In questo numero della Rivista passiamo in rassegna le più significative decisioni in materia di espulsioni e trattenimento relative al periodo maggio-agosto del corrente anno. Tuttavia, è noto che la pandemia Covid-19 ha determinato un rallentamento dell’attività giudiziaria e, conseguentemente, delle decisioni.
È per questo eccezionale motivo che prenderemo in esame anche decisioni pubblicate ai primi di settembre, ma relative a cause trattate nell'ambito del quadrimestre considerato.
ESPULSIONI: profili sostanziali
L’obbligo di valutazione dei legami familiari
Il tema dell’ambito di operatività della disposizione di cui all’art. 13, co. 2-bis, d.lgs. 286/98 è già stato oggetto di articolata trattazione, in particolare sul numero 1.2020 di questa Rivista, in cui si dava atto dell’esistenza di dubbi, in seno alla giurisprudenza di legittimità, in ordine al contenuto prescrittivo ed alla effettiva efficacia ostativa alla espulsione della nozione dei legami familiari. Se cioè rilevassero solo i legami familiari corrispondenti a quelli che consentono il ricongiungimento familiare, ovvero fosse possibile un’interpretazione estensiva alla luce del chiaro disposto della Corte costituzionale espresso con la nota sentenza n. 202/2013.
Ora, Cass. civ sez. III, ord. n. 11955/2020 pubblicata il 19.6.2020 offre l’occasione di ritornare sull’argomento anche per la chiara esposizione del relativo principio di diritto secondo cui «In tema di espulsione del cittadino straniero, a seguito della sentenza n. 202 del 2013 della Corte costituzionale e in linea con la nozione di diritto all’unità familiare delineata dalla giurisprudenza della Corte EDU con riferimento all’art. 8 CEDU, l’art. 13, co. 2-bis, del d.lgs. n. 286/98 si applica – con valutazione caso per caso, in coerenza con la direttiva comunitaria 2008/115/CE – anche al cittadino straniero che abbia legami familiari nel nostro Paese, ancorché non nella posizione di richiedente formalmente il ricongiungimento familiare. Tuttavia, in casi di mancato esercizio del diritto al ricongiungimento familiare, i legami dello straniero nel territorio dello Stato, per consentire l’applicazione della tutela rafforzata di cui al citato comma 2-bis debbono essere soggettivamente qualificati ed oggettivi. Il giudice di merito è tenuto a darne conto adeguatamente, sulla base dell’esame dei vari elementi dedotti a sostegno della relazione affettiva, che, in presenza di figli minori, dovrà tenere conto anche della difficoltà che la distanza con il Paese di origine determina per mantenere la relazione effettiva con il figlio, tenuto conto della sua età e della relativa normale limitazione di autonomia negli spostamenti che da ciò deriva».
Pare importante l’affermazione dell’obbligo di accertare la concreta rilevanza ed effettività dei rapporti familiari, specie in presenza di figli minori, e, in particolare, dell’obbligo, da parte del giudice, di valutare attentamente le difficoltà che situazioni oggettive, quali la distanza tra l’Italia ed il Paese terzo di destinazione dell’espellendo, unitamente all’età della prole, possono influire sul mantenimento della relazione affettiva genitoriale che va salvaguardata, anche nell’interesse superiore del minore.
Circa i rapporti tra la natura strettamente vincolata della potestà espulsiva statuale e la rilevanza dei legami familiari esistenti in Italia, Cass. civ. sez. II, ord. n. 18187/2020 pubblicata in data 1.9.2020, decidendo il ricorso di uno straniero espulso per avere omesso di chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno nel termine di legge, atteso che costui fece ingresso in Italia da minorenne con visto per ricongiungimento familiare, ha precisato che l’opposizione all’espulsione è un giudizio sul rapporto che deve essere svolto con accertamento di tutti i fatti costitutivi ed impeditivi dell’esercizio (vincolato) della potestà espulsiva da parte dell’autorità amministrativa, sicché, avendo il giudice di merito omesso illegittimamente la valutazione imposta dall’art. 13, co. 2-bis, d.lgs. 286/98, la decisione è stata cassata con rinvio. La natura strettamente vincolata dell’esercizio della potestà espulsiva non concerne solo l’esame di fatti costitutivi, ma inerisce anche quelli impeditivi, che pertanto non può essere omesso.
