Gli editoriali dei primi due numeri dell’anno 2024 della Rivista (di Chiara Favilli il n. 1.2024 e di Bruno Nascimbene il n. 2.2024) hanno sapientemente descritto l’intervento del legislatore europeo soprattutto in relazione alle nuove regole del sistema europeo di protezione internazionale, evidenziandone gli aspetti critici, pur nel breve spazio consentito alle “presentazioni” del singolo fascicolo. Oggi siamo al n. 3, di chiusura dell’annata, e non si può non evidenziare la bulimia che, molto più del legislatore europeo, ha caratterizzato quello nostrano negli ultimi due anni. Se qualcosa non è sfuggito, sono 16 gli interventi normativi emanati dal governo italiano dall’autunno 2022 e un 17^ è in fase di pubblicazione in questi giorni di fine ottobre 2024, in rivendicata reazione alle decisioni con le quali vari giudici del Tribunale di Roma non hanno convalidato i trattenimenti di un gruppo di 12 richiedenti asili, provenienti da Egitto e Bangladesh, portati dal Mediterraneo in Albania in esecuzione del Protocollo Italia-Albania, ratificato con legge n. 14/2024.
Enorme produzione normativa, che ha spaziato, tra le altre, dall’inasprimento delle attività delle ONG di salvataggio in mare (d.l. n. 1/2023), all’introduzione di nuove procedure e regole per l’esame delle domanda di protezione internazionale e alla finzione di “non ingresso” in zone che si vorrebbero fuori dai confini nazionali (d.l. n. 20/2023), all’aumento del numero dei Paesi ritenuti di origine sicura dei richiedenti asilo in relazione ai quali applicare le nuove procedure (d.m. 17.3.2023 e d.m. n. 7.5.2024), alle nuove regole di trattenimento anche per richiedenti asilo (d.l. n. 20/2023), all’introduzione di una cauzione per evitarlo (d.l. n. 20/203 e d.m. 10.5.2023 e d.m. 14.9.2023), alla (pretesa) abrogazione della protezione speciale al di fuori della protezione internazionale, ai divieti di conversione in lavoro dei permessi di soggiorno per protezione speciale, per cure mediche, per calamità (d.l. n. 20/2023 e legge conv. n. 50/2023), alla diminuzione delle garanzie per i minori non accompagnati (d.l. n. 133/2023), all’aumento spropositato del costo per l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale per le categorie di persone straniere non iscrivibili automaticamente (legge di bilancio n. 213/2023), alla sottoscrizione con l’Albania di un Protocollo per trattenere i richiedenti asilo in detto Paese e ivi esaminare le loro domande d’asilo se provenienti da Paesi di origine sicura (l. n. 14/2024), alla diminuzione di garanzie processuali per i richiedenti asilo, all’obbligo di collaborare all’identificazione mettendo a disposizione i dispositivi mobili, alla riduzione di garanzie processuali (d.l. n. 145/2024).
In mezzo a questi provvedimenti anche una parziale riformulazione delle regole della decretazione dei flussi d’ingresso per lavoro, verso una sostanziale privatizzazione dei controlli e diminuzione dei tempi procedurali per la conclusione delle pratiche, ma con retromarce repentine non appena “accortesi” che è comunque il sistema in sé a non funzionare e immaginando, però, una “soluzione” a danno dei futuri lavoratori, cioè sospendendo i visti per i lavoratori provenienti da Bangladesh, Pakistan, Sri Lanka perché a rischio di contraffazione di documentazione o per domande di flussi senza i requisiti di legge (d.l. n. 145/2024).
Un tratto attraversa e accomuna la stragrande maggioranza dei provvedimenti legislativi della stagione 2023/2024: la fortissima riduzione del diritto di difesa delle persone straniere, prevalentemente richiedenti asilo ma non solo (si pensi, ad esempio, ai minori soli e al loro accertamento dell’età, effettuato senza effettive garanzie) che, evidentemente, restringe la possibilità stessa di far valere il diritto sostanziale di cui la persona è portatrice. I ridottissimi termini per rivolgersi all’Autorità giudiziaria in caso di diniego di protezione internazionale per coloro i quali (sempre di più) sono assoggettati alle procedure accelerate e di frontiera (in Albania ma anche nella zone di frontiera italiane), l’enorme difficoltà per le persone trattenute negli hotspot o nei Centri per il rimpatrio (C.P.R.) di venire a contatto con avvocati e avvocate competenti in diritto dell’immigrazione e dell’asilo e dunque di avere garantita un’efficace difesa nel brevissimo tempo entro il quale il provvedimento di trattenimento deve essere convalidato dall’Autorità giudiziaria (48 ore), l’automatismo con cui di fatto viene disposto il trattenimento, sono tutti esempi (non gli unici, peraltro) dell’impedimento, oggettivo, dell’’esercizio di diritti fondamentali.
Eppure, la bulimia legislativa ha incontrato spesso la censura dell’Autorità giudiziaria (si vedano le varie Rassegne giurisprudenziali pubblicate), in applicazione della normativa internazionale, di quella unionale e, non da ultimo, di quella costituzionale. Ciò nonostante, va avanti la produzione legislativa, nel tentativo italiano per un verso di anticipare all’attualità le nuove norme dell’Unione europea che entreranno in vigore nel giugno 2026, dall’altro di sperimentare sul terreno quelle previsioni o una propria visione della questione migratoria.
