FAMIGLIA
La mancanza di un reddito minimo non è ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno, se il richiedente è partner convivente di cittadino italiano.
Con la
sentenza 31.10.2017, n. 5040, il Consiglio di Stato torna ad occuparsi della insufficienza del reddito ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno,
rispetto alla quale già con la sentenza n. 2398/2017 aveva affermato che essa non costituisce una causa ostativa automatica, in presenza di legami familiari stabili dello straniero in Italia.
Il caso che si prospetta è quello di una donna straniera che ha un legame di convivenza stabile con un cittadino italiano (situazione allegata nel procedimento e poi provata in sede giurisdizionale), il quale è anche, almeno surrettiziamente, il suo datore di lavoro domestico. Secondo il Consiglio di Stato la questura, anziché dare rilievo soltanto all’insufficienza del reddito e al carattere fittizio del rapporto di lavoro, avrebbe dovuto tenere in considerazione il rapporto di convivenza, rilasciando all’interessata un permesso di soggiorno per motivi familiari ai sensi dell’art. 30, co. 2, lett. b) del TU imm. La relazione stabile debitamente attestata deve infatti beneficiare in via analogica dello stesso trattamento previsto per le unioni matrimoniali, ché altrimenti risulterebbe violato il principio costituzionale di eguaglianza e la normativa italiana si porrebbe in contrasto con il nuovo concetto di famiglia, quale emergente dalla recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che va nella direzione di riconoscere come vita privata e famigliare anche la condizione della coppia di fatto (Pajic c. Croazia, 23.2.2016). Pertanto si giustificherebbe, secondo il Consiglio di Stato, l’applicazione in via analogica delle disposizioni sulle unioni matrimoniali alle convivenze stabili debitamente accertate, ancorché le riforme introdotte con legge n. 76/2016 non siano state ancora adeguatamente coordinate con la normativa in materia di immigrazione.
MINORI
È illegittimo il respingimento immediato alla frontiera di un minore non accompagnato senza il previo esperimento delle garanzie procedurali previste dalla legislazione francese.
Con una decisione di grande importanza (
ordinanza 22.1.2018, n. 1800195
), il Tribunale amministrativo di Nizza ha dichiarato l’illegittimità del respingimento immediato alla frontiera di un minore non accompagnato eritreo di 12 anni che, fermato alla stazione di Menton, era stato immediatamente rinviato in Italia caricandolo sul treno per Ventimiglia. Il Tribunale amministrativo di Nizza ha stabilito che, cosi facendo, le autorità francesi hanno violato le garanzie procedurali stabilite dalla legge francese, a cominciare dalla nomina di un tutore provvisorio, e ha ordinato al prefetto della Regione Alpes-Maritimes di prendere contatto con le autorità italiane al fine di rilasciare al minore un salvacondotto che gli consenta di presentarsi al posto di polizia di frontiera di Menton e di richiedere al Procuratore della Repubblica di nominare un tutore provvisorio, di ricevere un’informazione completa in lingua tigrina circa i suoi diritti e i suoi doveri in materia di asilo e, infine, di informare il presidente del Consiglio dipartimentale (competente per le misure di accoglienza) perché questi esamini la situazione del minore.
Se vi sono elementi contrastanti circa la verifica dell’età, la PA ha l’obbligo di condurre accertamenti e di applicare in via residuale il criterio della presunzione della minore età.
Pur precisando preventivamente che la vicenda affrontata dal Consiglio di Stato con la
sentenza 29.12.2017, n. 6191 è antecedente all’entrata in vigore della c.d. «legge Zampa» (legge n. 47/2017), che all’art. 5 disciplina le procedure da seguire per l’identificazione e l’accertamento dell’età dei migranti, permangono diversi motivi di interesse nella pronuncia in commento.
