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Fascicolo 1, Marzo 2021


La patria, Aztlàn
(...)
Una ferita aperta lunga 1.950 miglia / che divide un pueblo, una cultura,
scorre lungo il mio corpo, / pianta pali di recinzione nella mia carne,
mi lacera mi lacera /  me raja me raja
Questa è la mia casa / questa sottile linea di / filo spinato.
Ma la pelle della terra non ha cuciture. / Il mare non può essere chiuso in un recinto,
el mar non si ferma ai confini. / Per mostrare all'uomo bianco cosa pensava della sua 
arroganza / Yemaya ha rovesciato con un soffio la rete metallica.
(...)
(Gloria Anzaldùa, Terre di confine. La frontera, Bari, Palomar Edizioni, 2000)

Osservatorio italiano

Rassegna delle leggi, dei regolamenti e dei decreti statali
 
Il decreto-legge 130/2020 che modifica le norme legislative sulla condizione dello straniero, sull’asilo e sulla cittadinanza: flessibilizzazione dei permessi di soggiorno, nuovi divieti di respingimento e di espulsione, nuovo permesso di soggiorno per protezione speciale, anche per il rischio di lesione del diritto al rispetto della vita privata e familiare (analisi dei profili giuridici), nuovo sistema di accoglienza e integrazione
Il decreto-legge 21.10.2020, n. 130, convertito con modificazioni dalla legge 18.12.2020, n. 173 (pubblicata in G.U. 19.12.2020, n. 314) ha previsto, tra le altre, numerose e significative modifiche alle norme fondamentali italiane sulla condizione giuridica dello straniero e sul diritto di asilo.
Alcune nuove norme correggono in modo più conforme alla Costituzione e agli obblighi internazionali ed europei anche modifiche introdotte col d.l. n. 113/2018 che avevano suscitato le osservazioni scritte del Presidente della Repubblica.
In ogni caso le norme modificano il Testo unico delle leggi sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/1998), la disciplina della procedura di riconoscimento della protezione internazionale (d.lgs. n. 25/2008), il sistema di accoglienza degli asilanti e degli altri stranieri (d.lgs. n. 142/2015 e d.l. n. 416/1989) e dei termini dei procedimenti amministrativi di esame delle domande di acquisto della cittadinanza italiana.
1) La disciplina della programmazione delle quote di ingresso per lavoro prevista dall’art. 3, d.lgs. n. 286/1998 è modificata prevedendo che in caso di mancata pubblicazione del decreto di programmazione annuale, il Presidente del Consiglio dei ministri possa provvedere in via transitoria, con proprio decreto. Perciò sono stati abrogati il termine del 30 novembre di ogni anno per l’emanazione del decreto e il limite delle quote stabilite nell’ultimo decreto emanato. Pertanto sarà possibile adottare un numero più elevato di decreti ogni anno e anche quote di ingresso molto più elevate.
2) Limiti costituzionali e internazionali alla denegabilità dei permessi di soggiorno si introducono di nuovo nell’art. 5, co. 6 d.lgs. n. 286/1998 (dopo le modifiche abrogative che erano state disposte dal d.l. n. 113/2018): il rifiuto di rilascio o di rinnovo o la revoca del permesso di soggiorno non possono essere adottati quando ricorrano seri motivi derivanti dal rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato. Tornano perciò ad essere rilevanti, come chiedeva espressamente il Presidente della Repubblica, gli obblighi costituzionali (come il diritto di asilo, il divieto di estradizione per reati politici) e gli obblighi internazionali (come il divieto di trattamenti inumani e degradanti e il diritto al rispetto della vita privata e familiare, previsti dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo). In tali casi, come si vedrà più oltre, allorché non sia possibile il riconoscimento della protezione internazionale è sempre consentito il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale.
3) La convertibilità di permessi di soggiorno in permessi per motivi di lavoro è prevista nel nuovo comma 2-bis introdotto nell’art. 6 del d.lgs. n. 286/1998 che prevede che se ne ricorrano i requisiti sono convertibili in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, anche i seguenti permessi di soggiorno:
a) per protezione speciale, esclusi i casi in cui ricorrano le cause di diniego ed esclusione della protezione internazionale, per gravi condotte criminose, pericolosità per la sicurezza dello Stato o l’ordine e la sicurezza pubblica, talché operi l’esclusione o il diniego dal conferimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria (secondo quanto previsto dagli artt. 10, co. 2; 12, lett. b) e c); 16, d.lgs. n. 251/2007;
b) per calamità;
c) per residenza elettiva;
d) per acquisto della cittadinanza o dello stato di apolide;
e) per attività sportiva;
f) per lavoro di tipo artistico;
g) per motivi religiosi;
h) per assistenza minori;
i) per cure mediche dovute a gravi condizioni psico-fisiche o gravi patologie.
4) Dichiarazione di presenza per soggiorni per studio fino a 150 giorni degli studenti delle filiazioni in Italia di università e istituti superiori di insegnamento
Si introduce un nuovo art. 38-bis nel d.lgs. n. 286/1998 con cui si prevede l’applicazione della legge n. 68/2007 – che disciplina, tra l’altro, i soggiorni di breve durata degli stranieri per visita, affari, turismo, studio – ai soggiorni, non superiori a centocinquanta giorni, degli studenti delle filiazioni in Italia di università e istituti superiori di insegnamento (comma 1) e che tali studenti possano soggiornare, entro i termini sopra esposti, purché – oltre ad essere entrati regolarmente in territorio italiano, secondo la disciplina dell’art. 4 del d.lgs. n. 286/1998 – siano in possesso del visto per studio rilasciato per l’intera durata del corso nonché della relativa dichiarazione di presenza. È stabilito che la dichiarazione di presenza sia accompagnata da una dichiarazione di garanzia del legale rappresentante della filiazione o di un suo delegato, che si obbliga a comunicare, entro quarantotto ore al questore territorialmente competente, ogni variazione relativa alla presenza dello studente durante il suo soggiorno per motivi di studio, e si prevede che le violazioni delle disposizioni siano soggette alla sanzione amministrativa di cui all’art. 7, co. 2-bis (comma 2).
Si introduce anche un nuovo comma 1-bis nell’art. 5 d.lgs. n. 286/1998 prevedendo che nei casi di cui all’art. 38-bis possano soggiornare nel territorio dello Stato gli studenti stranieri che sono entrati secondo le modalità e alle condizioni previste dall’art. 4 e che sono in possesso del visto per motivi di studio rilasciato per l’intera durata del corso di studio e della relativa dichiarazione di presenza.
5) Riforma dei limiti agli ingressi di navi nel mare territoriale che trasportino stranieri soccorsi in mare
Le nuove norme modificano in senso soltanto apparentemente conforme alle norme internazionali e costituzionali la disciplina delle misure di contrasto degli ingressi di imbarcazioni che abbiano soccorso o trasportato migranti.
Anzitutto è abrogato il comma 1-ter dell’art. 11 del d.lgs. n. 286/1998, introdotto dal d.l. n. 53/2019, che attribuiva al Ministro dell’interno la facoltà – nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia – di limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale (salvo che si trattasse di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale), per motivi di ordine e sicurezza pubblica.
Si abrogano anche i commi 6-bis, 6-ter, 6-quater dell’art. 12 d.lgs. n. 286/1998 che disciplinavano le sanzioni per la violazione del divieto di ingresso, transito o sosta nelle acque territoriali italiane e la confisca ed eventuale distruzione dell’imbarcazione, previste dal d.l. n. 53/2019.
Peraltro si interviene contestualmente a integrare tali norme prevedendo un comma 2 dell’art. 1 del d.l. n. 130/2020, come modificato dalla legge di conversione, che pare reintrodurre nell’ordinamento giuridico norme non troppo lontane da quelle contestualmente appena abrogate.
Infatti si prevede che per motivi di ordine e sicurezza pubblica, in conformità con la Convenzione di Montego Bay del 1982, il Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, e previa informazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, può limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale; inoltre si escludono dai divieti le operazioni di soccorso immediatamente comunicate al Centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto delle indicazioni della competente autorità per la ricerca e soccorso in mare. Le indicazioni sono emesse sulla base degli obblighi derivanti dalle Convenzioni internazionali in materia di diritto del mare nonché della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e delle norme nazionali, internazionali ed europee in materia di diritto di asilo. Nei casi di inosservanza del divieto o del limite posto la pena della multa è da euro 10.000 ad euro; 50.000 (che si aggiunge alla reclusione fino a due anni già prevista per le violazioni all’art. 83 cod. nav.).
6) Utilizzabilità da parte degli enti del Terzo settore delle imbarcazioni sequestrate o confiscate usate per gli ingressi irregolari
L’art. 1-bis modifica l’art. 12, d.lgs. n. 286/1998:
a) al comma 8, primo periodo, si estende la possibilità da parte dell’autorità giudiziaria di concedere beni sequestrati, salvo che vi ostino esigenze processuali, anche a enti del Terzo settore, che ne abbiano fatto espressamente richiesta per fini di interesse generale o per finalità sociali o culturali, i quali provvedono con oneri a proprio carico allo smaltimento delle imbarcazioni eventualmente loro affidate, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente. È stabilito che fino all’operatività del registro unico nazionale del Terzo settore, istituito dall’art. 45 del citato codice di cui al d.lgs. n. 117/2017, si considerano enti del Terzo settore gli enti di cui all’art. 104, comma 1, del medesimo codice»;
b) al comma 8-quinquies, si prevede che gli enti del Terzo settore provvedano con oneri a proprio carico allo smaltimento delle imbarcazioni eventualmente loro trasferite, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente.
7) Nuovi divieti di respingimento, di espulsione e di estradizione e nuovi presupposti dei permessi di soggiorno per protezione speciale
Le nuove norme che modificano l’art. 19, d.lgs. n. 286/1998 appaiono davvero importanti per l’intero sistema italiano del diritto degli stranieri e per la sua effettiva conformità agli obblighi internazionali e costituzionali: esse introducono nuove ipotesi di divieto di respingimento, di espulsione e di estradizione e nuovi presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale.
In primo luogo al comma 1 dell’art. 19 si aggiunge alle altre ipotesi di divieto di espulsione o respingimento, quella concernente la possibilità di essere oggetto di persecuzione per motivi relativi all’orientamento sessuale e all’identità di genere.
In secondo luogo il divieto di respingimento o espulsione o estradizione di una persona verso uno Stato, qualora esistano fondati motivi di ritenere che lì rischi di essere sottoposta a tortura – anche alla luce di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani perpetrate in quello Stato (art. 19, co. 1.1 d.lgs. n. 286/1998) è esteso anche all’ipotesi di fondati motivi che inducano a ravvisare un rischio di trattamenti inumani e degradanti.
La nuova norma allude alle medesime ipotesi di torture e trattamenti inumani e degradanti che sono vietati in modo inderogabile, insieme con la tortura, dal divieto previsto dall’art. 3 CEDU.
In terzo luogo si prevede un cruciale nuovo tipo di divieto di respingimento e di espulsione, allorché vi sia il rischio che lo straniero nel Paese di rinvio possa correre il rischio di violazione al diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, a meno che depongano in senso contrario ragioni di sicurezza nazionale o di salute e sicurezza pubblica.
In quarto luogo si riformano i presupposti, contenuti e procedure per il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale.
Il permesso di soggiorno per protezione speciale ha ora la durata di 2 anni, rinnovabile ed è convertibile in p.s. per lavoro.
Il permesso è rilasciato dal questore con due procedure alternative:
a) nelle ipotesi di rigetto della domanda di protezione internazionale sulla base degli atti trasmessi al questore dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale;
b) nel caso in cui sia presentata una domanda di rilascio di un permesso di soggiorno e il questore abbia ottenuto il parere della Commissione territoriale per la protezione internazionale. È ragionevole ritenere che questa seconda ipotesi si possa riferire a due casi diversi.
Il primo è la richiesta già presentata per il rilascio di un permesso di soggiorno ad altro titolo, per il quale manchino i presupposti per il rilascio e però sussista uno dei presupposti del p.s. per protezione speciale, il che significa che si tratterà di un rilascio disposto d’ufficio dal questore, sentito il parere della Commissione territoriale, sulla base della norma generale prevista dall’art. 6, co. 9 d.lgs. n. 286/1998.
Il secondo caso può essere la presentazione spontanea e diretta al questore da parte dello straniero di una richiesta documentata di rilascio del p.s. per protezione speciale, sulla quale deve essere acquisito anzitutto il parere della Commissione territoriale.
Si noti che si tratta di pareri non vincolanti, anche perché, a differenza di ciò che abitualmente fa ogni Commissione, si tratta di pareri dati sulla base della documentazione prodotta e della situazione nei Paesi di invio, ma non si prescrive neppure alcun colloquio della Commissione con l’interessato.
Il permesso di soggiorno per protezione speciale è ora rilasciabile allo straniero che si trova in una delle seguenti 4 ipotesi:
1) lo straniero che non può essere espulso o respinto o estradato verso uno Stato in cui possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di orientamento sessuale, di identità di genere, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali;
2) lo straniero che non può essere espulso o respinto o estradato verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che rischi di essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti, tenendo conto anche dell’esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani;
3) qualora ricorrano obblighi costituzionali o obblighi internazionali che nell’art. 5, co. 6 d.lgs. n. 286/1998 impediscono il rifiuto di rilascio o di rinnovo o la revoca di un permesso di soggiorno;
4) lo straniero non può essere espulso o respinto verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica o di protezione della salute, nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati e della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, e per valutare tale violazione si deve tenere conto di quattro elementi espressamente previsti dalla norma:
- della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato,
- del suo effettivo inserimento sociale in Italia,
- della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché
- dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine.
Si prevede anche l’esigenza di rispettare la Convenzione internazionale sui diritti dei rifugiati e la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, anche in presenza di elementi che potrebbero indurre al non rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno per protezione speciale fondato sui rischi per il diritto alla vita privata e alla vita familiare.
È indispensabile fare un approfondimento giuridico di due importanti gruppi di concetti ed elementi giuridici introdotti da queste nuove norme.
In primo luogo occorre approfondire il richiamo agli obblighi costituzionali o internazionali.
In tal senso tra gli obblighi costituzionali occorre menzionare almeno i seguenti:
a) il diritto di asilo (art. 10, co. 3 Cost.); nell’interpretazione della nozione di «libertà democratiche» di cui all’art. 10, co. 3, della Cost. devono rilevare i diritti fondamentali previsti nella stessa Costituzione italiana che, a loro volta, sono in totale simbiosi con i diritti fondamentali derivanti dall’ordinamento internazionale, grazie all’art. 2 Cost., sicché il diritto d’asilo ha come presupposto anche i casi di mancato godimento nel Paese di origine dei diritti fondamentali sanciti dalle Convenzioni internazionali che, per il tramite dell’art. 2 Cost., diventano parte delle libertà democratiche tutelate dalla Costituzione italiana;