La “questione Albania” è emblematica dell’approccio che permea l’intervento del legislatore italiano, perché è il tentativo, in assenza di effettivi canali regolari di ingresso, di restringere la questione migratoria nel solo sistema asilo e di sperimentare l’esternalizzazione, mediante l’applicazione fuori dal territorio italiano delle nuove procedure di frontiera introdotte nel 2023, con le quali si intendono esaminare in tempi velocissimi le domande d’asilo presentate da richiedenti provenienti da Paesi definiti di origine sicura, i quali, salvati nel Mediterraneo in acque internazionali, non toccano il suolo italiano per vedere processate le loro domande di protezione ma vengono condotti, per l’appunto, in Albania in edifici costruiti dall’Italia su suolo straniero ma nei quali si esercita la giurisdizione italiana (si veda, al riguardo il saggio di E. Celoria e A. De Leo nel n. 1.2024 della Rivista). Questione che si intreccia strettamente con la qualificazione di Paese sicuro di origine che rende possibile l’assoggettamento alle procedure di frontiera o accelerate e su cui si è sviluppato l’ennesimo attacco alla magistratura, accusata di vanificare il Protocollo Italia-Albania e lo schema ivi contenuto. In realtà, il 18 ottobre 2024 il Tribunale di Roma ha annullato il trattenimento di 12 richiedenti asilo portati in Albania e provenienti da Egitto e Bangladesh (Paesi qualificati sicuri dal d.m. maggio 2024), facendo applicazione dei principi affermati dalla Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea il 4 ottobre 2024, causa C-406/2022, che ha escluso che un Paese possa essere definito sicuro se parti del suo territorio non lo sono. Poiché le schede allegate al d.m. maggio 2024 contenevano parti o categorie di persone non sicure, è stato inevitabile l’annullamento dei trattenimenti. Eppure, nonostante l’obbligo per tutte le pubbliche autorità nazionali di conformarsi all’interpretazione della CGUE, il governo ha reagito accusando la magistratura di porsi contro i propri provvedimenti legislativi ma, nel contempo, si sta apprestando a emanare un nuovo decreto-legge che inserisce l’elenco dei Paesi di origine sicura in una fonte primaria e non in un decreto ministeriale, di per sé disapplicabile (si veda il saggio di C. Cudia nel n. 2.2024 della Rivista).
La sfida che si pone davanti a tutti/ i/le giuristi/e è enorme, perché si tratta di garantire alle persone straniere, qualunque sia la loro condizione, di potere effettivamente, non formalmente, esercitare il diritto di difesa, perché se non c’è più, nei fatti, un “giudice a Berlino” vengono meno i diritti fondamentali e a rischio di sparizione è il diritto internazionale dei diritti umani, il diritto costituzionale europeo e quello nazionale. Sfida non di poco conto ed è sempre più preoccupante che tutti e tutte coloro che si occupano, a diverso titolo e ruolo, in questo “settore” siano sempre più spesso minacciati, anche a livello individuale. Ma questa è un’ulteriore questione su cui la Rivista proporrà in futuro approfondimenti.
Alcuni dei variegati interventi legislativi della stagione 2023-2024 e dei loro effetti sono già stati oggetto di analisi in questa Rivista, altri sono pubblicati in questo fascicolo, altri ne seguiranno.
In questo numero l’intervento di V. Carlino si occupa della Tunisia, uno dei Paesi definiti dall’Italia di origine sicura, offrendo interessanti spunti che mettono in discussione tale qualificazione e la presunzione di sicurezza che ne consegue. S. Borràs-Pentinat e A. Cossiri trattano, invece, la questione di migranti forzati per cause climatiche ai fini del riconoscimento di una forma di protezione e questo non può non riguardare, ad esempio, anche il Bangladesh, pure esso inserito nei Paesi di origine sicura. In tema di trattenimento nei Centri per il rimpatrio (CPR) N. Cocco, C. Di Luciano, C. L. Landri e G. Papotti affrontano la delicatissima e importante questione della tutela della salute in quei luoghi, mostrandone tutte le criticità anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani. Tema estremamente importante in un contesto normativo europeo in cui si sta sempre più allargando l’uso della detenzione amministrativa, anche per richiedenti asilo.
Altri saggi analizzano questioni generali del diritto dell’immigrazione e dell’asilo, al di là della contingenza normativa, e dunque M. Spatti commenta la recente pronuncia della Corte di giustizia dell’11.6.2024, causa C-646/21, che ricomprende le donne richiedenti asilo nella definizione di “gruppo sociale”, perseguitato o discriminato in ragione del genere di appartenenza. C. Costano e R. Dalla Costa offrono un’analisi degli effetti della riforma 2023 dell’istituto della protezione speciale, rappresentando l’esperienza della Clinica legale dell’Università di Palermo, mentre M. Veglio, soffermandosi sul diritto al rispetto della vita privata (art. 8 CEDU) e l’approccio ad esso della Corte di giustizia, della Corte di Strasburgo e della nostrana Cassazione, muove da un originale punto di vista, cioè la negazione del desiderio di vita delle persone straniere. P. Morozzo della Rocca affronta la questione dell’accesso delle persone straniere disabili alla cittadinanza italiana, evidenziando i vari ostacoli che incontrano. Infine, la questione della discriminazione che le persone straniere subiscono viene affrontata in due interventi: A. Guariso presenta riflessioni sulla pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea del 29 luglio 2024, causa C-112/22, che ritenendo incompatibile con il diritto europeo il requisito di 10 anni di residenza per accedere al reddito di cittadinanza, ha posto rimedio all’ennesimo profilo di discriminazione che il legislatore italiano, da decenni, attua ai danni delle persone straniere; M. V. Matijevic e A. M. Zsravkovic affrontano, invece, la questione più generale della definizione giuridica di discriminazione strutturale e la sua relazione con l’uguaglianza sostanziale.
Dunque, un numero della Rivista ricco di spunti di conoscenza e riflessione.