La sentenza del Consiglio di Stato ha ad oggetto il rigetto di una domanda di permesso di soggiorno per minore età presentata da un cittadino del Bangladesh che, all’arrivo a Pozzallo, aveva dichiarato una data di nascita in base alla quale risultava maggiorenne. In seguito però esibiva un certificato di nascita in base al quale risultava essere entrato in Italia come minore non accompagnato e come tale veniva sottoposto a tutela da parte del Tribunale per i minorenni di Genova, mentre la Commissione territoriale per la protezione internazionale gli riconosceva il permesso di soggiorno per motivi umanitari in considerazione della sua vulnerabilità, in quanto minorenne. La questura di Genova continuava però a considerarlo maggiorenne e pertanto, pur non avendolo mai sottoposto ad esami clinici, respingeva la richiesta di permesso per minore età sulla base delle generalità dichiarate a Pozzallo: una posizione che veniva confermata dal Tar sulla base del «principio di autoresponsabilità». D’altro canto lo stesso Tribunale amministrativo faceva propri i dubbi esposti dalla PA circa la validità del certificato di nascita e l’idoneità di un certificato medico prodotto in giudizio, recante una valutazione di compatibilità con l’età anagrafica di minorenne.
La sentenza del Consiglio di Stato fa leva su due principi fondamentali, che devono trovare applicazione in via graduata tutte le volte che vi sia un dubbio circa la minore età, al fine di evitare il rischio di ledere i diritti inviolabili del minore. Il primo principio, ricavabile innanzitutto dalle disposizioni sull’interesse superiore del fanciullo della Convenzione di New York del 1989 (art. 3), ma anche dal diritto interno (art. 28, co. 3, d.lgs. 286/98), obbliga l’amministrazione a condurre tutti gli opportuni accertamenti istruttori, a cominciare da quelli di carattere medico, al fine di determinare l’età del minore, anziché basare le proprie determinazioni sulle dichiarazioni rese subito dopo l’arrivo in Italia da un soggetto che, se minorenne come è stato riconosciuto dal Tribunale per i minorenni e dalla Commissione, non aveva all’epoca la capacità di agire. Qualora peraltro anche a seguito degli accertamenti istruttori persistesse l’incertezza circa l’età dell’interessato, troverebbe applicazione il principio di presunzione della minore età, già riconosciuto in ambito penale dall’art. 8, co.. 2, del d.p.r. 448/1988 e, per i minori non accompagnati vittime di tratta, dall’art. 4 d.lgs. 24/2014, ed ora sancito per tutti i minori non accompagnati dall’art. 5, co. 8, della «legge Zampa», che stabilisce che «Qualora, anche dopo l’accertamento socio-sanitario, permangano dubbi sulla minore età, questa si presume ad ogni effetto di legge».
Lo straniero che chiede al Tribunale per i minorenni la speciale autorizzazione alla permanenza in Italia, di cui all’art. 31, co. 3, d.lgs. 286/98, può beneficiare del patrocinio a spese dello Stato anche se non è regolarmente soggiornante.
Con l’importante
sentenza 5.1.2018, n. 164, la Corte di cassazione, sez. II civile, estende in via interpretativa la possibilità di essere ammessi al beneficio del patrocinio a spese dello Stato anche a quegli stranieri che, versando in condizione di irregolarità, si rivolgono al Tribunale per i minorenni per ottenere la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore che si trova in territorio italiano, di cui all’art. 31, co. 3, TU immigrazione.
La questione si pone in quanto l’art. 119 del d.p.r. n. 115/2002 (Testo unico delle spese di giustizia), prevede che il beneficio sia assicurato anche allo straniero, purché «regolarmente soggiornante sul territorio nazionale al momento del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del processo da instaurare». In senso strettamente letterale, dunque, non dovrebbero esserci dubbi circa l’esclusione dal novero dei possibili beneficiari del patrocinio a spese dello Stato di quegli adulti che si rivolgono al Tribunale per i minorenni per ottenere la speciale autorizzazione temporanea alla permanenza in territorio italiano di cui all’art. 31. In tali casi, infatti, chi propone ricorso al Tribunale per i minorenni è per definizione uno straniero privo di validi documenti di soggiorno. Osserva però in proposito la Suprema Corte che «il patrocinio a spese dello Stato rappresenta una implicazione necessaria del diritto di difesa costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.)» e che pertanto, onde evitare che si verifichi una «lesione del principio di effettività della tutela giurisdizionale», il concetto di «straniero regolarmente soggiornante» deve essere interpretato in senso estensivo, cosi da ricomprendervi anche chi ha in corso un procedimento dal quale può derivare il rilascio di un permesso di soggiorno (nel caso di specie, il permesso per “assistenza minore” di cui all’art. 29, co. 6, d.lgs. 286/98, di durata corrispondente a quella stabilita dal Tribunale per i minorenni).