b) il divieto di estradizione per reati politici (art. 10, co. 4 Cost.), il che si verifica anche allorché vi sia pericolo dello straniero di essere processato o condannato per reati politici per i quali l’estradizione dello straniero è vietata, salvo che si tratti di delitti di genocidio; in tal senso il respingimento o l’espulsione non possono essere eseguiti e il permesso deve essere rilasciato sia allorché si debba eseguire una domanda di estradizione nei confronti di persona, anche detenuta in istituto penitenziario, che abbia presentato domanda di protezione internazionale o abbia manifestato l’intenzione di presentare tale domanda, sia allorché la Corte d’appello abbia pronunciato sentenza contraria all’estradizione in uno dei casi previsti dall’art. 705, co. 2 del codice di procedura penale, e in ogni caso in cui il Ministro della giustizia o l’autorità giudiziaria ravvisino gli impedimenti all’estradizione da reati politici o violazione di diritti fondamentali indicati nell’art. 698 del codice di procedura penale;
c) il diritto alla salute (art. 32 Cost.);
d) il diritto di agire in giudizio per tutelare i propri diritti e a difendersi in ogni stato e grado del giudizio (art. 24 Cost. - Corte cost. 276/2008);
e) i diritti di avere un giudice naturale precostituito per legge e di essere punito soltanto in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso (art. 25 Cost.);
f) il diritto di ricevere nel processo penale informazioni sulle accuse a proprio carico e di difendersi di fronte ad un giudice terzo ed imparziale in condizioni di parità e nel contraddittorio con l’accusa (art. 111 Cost.).
Tra gli obblighi internazionali vi sono almeno:
a) il diritto alla vita (art. 2 CEDU); esso implica il divieto di essere privato della vita, anche in esecuzione di una condanna emanata da una pubblica autorità, espressamente riconosciuto dalla Corte costituzionale come assoluto ed inderogabile e quindi ostativo all’estradizione dello straniero per reati che la legge dello Stato estero consenta di punire anche con la pena di morte (sent. n. 223/1996); il divieto assoluto della pena di morte si è imposto anche all’interno del Consiglio d’Europa con l’adozione del Protocollo n. 13 alla CEDU, ratificato dall’Italia con legge 15.10.2008, n. 179;
b) il divieto di torture o di pene o trattamenti inumani e degradanti (Art 3 CEDU);
c) il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sé e per la propria famiglia, che includa un’alimentazione, un vestiario ed un alloggio adeguati, nonché al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita e il diritto fondamentale di ogni individuo alla libertà dalla fame, previsti dall’art. 11 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, il quale al fine di assicurare questi diritti impegna tutti gli Stati a cooperare e in particolare ad aiutare gli Stati in via di sviluppo: lo straniero non può essere allontanato verso uno Stato in cui subirebbe il rischio concreto e immediato di una violazione dei suoi diritti alla vita e a non subire trattamenti inumani o degradanti, allorché le competenti organizzazioni internazionali (FAO, PAM, UNICEF) abbiano rilevato che in quello Stato la situazione generale è quella della insicurezza alimentare acuta (che si verifica quando l’impossibilità di consumare cibo sufficiente espone una persona o i suoi mezzi di sussistenza a pericolo immediato) o di fame cronica (che si verifica quando una persona non è in grado di consumare cibo sufficiente per un periodo prolungato e non riesce ad avere una vita normale e attiva).
In secondo luogo tutti gli elementi indicati dalle nuove norme legislative richiamano implicitamente la disciplina dell’art. 8 CEDU sul diritto al rispetto della propria vita privata e familiare e la giurisprudenza della Corte EDU.
In proposito preliminarmente occorre ricordare che in base all’art. 5, co. 9 d.lgs. n. 286/1998 invece che il p.s. per protezione speciale, allo straniero deve essere subito rilasciato (senza perciò il parere della Commissione territoriale) altro titolo di soggiorno nei casi già espressamente previsti dalle norme in vigore allorché si debba tutelare il suo diritto al mantenimento o al riacquisto dell’unità familiare previsto (art. 28 d.lgs. n. 286/1998) o il suo diritto di soggiorno in quanto familiare di cittadino italiano o UE (artt. 2, 3, 7, 9, 10, 23 d.lgs. n. 30/2007):A) il p.s. per motivi familiari se sussistono i requisiti oggettivi e soggettivi per il diritto al mantenimento dell’unità familiare ai sensi dell’art. 29, 30 e 31 d.lgs. n. 286/1998 allorché:
a) sia già titolare di un p.s. ad altro titolo o in corso di rinnovo o anche scaduto da meno di 1 anno (art. 30, co. 1 lett. b) e c) d.lgs. n. 286/1998);
b) sia familiare, anche sprovvisto di un p.s., di rifugiato soggiornante in Italia (art. 30, co. 1 lett. c). d.lgs. n. 286/1998) e non abbia i requisiti per ottenere il p.s. per status di rifugiato (artt. 2, 3, 7, 9,10 d.lgs. n. 30/2007);
c) sia genitore anche naturale, anche se sprovvisto di p.s., di figlio italiano residente in Italia (art. 30, co. 1 lett. d) d.lgs. n. 286/1998) e non abbia i requisiti per ottenere la carta di soggiorno per familiare di cittadino UE previsti negli artt. 2, 3, 7, 9, 10, 23 d.lgs. n. 30/2007;
d) sia coniuge o familiare convivente fino al 2^ grado di cittadino italiano (art. 19, co. 2, lett. c) d.lgs. n. 286/1998 e art. 28, co. 1 lett. b) d.p.r. n. 394/1999) e non abbia titolo per ottenere la carta di soggiorno per familiare di cittadino UE (artt. 2, 3, 7, 9, 10, 23 d.lgs. n. 30/2007);
e) sia minore di 14 anni, affidato o sottoposto a tutela di cittadino italiano con esso convivente o minore avente più di 14 anni legalmente affidato o sottoposto a tutela di straniero regolarmente soggiornante in Italia o di cittadino italiano con esso convivente (art. 10, co. 1, lett. b) legge n. 13/2017);
f) abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o sia familiare ricongiunto con cittadino extraUE o abbia legami familiari nel territorio italiano e perciò non possano essere disposti nei suoi confronti il rifiuto di rilascio o la revoca o il diniego del rinnovo del p.s. (art. 5, co. 5 d.lgs. n. 286/1998, a seguito di sent. n. 202/2013 Corte cost.)
B) il p.s. per minore età al minore di 18 anni inespellibile ai sensi dell’art. 19, co. 2 lett. a) d.lgs. n. 286/1998 (art. 28, co. 1 lett. a) d.p.r. n. 394/1999); tale permesso, in caso di minore straniero non accompagnato è richiesto su richiesta del minore o dell’esercente la responsabilità genitoriale anche prima della nomina del tutore (art. 10, co. 1, lett. a) legge n. 13/2017);
C) la carta di soggiorno per familiare di cittadino UE allorché lo straniero sia familiare di cittadino italiano o di altro Stato UE e abbia i requisiti previsti (artt. 2, 3, 7, 9, 10, 23 d.lgs. n. 30/2007;
D) il p.s. per lavoro subordinato o per lavoro autonomo o per studio in caso di morte del familiare extraUE in possesso dei requisiti per il ricongiungimento familiare e in caso di separazione legale o di scioglimento del matrimonio o, per il figlio che non possa ottenere la carta di soggiorno, al compimento del diciottesimo anno (art. 30, co. 5 d.lgs. n. 286/1998) ovvero di familiare di cittadino UE nelle ipotesi di decesso o di partenza del cittadino UE o di divorzio o di annullamento del matrimonio col cittadino UE allorché manchino i requisiti per mantenere la carta di soggiorno per familiare di cittadino UE (artt. 11, co. 3, e 12, co. 3 d.lgs. n. 30/2007).
In tutte le ipotesi restanti allorché sia in gioco il diritto alla vita privata o il diritto alla vita familiare ai fini del rilascio del p.s. per protezione speciale occorre – anche ai fini della motivazione in fatto e in diritto del provvedimento amministrativo – fare valutazioni motivate e distinte circa tutti gli elementi indicati dalla norma legislativa:
a) la sussistenza o meno di uno dei presupposti fondati sul divieto di respingimento e di espulsione o di estradizione in presenza di un rischio concreto e attuale che l’allontanamento dal territorio dello Stato dello straniero, anche irregolarmente soggiornante, comporti una lesione del suo diritto 2a) al rispetto della vita privata e/o 2b) della vita familiare, ai sensi dell’art. 8 CEDU, anche sulla base della sua interpretazione nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo;
b) la sussistenza o meno di cause ostative al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale e prevalenti sul rischio per lo straniero che l’allontanamento comporti una lesione al diritto al rispetto della sua vita privata o familiare, le quali siano fondate su b1) sicurezza dello Stato oppure b2) sull’ordine pubblico oppure c3) sulla sanità pubblica;
c) la sussistenza o meno in presenza delle citate cause ostative di obblighi contrari derivanti dall’obbligo di osservare c1) la Carta UE sui diritti fondamentali; c2) la Convenzione sullo status di rifugiato.
In proposito deve considerarsi che la nozione di famiglia fatta propria dalla Corte EDU non coincide necessariamente con la cd. famiglia nucleare o con la famiglia fondata sul matrimonio, potendo comprendere anche persone non legate da vincoli giuridici o genetici, a condizione che detti vincoli siano dimostrati da circostanze di fatto, come la coabitazione (Corte EDU, 20.6.2002, Al-Nashif, n. 50963/99; Corte EDU, 13.6.1979, Marckx, n. 6833/74, in cui il rapporto fra un minore e il nonno è stato reputato rilevante ai fini dell’art. 8 CEDU).
Nell’esaminare la compatibilità con l’art. 8 CEDU del bilanciamento di interessi compiuto dallo Stato, al quale è consentito un certo margine di discrezionalità, la Corte EDU tiene conto di tutte le circostanze del caso concreto (Sisojeva c. Lettonia, Corte EDU 16.6.2006). L’ampiezza degli obblighi per lo Stato di ammettere sul suo territorio congiunti delle persone che vi risiedono varia in funzione della particolare situazione delle persone coinvolte e dell’interesse generale (Gül c. Svizzera, 19.2.1996, § 38). In particolare la Corte EDU ha elaborato un “percorso a tappe” volto ad accertare, ai sensi dell’art. 8 co. 1, l’esistenza di una famiglia e di una vita familiare da tutelare nonché dell’“interferenza” con tale diritto operata dal provvedimento di espulsione; l’accertamento dell’avvenuta violazione, tuttavia non è ancora elemento sufficiente ai fini della dichiarazione di illegittimità dell’espulsione, dovendosi passare a considerare i profili indicati nel secondo comma dell’art. 8, ovvero l’adozione del provvedimento statale «in conformità della legge», il «perseguimento di uno scopo legittimo» e la «necessarietà in una società democratica». La predisposizione di tale percorso ha avuto nella decisione Boultif (Boultif v. Switzerland, App. No. 54273/00, 2 agosto 2001, parr. 46- 48) la fissazione dei criteri rilevanti nella valutazione dell’illegittimità dell’espulsione ai sensi dell’art. 8 CEDU, con riferimento alla sua «necessarietà in una società democratica» e alla «proporzionalità al fine legittimo perseguito», essendo questi ultimi i profili più di frequente interessati dalle dichiarazioni di violazione dell’art. 8 CEDU.
In particolare l’orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte EDU (sent. 2 agosto 2001, Boultif c. Svizzera, n. 54273/00; sent. 18 ottobre 2006, Üner c. Paesi Bassi [GS], n. 46410/99, parr. 57-58; sent. 10 aprile 2012, Balogun c. Regno Unito, n. 60286/09, par. 43; Corte EDU, sent. 16 aprile 2013, Udeh c. Svizzera, n. 12020/09, par. 52; Corte EDU, sent. 3 ottobre 2014, Jeunesse c. Paesi Bassi [GS], n. 12738/10, parr. 117-118; sent. 1 dicembre 2016, Salem c. Danimarca, n. 77036/11, parr. 75, 78; sent. 23 ottobre 2018, Assem Hassan Ali c. Danimarca, n. 25593/14, 23 ottobre 2018, parr. 54-55, 61) comporta che allorché lo straniero abbia commesso un reato occorre valutare in concreto caso per caso la proporzionalità di una eventuale misura di respingimento o di espulsione col diritto al rispetto della vita familiare, sulla base di una serie precisa di parametri, in gran parte ora richiamati anche dalle nuove norme legislative italiane:
1) la natura e la gravità del reato commesso dallo straniero nello Stato;
2) la durata del soggiorno dello straniero nello Stato da cui sarebbe espulso;
3) il tempo trascorso dal giorno della commissione del reato e la condotta dello straniero durante questo periodo;
4) le nazionalità dello straniero e di eventuali familiari coinvolti;
5) la situazione familiare, come la durata del matrimonio, e altri fattori che testimoniano la solidità della vita familiare di una coppia;
6) la conoscenza del reato da parte del coniuge nel momento in cui è iniziata la relazione familiare;
7) la presenza di figli nati nel matrimonio e, in caso affermativo, la loro età;
8) la gravità delle difficoltà a cui il coniuge può andare incontro nel Paese in cui lo straniero sarebbe espulso;
9) la solidità dei suoi o dei loro legami sociali, culturali e familiari con il Paese ospitante e con il Paese di destinazione;
10) il superiore interesse e il benessere di eventuali minori coinvolti, in particolare delle difficoltà che incontrerebbero se dovessero seguire lo straniero nel Paese in cui viene espulso.
In ogni caso viola il diritto al rispetto della vita privata e familiare anche la mancata considerazione dell’interesse superiore del bambino o l’assenza di coordinamento tra le autorità nella determinazione di tali interessi (Corte EDU, sent. 21 dicembre 2010, Anayo c. Germania, n. 20578/07; sent. 24 maggio 2011, Saleck Bardi c. Spagna, n. 66167/09.).
La Corte EDU in Üner v. the Netherlands [GC], App. No. 46410/99, 18 ottobre 2006 ha poi indicato l’esigenza di tenere conto delle conseguenze che il provvedimento avrebbe sui figli minorenni dell’espellendo i quali, nati e cresciuti nello Stato di accoglienza, sono privi di qualsiasi legame con il Paese di origine del genitore.
Richiamando la Convenzione delle Nazioni Unite per i diritti del fanciullo, la Corte ha evidenziato che l’obbligo di tenere conto del principio del superiore interesse del minore anche con riferimento al giovane che delinque impone di promuoverne la reintegrazione sociale, la quale verrebbe ad essere significativamente pregiudicata a causa di un provvedimento di espulsione tale da comprometterne le relazioni sociali e familiari del giovane, anche se, con specifico riferimento all’ipotesi in cui il reato sia stato commesso da un minorenne, giunto in giovanissima età nel Paese di accoglienza, la natura e la gravità dei reati commessi costituisce soltanto uno dei criteri di cui la Corte deve tenere conto, sicché il principio del superiore interesse del minore è sempre significativo. (Corte EDU Zakharchuk v. Russia, App. No. 2967/12, 17 dicembre 2019, par. 49). Perciò la Corte ha affermato (a partire dalla pronuncia Maslov v. Austria, par. 75), che l’espulsione di uno straniero c.d. di seconda generazione possa considerarsi legittima solo in presenza di ragioni molto serie, specialmente quando il reato all’origine della misura di espulsione sia stato commesso in giovane età (Levakovic v. Denmark, App. No. 7841/14, 23 ottobre 2018, par. 44). L’individuazione di ragioni tali da giustificare l’allontanamento in queste specifiche situazioni deve ritenersi ancor più difficile – e pressoché impossibile –, qualora il reato commesso sia di lieve gravità.
Peraltro lede il diritto alla vita privata l’espulsione di uno straniero entrato nello Stato regolarmente per ricongiungimento familiare, il quale sia stato condannato per un grave reato commesso quando era minorenne, per il quale la pena sia stata eseguita e poi sia diventato un modello di riabilitazione, non avendo commesso altri reati, avendo ottenuto una laurea e avendo trovato un impiego stabile (Corte EDU, sent. 20 settembre 2011, A.A. c. Regno Unito, n. 8000/08).
Circa i limiti all’espulsione derivanti dal diritto alla vita privata la Corte EDU ha anzitutto ricordato che il diritto alla vita privata protetto dall’art. 8 CEDU comprende l’integrità fisica e psicologica di una persona, il diritto allo sviluppo personale e il diritto di stabilire e mantenere relazioni con altri esseri umani e con il mondo esterno (Corte EDU, sent. 29 aprile 2002, Pretty. c. Regno Unito, n. 2346/02, par. 61) e ricomprende la totalità dei legami sociali tra migranti insediati e la comunità in cui essi stanno vivendo (Üner v. the Netherlands [GC], cit., par. 59).
In relazione agli immigrati di seconda generazione, che abbiano costituito nello Stato di accoglienza una propria famiglia, devono trovare applicazione i criteri Boultif, già analiticamente richiamati.