Circa la rilevanza dei legami di convivenza more uxorio nell’ambito dell’esercizio della facoltà espulsiva, la giurisprudenza è costante nel negarla. Consegue che la mera intenzione di contrarre matrimonio con cittadina italiana costituisce argomento privo di pregio alcuno, posto che il d.lgs. 30/2007 – di attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini UE e dei loro familiari – riconosce la tutela al coniuge o al partner convivente a condizione che la relazione di convivenza stabile sia stata formalizzata in un’unione registrata sulla base della legislazione del singolo Stato membro, ove quest’ultimo equipari l’unione registrata al matrimonio. La mancata allegazione nel corso del giudizio di merito di avere contratto un’unione registrata con cittadina italiana da parte del ricorrente, preclude la possibilità di valutare la possibile equiparazione di tale relazione al vincolo matrimoniale, seppure limitatamente ai fini del divieto di espulsione del convivente (Cass. civ. sez. II, ord. n. 18565/2020 pubblicata il 7.9.2020).
Peraltro, la già citata Cass. civ., sez. III, ord. n. 11955/2020, dopo avere ribadito che la convivenza more uxorio dello straniero con il cittadino non rientra tra le ipotesi tassative del divieto di espulsione ex art. 19, co. 2, d.lgs. 286/98, con un obiter dictum afferma che tale conclamato principio – giustificato da esigenze di certezza dei rapporti giuridici – «andrebbe forse rimeditato alla luce della variegata tipologia di relazioni caratterizzate da un significativo nucleo affettivo che l’ordinamento ha, nel tempo, riconosciuto: proprio in relazione a ciò è stato infatti ritenuto che non può escludersi che il Giudice di pace debba favorevolmente valutare la situazione quando vi siano figli minorenni conviventi con la coppia», come in Cass. civ. sez. I ord. 8889/2019. Quindi, ancorché nel nostro ordinamento le nuove figure introdotte dalla c.d. “Legge Cirinnà” per le coppie eterosessuali non siano equiparate al matrimonio (a differenza delle unioni civili previste per le coppie dello stesso sesso), si scorgono alcuni timidi tentativi giurisprudenziali volti a conferire rilievo alle convivenze di fatto – ai fini del divieto di espulsione – qualora vi siano figli minori conviventi, presumibilmente dettate dall’esigenza di tutelare il superiore interesse dei minori ed il diritto alla vita privata e familiare ex art. 8 CEDU.
Pare inoltre opportuno rammentare che – ai sensi dell’art. 30, co. 1, lett. d), d.lgs. 286/98 – il genitore straniero, anche naturale, di minore italiano residente in Italia (e tale è il figlio nato da una relazione tra stranieri e cittadini) ha diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari, anche a prescindere dal possesso di un valido permesso di soggiorno (quindi, anche se è irregolarmente soggiornante) alla sola condizione che non sia privato della potestà genitoriale secondo la legge italiana.
Esistono quindi solidi argomenti per incrinare la granitica certezza delle relazioni interpersonali apparentemente derivante unicamente dal matrimonio, anche nella delicata materia delle espulsioni, qualora vi siano figli minori, e previa attenta valutazione caso per caso.
