Si segnala anzitutto la pronuncia della Corte costituzionale 5.12.2019, n. 254 che, accogliendo le eccezioni sollevate dal Tar Lombardia in materia di localizzazione dei luoghi di culto introdotte dalla legge regionale della Lombardia n. 2 del 2015, ha rilevato che le stesse, ponendo ostacoli alla programmazione delle attrezzature religiose da parte dei Comuni, determinavano una forte compressione della libertà religiosa,
che poteva spingersi sino a negare la libertà di culto, senza che a ciò corrisponda un reale interesse di buon governo del territorio pubblico.
Nel corso del terzo quadrimestre del 2019 le più numerose pronunce in tema di discriminazione hanno riguardato ancora i rapporti dei cittadini stranieri con gli enti locali o con l’INPS.
Divieto di iscrizione anagrafica
L’introduzione, ad opera dell’art. 13 co. 1, lett. a), n. 2) del d.l. n.113/18 convertito nella legge n. 132/2018, del co. 1-bis all'art. 4, d.lgs. 18.8.2015, n. 142 per il quale: «Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 [ossia, il permesso di soggiorno per i richiedenti asilo] non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell'articolo 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286» ha avuto come immediata conseguenza il rifiuto da parte di alcuni Comuni di operare l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo. Anche in questo periodo si sono succedute pronunce dei Tribunali di Bologna (23.9.2019), di Catania (1.11.2019), di Roma (25.11.2019), di Lecce (6.12.2019) e Firenze (7.12.2019) che hanno affermato la sussistenza del diritto all'iscrizione anagrafica del titolare del permesso di soggiorno per richiesta asilo (che deve ritenersi legittimamente soggiornante in Italia dalla formalizzazione della sua domanda nel modello C/3). In particolare il Tribunale di Firenze ha affermato che, nelle more del pronunciamento della Corte costituzionale, va operata un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 13 d.l. n.113/2018 che non ha espressamente abrogato l'art. 6, co. 7 del TU; ed il Tribunale di Lecce ha sottolineato che la mancata iscrizione anagrafica impedirebbe allo straniero il godimento dei diritti di rango costituzionale che analiticamente elencava (vedi entrambe in Banca dati Asgi).
È opportuno segnalare che il Tribunale di Ferrara, in sede di reclamo avverso la ordinanza ex art.700 c.p.c. che aveva sollevato eccezione di illegittimità costituzionale della sopra citata norma ed aveva ordinato al Comune l’iscrizione anagrafica dello straniero nelle more della decisione della Corte costituzionale, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta dal Comune in quanto, essendo il giudizio sospeso in attesa del pronunciamento della Corte, nessuna ulteriore decisione poteva essere presa dal tribunale (provvedimento del 28.11.2019 in Banca dati Asgi).
Bonus famiglia
Il Tribunale di Pavia ed il Tribunale di Bergamo hanno nuovamente ribadito, con ordinanza rispettivamente del 27.11.2019 e del 30.12.2019 (in Banca dati Asgi), che costituisce discriminazione indiretta in danno degli stranieri la previsione, da parte della Regione Lombardia, del requisito di cinque anni di residenza nella Regione per entrambi i genitori al fine di attribuire il bonus famiglia riservato alle famiglie con ISEE inferiore a 20.000 euro e con attestazione di vulnerabilità da parte dei servizi sociali del Comune evidenziando che, pur essendo previsto sia per italiani che per stranieri, è destinato ad incidere quasi esclusivamente sugli stranieri, essendo del tutto eccezionale che l'intero nucleo familiare possa far ingresso contemporaneamente sul territorio nazionale, ed essendo invece normale il caso di un coniuge che faccia ingresso in Italia separatamente dall'altro, il quale si ricongiunge in un secondo momento, spesso a distanza di tempo.
Reddito di cittadinanza
Il Tribunale di Brescia con ordinanza 27.9.2019 (in Banca dati Asgi) si è pronunciato in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c. in relazione al ricorso presentato da un titolare di status di rifugiato la cui domanda di reddito di cittadinanza risultava bloccata in conseguenza delle disposizioni della circolare INPS n. 100/2019. Nelle more del giudizio l’INPS aveva evaso la domanda riconoscendo che i titolari di status di rifugiato non hanno l’onere di produrre alcuna documentazione stante la tipologia del loro titolo di soggiorno.
Discriminazione in base alla nazionalità e legittimazione degli enti di cui all’art. 5, d.lgs. 215/2003
La Corte di Cassazione, con sentenza 7.11.2019 (in Banca dati Asgi), ha sottolineato che gli enti e le associazioni iscritti nell’elenco di cui all’art. 5, d.lgs. 215/2003 hanno legittimazione attiva non solo nelle controversie in materia di discriminazioni basate sulla etnia e razza, ma anche in quelle basate sulla nazionalità, essendo ciò funzionale all’esigenza di apprestare la tutela, attraverso un rimedio di natura inibitoria, ad una serie indeterminata di soggetti per contrastare il rischio di una lesione avente natura diffusiva e che quindi deve essere, per quanto possibile, prevenuta o circoscritta nella sua portata offensiva. Non sarebbe, pertanto, ammissibile una interpretazione delle norme che, per il solo fattore nazionalità, escluda tale legittimazione che è invece prevista per tutti gli altri fattori.