In relazione invece a coloro che non abbiano ancora una propria vita familiare nello Stato, devono applicarsi solo i primi tre di questi criteri, cui dovrà aggiungersi un ulteriore fattore relativo ai legami privati che questi immigrati hanno tessuto con i loro Paesi di accoglienza in cui hanno passato l’essenziale della loro esistenza (Benhebba v. France, cit., par. 33. Al riguardo si veda anche la sent. Maslov v. Austria [GC], cit. Si tratta di un principio ormai estremamente consolidato nella giurisprudenza della Corte (al riguardo, cfr. inter alia, Emre v. Switzerland, App. No. 42034/04, 22 maggio 2008; Samsonnikov v. Estonia, App. No. 52178/10, 3 luglio 2012; Bajsultanov v. Austria, App. No. 54131/10, 12 giugno 2012; Shala v. Switzerland; App. No. 52873/09, 15 novembre 2012; Kissiwa Koffi v. Switzerland, App. No. 38005/07, 15 novembre 2012; Hasanbasic c. Suisse, App. No. 52166/09, 11 giugno 2013). Tale aspetto deve essere oggetto di valutazione in considerazione del fatto che è nel Paese di accoglienza che gli stranieri di seconda generazione hanno sviluppato la maggior parte dei loro legami sociali e costruito la propria identità, a discapito del Paese di origine con cui spesso non hanno più alcun rapporto.
La rilevanza riconosciuta alle relazioni sociali dello straniero emerge altresì, a contrario, nei casi in cui la Corte ha valutato negativamente la circostanza che l’espellendo non abbia relazioni sociali consolidate al di fuori del proprio nucleo familiare (Mutlag v. Germany, App. No. 40601/05, 25 marzo 2010, par. 58). Questo elemento si ricollega alla valutazione del comportamento recidivo del soggetto ai fini di accertare la natura proporzionata della misura di espulsione a seguito di condanne penali (Narjis v. Italy, App. No. 57433/15, 14 febbraio 2019; Levakovic v. Denmark, cit.; particolarmente significativa anche la sent. I.M. v. Switzerland). La recidiva, infatti, è talvolta interpretata come espressione dell’incapacità del soggetto di integrarsi costruttivamente nella società ospite, creando relazioni sociali solide e fruttuose (sent. Narjis v. Italy, cit., par. 48):
Anche nell’applicazione di questo segmento del diritto di cui all’art. 8 CEDU, la Corte in primo luogo accerta l’esistenza della vita privata, desumibile da svariate circostanze (Berrehab v. Netherlands, 21 giugno 1988, ric. n. 10730/84; Abdulaziz, Cabalez e Balkandali v. UK, 11 maggio 1982, ric. n. 9214/80) e in secondo luogo opera quel tipico bilanciamento degli interessi in gioco, onde verificare se vi sia stata un’ingerenza e se questa sia ammissibile e, dunque legittima, ai sensi dell’art. 8(2) e nell’effettuare tale bilanciamento, si dà notevole peso alla possibilità di trasferirsi nel Paese d’origine, avendo riguardo anche ai legami sussistenti con lo Stato di residenza comparati con quello verso il quale lo straniero dovrebbe essere rimpatriato.
Anche nel caso di stranieri irregolarmente soggiornanti, la Corte ha riconosciuto rilevanza non solo alla vita familiare, ma altresì, se pur in misura minore, alla vita privata. La questione è stata in particolare analizzata dalla Corte nella pronuncia Butt v. Norway App. No. 47017/09, 14 dicembre 2012.
Una particolare rilevanza è attribuita sia alla durata del soggiorno nello Stato di accoglienza, sia alla solidità dei legami sociali, culturali e familiari con il Paese ospitante e con quello di provenienza, desunta per esempio dall’aver svolto uno o più lavori, dalla presenza dei familiari e dalla conoscenza della lingua (Salija c. Svizzera, Corte EDU 10.1.2017).
Il diritto alla vita privata e il diritto alla vita familiare devono essere in ogni caso garantiti agli stranieri che hanno risieduto nel Paese di accoglienza per la totalità o la gran parte dell’infanzia e della giovinezza, perché in tali ipotesi il soggiorno dello straniero può essere interrotto dallo Stato solo per ragioni particolarmente gravi, che sovente si identificano con l’esigenza di salvaguardare la sicurezza della comunità ospitante (Maslov c. Austria, Corte EDU 23.6.2008)
Il permesso di soggiorno per protezione speciale protegge dunque chi non può tornare in uno Stato perché gli è di fatto impedito esercitare i suoi diritti fondamentali o non potrebbe essere rispettato il suo diritto alla vita privata e familiare garantito dall’art. 8 CEDU e maturato in Italia, da valutarsi caso per caso tenendo conto di ognuno dei fattori indicati dalla norma legislativa ed ispirati anche agli orientamenti della giurisprudenza della CEDU e della giurisprudenza italiana (vedasi in particolare (Cass., SU civ., n. 29459/2019).
Occorre altresì evidenziare che la nuova disposizione introdotta dalla l. 173/2020 non richiede un bilanciamento tra l’esistenza di un percorso di inserimento sociale in Italia o di una vita famigliare e l’esistenza di una condizione di radicale impedimento, nel Paese di origine, al godimento di diritti umani fondamentali per la dignità della persona, bensì il livello di integrazione conseguito in Italia diviene l’elemento predominante nella valutazione dei presupposti per il riconoscimento della protezione speciale mentre la pur prevista valutazione delle condizioni di vita dello straniero nel Paese di origine in caso di rimpatrio assume, nel procedimento di valutazione, una rilevanza minore.
Ai fini di accertare l’effettiva integrazione sociale occorre effettuare in ogni situazione un bilanciamento.
In tal senso il permesso deve essere in ogni caso rilasciato o rinnovato allo straniero, anche sprovvisto di altri titoli di soggiorno, i cui legami familiari in Italia, valutati soprattutto con riguardo alla loro intensità, alla loro durata, alla loro stabilità, nonché alle condizioni di esistenza dell’interessato, del suo inserimento nella società italiana e dei suoi legami con la famiglia restata nel Paese di origine, sono tali che il rifiuto di autorizzare il suo soggiorno arrecherebbe al suo diritto al rispetto della sua vita privata o della sua vita familiare una lesione sproporzionata rispetto ai motivi del rifiuto o della revoca del soggiorno.
L’effettiva integrazione sociale dello straniero deve essere valutata secondo la definizione di integrazione prevista nell’art. 4-bis, co. 1 d.lgs. n. 286/1998 quale «processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, col il reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società».
Perciò occorre avere riguardo all’effettivo rispetto da parte dello straniero nella sua vita in Italia dei principi costituzionali della Repubblica, incluso il divieto di poligamia, e tenere conto di eventuali rapporti di lavoro, anche irregolari o regolarizzabili, dell’effettiva conoscenza della lingua italiana e il soggiorno può essere concesso anche in ragione dei motivi umanitari o dei casi eccezionali fatti valere dall’interessato.
Le nuove norme fanno richiamo anche all’esigenza di rispettare, anche in presenza di elementi che potrebbero indurre al diniego del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno per protezione speciale fondato sui rischi per il diritto alla vita privata e alla vita familiare, la Convenzione internazionale sui diritti dei rifugiati e la Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
In ogni caso la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea prevede il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia (art. 9) e il diritto al rispetto della vita familiare (art. 7), oltre a tutelare i diritti del bambino (art. 24), in particolare il diritto di intrattenere regolarmente contatti diretti con i due genitori (art. 24, par. 3).
Per il resto la CGUE nella sent. 14 maggio 2019, cause riunite C-391/16, C-77/17 e C-78/17, M/Ministerstvo vnitra, X. e X. Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides, punti 101-112, afferma che il mancato riconoscimento o la revoca dello status di rifugiato non incide sull’obbligo, per lo Stato membro interessato, di rispettare le disposizioni pertinenti della Carta dei diritti fondamentali della UE, quali quelle contenute nel suo art. 7, relativo al rispetto della vita privata e della vita familiare, nel suo art. 15, relativo alla libertà professionale e al diritto di lavorare, nel suo art. 34, relativo alla previdenza sociale e all’assistenza sociale, nonché nel suo art. 35, relativo alla protezione della salute.
Analogamente il richiamo alla Convenzione sullo status di rifugiato garantisce anche a coloro a cui sia revocato lo status di rifugiato ciò che prevedono i suoi artt. 3 (principio di non-discriminazione), 4 (diritto alla libertà religiosa), 16 (diritto di adire i Tribunali), 22 (parità di trattamento in materia di istruzione primaria), 31 (divieto di sanzionare penalmente l’ingresso o il soggiorno irregolare nello Stato), 32 (garanzie in caso di allontanamento) e 33 (principio di non respingimento) e il richiamo alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE garantisce ciò che prevedono i suoi artt. 7 (rispetto della vita privata e della vita familiare),15 (libertà professionale e diritto di lavorare), 34 (previdenza sociale e assistenza sociale) e 35 (protezione della salute).
8) Nuova disciplina del permesso di soggiorno per cure mediche. Ipotesi interpretative
Le nuove norme legislative riformano il recente divieto di espulsione per motivi di salute che era stato introdotto nell’art. 19, co. 2 d.lgs. n. 286/1998, per effetto delle modifiche introdotte dal d.l. n. 113/2018.
La prima modifica riguarda uno dei presupposti per il suo rilascio e rinnovo: esso riguarda non più gli stranieri che versino in condizioni di salute «di particolare gravità», ma coloro che si trovino in una condizione più estensiva, altra più estensiva: «gravi condizioni psico-fisiche o derivanti da gravi patologie».
Inoltre tale tipologia di permesso di soggiorno per cure mediche è ora inclusa anche tra i permessi di soggiorno convertibili in permessi di soggiorno per motivi di lavoro.
Per tali ipotesi si indicano alcune ipotesi interpretative.
In primo luogo occorre verificare la situazione sanitaria del Paese di origine, con particolare riguardo sia all’effettiva ampia diffusione delle prestazioni mediche e alla loro gratuità, sia all’effettiva accessibilità alle stesse da parte di chiunque anche in situazione di pandemia, sia le condizioni di salute fisico-psichica dello straniero e lo stato di attuazione delle sue terapie, sia le conseguenze sulla salute che deriverebbero in connessione alle modalità con cui in concreto si dovrebbe attuare il rimpatrio.
In secondo luogo occorre evitare di richiedere allo straniero, magari in terapia o ricoverato, certificazioni mediche che il questore potrebbe ottenere d’ufficio dalla struttura curante.
In terzo luogo la risposta circa la richiesta di rilascio o di rinnovo di tali permessi dovrebbe essere espletata entro termini brevissimi, anche per evitare che le lentezze amministrative possano produrre effetti negativi sulla salute degli stranieri e sul funzionamento delle strutture di cura italiane.
In quarto luogo la valutazione delle domande dovrebbe essere effettuata anche sulla base del tipo di patologie certificate e della loro cronicità (analogamente alle prestazioni che devono essere comunque assicurate in Italia a qualsiasi straniero presente nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 35, co. 3 d.lgs. n. 286/1998 per l’accesso alle cure urgenti ed essenziali del SSN), delle eventuali esigenze di riabilitazione e della condizione individuale di età o di cure già svolte.
9)Nuova disciplina del permesso di soggiorno per calamità. Ipotesi sul concetto di grave calamità
Si modifica altresì l’art. 20-bis, d.lgs. n. 286/1998 (che era stato introdotto dal d.l. n. 113/2018) prevedendo come presupposto per il rilascio del permesso di soggiorno per calamità che il Paese, verso il quale lo straniero deve fare ritorno, versi in una situazione non già di «contingente ed eccezionale» calamità, tale da non consentire il rientro e la permanenza in condizioni di sicurezza, ma di una «grave» calamità.
È altresì abrogata la previsione che impediva la conversione del permesso di soggiorno per calamità in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
Circa il concetto di grave calamità dovrebbe riferirsi a qualsiasi evento calamitoso di origine naturale o derivante dall’attività dell’uomo che abbia un’intensità o un’estensione tale che abbia conseguenze gravi sulle persone, sull’ambiente o sui loro beni; una simile definizione può infatti ricavarsi per analogia sia con la nozione di «calamità di rilevanza nazionale» prevista dal codice sulla protezione civile all’art. 7 d.lgs. n. 1/2018 («emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari»), sia con la nozione di “catastrofe” prevista nell’art. 4 della decisione n. 1313/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 su un meccanismo unionale di protezione civile («qualsiasi situazione che abbia o possa avere conseguenze gravi sulle persone, l’ambiente o i beni, compreso il patrimonio culturale»);
10) Riforma dei permessi di soggiorno per ricerca
Le nuove norme legislative modificano l’art. 27-ter (Ingresso e soggiorno per ricerca) d.lgs. n. 286/1998 apportando modifiche ai commi 9-bis e 9-ter. Nel comma 9-bis si abroga il requisito della disponibilità di un reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale.
Inoltre si espunge il richiamo all’art. 34, co. 3, d.lgs. n. 286/1998 ai fini dell’assistenza sanitaria, che comportava l’obbligo per lo straniero ricercatore di assicurarsi contro il rischio di malattie, infortunio e maternità, mediante stipula di apposita polizza assicurativa con un istituto assicurativo italiano o straniero, valida sul territorio nazionale.
Si modifica anche il comma 9-ter, prevedendosi che ai fini del rilascio del permesso di soggiorno di cui al comma 9-bis, lo straniero sia tenuto ad allegare la sola documentazione idonea a comprovare l’esigenza di completamento dell’attività di ricerca, rilasciata dall’istituto di ricerca, senza dover documentare requisiti reddituali e assicurativi ora soppressi dal punto precedente.
11) Riforma dei permessi di soggiorno per i minori stranieri non accompagnati
Si ripristinano i due ultimi periodi del comma 1-bis dell’art. 32 d.lgs. n. 286/1998, i quali erano stati abrogati dal decreto-legge n. 113/2018 e così si reintroduce la previsione che il mancato rilascio del parere da parte del Comitato per i minori stranieri (previsto dall’art. 33 d.lgs. n. 286/1998) non possa legittimare il rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno, nonché la previsione dell’applicazione a tale procedimento del silenzio assenso (mediante il rinvio all’art. 20, co. 1, 2 e 3 della legge n. 241/1990).
12) Riforma del permesso di soggiorno per cure mediche
Si modifica il permesso di soggiorno per cure mediche previsto dall’art. 36 d.lgs. n. 286/1998 prevedendo che il permesso di soggiorno per cure mediche consente anche lo svolgimento di attività lavorativa.
13) Riordino delle procedure accelerate e prioritarie di esame delle domande di protezione internazionale: continua la mortificazione del diritto di asilo
L’art. 2 del d.l. n. 130/2020 riordina tutta la disciplina delle procedure accelerate e prioritarie di esame delle domande di protezione internazionale, modificando le norme che erano già stata riformate dal d.l. n. 113/2018.
In realtà la scelta del decreto-legge di non modificare sostanzialmente la disciplina delle procedure accelerate per l’esame delle domande di protezione internazionale nelle zone di transito e frontiera, che furono introdotte con il d.l. n. 113/2018 determina una mortificazione del diritto di asilo, perché può favorire abusi e comporta comunque una riduzione drastica dei diritti di una parte notevole dei richiedenti nella fase dell’esame amministrativo delle domande.
Anche con le nuove norme del decreto-legge la domanda di protezione internazionale presentata dopo l’espulsione dallo straniero – fermato per avere eluso o tentato di eludere i controlli di frontiera o subito dopo (il testo della norma è sul punto così vago che si presta ad elusioni e discrezionalità massicce) – è esaminata con procedura sommaria. Inoltre si prevede il trattenimento non solo nei Centri di permanenza per il rimpatrio, ma anche in non meglio precisate strutture a disposizione della pubblica sicurezza, nelle vicinanze delle frontiere e inaccessibili di fatto a difensori e organizzazioni di tutela dei diritti. Tutte queste norme sono illegittime perché violano le garanzie costituzionali della riserva assoluta di legge in materia di libertà personale e consentono un trattenimento generalizzato della gran parte dei richiedenti asilo, in palese contrasto con la direttiva UE in materia di accoglienza.
In violazione della presunzione costituzionale di non colpevolezza degli imputati e della riserva di legge in materia di stranieri, con riferimento agli stranieri arrivati in frontiera che possono essere trattenuti a lungo in un CPR, ovvero in un altro Centro non meglio precisato, periodo durante il quale la loro domanda di asilo è esaminata con una procedura velocissima, senza garanzie, anche considerato che i richiedenti sono isolati e non hanno la possibilità concreta di essere assistiti da un avvocato o dalle organizzazioni umanitarie.