Segue: profili procedurali
La lettura di Cass. civ. sez. I, n. 11721/20 pubblicata il 17.6.2020, è istruttiva sotto il profilo della modalità di redazione dei motivi di ricorso per Cassazione, al fine di evitare la declaratoria d’inammissibilità. Infatti, è stata dichiarata l’inammissibilità di motivi dedotti per la prima volta a verbale nel corso dell’udienza di trattazione del ricorso avverso l’espulsione, ma non anche come rituali motivi di opposizione all’espulsione, da proporsi nei rigorosi termini di legge (30 giorni). Analogamente, è inammissibile la doglianza relativa alla mancata concessione della partenza volontaria che, secondo il costante orientamento della Corte, attiene alla fase esecutiva dell’espulsione e, pertanto, deve essere fatta valere in sede di convalida dell’accompagnamento o del trattenimento. È pure inammissibile la doglianza inerente la mancata conoscenza della lingua italiana da parte dello straniero, trattandosi di accertamento di fatto demandato al giudice di merito che deve considerare le risultanze processuali, tra cui rilevano le dichiarazioni rese dall’interessato nel c.d. “foglio notizie” che è incensurabile in sede di legittimità, ove adeguatamente motivato. Analogamente, Cass. civ. sez. I, ord. n. 7614/2020 pubblicata il 31.3.2020, richiama l’orientamento della Corte secondo cui l’omessa traduzione del decreto di espulsione nella lingua conosciuta dallo straniero, o in quella veicolare, comporta la nullità del provvedimento espulsivo, salvo che lo straniero conosca la lingua italiana, e che di tale circostanza venga fornita prova, anche presuntiva. Tale è l’attestazione di conoscenza della lingua italiana contenuta nella relata di notifica del provvedimento, trattandosi di atto fidefacente, così come la dichiarazione resa dall’espellendo nel c.d. “foglio notizie” di parlare e comprendere la lingua italiana. (Negli stessi termini Cass. civ. sez. I, ord. 11727/20 pubblicata il 17.6.2020).
Una risalente sentenza della Corte costituzionale, n. 198/2000, affermò il principio secondo cui «il pieno esercizio del diritto di difesa da parte dello straniero presuppone … che qualsiasi atto proveniente dalla pubblica amministrazione, diretto ad incidere sulla sua sfera giuridica, sia concretamente conoscibile. L’esigenza primaria di non vanificare il diritto di azione fa sì che, nell’ipotesi di ignoranza senza colpa del provvedimento di espulsione – in particolare per l’inosservanza dell’obbligo di traduzione dell’atto – debba ritenersi non decorso il termine per proporre impugnazione». Questa decisione consentì, per lungo tempo, la proposizione di ricorsi tardivi anche nella materia delle espulsioni, previa remissione in termini. Ovviamente, il presupposto dell’applicabilità di tale istituto, consiste nell’ignoranza incolpevole del termine per impugnare. Secondo Cass. civ. sez. II, ord. n. 18187/2020, pubblicata l’1.9.2020, «l’istituto della remissione in termini … il quale opera anche con riguardo al termine per proporre impugnazione, richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà. La mancata traduzione del decreto di espulsione nella lingua propria del destinatario determina la nullità del provvedimento che, pur potendo essere fatta valere con opposizione tardiva, non è deducibile senza limiti di tempo, occorrendo verificare se la violazione dell’art. 13, co. 7, d.lgs. 286/98 abbia effettivamente determinato un’ignoranza sul contenuto dell’atto tale da impedirne l’identificazione e se, medio tempore, lo straniero non abbia avuto conoscenza … del rimedio proponibile, nel qual caso è da tale momento che dovrà farsi decorrere il termine per la proposizione dell’opposizione tardiva fondata sull’intervenuta nullità.». Sulla base di tali premesse la Corte non cassa il provvedimento del Giudice di pace che aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso, rilevando che l’opponente aveva scelto, al momento della notifica del provvedimento (atto fidefacente), l’inglese quale lingua veicolare. Neppure ricorre la violazione di legge in relazione all’art. 13, co. 7 cit. perché non sussiste l’assoluto impedimento alla tempestiva impugnazione, posto che il giudice di merito ha accertato che l’interessato non aveva adempiuto all’obbligo di attivarsi con immediatezza, avendo egli stesso dichiarato di essersi attivato presso uno sportello SPRAR per avere informazioni sulla sua posizione amministrativa solo tre mesi dopo la notifica del decreto di espulsione.
Dall’esame delle pronunce appena citate si desume agevolmente come la natura fidefacente attribuita alle dichiarazioni rese di fronte all’autorità amministrativa dall’espellendo, sia in sede di redazione del “foglio notizie” che in occasione della notifica dell’atto, si riveli un efficace formalismo preclusivo all’esercizio di diritti fondamentali, qual è quello di difesa. Presupposto non formale bensì sostanziale di tali approdi, è costituito dall’ignoranza delle condizioni fattuali in cui vengono svolti gli atti propedeutici all’adozione dei provvedimenti di allontanamento negli uffici delle questure italiane.
