiesta di reddito di cittadinanza, l’imputato aveva allegato il proprio permesso di soggiorno attestante il suo ingresso in Italia nel 2016. Dunque, ad avviso del giudice, o l’imputato, a causa di una verosimile barriera linguistica, non ha compreso il significato dei fogli che ha firmato, oppure ha utilizzato uno stratagemma del tutto inidoneo ad ingannare il funzionario preposto alla valutazione dell’istanza. Il funzionario INPS, infatti, utilizzando l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto tempestivamente accorgersi dell’assenza dei requisiti previsti, così rigettando la domanda. A nulla rileva, infatti, che la falsa attestazione si sia ex post rivelata efficace per l’ottenimento del beneficio, dal momento che l’idoneità dell’azione decettiva deve sempre essere valutata ex ante.

 

Anche il GIP di Spoleto valorizza il criterio della “presenza effettiva” sul territorio per escludere il reato di falsa dichiarazione del requisito della residenza decennale per l’ottenimento del reddito di cittadinanza 

GIP Tribunale di Spoleto, sent. 16 aprile 2024, n. 104, Giud. Fortunati

 

Sempre in tema di false attestazioni per l’ottenimento del reddito di cittadinanza, si segnala la sentenza con cui il GIP di Spoleto ha dichiarato non luogo a procedersi per il reato ex art. 7 co. 1 d.l. 4/2019 nei confronti di una cittadina romena. In particolare, il giudice, seguendo una oramai consolidata giurisprudenza in materia, ha ritenuto che per lo straniero i requisiti di residenza richiesti dalla normativa sul reddito di cittadinanza devono intendersi riferiti alla effettiva presenza sul territorio italiano e non alla iscrizione anagrafica

Nel caso di specie, dalla documentazione prodotta dal difensore – e, in particolare, dalla stipula nel 2007 del contratto di locazione dell’immobile in cui l’imputata viveva stabilmente – è emerso che l’imputata fosse di fatto residente in Italia da più di 10 anni al momento della presentazione della prima domanda (2019) e di quelle inoltrate successivamente.

 

Per la Cassazione il reato di occupazione di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno è integrato anche dalla condotta di chi, pur non avendo direttamente assunto lo straniero irregolare, se ne avvale tenendolo alle proprie dipendenze

Cass., sez. I, sent. 17 gennaio 2024 (dep. 05 marzo 2024), n. 9421, Pres. Di Nicola, est. Aliffi 

 

Confermando la pronuncia di primo grado, la Corte d’appello di Roma aveva condannato un cittadino rumeno per il reato di cui all’art. 22 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (occupazione di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno). Avverso tale decisione l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo l’erronea applicazione della norma incriminatrice dal momento che, a suo avviso, era stato accertato che lo stesso non fosse il datore di lavoro dei soggetti privi di permesso di soggiorno ma un semplice dipendente a sua volta assunto da altro soggetto, giudicato separatamente. 

La Cassazione – rigettando il motivo di ricorso – ha osservato che l’assunzione o l’ingaggio ad opera di terze persone non può costituire uno “schermo” per porre il datore di lavoro al riparo da ogni responsabilità e che la fattispecie descritta dalla norma non pretende affatto – per l’integrazione del delitto – che il datore di lavoro abbia personalmente assunto lo straniero irregolare, con la conseguenza che risponde del reato di occupazione di lavoratori dipendenti stranieri privi del permesso di soggiorno non soltanto colui che procede all’assunzione di detti lavoratori, ma anche colui che, pur non avendo provveduto direttamente all’assunzione, se ne avvale tenendoli alle proprie dipendenze. 

 

La Cassazione si pronuncia sui requisiti per la configurabilità del reato di reingresso, senza autorizzazione, successivo ad espulsione soffermandosi sul sindacato del giudice della convalida in caso di arresto in flagranza

Cass,. sez. I, sent. 5 ottobre 2023 (dep. 17 gennaio 2024), n. 2082, Pres. Mogini, est. Magi

 

Si segnala una pronuncia della Prima sezione della Corte di cassazione in tema di arresto per il reato di reingresso, senza autorizzazione, successivo ad espulsione, di cui all’art. 13, comma 13-bis, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286.

Nel caso di specie il GIP presso il Tribunale di Torino non aveva convalidato l’arresto di un cittadino straniero eseguito dalla polizia giudiziaria per l’ipotesi di reato di cui all’art. 13 comma 13-bis TUI; il giudice, in particolare, aveva ritenuto che l’applicazione della misura alternativa dell’affidamento in prova in un momento successivo rispetto al provvedimento espulsivo avesse reso insussistente il fumus del reato di reingresso abusivo.

Il Pubblico ministero ha impugnato tale ordinanza deducendo l’erronea applicazione della legge e soffermandosi, nello specifico, sulla fisionomia del controllo “di ragionevolezza” richiesto al giudice della convalida che, a suo avviso, nel caso di specie è stato soppiantato da un “vaglio penetrante e nel merito”.

La Corte ha rigettato il ricorso affermando che in tema di convalida dell’arresto (trattandosi di un sacrificio, seppur temporaneo, del bene primario della libertà personale) la valutazione del giudice non può estendersi all’accertamento dell’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza ma deve, comunque, avere ad oggetto la sussistenza delle condizioni legittimanti la privazione della libertà personale tra le quali è inclusa la configurabilità (non solo astratta) del reato per cui si procede e la sua attribuibilità alla persona arrestata. Perché il reato di cui all’art. 13, co. 13-bis TUI possa essere integrato sono necessari due presupposti: in primis, che l’espulsione sia stata materialmente eseguita e, poi, che il destinatario abbia trasgredito il conseguente divieto di reingresso. La mera presenza del soggetto sul territorio dello Stato e la esistenza di un pregresso provvedimento di espulsione non possono ritenersi elementi sufficienti alla configurazione “in concreto” della flagranza di detta ipotesi di reato, posto che va sempre e comunque verificata l’avvenuta “materiale esecuzione” della espulsione.

 

La precarietà abitativa e l’occasionale uso personale di sostanze stupefacenti non sono sufficienti a costituire indici di pericolosità per l’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione 

Ufficio di Sorveglianza di Bologna, ordinanza n. 2024/513, Giud. De Maria

 

Ai fini dell’applicazione della misura di sicurezza della espulsione, l’Ufficio di Sorveglianza di Bologna è stato chiamato ad accertare la pericolosità sociale di un cittadino marocchino condannato a quattro anni di reclusione per il reato di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti.

Nonostante la presenza di due segnalazioni per violazione dell’art. 75 d.p.r. 309/1990 nel 2023, il magistrato di sorveglianza ha ritenuto di poter dichiarare cessata la pericolosità valorizzando, piuttosto, la relazione dell’UEPE (attestante la revisione critica del comportamento, dovuto in larga parte alla propria storia di marginalità e difficoltà personale), l’assenza di precedenti penali e di carichi pendenti, oltreché una rete di parenti, amici e operatori venutasi a creare nell’ultimo anno, che gli ha consentito di assolvere alle proprie esigenze primarie di cura della persona e domicilio, nonché di ricevere una effettiva proposta di lavoro. A fronte di questo quadro, non possono costituire indici di pericolosità sociale la mera precarietà abitativa e la occasionale ricaduta nell’uso personale di sostanze stupefacenti, trattandosi di “debolezze” che, ad avviso del magistrato, potranno essere fronteggiate proprio grazie all’ausilio della sopra richiamata rete di conoscenze instaurata sul territorio. 

Sito realizzato con il contributo della Fondazione "Carlo Maria Verardi"

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