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Fascicolo 2, Luglio 2019


«L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».

(Italo Calvino, Le città invisibili, Torino, Einaudi, 1978)

 

Ammissione e soggiorno

Conversione del permesso di soggiorno
Con sentenza n. 1156 del 19.2.2019 il Consiglio di Stato ha riformato la decisione n. 743/2018 del Tar Emilia Romagna, Bologna, di rigetto del ricorso proposto da un cittadino straniero avverso il provvedimento questorile di irricevibilità della domanda di conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a lavoro, motivato sulla tardività della richiesta.
Il giudice d’appello ha annullato dette decisioni, affermando la natura non perentoria del termine entro il quale deve essere chiesto il rinnovo o la conversione del titolo di soggiorno, ex art. 5, co. 4 TU 286/98: «la domanda di conversione del permesso di soggiorno stagionale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato, deve essere coordinato con l’art. 5, co. 4 del medesimo decreto legislativo, che prevede che la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno debba essere presentata entro i 60 giorni dalla scadenza, riconoscendo a tale termine natura sollecitatoria e non perentoria, in quanto la disposizione dell’art. 5 co. 4 non contempla alcuna sanzione in caso di mancato rispetto del termine medesimo, mentre le disposizioni di natura preclusiva sono di stretta interpretazione e, quindi, in mancanza di espresso richiamo, non possono essere applicate per analogia (cfr. Cons. St., III, 17 luglio 2018, n. 4332; 14 giugno 2017, n. 2924). Ne deriva che anche una presentazione tardiva della domanda di conversione comporta l’obbligo da parte dell’Amministrazione di esaminare la domanda (sez. III, 29 gennaio 2016, n. 372). Sotto tale profilo deve essere anche richiamato l’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, che prevede l’espulsione quando lo straniero si sia trattenuto nel territorio dello Stato, quando il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo».
Il Consiglio di Stato ha, inoltre, affrontato la questione del mancato preavviso di rigetto (ex art. 10-bis legge 241/90 e s.m.) che aveva caratterizzato il provvedimento del questore, richiamando la giurisprudenza secondo cui tale omissione non comporta un automatico annullamento del provvedimento, dovendosi accertare se la decisione finale non poteva essere diversa da quello poi effettivamente adottata. Tuttavia, nel caso di specie tale omissione è stata rilevante «poiché il provvedimento del questore è basato sulla mancanza di idonea documentazione presentata da parte dell’interessata, tanto da avere concluso il procedimento con un provvedimento di irricevibilità, è evidente che l’Amministrazione avrebbe dovuto dare previa comunicazione di tali profili di irricevibilità, consentendo l’integrazione della documentazione. La mancanza del preavviso di rigetto non era quindi certamente superabile ai sensi dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, potendo essere utile l’apporto dell’interessata proprio al fine di presentare la richiesta della quota di ingresso allo Sportello unico per l’immigrazione».
Ha, dunque, censurato la sentenza del Tar Bologna secondo cui la violazione dell’art. 10-bis legge 241/90 era superata dalla mera tardività (peraltro di soli 12 giorni) del termine entro il quale il cittadino straniero doveva presentare l’istanza di rinnovo.
Con ordinanza n. 185/2019 del 19.3.2019 il Tar Toscana, in sede cautelare, ha sospeso l’efficacia del provvedimento con cui il questore aveva dichiarato irricevibile la domanda di conversione del permesso di soggiorno da famiglia a lavoro, invitando la questura a tenere conto dell’intervenuta autorizzazione al soggiorno dei genitori del ricorrente, emessa dal Tribunale per i minorenni ai sensi dell’art. 31, co. 3 TU 286/98, al fine di salvaguardare il diritto all’unità familiare.