Quali gli effetti della mancata comparizione dell’opponente al decreto espulsivo all’udienza innanzi il Giudice di pace? Cass. civ. sez. II, ord. n. 18190/2020, pubblicata l’1.9.2020, ha cassato l’ordinanza di non luogo a procedere adottata dal Giudice di pace e, dopo aver chiarito che alcuna delle disposizioni regolanti il rito camerale applicabile alla materia prevede conseguenze processuali in caso di mancata comparizione, ha enunciato il chiaro principio di diritto secondo cui «una volta proposto il ricorso in opposizione al provvedimento di espulsione, l’eventuale assenza della parte opponente all’udienza fissata per la sua comparizione non implica alcuna rinuncia alla domanda: il giudice, pertanto, una volta verificata la ritualità degli atti finalizzati a consentire la comparizione, deve comunque pronunciarsi sul merito dell’impugnativa proposta».
TRATTENIMENTO
Avviso al difensore
La Corte di cassazione ha affermato con ordinanza sez. I del 13.3.2020 n. 7148 che l’avviso della fissazione dell’udienza di convalida dell’ordine del questore di trattenimento dello straniero, espulso con decreto del prefetto, ha la funzione di consentire all’interessato di partecipare all’udienza per difendersi e di nominare eventualmente un difensore di fiducia e, pertanto, deve necessariamente precedere l’udienza, e non può essere data nel corso di essa o con un lasso temporale insufficiente perché il difensore possa concretamente partecipare all’udienza e svolgere una pur minima difesa: altrimenti qualsiasi concreta possibilità di difesa, mediante produzione di documenti o altri elementi a discarico eventualmente in possesso dell’interessato, viene compromessa, così come viene frustrata la facoltà di avvalersi di un difensore di fiducia. Nel caso di specie, è stato ritenuto inidoneo a tali garanzie l’avviso dato al difensore, che si trovava in un’altra città e impegnato in altra udienza, con soli 48 minuti di anticipo sull’orario fissato per l’udienza di convalida.
La Corte ha altresì ribadito, con ordinanza sez. I del 22.6.2020 n. 12210, che l’omesso avviso della fissazione dell’udienza di convalida al difensore di fiducia dello straniero trattenuto, da questi previamente nominato, integra nullità del procedimento, per violazione del diritto dell’espulso ad una difesa tecnica compiutamente predisposta dal patrono fiduciario.
Contraddittorio e proroga, presenza dello straniero trattenuto
Nelle ordinanze sez. I del 3.7.2020 n. 13743, sez. I del 3.7.2020 n. 13744, sez. II del 3.9.2020 n. 18321, la Corte di cassazione deve ribadire il proprio orientamento, già più volte espresso, secondo cui il provvedimento giurisdizionale di proroga del trattenimento del cittadino straniero presso un Centro d’identificazione ed espulsione, può essere assunto soltanto all’esito di un procedimento di natura camerale caratterizzato dalla partecipazione necessaria del difensore e dall’audizione dell’interessato, senza che sia necessaria una richiesta di quest’ultimo di essere sentito; è quindi illegittimo il provvedimento di convalida del trattenimento adottato all’esito di udienza cui non abbia partecipato lo straniero trattenuto.
Si deve peraltro segnalare l’ordinanza sez. VI del 9.6.2020 n. 10939 con cui la Corte, non ravvisando i presupposti per la definizione del procedimento col rito camerale, in riferimento all’individuazione delle garanzie del contraddittorio e alla necessità di una specifica richiesta dell’interessato di esser sentito nei procedimenti di proroga del trattenimento, ha rinviato la trattazione del ricorso alla pubblica udienza della prima sezione civile.