Occorre invece ricordare che la procedura relativa alla presentazione della domanda di protezione internazionale in frontiera finisce per applicarsi assai spesso a persone traumatizzate dal viaggio ed alle quali deve essere in ogni caso garantito un esame adeguato della domanda di protezione internazionale, nel pieno rispetto delle garanzie e dei diritti previsti disposizioni nazionali e dell’Unione europea.
In ogni caso le procedure accelerate nei confronti di chi sia entrato illegalmente sul territorio nazionale non possono essere applicabili – e perciò non può neppure essere considerata manifestamente infondata la loro domanda – a tutti quei «soggetti che sono stati soccorsi in acque internazionali e legittimamente trasportati sul territorio nazionale per necessità di pubblico soccorso. Non possono, dunque, essere considerati migranti entrati illegalmente nel territorio dello Stato per fatto proprio e l’ipotesi contravvenzionale non consente di configurare il tentativo d’ingresso illegale.» (Cass., SU pen., 29 settembre 2016, n. 40517).
Occorre circoscrivere in modo rigoroso l’ambito di applicazione della procedura accelerata nei confronti dei richiedenti asilo che hanno «eluso o tentato di eludere i controlli di frontiera». Non può considerarsi elusione dei controlli di frontiera né il caso di colui che si è presentato spontaneamente alle autorità per chiedere asilo nè ogni ipotesi di rintraccio di uno straniero che ha appena fatto ingresso irregolare nel territorio, dovendosi in questa ultima ipotesi considerare le circostanze effettive di tempo e di luogo nel quale è avvenuto l’ingresso dello straniero nonché la sua effettiva condotta all’atto del rintraccio.
Il decreto-legge non abroga, inoltre, l’introduzione nell’ordinamento italiano (avvenuta col d.l. n. 113/2018) della nozione di «Paese di origine sicuro», la cui individuazione è effettuata sulla base di criteri vaghi e con decisione del solo Governo, in violazione delle norme costituzionali che esigono che solo la legge disciplini la condizione dello straniero e in violazione del divieto di discriminare i rifugiati secondo il Paese di origine, previsto dalla Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato.
In genere, invece, sul diritto di asilo le riforme introdotte dal decreto-legge restano in superficie.
In primo luogo si novella l’art. 12 (Colloquio personale), co. 1, d.lgs. n. 25/2008 che disciplina il colloquio del richiedente asilo con la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, prevedendo che esso sia disposta – ove possibile, utilizzando le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente – anche mediante collegamenti audiovisivi a distanza, fermo restando quanto previsto dagli artt. 13 e 14, del d.lgs. n. 25/2008.
In secondo luogo si sostituisce l’art. 28 (Esame prioritario) del d.lgs. n. 25/2008, ivi prevedendosi al comma 1 che il presidente della Commissione territoriale, previo esame preliminare delle domande, determina i casi di trattazione prioritaria, secondo i criteri enumerati al comma 2, e quelli per i quali applicare la procedura accelerata, ai sensi dell’art. 28-bis. La Commissione territoriale informa il richiedente delle determinazioni procedurali assunte ai sensi del periodo precedente, all’avvio del colloquio personale di cui all’art. 12.
Il comma 2 prevede poi che la domanda è esaminata in via prioritaria, conformemente ai princìpi fondamentali e alle garanzie di cui al capo II, quando:
a) ad una prima valutazione, è verosimilmente fondata;
b) è presentata da un richiedente appartenente a categorie di persone vulnerabili, in particolare da un minore non accompagnato, ovvero che necessita di garanzie procedurali particolari;
c) è esaminata ai sensi dell’art. 12, comma 2-bis (tale procedura consente l’omissione dell’audizione del richiedente a due condizioni: deve provenire da un Paese preventivamente individuato a tal fine dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo; la Commissione territoriale deve ritenere la sussistenza di sufficienti motivi per riconoscere lo status di protezione sussidiaria).
Inoltre si sostituisce l’art. 28-bis (Procedure accelerate) d.lgs. n. 25/2008, mantenendo fermo che le Commissioni territoriali sono chiamate a decidere entro cinque o nove giorni (sette + due), in base alle fattispecie rispettivamente enucleate al comma 1 e al comma 2. Nella formulazione previgente la decisione della Commissione territoriale doveva essere adottata entro 5 giorni nel caso di richiedenti provenienti da Paesi di origine sicura e di reiterazione della domanda.
Il nuovo comma 1 dell’art. 28-bis mantiene questa procedura (“super-accelerata” da concludersi in 5 giorni) in caso di reiterazione, mentre per i provenienti da Paesi di origine sicura il termine è di 9 giorni (7 giorni entro cui svolgere l’audizione più 2 giorni per la decisione), essendo tale ipotesi inserita, con le modifiche in commento, tra le fattispecie del comma 2.
Inoltre, è prevista una nuova fattispecie di domanda (comma 1, lett. b) per la quale la decisione deve essere assunta entro i cinque giorni: si tratta delle domande presentate da persona sottoposta a procedimento penale, o condannato con sentenza anche non definitiva, per uno dei gravi reati la cui condanna preclude l’acquisizione dello status di rifugiato (art. 12, co. 1, lett. c), del d.lgs. 251/2007) e della protezione sussidiaria (art. 16, co. 1, lett. d-bis, d.lgs. 251/2007).
Infine, il nuovo comma 6 dell’art. 28-bis esclude i minori stranieri non accompagnati dall’applicazione delle procedure di cui al medesimo art. 28-bis che disciplina, come sopra illustrato, le procedure accelerate. La procedura accelerata è esclusa anche per i richiedenti portatori di esigenze particolari indicate nell’art. 17, d.lgs. n. 142/2015 (si tratta di minori, inclusi i minori non accompagnati, disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, vittime della tratta di esseri umani, persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, persone per le quali è stato accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale o legata all’orientamento sessuale o all’identità di genere, le vittime di mutilazioni genitali).
Si integra l’art. 28-ter (Domanda manifestamente infondata) d.lgs. n. 25/2008, aggiungendo il comma 1-bis, al fine di prevedere che le disposizioni ivi recate in materia di domande manifestatamente infondate non si applichino ai richiedenti portatori di esigenze particolari indicate dall’art. 17 del decreto legislativo 18.8.2015, n. 142.
Si sostituisce anche l’art. 29-bis (Domanda reiterata in fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento), aggiornando la disciplina previgente in cui si prevedeva che la domanda fosse considerata automaticamente inammissibile in quanto presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione del provvedimento di allontanamento e che pertanto non fosse nemmeno esaminata. Il nuovo testo della disposizione, invece, stabilisce che la domanda è comunque esaminata dalla Commissione territoriale competente la quale entro tre giorni verifica se non siano stati addotti nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo Paese di origine e, in caso contrario ne dichiara l’inammissibilità. L’ipotesi di presentazione di una domanda di asilo reiterata in fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento viene, dunque, equiparata alla domanda reiterata ordinaria (di cui all’art 29 d.lgs. 25/2008) tranne che per il fatto che deve essere esaminata tassativamente nel termine di tre giorni. Si prevede che nell’ambito della procedura di esame della domanda siano «valutati anche i rischi di respingimento diretti e indiretti».
Si modifica anche l’art. 32 (Decisione) d.lgs. n. 25/2008 che interviene sulla fase decisoria della procedura di esame ed in particolare nell’ipotesi di non accoglimento della domanda di protezione internazionale: il comma 1-bis è abrogato e si raddoppia la durata del permesso di soggiorno per protezione sociale portandola da un anno a due anni.
Nel contempo si consente la conversione del permesso di soggiorno speciale in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, attraverso un rinvio all’art. 6, co. 1-bis d. lgs. n. 286/1998, introdotto dall’art. 1 del decreto-legge, che appunto estende la convertibilità dei permessi di soggiorno.
Il permesso di soggiorno speciale è concesso anche nel caso di rigetto della domanda di asilo presentata dallo straniero che versa in gravi condizioni di salute psico-fisiche o derivanti da gravi patologie, indicate all’art. 19, co. 2, lett. d) modificato dall’art. 1 del decreto-legge. È altresì stabilito (n. 3.2) che nei casi in cui la domanda di protezione internazionale non è accolta e nel corso del procedimento emergono gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico (di cui all’art. 31, co. 3, d.lgs. n. 286/1998), la Commissione territoriale ne informa il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni competente, per l’eventuale attivazione delle misure di assistenza in favore del minore.
Inoltre si rivede l’art. 35-bis (Delle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale) d.lgs. n. 25/2008. In particolare, si interviene sulle ipotesi di sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato. La disposizione (n. 3) specifica che il provvedimento di sospensione per gravi motivi debba essere adottato ai sensi dell’art. 3, co. 4-bis, del decreto-legge 17.2.2017, n. 13. La norma da ultimo citata prevede che tutte le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti delle Commissioni territoriali e della Commissione nazionale per diritto di asilo, anche relative al mancato riconoscimento dei presupposti per la protezione speciale, e quelle aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti adottati dall’autorità preposta alla determinazione dello Stato competente all’esame della domanda di protezione internazionale, sono decise dal Tribunale in composizione collegiale. Per la trattazione della controversia è designato dal presidente della sezione specializzata un componente del Collegio. Il Collegio decide in Camera di Consiglio sul merito della controversia quando ritiene che non sia necessaria ulteriore istruzione.
Ai sensi del comma 5 d.lgs. n. 25/2008, sono previsti due casi di mancata sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento di inammissibilità della domanda di protezione internazionale: per reiterazione di identica domanda, senza addurre nuovi elementi e per inammissibilità della domanda presentata da richiedenti per i quali è in corso un procedimento penale o è stata emessa sentenza per reati di grave allarme sociale.
Un’altra modifica mantiene l’ipotesi di reiterazione di identica domanda prevedendo che la mancata sospensiva scatti in presenza di una seconda decisione di inammissibilità. La seconda ipotesi viene invece soppressa. Viene, poi, prevista una nuova causa di mancata sospensiva, relativa alla dichiarazione di inammissibilità di una domanda reiterata in fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento di cui all’art. 29-bis.
I numeri 1) e 2) recano disposizioni di mero coordinamento formale che adeguano il procedimento di impugnazione alle modifiche apportate dal decreto-legge alla disciplina previgente.
14) Riforma della durata e delle modalità dei trattenimenti e nuovi compiti del Garante nazionaledei diritti delle persone detenute o private della libertà personale
Il comma 1, alle lett. a)-c), del decreto-legge modifica gli artt. 10-ter, 13 e 15 d.lgs. n. 286/1998.
La lettera a) novella l’art. 10-ter (Disposizioni per l’identificazione dei cittadini stranieri rintracciati in posizione di irregolarità sul territorio nazionale o soccorsi nel corso di operazioni di salvataggio in mare) integrandone il comma 3 e prevedendo che lo straniero sia tempestivamente informato dei diritti e delle facoltà derivanti dal procedimento di convalida del decreto di trattenimento, in una lingua a lui conosciuta (ovvero, se non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola).
La lettera b) modifica il comma 5-bis dell’art. 13 (Espulsione amministrativa) prevedendo che nei confronti dello straniero destinatario di provvedimento di espulsione amministrativa trattenuto in strutture e locali idonei, diversi dai CPR, ai sensi dell’art. 13, co. 5-bis, del Testo unico, si applichi l’art. 14, co. 2, per cui si dispone che lo straniero sia trattenuto nel Centro o struttura – presso i quali debbono essere comunque assicurati adeguati standard igienicosanitari e abitativi – con modalità tali da assicurare la necessaria informazione relativa al suo status, l’assistenza e il pieno rispetto della sua dignità.
In ogni caso occorre dare a questa ipotesi di trattenimento la interpretazione più restrittiva dal punto di vista costituzionale, con riguardo alla violazione dell’art. 13 Cost. circa la mancata tassatività dei presupposti e la mancata disciplina legislativa delle modalità di trattenimento.
Si modifica l’art. 14, d.lgs. n. 286/1998.
In particolare si prevede un raccordo organizzativo a fini di coordinamento entro l’Amministrazione dell’interno, circa lo smistamento nei Centri di permanenza per i rimpatri per dare esecuzione all’espulsione dello straniero.
L’art. 14 prevede (al primo comma) che quando non sia possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento (a causa di situazioni transitorie che ostacolino la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento), il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il Centro di permanenza per i rimpatri più vicino. La novella ora aggiunge che a tal fine il questore effettui richiesta di assegnazione del posto presso il Centro, alla Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno.
L’integrazione prevista al n. 2) nelle sue due lettere a) e b) prevede un ordine di priorità nell’effettuazione dei trattenimenti, per assicurare il trattenimento dei soggetti maggiormente pericolosi, in caso di insufficiente disponibilità di posti nei Centri di permanenza per il rimpatrio.
Si introduce nell’art. 14 d.lgs. n. 286/1998, mediante l’introduzione di un comma 1.1. aggiuntivo concernente il trattenimento dello straniero del quale non sia possibile eseguire con immediatezza l’espulsione o il respingimento alla frontiera, nel quale si prevede che il trattenimento sia disposto con priorità per i seguenti soggetti: coloro che siano considerati una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica; i condannati, anche con sentenza non definitiva, per i reati di cui all’art. 4, co. 3, terzo periodo ed all’art. 5, co. 5-bis d.lgs. n. 286/1998; i cittadini di Paesi terzi con i quali siano vigenti accordi di cooperazione o altre intese in materia di rimpatrio, o che provengano da essi.
La modifica riportata al n. 3) dispone circa la durata del trattenimento, modificando il comma 5 dell’art. 14 d.lgs. n. 286/1998 riduce il termine massimo per il trattenimento dello straniero all’interno del Centro di permanenza per i rimpatri, riportandolo a novanta giorni, durata già prevista prima del d.l. n. 113/2018, il quale invece l’aveva elevata a centottanta giorni, ma al contempo ne prevede la prorogabilità per altri trenta giorni, qualora lo straniero sia cittadino di un Paese con cui l’Italia abbia sottoscritto accordi in materia di rimpatri.
Quest’ultima norma dovrebbe essere interpretata in senso conforme all’art. 80 Cost. con riferimento ad accordi di cui sia stata autorizzata la ratifica con legge e non meri accordi conclusi in forma semplificata.
Nuove norme sono inserite nel tentativo di migliorare o qualificare le modalità del trattenimento.
In particolare nell’art. 14 (Esecuzione dell’espulsione) d.lgs. n. 286/1998 si sostituisce il comma 2, specificando che sono assicurati adeguati standard igienico-sanitari e abitativi nel Centro di trattenimento, con modalità tali da assicurare la necessaria informazione relativa al suo status.
È inserito un nuovo comma 2-bis), in cui si stabilisce che lo straniero trattenuto può rivolgere istanze o reclami orali o scritti, anche in busta chiusa, al Garante nazionale e ai Garanti regionali o locali dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
In proposito il comma 5 dell’art. 3 del decreto-legge novella il decreto-legge n. 146/2013 (Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria) laddove all’art. 7, si enumerano (comma 5) le attribuzioni del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, inserendo la lettera f-bis) che prevede che il Garante formuli specifiche raccomandazioni all’Amministrazione interessata, qualora accerti la fondatezza delle istanze e dei reclami proposti dai soggetti i quali siano in condizione di trattenimento. L’Amministrazione, in caso di “diniego”, comunica al Garante il dissenso motivato, nel termine di trenta giorni.
15) Iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo
Recependo le indicazioni della sentenza della Corte costituzionale n. 186/2020 si sostituiscono le norme introdotte nel 2018 che impedivano o ostacolavano l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo.
Si prevede l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente, del richiedente protezione internazionale al quale sia stato rilasciato il permesso di soggiorno per richiesta asilo, al quale si dispone altresì sia rilasciata una carta d’identità valida solo sul territorio nazionale, di durata triennale (art. 5-bis, co. 4 d.lgs. n. 142/2015).
Il responsabile della convivenza anagrafica ha l’obbligo di dare comunicazione delle relative variazioni al competente ufficio di anagrafe entro venti giorni dalla data in cui si sono verificati i fatti (art. 5-bis, co. 2 d.lgs. n. 142/2015).
La comunicazione, da parte del responsabile della convivenza anagrafica, della revoca delle misure di accoglienza o dell’allontanamento non giustificato del richiedente protezione internazionale costituisce motivo di cancellazione anagrafica con effetto immediato (art. 5-bis, co. 3 d.lgs. n. 142/2015).
16) Nuove ipotesi di trattenimento dei richiedenti asilo
L’art. 3 del decreto-legge prevede che il trattenimento dello straniero richiedente protezione internazionale può essere disposto anche in altre tre circostanze, oltre a quelle già previste dall’ordinamento:
1) allorché ricorrano le condizioni per il diniego dello status di rifugiato o di esclusione dalla protezione sussidiaria (enumerate dall’art. 16 d.lgs. n. 251/2007: in entrambi i casi sono condizioni attinenti alla pericolosità del soggetto o alla commissione di reati gravi);
2) allorché il richiedente asilo presenti domanda reiterata in fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento (la quale era considerata alla stregua di domanda meramente dilatoria dall’art. 29-bis, d.lgs. n. 25/2008 prima della riscrittura disposta dal medesimo decreto-legge);
3) allorché la pericolosità per l’ordine e la sicurezza sia desumibile da condanne – anche con sentenza non definitiva – per i reati la cui commissione sia causa di diniego dello status di rifugiato e di esclusione dalla protezione sussidiaria (ai sensi rispettivamente dell’art. 12, co. 1, lett. c) e dell’art. 16, co. 1, lett. d-bis d.lgs. n. 251/2007).
Si aggiunge poi il comma 10-bis all’art. 6, d.lgs. n. 142/2015 concernente il trattenimento dello straniero richiedente protezione internazionale, per prevedere che, qualora sussistano fondati dubbi relativi all’età dichiarata da un minore, si applichino le misure del medesimo decreto legislativo, art. 19-bis, in tema di identificazione dei minori stranieri non accompagnati.
Peraltro al comma 2, la lett. b-bis dell’art. 3 del decreto-legge affida ad apposite linee-guida interministeriali la verifica della sussistenza delle esigenze particolari e delle specifiche situazioni di vulnerabilità – di cui all’art. 9, co. 4-bis, del d.lgs. n. 142/2015 – rilevanti ai fini del trasferimento prioritario dei richiedenti protezione internazionale nelle strutture del sistema di accoglienza e integrazione nonché dell’adozione delle di idonee misure di accoglienza dei medesimi disciplinate dall’art. 10 d.lgs. n. 142/2015.
Il comma 3 prevede che le disposizioni di cui al comma 2, lett. b), n. 1) si applichino nei limiti della disponibilità di posti nei Centri di permanenza per il rimpatrio o nelle strutture diverse ed idonee previste al co. 5-bis dell’art. 13 d. lgs. n. 286/1998.
17) Il nuovo Sistema di accoglienza e integrazione (SAI)
Il decreto-legge opera un’ampia riforma del sistema di accoglienza per asilanti, che già era stata ridotta dal d.l. n. 113/2018 dalla creazione del SIPROIMI, che aveva sostituito il previgente SPRAR.
Ora l’art. 4 del decreto-legge modifica le disposizioni vigenti riguardanti il Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati (SIPROIMI, in precedenza SPRAR), con la definizione del nuovo «Sistema di accoglienza e integrazione» (SAI). L’inserimento nelle strutture di tale circuito è ampliato, nei limiti dei posti disponibili, oltre che ai titolari di protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati, ai richiedenti la protezione internazionale, che erano stati esclusi dal d.l. n. 113/2018, nonché ai titolari di diverse categorie di permessi di soggiorno previsti dal d.lgs. n. 286/1998 ai neomaggiorenni affidati ai servizi sociali in prosieguo amministrativo.
All’ampliamento dei destinatari corrisponde una diversificazione dei servizi del Sistema, che ora si articola in due livelli di prestazioni: il primo dedicato ai richiedenti protezione internazionale, il secondo a coloro che ne sono già titolari, con servizi aggiuntivi finalizzati all’integrazione. A tale fine sono apportate le necessarie modifiche sia al d.lgs. n. 142/2015 (comma 1) sia al decreto-legge n. 416/1989 (commi 3 e 4).
Le nuove disposizioni non mutano il quadro dei destinatari delle attività di c.d. prima accoglienza, che continuano ad essere svolte nei Centri governativi ordinari e straordinari di cui agli artt. 9 e 11 d.lgs. n. 142/2015. Sono invece ridefinite, per tali strutture, le condizioni materiali di accoglienza (comma 1).
In particolare, il comma 1, alle lett. a)-e), sostituisce e modifica gli artt. 8, 9-11 d.lgs. n. 142/2015.
Alla lettera a), si modifica l’art. 8 (Sistema di accoglienza). La novella riscrive i principi fondamentali del sistema di accoglienza, a partire dalla riformulazione del comma 2 della richiamata disposizione, in base al quale, nel testo vigente, la funzione di soccorso e prima assistenza, nonché le operazioni di identificazione dei migranti, sono svolte nei Centri di prima accoglienza (CPA) o Centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA). Con le modifiche previste, si specificano le funzioni distinguendo le strutture destinate a svolgerle, prevedendo in particolare che: le funzioni di prima assistenza sono assicurate nei Centri governativi e nelle strutture temporanee di cui agli artt. 9 e 11 d.lgs. n. 142/2015; le procedure di soccorso e identificazione dei cittadini irregolarmente giunti nel territorio nazionale si svolgono presso i c.d. punti di crisi (hotspot) di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 286/1998.
In secondo luogo, il nuovo comma 3 dell’art. 8 stabilisce che i richiedenti protezione internazionale, che erano stati esclusi dalla rete territoriale di accoglienza integrata in base al d.l. 113/2018, possono accedere alle strutture del Sistema di accoglienza e integrazione (SAI), come ridenominato ai sensi del successivo comma 3 dell’articolo in commento, nei limiti dei posti disponibili,
Si modifica anche l’art. 9 (Misure di prima accoglienza) del d.lgs. n. 142/2015.
In primo luogo si dispone che nei criteri per l’istituzione dei Centri governativi di prima accoglienza si debbano tenere in considerazione le esigenze di contenimento della capienza massima, ai fini di una migliore gestione dei Centri medesimi.
Con la seconda modifica approvata al comma 4 in prima lettura, dove si prevede che il prefetto, sentito il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno, invia il richiedente nelle strutture di cui al comma 1 dell’articolo dove quest’ultimo è accolto per il tempo necessario all’espletamento delle operazioni di identificazione, ove non completate precedentemente, alla verbalizzazione della domanda ed all’avvio della procedura di esame della medesima domanda, nonché all’accertamento delle condizioni di salute, è stabilito che egli debba preventivamente darne informazione anche al sindaco del Comune nel cui territorio è situato il Centro di prima accoglienza. Con la terza modifica viene aggiunto un nuovo comma 4-bis, che dispone, in conformità a quanto già previsto dall’art. 8, co. 3, che una volta espletate le operazioni da svolgere nei Centri di prima accoglienza, il richiedente la protezione internazionale è trasferito, nei limiti dei posti disponibili, nelle strutture del Sistema di accoglienza e integrazione.
Si aggiunge inoltre un criterio di priorità nel trasferimento presso le strutture comunali per i richiedenti che rientrino in una delle categorie di vulnerabilità previste dall’art. 17 d.lgs. n. 142/2015.
Alla lettera c), si integra il comma 1 dell’art. 10 d.lgs. n. 142/2015, relativo alle modalità di accoglienza nei Centri governativi ordinari e straordinari di cui agli artt. 9 e 11 del medesimo decreto.
In aggiunta a quanto già previsto, il decreto ora dispone la necessità di assicurare nei Centri adeguati standard igienico-sanitari ed abitativi, secondo criteri e modalità che devono essere stabiliti con decreto del Ministro dell’interno, sentita la Conferenza unificata, che si esprime entro trenta giorni; la tipologia di prestazioni che devono essere erogate dai Centri, che consistono in: prestazioni di accoglienza materiale, assistenza sanitaria, assistenza sociale e psicologica, mediazione linguistico culturale, somministrazione di corsi di lingua italiana e servizi di orientamento legale e al territorio.
Pertanto si stabiliscono con fonte primaria le categorie di servizi garantiti dai Centri governativi di cui agli articoli 9 e 11, sono previsti alcuni servizi aggiuntivi rispetto a quelli stabiliti nello schema di capitolato in vigore e, segnatamente: la somministrazione di corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento al territorio, nonché l’assistenza psicologica che si aggiunge a quella sociale.
Si stabilisce inoltre che i servizi possono essere erogati, anche con modalità di organizzazione su base territoriale.
Inoltre si prevede che nei Centri di accoglienza siano previste anche idonee misure di sicurezza, di prevenzione, controllo e vigilanza relativamente alla partecipazione o alla propaganda attiva a favore di organizzazioni terroristiche internazionali.
Si modifica altresì l’art. 11, co. 3, del d.lgs. 142/2015 stabilendo che l’accoglienza nelle strutture straordinarie (c.d. CAS) è limitata al tempo strettamente necessario al trasferimento del richiedente nelle strutture del Servizio di accoglienza ed integrazione (SAI), e non più, come previsto dal d.l. 113/2018, nei Centri governativi di prima accoglienza di cui all’art. 9.
Inoltre si ripristina la possibilità di avviare i richiedenti la protezione internazionale ad attività di utilità sociale; tale possibilità era stata introdotta con l’art. 22-bis del d.lgs. 142/2015 dal d.l. n. 13/2017, ma poi era stata eliminata dal d.l. n. 113/2018, che la consentiva soltanto ai titolari di protezione internazionale.
Il comma 2 stabilisce che le attività di cui al comma 1, lett. b), n. 1 e c) sono svolte con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Il comma 3, alle lettere a)-c), aggiorna l’art. 1-sexies (Sistema di accoglienza e integrazione) dal d.l. 416/1989, intervenendo sulle norme relative al sistema di accoglienza territoriale, in origine SPRAR (Sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati), dal 2018 ridenominato SIPROIMI (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati), che è ora definito come Sistema di accoglienza e integrazione - SAI.
A tal fine, sono introdotte alcune modifiche all’art. 1-sexies del citato decreto-legge n. 416/1989.
In particolare si introducono due novità principali.
La prima riguarda l’ampliamento della platea dei potenziali beneficiari delle prestazioni del sistema di accoglienza, che oltre ai titolari di protezione internazionale e ai minori non accompagnati, ricomprende anche, «nei limiti dei posti disponibili» (comma 3, lett. b)):
a) i richiedenti la protezione internazionale (ossia gli stranieri che hanno presentato una domanda di protezione internazionale sulla quale non è ancora stata adottata una decisione definitiva), esclusi a norma del d.l. 113/ 2018;
b) i titolari di alcuni tipi di permessi di soggiorno, qualora non accedano a sistemi di protezione, specificamente:
1) permesso di soggiorno «per protezione speciale» per i soggetti per i quali vige il divieto di respingimento o di espulsione ai sensi degli artt. 19, co. 1 e 1.1. d.lgs. n. 286/1998 (come modificato dallo stesso d.l. n. 130/2020), è un permesso di soggiorno rilasciato al richiedente asilo che non possa ottenere la protezione internazionale ma per il quale la Commissione territoriale ritenga sussistenti il rischio di persecuzione o di tortura nel caso di rientro nel Paese di origine. Sono tuttavia esclusi dal SAI i titolari di protezione speciale che abbiano compiuto atti che integrano le cause di esclusione della protezione internazionale;
2) permesso di soggiorno «per cure mediche» di cui agli artt. 19, co. 2, lett. d-bis, d.lgs. n. 286/1998: è rilasciato allo straniero che si trova in condizioni di salute di eccezionale gravità, tali da ritenere che il rientro nel Paese di origine o provenienza possa determinare un pregiudizio per la sua salute;
3) permesso di soggiorno «per protezione sociale», per vittime di violenza o grave sfruttamento ex art. 18 del d.lgs. n. 286/1998;
4) permesso di soggiorno per vittime di «violenza domestica» ex art. 18-bis, d.lgs. n. 286/1998;
c) gli stranieri affidati ai servizi sociali al compimento della maggiore età ex 13, co. 2, l. 47/2017 (c.d. prosieguo amministrativo): la citata disposizione prevede l’affidamento ai servizi sociali, anche oltre il compimento dei 18 anni e fino all’età massima di 21 anni, per effetto di un decreto adottato dal Tribunale per i minorenni, dei neo maggiorenni che necessitano di un supporto prolungato finalizzato al buon esito del percorso di inserimento sociale intrapreso.
Si prevede che l’accoglienza dei titolari di permesso di soggiorno per protezione sociale avvenga con le modalità previste dalla normativa nazionale e internazionale in vigore per le categorie vulnerabili, e in collegamento con i percorsi di protezione dedicati alle vittime di tratta e di violenza domestica.
La seconda novità relativa al sistema di accoglienza riguarda l’articolazione in due tipologie di servizi dei progetti degli Enti locali finalizzati all’accoglienza:
1) servizi di primo livello, cui accedono i richiedenti protezione internazionale, tra i quali si comprendono: prestazioni di accoglienza materiale, assistenza sanitaria, assistenza sociale e psicologica, mediazione linguistico-culturale, somministrazione di corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio. Si tratta degli stessi servizi che devono essere assicurati nei Centri governativi di prima accoglienza, come ridefiniti dal decreto in esame.
2) servizi di secondo livello, cui accedono tutte le altre categorie di beneficiari del sistema, che già accedono ai servizi previsti al primo livello: si tratta di servizi aggiuntivi, finalizzati all’integrazione che, oltre a quelli di primo livello, comprendono l’orientamento al lavoro e la formazione professionale.
Il comma 4 dispone che la definizione di «Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati», di cui all’art. 1-sexies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, ovunque presente, in disposizioni di legge o di regolamento, si intende sostituita dalla seguente: «Sistema di accoglienza e di integrazione».
18) Supporto a percorsi di integrazione
L’art. 5 comma 1 del decreto-legge prevede l’avvio di percorsi ulteriori di integrazione, alla scadenza del periodo di accoglienza, per tutti i beneficiari delle misure garantite nell’ambito del Sistema di accoglienza e integrazione, come ridefiniti ai sensi del precedente art. 4.
È previsto che tali percorsi saranno attivati dalle Amministrazioni competenti nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente nei rispettivi bilanci.
Il comma 2, alle lett. a)-b) e b-bis), individua alcune priorità programmatiche nell’ambito del Piano nazionale di integrazione dei beneficiari di protezione internazionale da adottare per il biennio 2020/2021, ai sensi dell’art. 29, co. 3, d.lgs. n. 251/2007.
In particolare il Piano nazionale, nell’individuare le linee di intervento per favorire l’inclusione sociale e l’autonomia individuale dei beneficiari di protezione internazionale, deve prestare particolare attenzione ai percorsi di formazione linguistica, all’informazione sui diritti e doveri individuali, all’orientamento ai servizi, nonché ai percorsi di orientamento all’inserimento lavorativo.
Il comma 3 prevede che il Tavolo di coordinamento nazionale di cui all’art. 29, co. 3, del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, formula proposte in relazione alle iniziative da avviare, in tema di integrazione dei titolari di protezione internazionale.
19) Riduzione dei termini dei procedimenti amministrativi in materia di cittadinanza italiana
I commi da 5 a 7, dell’art. 4 del decreto-legge stabiliscono in ventiquattro mesi – prorogabili fino a trentasei – (in luogo di quarantotto mesi) il termine massimo per la conclusione dei procedimenti di riconoscimento della cittadinanza per matrimonio e per naturalizzazione.
 