Con ordinanza n. 95 del 7.3.2019 il Tar Piemonte ha sospeso l’efficacia del provvedimento con cui la prefettura di Alessandria aveva negato la conversione del permesso di soggiorno da lavoro subordinato a lavoro. Pur nella sommarietà dell’esame dell’impugnazione, caratteristica della fase cautelare, il giudice regionale ha affermato innanzitutto che il termine di 60 gg. dalla scadenza del permesso di soggiorno, entro cui deve essere chiesto il rinnovo, ha «natura sollecitatoria e non perentoria», richiamando la giurisprudenza del Consiglio di Stato. Inoltre ha ritenuto che «la documentazione presentata dal ricorrente pare essere idonea a provare la sussistenza di un’offerta di contratto di lavoro subordinato».

Rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro
Con sentenza n. 1865/2019 il Consiglio di Stato ha annullato il provvedimento con cui il questore di Novara aveva diniegato, nel 2016, il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo ad una cittadina nigeriana sul presupposto del mancato svolgimento di attività lavorativa dal 2014 e della assenza di dichiarazione dei redditi presentata all’Agenzia delle entrate. Annullamento che ha travolto anche la sentenza del Tar Piemonte che aveva, invece, respinto il ricorso ritenendo insussistente il diritto al rilascio di un permesso per attesa occupazione ed irrilevante la presenza ventennale in Italia della ricorrente sicché non dimostrati i vincoli familiari.
Il Consiglio di Stato ha preso atto della produzione in giudizio di documentazione amministrativa e fiscale attestante lo svolgimento di attività lavorativa autonoma, pur successiva al provvedimento impugnato, e già in sede cautelare aveva invitato la questura di Novara a considerare gli elementi nuovi sopravvenuti. Invito disatteso, però, dalla predetta autorità di p.s.
Accogliendo l’appello della cittadina straniera, il Consiglio di Stato ha affermato, innanzitutto che «la mancata produzione di reddito non può considerarsi provata, se non in via meramente presuntiva, dalla riscontrata mancata osservanza degli obblighi fiscali e previdenziali, visto che l’evasione fiscale, di per se stessa, non rappresenta, né sotto il profilo probatorio né sotto quello sostanziale, un elemento valido ad escludere l'effettivo svolgimento da parte dell'immigrato di un’attività lavorativa c.d. irregolare, sia essa autonoma o dipendente».
Inoltre, alla cittadina straniera doveva essere quantomeno rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione e doveva essere considerata la produzione documentale, prima del diniego di rinnovo del permesso, attestante l’inizio di un’attività lavorativa autonoma (iscrizione alla Camera di commercio in qualità di venditrice ambulante), in quanto deve essere svolto un giudizio prognostico per il futuro anziché considerare esclusivamente il reddito prodotto nel passato («secondo la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio di Stato (Cons. St., sez. III, n. 2928/2017, n. 269/2017 e n. 2730/2016 ex multis), la questura, in presenza di un’attività lavorativa di recente avvio, più che valutare il reddito prodotto dal momento di inizio dell’attività medesima, deve compiere un giudizio prognostico sulle caratteristiche del nuovo rapporto di lavoro, conseguendo, in tal guisa, il risultato non solo di valutarne l’intrinseca affidabilità come fonte di reddito lecito, ma, altresì, quello di evitare di penalizzare l’immigrato che, per una mera contingenza, non si veda apprezzata la effettiva redditività annua di una nuova occupazione, laddove reperita soltanto in epoca ravvicinata alla presentazione dell’istanza di rinnovo del titolo di soggiorno»).
Infine, il Consiglio di Stato ha valorizzato la risalente presenza in Italia della cittadina nigeriana, tale da ritenere sussistenti i presupposti per il rilascio di un permesso UE di lungo soggiorno, dovendosi considerare «il consolidato vincolo instaurato dall’immigrata con l’ambiente socio economico in cui vive, derivante dalla lunga permanenza in Italia nel sostanziale rispetto delle norme a tutela della sicurezza pubblica e dell’ordinato andamento della vita quotidiana dei cittadini».

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