Competenza
La Corte di cassazione, con ordinanza sez. II del 1.9.2020 n. 18189, nel ribadire la competenza del Tribunale alla convalida del trattenimento del cittadino straniero richiedente asilo, ha avuto occasione di chiarire che la manifestazione di volontà di chiedere la protezione internazionale, espressa già prima dell’emissione del decreto di respingimento, e confermata dinanzi al giudice della convalida, non viene meno se il cittadino straniero, nel c.d. foglio notizie compilato al momento del respingimento e senza l’assistenza di un interprete, abbia dichiarato di non voler chiedere la protezione internazionale; la Corte infatti osserva che la manifestazione di volontà, espressa e poi ribadita, non può essere inficiata da un atto sottoscritto senza l’assistenza di un interprete e quindi senza la certezza che il cittadino straniero ne comprendesse il contenuto.
L’incompetenza funzionale del Giudice di pace alla convalida del trattenimento del cittadino straniero richiedente asilo deve essere eccepita nell’udienza di convalida e, se l’eccezione non viene accolta, può essere dedotta con ricorso per Cassazione. Il ricorso per Cassazione, tuttavia, non costituisce un rimedio effettivo poiché non sospende l’efficacia del provvedimento impugnato; né, in questo caso, sarebbe ammissibile una richiesta di riesame del trattenimento perché non vi sarebbero circostanze o fatti nuovi rispetto alla convalida (elementi essenziali per l’ammissibilità del riesame, come stabilito dalla Corte di cassazione nella sentenza del 29.9.2017 n. 22932 e nell’ordinanza del 23.10.2019 n. 27076). In mancanza di altri strumenti di tutela effettivi, parrebbe ammissibile la tutela residuale prevista dall’art. 700 c.p.c. La tesi è stata però rigettata dal Tribunale di Torino, che con due provvedimenti (
sez. IX, ordinanza monocratica del 14.8.2020 R.G. 13000/2020
;
sez. IX, ordinanza collegiale del 2.9.2020 R.G. 14554/2020
ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto per sentir dichiarare l’illegittimità del trattenimento, disposto nei confronti di un richiedente asilo e convalidato non dal Tribunale bensì dal Giudice di pace; il Tribunale ha ritenuto che «la scarsa effettività dei rimedi alternativi non può consentire l’ingresso ad un rimedio cautelare altrimenti non previsto», e ha indicato come rimedio possibile la richiesta di riesame (da rivolgere al Giudice di pace), ai sensi dell’art. 15 della Direttiva 2008/115/UE, «posto che pur avendo il difensore sollevato la questione relativa alla incompetenza del Giudice di pace, tuttavia nel provvedimento di convalida tale circostanza non è stata considerata».
Legittimazione passiva
La Corte di cassazione, con ordinanza sez. I del 3.7.2020 n. 13746, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto contro un provvedimento di convalida dell’accompagnamento alla frontiera, perché il ricorso è stato notificato all’Avvocatura dello Stato senza indicare chi sia il soggetto intimato nel ricorso.
Come più volte affermato dalla Corte, la legittimazione passiva nel ricorso per la cassazione dei provvedimenti di convalida delle modalità coattive di esecuzione dell’espulsione (accompagnamento immediato alla frontiera, trattenimento nel C.P.R., misure alternative al trattenimento) spetta al Ministero dell’interno, organo apicale dell’amministrazione cui appartiene il questore che è parte del giudizio di merito.
Provvedimento presupposto
Nell’ordinanza sez. III del 19.6.2020 n. 11953 la Corte si occupa della legittimità del provvedimento di convalida del trattenimento disposto in esecuzione di un decreto di espulsione firmato dal viceprefetto, e più in generale del diritto al contraddittorio delle parti. Il ricorrente aveva eccepito l’inesistenza del decreto di espulsione presupposto perché firmato non dal prefetto bensì da un viceprefetto in mancanza di specifica delega, e lamentava nel ricorso per Cassazione che la delega fosse stata prodotta in un momento successivo alla conclusione dell’udienza di convalida, sicché il Giudice di pace avrebbe emesso una “decisione a sorpresa” fondata su un atto che non era stato oggetto di esame nel contraddittorio delle parti. La Corte ha rigettato il ricorso, osservando che «l’investitura dei pubblici funzionari nei poteri che dichiarano di esercitare nel compimento di atti inerenti al loro ufficio si presume, costituendo un aspetto della corrispondente “presunzione di legittimità” degli atti amministrativi», e che quindi è sufficiente che la delega sussista e sia stata conferita prima dell’adozione del provvedimento. Ribadito questo principio, la Corte ha escluso che, dalla violazione del contraddittorio sulla delega, tardivamente prodotta, fosse derivato un pregiudizio allo straniero trattenuto.