Proroga dei titoli di soggiorno durante lo stato di emergenza nazionale derivante dalla pandemia di Coronavirus
La proroga dello stato di emergenza nazionale derivante dalla pandemia di Coronavirus ha comportato anche varie proroghe della validità dei titoli di soggiorno.
Così l’art. 3-bis, co. 3 del d.l. 7.10.2020, n. 125, convertito con modificazioni nella legge 27 novembre 2020, n. 159 (pubblicata in G.U. 3.12.2020, n. 300), come successivamente modificato dal d.l. 14 gennaio 2021, n. 2 (pubblicato in G.U. 14.1.2021, n. 10) prevede che i permessi di soggiorno e i titoli di cui all’art. 103, co. 2-quater e 2-quinquies, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, compresi quelli aventi scadenza sino al 30 aprile 2021, conservano la loro validità fino alla medesima data.
 
Programmazione delle quote di ingresso e soggiorno per lavoro per l’anno 2020
Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7.7.2020 (pubblicato in G.U. 12.10.2020) prevede la programmazione transitoria dei flussi d’ingresso dei lavoratori non comunitari per lavoro stagionale e non stagionale nel territorio dello Stato per l’anno 2020.
Per l’anno 2020, sono ammessi in Italia, per motivi di lavoro subordinato stagionale e non stagionale e di lavoro autonomo, i cittadini extraUE entro una quota complessiva massima di 30.850 unità.
Nell’ambito di tale quota
A) sono ammessi in Italia per motivi di lavoro subordinato non stagionale e di lavoro autonomo, i cittadini non comunitari entro una quota di 12.850 unità, dei quali per motivi di lavoro subordinato non stagionale nei settori dell’autotrasporto merci per conto terzi, dell’edilizia e turistico-alberghiero, 6.000 cittadini dei Paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere specifici accordi di cooperazione in materia migratoria, così ripartiti:
a) 4.500 lavoratori subordinati non stagionali cittadini di Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Herzegovina, Corea (Repubblica di Corea), Costa d’Avorio, Egitto, El Salvador, Etiopia, Filippine, Gambia, Ghana, Giappone, India, Kosovo, Mali, Marocco, Mauritius, Moldova, Montenegro, Niger, Nigeria, Pakistan, Repubblica di Macedonia del Nord, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Sudan, Tunisia, Ucraina; in particolare per il settore dell’autotrasporto merci per conto terzi, sono ammessi in Italia i cittadini di tali Stati che rilasciano patenti di guida equipollenti alla categoria CE e convertibili in Italia sulla base di vigenti accordi di reciprocità;
b) 1.500 lavoratori subordinati non stagionali cittadini di Paesi con i quali nel corso dell’anno 2020 entrino in vigore accordi di cooperazione in materia migratoria;
B) sono ammessi in Italia 100 stranieri extraUE residenti all’estero, che abbiano completato programmi di formazione ed istruzione nei Paesi d’origine ai sensi dell’art. 23 d.lgs. n. 286/1998;
C) sono ammessi in Italia per motivi di lavoro subordinato non stagionale e di lavoro autonomo, 100 lavoratori di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado in linea diretta di ascendenza, residenti in Venezuela;
D) è autorizzata la conversione in permessi di soggiorno per lavoro subordinato di:
a) 4.060 permessi di soggiorno per lavoro stagionale;
b) 1.500 permessi di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale;
c) 200 permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciati ai cittadini di Paesi terzi da altro Stato membro dell’UE.
D) È autorizzata la conversione in permessi di soggiorno per lavoro autonomo di:
a) 370 permessi di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale;
b) 20 permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, rilasciati ai cittadini di Paesi terzi da altro Stato membro dell’UE.
E) l’ingresso in Italia per motivi di lavoro autonomo di 500 cittadini extraUE residenti all’estero, appartenenti alle seguenti categorie:
a) imprenditori che intendono attuare un piano di investimento di interesse per l’economia italiana, che preveda l’impiego di risorse proprie non inferiori a 500.000 euro, nonché la creazione almeno di tre nuovi posti di lavoro;
b) liberi professionisti che intendono esercitare professioni regolamentate o vigilate, oppure non regolamentate ma rappresentate a livello nazionale da associazioni iscritte in elenchi tenuti da Pubbliche Amministrazioni;
c) titolari di cariche societarie di amministrazione e di controllo espressamente previsti dal decreto interministeriale 11 maggio 2011, n. 850;
d) artisti di chiara fama o di alta e nota qualificazione professionale, ingaggiati da enti pubblici o privati, in presenza dei requisiti espressamente previsti dal decreto interministeriale 11 maggio 2011, n. 850;
e) stranieri che intendono costituire imprese «start-up innovative» ai sensi della legge 17 dicembre 2012, n. 221, in presenza dei requisiti previsti dalla stessa legge e che sono titolari di un rapporto di lavoro di natura autonoma con l’impresa.
Inoltre nell’ambito della quota massima sono ammessi in Italia per motivi di lavoro subordinato stagionale nei settori agricolo e turistico-alberghiero, gli stranieri extraUE residenti all’estero entro una quota di 18.000 unità che siano cittadini dei medesimi Paesi: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Herzegovina, Corea (Repubblica di Corea), Costa d’Avorio, Egitto, El Salvador, Etiopia, Filippine, Gambia, Ghana, Giappone, India, Kosovo, Mali, Marocco, Mauritius, Moldova, Montenegro, Niger, Nigeria, Pakistan, Repubblica di Macedonia del Nord, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Sudan, Tunisia, Ucraina.
Nell’ambito di tale quota è riservata una quota di 1.000 unità per i lavoratori extraUE, cittadini dei citati Paesi, che abbiano fatto ingresso in Italia per prestare lavoro subordinato stagionale almeno una volta nei cinque anni precedenti e per i quali il datore di lavoro presenti richiesta di nulla osta pluriennale per lavoro subordinato stagionale.
È inoltre riservata per il settore agricolo una quota di 6.000 unità ai cittadini degli Stati precitati, le cui istanze di nulla osta all’ingresso in Italia per lavoro stagionale anche pluriennale, siano presentate dalle organizzazioni professionali dei datori di lavoro indicate nella circolare interministeriale. Tali organizzazioni assumono l’impegno a sovraintendere alla conclusione del procedimento di assunzione dei lavoratori fino all’effettiva sottoscrizione dei rispettivi contratti di lavoro, ivi compresi gli adempimenti di comunicazione previsti dalla normativa vigente, secondo le modalità precisate nella citata circolare interministeriale.
 