Discriminazione per motivi religiosi
La Corte di Appello di Milano con sentenza del 28.10.2019 (in Banca dati Asgi), nel confermare la decisione del Tribunale di Milano, ha affermato che l’obbligo alla rimozione del velo integrale per le donne musulmane che debbano fare ingresso nei presidi sanitari della Regione Lombardia non costituisce discriminazione per motivi religiosi, perché lo svantaggio imposto dai cartelli apposti all’ingresso dei presidi sanitari sulla base della DGR n. 4553 del 10.12.2015 è proporzionato e ragionevole poiché limitato nel tempo e circoscritto nel luogo SSR e giustificato da ragioni di pubblica sicurezza, in quanto per le caratteristiche dei luoghi e la grande frequentazione degli utenti, è difficile prevedere idonee forme di identificazione.
Condizione di reciprocità: riconoscimento del titolo di abilitazione alla professione e iscrizione all’albo degli odontoiatri
Merita infine di essere segnalata la decisione della
Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie (CCEPS) del 27.6.2019 n. 13
che chiude una lunga (decennale!) diatriba relativa all’iscrizione all’albo degli odontoiatri di un medico siriano che aveva conseguito nel 1988 il diploma di Chirurgien dentiste presso l’Università libanese, ma che si era visto negare l’iscrizione dal Consiglio direttivo dell’Ordine di Milano.
Sintetizzando la vicenda nei suoi passaggi essenziali e di interesse ai nostri fini, occorre ricordare, in via preliminare, che ai sensi dell’art. 9, co. 2 del d.lg C.p.S. del 13.9.1946, n. 233 «possono essere anche iscritti all'albo gli stranieri che abbiano conseguito il titolo di abilitazione in Italia o all'estero, quando siano cittadini di uno Stato con il quale il Governo italiano abbia stipulato, sulla base della reciprocità, un accordo speciale che consenta ad essi l'esercizio della professione in Italia, purché dimostrino di essere di buona condotta e di avere il godimento dei diritti civili». In virtù, poi, di uno Scambio di note del 1958 tra l’Italia e la Repubblica Araba Unita si convenne «l'application du principe de la réciprocité entre la Syrie et l'Italie, pour l'exercise de la profession medicale. En conséquence, les médecins de nationalité syrienne seront autorisés à exercer leur profession en Italie aux mémes conditions que les médecins italiens seront autorisés à exercer leur profession en Syrie». Infine la Corte di Cassazione con una sentenza del 2000 (22.11.2000, n. 150789) aveva avuto modo di censurare una decisione della CCEPS con la quale era stata negata l’iscrizione ad un cittadino siriano che aveva conseguito il titolo di dottore in odontoiatria ad Aleppo, in quanto l’accordo del 1958 non sarebbe stato estensibile agli odontoiatri. La Cassazione sottolineò invece che essendo la professione odontoiatrica una professione medica, anche l’odontoiatra (a parte il restringimento dell’ambito nel quale opera) esercita la professione di medico; e conseguentemente cassava la decisione della CCEPS.
Tornando al caso qui in esame, il Consiglio dell’ordine dei medici e degli odontoiatri di Milano, (nel 2009), e la CCEPS, poi (nel 2011), avevano negato l’iscrizione, in quanto, avendo il richiedente ottenuto il titolo di studio in Libano, il succitato accordo non poteva essere esteso ai titoli conseguiti in un paese terzo, ancorché successivamente dichiarati equipollenti in Siria. Tornata, però, alcuni anni più tardi la questione alla CCEPS a seguito di una sentenza della Corte costituzionale e di un’ordinanza della Cassazione relative alla composizione della Commissione centrale stessa, il Collegio è giunto a contestare il distinguo precedentemente fatto fra titoli conseguiti in Siria, e titoli conseguiti in paesi terzi e successivamente riconosciuti in Siria, in quanto il tenore letterale dell’accordo «fa riferimento all’esercizio dell’attività medica e, quindi, presuppone una automatica corrispondenza e validità dei titoli presupposti». E poiché non appare in discussione che il ricorrente fosse pienamente abilitato all’esercizio dell’attività professionale in Siria, doveva ritenersi pienamente applicabile l’accordo e quindi da accogliere la richiesta di iscrizione.
Il caso in questione merita di essere segnalato anche perché vi ha trovato applicazione la condizione di reciprocità, che per molti profili e per molte situazioni è invece ormai superata (vedi art. 2, co. 2 TU).