Nel corso del primo quadrimestre del 2019 sono intervenute due attese pronunce della Corte costituzionale in relazione alla natura discriminatoria o meno del requisito del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo richiesto sia per l’assegno sociale, sia per l’assegno di maternità, sia per l’assegno nucleo famigliare.
Assegno sociale
La Corte costituzionale con sentenza n. 50 depositata il 15 marzo 2019 ha ritenuto non fondata l’eccezione di costituzionalità sollevata dai giudici del lavoro di Bergamo e di Torino in relazione al requisito, ritenuto discriminatorio, del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo
(ex carta di soggiorno) affermando che il legislatore può legittimamente prevedere specifiche condizioni per il godimento delle prestazioni assistenziali eccedenti i bisogni primari della persona, in considerazione dell’inserimento socio-giuridico del cittadino extracomunitario nel contesto nazionale, come certificato dal permesso di soggiorno UE di lungo periodo, al quale l’ordinamento fa conseguire il riconoscimento di peculiari situazioni giuridiche che equiparano il cittadino extracomunitario – a determinati fini – ai cittadini italiani e comunitari. La Corte costituzionale ha richiamato la propria precedente giurisprudenza sottolineando che l’elemento di discrimine basato sulla cittadinanza è stato ritenuto in contrasto con l’art. 3 Cost. e con lo stesso divieto di discriminazione formulato dall’art. 14 CEDU «solo con riguardo a prestazioni destinate al soddisfacimento di bisogni primari e volte alla garanzia per la stessa sopravvivenza del soggetto (sentenza n. 187 del 2010) o comunque destinate alla tutela della salute e al sostentamento connesso all’invalidità (sentenza n. 230 del 2015), di volta in volta con specifico riguardo alla pensione di inabilità, all’assegno di invalidità, all’indennità per ciechi e per sordi e all’indennità di accompagnamento (sentenze n. 230 e n. 22 del 2015, n. 40 del 2013, n. 329 del 2011, n. 187 del 2010, n. 11 del 2009 e n. 306 del 2008)».
Assegno di maternità di base e Assegno per nucleo famigliare: l'ordinanza della Corte costituzionale
La Corte Costituzionale con ordinanza n. 52 depositata il 15 marzo ha dichiarato inammissibile per entrambe le prestazioni la questione sollevata dal Giudice del Lavoro di Torino, per contrasto con gli artt. 3, 10, co. 2 in relazione all’art. 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), e 38 della Costituzione, in relazione alla limitazione prevista nell’accesso alle prestazioni ai soli titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo.
La Corte costituzionale ha ribadito quanto esposto in una precedente ordinanza (n. 95 del 2017), evidenziando che il giudice remittente avrebbe dovuto prendere in esame la direttiva 2011/98/UE ed, in particolare, il principio di parità di trattamento di cui all’art. 12 come interpretato dalla Corte di giustizia e segnatamente la parità di trattamento fra cittadini italiani e cittadini extracomunitari per quanto concerne i settori della sicurezza sociale e valutarne l’applicabilità nel caso sottoposto al suo giudizio.
Si tratta quindi di una pronuncia che rafforza l’orientamento giurisprudenziale affermatosi in primo grado ed in appello che riconosce la diretta applicabilità dell’art. 12 della direttiva 2011/98 con conseguente disapplicazione delle norme nazionali sulla base delle quali l’INPS rifiuta la erogazione delle prestazioni sociali.
Assegno per il nucleo famigliare: le ordinanze della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, pur concordando con le numerose pronunce dei giudici di merito circa la diretta applicabilità da parte dell’INPS delle clausole contenute nelle direttive n. 2003/109 e n. 2011/98 che impongono parità di trattamento tra italiani e stranieri, ha chiesto alla Corte di Giustizia di verificare se lo Stato italiano, mantenendo nell’ordinamento la differenza di trattamento (il lavoratore italiano può computare nel nucleo il familiare all’estero, lo straniero non può), abbia operato entro i limiti di derogabilità consentiti o meno. In precedenza anche le Corti di Appello di Milano, Genova e Torino avevano ritenuto che non può qualificarsi come deroga il mero mantenimento in vita di norme emanate (come quella sugli ANF) prima della entrata in vigore della direttiva, dovendo le deroghe ai vincoli del diritto dell’Unione essere espresse. In particolare per quanto riguarda la direttiva lungo soggiornanti (direttiva 2003/109) rileva la previsione secondo la quale lo Stato membro «può̀ limitare la parità̀ di trattamento ai casi in cui il soggiornante di lungo periodo, o il familiare per cui questi chiede la prestazione, ha eletto dimora o risiede abitualmente nel suo territorio». Invece, per quanto concerne la direttiva sul permesso unico lavoro (direttiva 2011/98), il dubbio deriva dal considerando 24 della direttiva stessa secondo il quale «La presente direttiva dovrebbe conferire diritti soltanto in relazione ai familiari che raggiungono lavoratori di un paese terzo per soggiornare in uno Stato membro sulla base del ricongiungimento familiare ovvero ai familiari che ghià soggiornano regolarmente in tale Stato membro». A quest’ultimo riguardo la Corte di Cassazione ha chiesto se il computo del familiare residente all’estero «conferisce un diritto» a quest’ultimo, o se il diritto resta quello del lavoratore in Italia, mentre il familiare opera solo come «criterio di calcolo» dell’importo dell’assegno: in questo secondo caso vi sarebbe violazione della direttiva, con la conseguenza che anche tutti i titolari di permesso unico lavoro potrebbero accedere agli ANF, come gli italiani, per le loro famiglie disperse su più territori nazionali (ordinanze interlocutorie n. 9021 e 9022 del 1 aprile 2019).
Assegno di maternità di base
In relazione alla suddetta prestazione il Tribunale di Padova ha chiarito che, per l’accesso alla prestazione prevista dall’art. 74, d.lgs 151/2001, deve ritenersi sufficiente la sussistenza del requisito della residenza nel territorio della Repubblica Italiana al momento dell’istanza amministrativa sia in quanto opzione interpretativa maggiormente tutelante dello stato di maternità alla luce del dettato costituzionale (art. 31 Cost.), sia in quanto imposta dall’obbligo «della interpretazione conforme rispetto all’art. 34 CDFUE», il quale stabilisce che «l’Unione riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità […]», trattandosi di materia di competenza del diritto dell’Unione «in quanto coperta dall’ambito applicativo del Regolamento CE n. 883/2004 (ai sensi del quale devono essere considerate prestazioni sociali sia quelle prettamente pensionistiche sia quelle aventi carattere assistenziale in quanto non sorrette da meccanismi contributivi e finanziate dalla fiscalità generale, come l’assegno di maternità)». Inoltre ha ritenuto non applicabile al caso in esame l’art. 2, co. 2 del d.p.c.m. n. 452/2000, il quale stabilisce il requisito della residenza nel territorio dello Stato al momento della nascita del figlio, «atteso che tale norma regolamentare si riferisce non alla prestazione stabilita dall’art. 74 del d.lgs. n. 151/2000, la quale grava sul Comune di residenza ed ha natura non contributiva, bensì sulla diversa prestazione di natura contributiva a carico dello Stato stabilita dall'art. 49 della legge 22 dicembre 1999, n. 488» (sentenza n. 223 del 12 febbraio 2019 in Banca dati Asgi).