Contributi in favore dei Comuni di confine interessati a flussi migratori
La legge 30.12.2020, n. 178 (pubblicata in G.U. n. 322 del 30.12.2020 - Suppl. ord. n. 46) prevede alcune misure concernenti l’immigrazione e l’asilo, tra cui si segnalano i contributi in favore dei Comuni di confine con altri Paesi europei e dei Comuni costieri interessati dalla gestione dei flussi migratori (art. 1, co. 795 e 796).
In considerazione dei flussi migratori e delle conseguenti misure di sicurezza sanitaria per la prevenzione del contagio da COVID-19, è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’interno, un fondo, con una dotazione di 5 milioni di euro per l’anno 2021, finalizzato all’erogazione di contributi in favore dei Comuni di confine con altri Paesi europei e dei Comuni costieri interessati dalla gestione dei flussi migratori. I criteri e le modalità di concessione dei contributi sono stabiliti, anche ai fini del rispetto del limite di spesa, con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge.
 
Rassegna delle circolari e delle direttive delle Amministrazioni statali
Cittadini di Paesi terzi
Asilo
Proposte e pareri delle Commissioni territoriali ai fini del rilascio del nuovo permesso di soggiorno per protezione speciale: la prima interpretazione illegittimamente restrittiva della Commissione nazionale per il diritto di asilo
La circolare 3.11.2020 della Commissione nazionale per il diritto di asilo presso il Ministero dell’interno illustra le modifiche normative e fornisce le linee interpretative delle nuove disposizioni in materia di asilo contenute nel d.l. n. 130/2020 e in particolare sulla riforma dell’art. 19, d.lgs. n. 286/1998 che prevede il divieto di respingimento e di espulsione e il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale.
Secondo la Commissione nazionale
a) nel caso in cui lo straniero, nel Paese in cui sarebbe respinto o espulso, dovesse essere oggetto di persecuzione o essere sottoposto a tortura o subire trattamenti inumani o degradanti, tenuto conto della presenza di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani nello stesso Paese, la Commissione territoriale si pronuncia in merito al riconoscimento della protezione internazionale.
Qualora dovessero ricorrere le condizioni di diniego ed esclusione della protezione internazionale previste dalla normativa, la Commissione territoriale si pronuncia riguardo al diritto al permesso di soggiorno per protezione speciale.
La circolare aggiunge che il permesso di soggiorno per protezione speciale rilasciato in riferimento a tali presupposti, non potrà essere convertito per motivi di lavoro in ragione di quanto stabilito dall’art. 6 co. 1-bis d.lgs. n. 286/1998 introdotto dall’art. 1, co. 1, lett. b) del d.l. n. 130/2020. Quest’ultimo prevede che il permesso di soggiorno per protezione speciale possa essere convertito per motivi di lavoro ad eccezione dei casi in cui siano state applicate le cause di diniego ed esclusione della protezione internazionale previste dagli artt. 10, co. 2, 12, co. 1, lett. b) e c), e 16, del d.lgs. n. 251/2007;
b) per quanto concerne l’applicazione del divieto di espulsione in riferimento al diritto al rispetto della vita privata e familiare, la circolare afferma che tale tutela possa essere applicata nel caso in cui non ricorrano i requisiti per il riconoscimento della protezione internazionale. Per la valutazione dei presupposti previsti dall’art. 19 d.lgs. n. 286/1998 le Commissioni territoriali dovranno tenere conto della giurisprudenza della CEDU e di quella prodotta dalla Cassazione, a partire dalla sentenza n. 4455/2018. Il permesso di soggiorno per protezione speciale così riconosciuto potrà essere convertito per motivi di lavoro, salvo che ricorrano motivi ostativi legati alla sicurezza nazionale ovvero all’ordine e alla sicurezza pubblica.
In ogni caso la circolare appare giuridicamente confutabile perché il riferimento alla sentenza della Cassazione pare fuori luogo nel contesto delle nuove norme legislative perché essa esigeva un confronto tra le situazioni di vita nel Paese di origine e quelle nello Stato di accoglienza, mentre il diritto al rispetto della vita privata e familiare commisurato all’effettiva integrazione sociale dello straniero ha riguardo soprattutto ad un diritto maturato in Italia e alla situazione di vita prevalentemente tenuta in Italia.
La circolare si sofferma poi in modo critico sulla nuova norma che consente il rilascio di tale permesso di soggiorno anche allorché ne faccia richiesta direttamente lo straniero al questore e su tale richiesta deve acquisirsi il parere delle Commissioni territoriali.
In proposito la circolare osserva che quest’ultimo parere appare incompleto perché privo del colloquio personale che caratterizza le domande di protezione internazionale.
Peraltro la circolare appare giuridicamente criticabile per due motivi.
In primo luogo essa restringe queste ipotesi ai soli casi in cui lo straniero abbia fatto domanda di permesso di soggiorno ad altro titolo. Questa aggiunta non compare nella norma legislativa, sicché pare dare una interpretazione illegittimamente restrittiva dell’effettivo accesso alle procedure di rilascio dei nuovi permessi di soggiorno per protezione speciale allorché il rimpatrio metterebbe in pericolo il diritto al rispetto della vita privata e familiare dello straniero.
In secondo luogo invita espressamente le Commissioni territoriali a posporre il rilascio dei pareri in attesa di una linea interpretativa che darà la stessa Commissione nazionale, il che non è certo consentito né alla Commissione nazionale, né alle Commissioni territoriali, ma si riduce nel negare o tardare il rilascio di un titolo di soggiorno essenziale per la vita dello straniero.
 
Ingressi per lavoro
La programmazione degli ingressi e soggiorni per lavoro per il 2020
La circolare congiunta del 12.10.2020 emanata dai Ministeri dell’interno, del lavoro e delle politiche sociali e delle risorse agricole illustra il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7.7.2020 che prevede la programmazione degli ingressi e soggiorni per lavoro per l’anno 2020 e dispone istruzioni applicative aggiuntive.
In particolare si prescrive che le quote destinate alle conversioni (6.150 unità) in permessi di soggiorno per lavoro subordinato e autonomo, previste dal decreto, saranno ripartite a livello territoriale dalla Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali – tramite il sistema informatizzato SILEN – sulla base delle effettive domande che perverranno agli Sportelli unici per l’immigrazione e che trascorsi novanta giorni dalla data di pubblicazione del d.p.c.m., qualora vengano rilevate quote significative non utilizzate, le stesse possono essere diversamente ripartite dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sulla base delle effettive necessità riscontrate sul mercato del lavoro.
Si dispongono anche le modalità di presentazione delle istanze e modulistica.
A partire dalle ore 9,00 del 13 ottobre 2020 sarà disponibile l’applicativo per la precompilazione dei moduli di domanda all’indirizzo https://nullaostalavoro.dlci.interno.it, che saranno trasmessi, esclusivamente con le consuete modalità telematiche, per le categorie dei lavoratori non comunitari per lavoro non stagionale ed autonomo, compresi nelle quote indicate nel decreto, dalle ore 9,00 del 22 ottobre 2020, decimo giorno successivo alla data di pubblicazione del citato decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Per le categorie dei lavoratori cittadini di Paesi con i quali, nel corso dell’anno 2020, entrino in vigore accordi di cooperazione in materia migratoria, le istanze potranno essere trasmesse a partire dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dell’accordo di cooperazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Tutte le domande potranno essere presentate fino al 31 dicembre 2020.
Si rammenta che la procedura concernente le modalità di accesso al sistema dello Sportello unico richiede il possesso di un’identità SPID, come illustrato con circolare del Ministero dell’interno n. 3738 del 4 dicembre 2018.
Pertanto, prerequisito necessario per l’inoltro telematico delle domande sul sito https://nullaostalavoro.dlci.interno.it è il possesso della citata identità SPID da parte di ogni utente, utilizzando possibilmente, lo stesso indirizzo email usato per l’identità SPID, quale nome utente.
Eseguito l’accesso sopra descritto, le modalità di compilazione dei moduli e di invio delle domande sono identiche a quelle da tempo in uso e le caratteristiche tecniche sono reperibili sul manuale utente pubblicato sull’home page dell’applicativo.
Durante la fase di compilazione e di inoltro delle domande, sarà fornita assistenza agli utenti attraverso un servizio di help desk, che potrà fornire ragguagli tecnici e sarà raggiungibile tramite un modulo di richiesta di assistenza utilizzando il link Help Desk, sull’home page dell’applicativo, disponibile per tutti gli utenti registrati.
I modelli da utilizzare per l’invio della domanda sono i seguenti:
  • Modelli A e B per i lavoratori di origine italiana residenti in Venezuela,
  • Modello VA conversioni dei permessi di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale in permesso di lavoro subordinato,
  • Modello VB conversioni dei permessi di soggiorno per lavoro stagionale in lavoro subordinato,
  • Modello Z conversione dei permessi di soggiorno per studio, tirocinio e/o formazione professionale in lavoro autonomo,
  • Modello LS conversioni dei permessi di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciati da altro Stato membro dell’UE in permesso di lavoro subordinato,
  • Modello LS1 conversioni dei permessi di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciati da altro Stato membro dell’UE in permesso di lavoro subordinato domestico,
  • Modello LS2 conversioni dei permessi di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciati da altro Stato membro dell’UE in permesso di lavoro autonomo,
  • Modello BPS richiesta nominativa di nulla osta riservata all’assunzione di lavoratori che hanno partecipato a programmi di formazione e di istruzione nei Paesi di origine (ex art. 23 del TUI).
  • Modello B2020 richiesta nominativa di nulla osta riservata all’assunzione di lavoratori da adibire nei settori dell’autotrasporto, dell’edilizia e turistico-alberghiero.
Tutti gli invii, compresi quelli generati con l’assistenza delle associazioni o dei patronati, verranno gestiti dal programma in maniera singola, domanda per domanda e non “a pacchetto”. L’eventuale spedizione di più domande mediante un unico invio verrà gestita come una serie di singole spedizioni, in base all’ordine di compilazione, e verranno generate singole ricevute per ogni domanda.
Le domande saranno trattate sulla base del rispettivo ordine cronologico di presentazione.
Nell’area del singolo utente sarà, inoltre, possibile visualizzare l’elenco delle domande regolarmente inviate.
Allo stesso indirizzo http://nullaostalavoro.dlci.interno.it, nell’area privata dell’utente, sarà possibile visualizzare lo stato della trattazione della pratica presso lo Sportello unico immigrazione.
La circolare disciplina anche la gestione delle procedure.
a. Istanze per lavoro subordinato non stagionale nei settori dell’autotrasporto, edilizia e turistico-alberghiero (modello B2020).
Settore autotrasporti merci per conto terzi
Si precisa che, per il settore dell’autotrasporto merci per conto terzi, l’istanza di nulla osta per lavoro subordinato è ammessa soltanto in favore di lavoratori conducenti, muniti di patenti professionali equivalenti alle patenti di categoria CE, cittadini dei Paesi compresi nell’elenco di cui all’art. 3, co. 1, lett. a), che rilasciano patenti di guida equipollenti alla categoria CE e convertibili in Italia sulla base di vigenti accordi di reciprocità (Algeria, Marocco, Moldova, Repubblica di Macedonia del Nord, Sri Lanka, Tunisia, Ucraina).
Tali lavoratori, titolari di una patente di guida non comunitaria, potranno condurre veicoli immatricolati sul territorio italiano, a nome di impresa che effettua trasporti in conto terzi, fino ad un anno dall’acquisizione della residenza in Italia.
Trascorso un anno, è necessario convertire la patente.
L’impresa che effettua trasporti, ai fini della presentazione della relativa istanza di nulla osta, deve essere:
- iscritta all’Albo degli autotrasportatori di cose per conto di terzi (di cui alla legge n.298/74) della provincia di appartenenza,
- iscritta al Registro elettronico nazionale (R.E.N.) (di cui al Regolamento CE n. 1071/2009);
- in possesso di licenza comunitaria in corso di validità, in caso di trasporti internazionali.
La durata del contratto di lavoro sarà a tempo determinato della durata massima di un anno. Se, invece, il lavoratore è già in possesso della Carta di Qualificazione del Conducente (CQC), in corso di validità, la durata del contratto di lavoro potrà essere anche a tempo indeterminato.
In caso di trasporti internazionali l’impresa, successivamente alla comunicazione di assunzione agli Enti competenti e al rilascio da parte della questura del permesso di soggiorno al lavoratore, dovrà richiedere all’Ispettorato territoriale del lavoro il rilascio dell’Attestato di conducente.
b. Istanze per art. 23 del TU immigrazione (modello B-PS)
Gli Ispettorati territoriali del lavoro, per le istanze relative ai lavoratori che hanno partecipato a programmi di formazione e di istruzione nei Paesi di origine (ex art. 23 del TUI), pervenute agli Sportelli unici per l’immigrazione (SUI) ex art. 4, co. 1 del decreto, provvederanno a riscontrare sulla lista pubblicata nell’home page del sistema SILEN (nella parte relativa alla documentazione), la presenza dei nominativi dei lavoratori stranieri distinti per Paese di appartenenza. Solo nell’ipotesi di riscontro positivo procederanno a richiedere alla Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali le relative quote, fornendo gli elementi anagrafici identificativi dei lavoratori richiesti. Le stesse saranno assegnate direttamente sul sistema SILEN.
c. Conversioni permessi di soggiorno in lavoro subordinato
Si conferma che, nel caso di conversione in lavoro subordinato, il lavoratore dovrà presentare, al momento della convocazione presso lo Sportello unico, la proposta di contratto di soggiorno sottoscritta dal datore di lavoro – valida come impegno all’assunzione da parte dello stesso datore di lavoro – utilizzando il modello disponibile sul sistema, ricevuto insieme alla lettera di convocazione.
Successivamente, il datore di lavoro sarà tenuto ad effettuare la comunicazione obbligatoria di assunzione (Mod. UNI-Lav) secondo le norme vigenti e a darne copia al lavoratore, che dovrà inserirla nel plico postale per la richiesta di conversione del permesso di soggiorno in lavoro subordinato da inoltrare alla questura competente.
Per i casi di conversione di un permesso di soggiorno da stagionale a lavoro subordinato (Modello VB), come già disposto dalla circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 16.12.2016, si ricorda che è possibile convertire il permesso di soggiorno per lavoro stagionale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato, ferma la disponibilità di quote, solo dopo almeno tre mesi di regolare rapporto di lavoro stagionale (comma 10 art. 24 TUI) ed in presenza dei requisiti per l’assunzione con un nuovo rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato. A tal fine, gli Ispettorati territoriali del lavoro dovranno verificare la presenza dei requisiti per la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro, l’avvenuta assunzione in occasione del primo ingresso per lavoro stagionale, la durata dello stesso rapporto di lavoro stagionale, nonché i relativi pagamenti contributivi agli Enti competenti effettuati a favore del lavoratore nel periodo considerato.
Con riferimento al settore agricolo, le cui prestazioni lavorative dei lavoratori stagionali sono effettuate «a giornate» e non a mesi, ai fini della conversione dovrà risultare una prestazione lavorativa media di almeno 13 giorni mensili, nei tre mesi lavorativi (per un totale di 39 giornate), coperti da regolare contribuzione previdenziale.
d. Conversioni permessi di soggiorno in lavoro autonomo
Ai fini della conversione del permesso di soggiorno da studio, tirocinio e/o formazione professionale e permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato da altro Stato dell’UE a lavoro autonomo, si dovrà tener conto delle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 81/2015, come modificato da ultimo dalla legge 96/2018, alla disciplina dei contratti di lavoro, con particolare riguardo ai rapporti di collaborazione (art. 2) e ai contratti a progetto (art. 52). In tali ipotesi, lo Sportello unico acquisirà il parere del competente Ispettorato territoriale del lavoro.
e.Ingresso per start-up innovative
Per quanto concerne l’ingresso per le start-up innovative si allegano (all. 2) le linee guida predisposte dal Ministero dello sviluppo economico d’intesa con il Ministero degli affari esteri, il Ministero dell’interno e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonché i relativi modelli di candidatura (all. 3).
Lo straniero che intende chiedere la conversione del permesso di soggiorno ai fini della costituzione di una start-up innovativa dovrà richiedere al Comitato tecnico Italia startup visa il nulla osta secondo le modalità indicate nelle richiamate linee guida ed esibire allo Sportello unico per l’immigrazione la certificazione di nulla osta rilasciata dal predetto Comitato.
Il Comitato, nel caso di conversione, non dovrà richiedere alla questura il nulla osta provvisorio in quanto gli accertamenti di competenza verranno effettuati all’atto del rinnovo del permesso di soggiorno.
Questa certificazione sostituisce la certificazione della Camera di commercio di cui all’art. 39, co. 3, d.lgs. 286/1998. Rimane invariata l’esibizione dell’ulteriore documentazione prevista.
Per ogni ulteriore chiarimento sulla procedura relativa alle start-up innovative potrà essere consultato il sito del Ministero dello sviluppo economico.
 