La vicenda oggetto di esame nell’ordinanza n. 18189 del 2020, citata sopra, ha condotto la Corte a esaminare, con ordinanza sez. II del 3.9.2020 n. 18322, l’effetto dell’annullamento del decreto di convalida del trattenimento sui successivi provvedimenti di proroga. La Corte ha affermato che l’intervenuto annullamento del primo decreto di respingimento e trattenimento comporta il venir meno del presupposto del successivo provvedimento con cui la questura aveva disposto l’ulteriore trattenimento, ai sensi dell’art. 6, co. 3, d.lgs. 142/2015, non potendosi ipotizzare alcuna proroga di un trattenimento fondato su un titolo ormai privo di efficacia.
Sospensione del provvedimento di espulsione presupposto
In materia di immigrazione, non può essere disposta dal Giudice di pace la proroga del trattenimento di un cittadino straniero presso un Centro d’identificazione ed espulsione, quando il provvedimento espulsivo che ne costituisce il presupposto sia stato, ancorché indebitamente, sospeso, dal momento che il sindacato giurisdizionale, pur non potendo avere ad oggetto la validità dell’espulsione amministrativa, deve rivolgersi alla verifica dell’esistenza ed efficacia della predetta misura coercitiva.
Il trattenimento nei Centri di identificazione e raccolta è finalizzato all’espulsione e giustificato dall’esigenza di poter effettuare l’espulsione delle persone delle quali essa sia stata disposta, evitando che si disperdano sul territorio sottraendosi alla esecuzione della misura disposta. Ma se è stata annullata o anche solo sospesa la misura espulsiva, il trattenimento diviene ingiustificato. Così, confermando un costante orientamento, si è espressa la Corte di cassazione con ordinanza sez. I del 3.7.2020 n. 13741.
Efficacia del decreto di espulsione emesso quale misura alternativa alla detenzione
L’espulsione disposta, ai sensi dell’art. 16, co. 5, del d.lgs. 286/1998, come misura alternativa alla residua pena da espiare in misura inferiore ai due anni, non perde efficacia per l’avvenuta espiazione dell’intera pena detentiva, ma se ne può chiedere la revoca. Così ha stabilito la Corte di cassazione, con ordinanza sez. I penale depositata il 10.8.2020 n. 23705, che ha confermato la condanna per il cittadino straniero che era rientrato illegittimamente in Italia dopo esserne stato allontanato al termine della pena detentiva, in esecuzione dell’espulsione disposta dal magistrato di sorveglianza, trasgredendo così il divieto di reingresso discendente dall’espulsione.
Rito applicabile per l’impugnazione del provvedimento di convalida
L’ordinanza della Corte di cassazione, sez. VII pen. depositata il 24.6.2020 n. 19152, ha ribadito il proprio costante orientamento (da ultimo espresso nell’ordinanza della I sezione penale depositata il 10.12.2018 n. 55085, in questa rassegna, fascicolo 1.2019) secondo cui l’impugnazione avverso l’ordinanza del giudice ordinario di convalida dei provvedimenti amministrativi del questore di accompagnamento coattivo alla frontiera o di trattenimento presso un Centro di permanenza temporanea o di proroga della permanenza, è compresa nel novero delle impugnazioni civili, in quanto il procedimento si svolge al di fuori della sede penale in ogni aspetto, atteso che non concerne la «infrazione di norme penalmente rilevanti» e non comporta nemmeno l’irrogazione di sanzione penale. La Corte ha altresì ricordato che non può trovare applicazione l’istituto della conversione previsto dall’art. 568, co. 4, c.p.p., che riguarda soltanto i rimedi impugnatori previsti e disciplinati nell’omonimo Libro nono del codice di rito penale. Inoltre l’assoluta eterogeneità, sul piano strutturale e su quello della positiva disciplina procedimentale, tra il ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p. e la impugnazione simmetrica prevista dall’art. 360 c.p.c., escludono la possibilità della translatio judicii al giudice competente, secondo la previsione dell’art. 568 citato.
Durata del trattenimento e pregressa limitazione della libertà personale
Una pronuncia del
Giudice di pace di Torino (decreto del 4.7.2020 R.G. 7115/2020)
si segnala per la singolare decisione di convalidare il trattenimento per 16 giorni, in considerazione del fatto che il cittadino straniero, soccorso in mare, era stato sottoposto a una limitazione della libertà personale per 14 giorni in cui era stato trattenuto in isolamento sanitario dopo lo sbarco. Il Giudice di pace ha riconosciuto che il cittadino straniero, prima dell’ordine questorile e della conseguente udienza di convalida, era stato già sottoposto a un trattenimento, in assenza di un provvedimento dell’autorità amministrativa e di convalida dell’autorità giudiziaria; il Giudice di pace, nel convalidare il trattenimento per un periodo di 16 giorni, sembra aver voluto convalidare (ora per allora, e in palese eccesso dei termini posti dall’art. 13 della Costituzione) il pregresso trattenimento che si era protratto per 14 giorni in modo illegittimo.
Trattenimento del richiedente asilo, termini
La Corte di Cassazione, con ordinanza sez. I del 2/9/2020 n. 18224, ha rimesso all’udienza pubblica la trattazione di un ricorso avverso il decreto di proroga del trattenimento di una cittadina straniera, richiedente asilo, disposto dal questore ai sensi dell’art. 6, co. 2, d.lgs. 142/2015. La questione sollevata nel ricorso riguardava la durata del periodo di trattenimento disposto nei confronti del richiedente asilo in stato di libertà, cioè nelle ipotesi di pericolosità e di rischio di fuga disciplinate dall’art. 6, co. 2, d.lgs. 142/2015, e non nella diversa ipotesi di trattenimento disposto, ai sensi dell’art. 6, co. 3, del citato decreto, nei confronti del cittadino straniero, già trattenuto ad altro titolo, che abbia presentato durante il trattenimento una domanda di protezione internazionale ritenuta pretestuosa.
In effetti l’art. 6 citato rinvia all’art. 14, d.lgs. 286/1998, che al comma 5 prevede che la convalida comporti la permanenza nel Centro per un periodo di complessivi trenta giorni, prorogabili. La diversa indicazione di un periodo di trattenimento di sessanta giorni, prorogabili, è contenuta nell’ultimo periodo dell’art. 6, co. 5, per la sola ipotesi del trattenimento disposto nei confronti dello straniero che abbia presentato domanda di protezione internazionale mentre è già trattenuto ad altro titolo.
La questione era stata già affrontata, ma non risolta, in due precedenti ordinanze (n. 28116 del 2018 e n. 8373 del 2019) segnalate nelle precedenti edizioni di questa Rassegna.
Misure alternative al trattenimento
Si segnala un provvedimento del
Tribunale di Roma (decreto sez. XVIII del 10.7.2020, R.G. 32572/2020)
che, richiesto di convalidare il trattenimento di un richiedente asilo disposto ex art. 6, co. 3, d.lgs. 142/2015, ha ritenuto non pretestuosa la domanda di protezione internazionale e ha rigettato la richiesta di convalida ma ha applicato le misure alternative da determinarsi a cura dell’ufficio di polizia.
Il provvedimento è apprezzabile per aver fatto applicazione del principio, già affermato almeno in via incidentale dalla Corte di cassazione (ord. sez. VI del 3.2.2017 n. 3298; ord. sez. I del 26.10.2018 n. 27305, ord. sez. VI del 8.3.2018 n. 5582, già segnalate in questa Rassegna), secondo cui il Tribunale investito della richiesta di convalida del trattenimento del richiedente asilo deve considerare l’applicazione di misure alternative al trattenimento. D’altro canto, però, desta perplessità la decisione del Tribunale che applica le misure alternative al trattenimento pur avendo escluso la pretestuosità della domanda; inoltre appare dubbia la legittimità della decisione di rimettere la determinazione delle modalità di presentazione all’ufficio di polizia, perché in tal modo non vi sarà alcun controllo giurisdizionale (neanche cartolare) sulla limitazione della libertà del destinatario della misura.