Preferenza delle domande di ingresso per lavoro stagionale presentate dalle organizzazioni imprenditoriali e sindacali
La direttiva del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 30.10.2020 regola l’istruttoria delle istanze provenienti dalle organizzazioni professionali, a valere sulla quota di 6.000 unità di cui all’art. 6, co. 4 d.p.c.m. 7.7.2020.
Al fine di contrastare il fenomeno dell’impiego irregolare di lavoratori stagionali, in particolare nel settore agricolo, a decorrere dalla data della direttiva gli Ispettorati territoriali del lavoro, data la natura sperimentale della partecipazione delle organizzazioni professionali dei datori di lavoro del settore agricolo Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle cooperative (Lega cooperative e confcooperative) al procedimento di assunzione dei lavoratori, sono autorizzati, con riguardo alle istanze di nulla osta al lavoro dalle stesse presentate e rientranti nella quota di 6.000 unità di cui all’art. 6 co. 4 del d.p.c.m. 7 luglio 2020, ad espletare prioritariamente l’istruttoria finalizzata all’emissione del parere di competenza, ai sensi dell’art. 30-bis del d.p.r. n. 394/1999, ai fini del rilascio da parte dello Sportello unico per l’immigrazione del relativo nulla osta, in deroga al principio cronologico di arrivo di tutte le istanze presentate dai datori di lavoro.
  1. Ai fini dell’istruttoria di cui al comma 1, gli Ispettorati rispettano l’ordine cronologico di invio delle istanze da parte delle organizzazioni professionali dei datori di lavoro del settore agricolo Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle cooperative (Lega cooperative e confcooperative) fino al raggiungimento delle 6.000 unità. Esaurita la quota riservata, gli Ispettorati territoriali istruiscono le altre istanze di lavoro stagionale secondo l’ordine cronologico di arrivo al sistema informatizzato degli Sportelli unici per l’immigrazione.
  2. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali effettua un monitoraggio, verificando tempestivamente anche gli esiti delle attività delle organizzazioni professionali, sulla base dei dati relativi ai rapporti di lavoro effettivamente attivati, attraverso controlli con il sistema delle comunicazioni obbligatorie di assunzione.
Ingresso e soggiorno
Ingresso e soggiorno in Italia dei cittadini britannici dopo il recesso del Regno Unito dalla UE
Una molto lunga circolare del Ministero dell’interno - Dipartimento della pubblica sicurezza 30 dicembre 2020, prot. n. 93822, diramata dal capo della polizia riassume la condizione giuridica dei cittadini britannici e fornisce chiarimenti operativi definitivi circa i titoli di soggiorno dei cittadini britannici in Italia dopo il recesso del Regno Unito della UE a partire dal 1° gennaio 2021.
Alla fine della circolare sono allegati:
 
I) un Vademecum per i cittadini britannici e i loro familiari residenti in Italia, in italiano e in inglese, pubblicato sul sito del ministero dell’interno, all’indirizzo https://www.interno.gov.it/sites/default/files/2020-12/vademecum_brexit.pdf.
 
II) la circolare 29 dicembre 2020, n. prot. 93492 del Ministero dell’interno - Dipartimento della pubblica sicurezza - Direzione centrale immigrazione e polizia delle frontiere (il testo è al link della citata circolare del 30.12.2020) con cui si danno istruzioni alla polizia di frontiera circa i controlli alle frontiere dei cittadini britannici.
Anzitutto si informa che il 31 dicembre 2020 è cessato il periodo di transizione previsto dall’Accordo di Recesso tra l’UE ed il Regno Unito ed i cittadini britannici sono, a tutti gli effetti, cittadini di un Paese terzo, cessando quindi, nei loro confronti, l’applicazione del principio di libera circolazione delle persone derivante dallo status di appartenenti all’Unione europea.
Sono fatte salve talune agevolazioni riconosciute ai c.d. «beneficiari dell’Accordo di Recesso», cioè i cittadini britannici e loro familiari di qualsiasi nazionalità, già residenti in uno Stato UE prima del termine del citato periodo di transizione. In base all’art. 18 dell’Accordo di Recesso, in favore di tale categoria di persone lo Stato membro ospitante potrà rilasciare uno specifico documento di soggiorno che ne attesti lo status.
Al fine di armonizzare le condizioni di attraversamento delle frontiere esterne da parte dei cittadini britannici, ed in particolare dei «beneficiari dell’Accordo di Recesso», a decorrere dal 1° gennaio 2021, la Commissione europea ha adottato l’Allegato 42 al Manuale pratico delle guardie di frontiera «Linee guida sul trattamento dei beneficiari dell’Accordo di Recesso».
Considerato l’impatto sulle verifiche di frontiera in conseguenza del nuovo status giuridico dei cittadini britannici, la circolare fornisce i seguenti elementi informativi.
 
Ingressi per soggiorni di breve durata (fino a 90 giorni)
La materia è disciplinata dal Regolamento UE n.592/2019 che, nel modificare il Regolamento UE 1806/2018, include il Regno Unito nell’Allegato II, relativo ai Paesi terzi i cui cittadini sono esenti dall’obbligo di visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri per soggiorni la cui durata globale non sia superiore ai 90 giorni per un periodo di 180, per motivi turismo, missione, affari, gara sportiva e studio.
Inoltre, a differenza di quanto previsto per i cittadini di tutti gli altri Paesi terzi esenti da obbligo di visto, indicati nel summenzionato Allegato II, il regime di esenzione visto per i cittadini britannici sarà applicabile a condizione di reciprocità (in virtù di una facoltà indicata dall’art. 6 del citato Regolamento UE n. 1806/2018) anche nel caso in cui questi ultimi giungano in Italia per attività lavorative remunerate per un periodo non superiore ai 90 giorni. Al riguardo sono in corso di definizione le modalità attuative volte a disciplinare tale ipotesi di ingresso nel territorio nazionale.
Altre specifiche esenzioni dal visto riconosciute dall’Italia al Regno Unito, in base all’art.6 del citato Regolamento UE n. 1806/2018, riguardano le seguenti categorie di viaggiatori:
1) allievi di istituti scolastici, cittadini di un Paese terzo sottoposto a obbligo di visto, che risiedono nel Regno Unito, quando tali allievi partecipano ad un viaggio scolastico di gruppo in Italia accompagnati da un insegnante dell’istituto;
2) rifugiati e apolidi, residenti nel Regno Unito e in possesso di documento di viaggio rilasciato dalle autorità britanniche.
Il regime di esenzione visto non è invece applicabile alle seguenti categorie di cittadini britannici:
1) British national overseas;
2) British overseas territories citizens (BOTC), comprendenti Anguilla, Bermuda, Gibilterra, Isole Cayman, Isole Falkland, Isole Georgia del Sud e Sandwhich australi, Isole Pitcairn, Sant’Elena, Ascension e Tristan da Cunha, Isole Turks e Caico, Isole Vergini britanniche, Territorio antartico britannico e Territorio britannico dell’Oceano Indiano;
3) British overseas citizens (BOC);
4) British protected persons (BPP);
5) British subjects (BS).
 
Ingressi per soggiorni di lunga durata (superiori a 90 giorni)
Per soggiorni di lungo periodo (più di 90 giorni) in Italia i cittadini britannici, a partire dal 1° gennaio 2021, dovranno munirsi del relativo visto nazionale secondo i criteri ed i requisiti previsti per i cittadini di Paesi terzi dalla normativa italiana in materia di immigrazione.
 
Verifiche di frontiera nei confronti dei cittadini britannici
A decorrere dal 1° gennaio 2021 i cittadini britannici saranno assoggettati alle condizioni di ingresso previste dall’art. 6 del Regolamento UE n. 399/2016 e alle verifiche prescritte dal successivo art. 8 ivi compresa l’intervista di frontiera.
I beneficiari dell’Accordo di Recesso e i loro familiari non saranno sottoposti al controllo circa il motivo dell’ingresso ed il possesso dei mezzi di sussistenza per tutta la durata del soggiorno in Italia. A tal fine dovranno esibire il nuovo documento di soggiorno previsto dall’Accordo di Recesso o, in mancanza, dimostrare di aver richiesto detto documento (ad esempio esibendo la ricevuta della richiesta). Nel caso manchi anche la richiesta di rilascio del nuovo documento di soggiorno e l’interessato presenti documenti di tipo diverso, le guardie di frontiera potranno accettarli come prova del fatto che lo stesso sia un beneficiario dell’Accordo di Recesso, purché la documentazione dimostri che l’interessato abbia esercitato il diritto alla libera circolazione in Italia prima del 31 dicembre 2020 e che continui a risiedervi. Nel contempo, le guardie di frontiera potranno porre domande pertinenti sul domicilio della persona e raccogliere le risposte come prova.
Analogamente non saranno sottoposti al controllo circa il motivo di ingresso e il possesso dei mezzi di sussistenza per tutta la durata del soggiorno in Italia, i cittadini britannici che, a decorrere dal 1° gennaio 2021 conseguano un titolo di lungo soggiorno ai sensi della Direttiva CE n. 109/2003 o derivino il diritto di residenza da disposizioni europee o dalla normativa nazionale (ad esempio, siano titolari di permesso di soggiorno rilasciato secondo il modello uniforme previsto dal Regolamento CE 1030/2002).
 
Utilizzo delle corsie presso i porti ed aeroporti
In quanto cittadini di Paese terzo, tutti i cittadini britannici, compresi i beneficiari dell’Accordo di Recesso, dovranno utilizzare le corsie «Tutti i passaporti» o «Visto non richiesto».
Si chiede alla polizia di frontiera di sensibilizzare, al riguardo, le società di gestione e le autorità marittime al fine di facilitare l’indirizzamento dei cittadini britannici verso tali corsie.
 
Utilizzo degli e-gates presso gli aeroporti
L’Italia ha deciso di riconoscere a tutti i cittadini britannici la possibilità di utilizzare, in ingresso e uscita, gli e-gates riservati ai cittadini di taluni Paesi terzi esenti visto e a basso rischio migratorio. Si applicheranno in ogni caso le stesse verifiche prescritte in ordine al controllo manuale presso le cabine, ivi comprese le interrogazioni nelle banche dati nazionali ed europee, l’intervista di frontiera, ad eccezione dei casi di esonero, nonché gli accertamenti relativi alla genuinità del passaporto che dovrà essere timbrato, salvo le deroghe di seguito enunciate.
Per quanto sopra, al fine di consentire l’utilizzo dei varchi automatici da parte dei cittadini britannici, si chiede alla polizia di frontiera di interessare le società di gestione per apporre il logo della bandiera del Regno Unito sulla cartellonistica all’uopo prevista, già riportante le bandiere degli altri Paesi terzi che godono di tale facilitazione, nonché per approntare i conseguenti aggiornamenti tecnici.
 
Timbratura dei passaporti dei cittadini britannici
Per i cittadini britannici che non rientrano tra i beneficiari dell’Accordo di Recesso si applicheranno le regole generali sulla timbratura dei documenti di viaggio dei cittadini di Paesi terzi previste dall’art. 11 del Regolamento UE n. 399/2016 (Codice Frontiere Schengen).
La timbratura dei passaporti dei cittadini britannici beneficiari dell’Accordo di Recesso e dei loro familiari è invece disciplinata dalle citate linee guida emanate dalla Commissione europea ex Allegato 42 del Manuale pratico. In generale è previsto che i passaporti dei cittadini britannici beneficiari dell’Accordo di Recesso e loro familiari non debbano essere timbrati, qualora dimostrino tale status mediante il possesso del documento di soggiorno o dimostrino, con altri mezzi di prova, di aver esercitato il diritto alla libera circolazione prima del 31 dicembre 2020. Nello specifico, a decorrere dal 1° gennaio 2021, le guardie di frontiera dovranno osservare una procedura diversa a seconda che il cittadino britannico risieda in uno Stato membro dell’Unione europea che adotti uno schema costitutivo o in uno Stato membro che adotti uno schema dichiarativo in ordine al rilascio del documento di soggiorno previsto dall’Accordo di Recesso.
In proposito si ricorda che, oltre all’Italia, gli Stati membri che applicano un sistema dichiarativo sono Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Germania, Grecia, Irlanda, Lituania, Repubblica Ceca, Polonia, Portogallo, Slovacchia e Spagna.
Gli Stati membri che applicano, invece, un sistema costitutivo sono Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Romania, Slovenia, Svezia e Ungheria.
 
III) La circolare 30 dicembre 2020, n. prot. 93783 del Ministero dell’interno - Dipartimento della pubblica sicurezza - Direzione centrale immigrazione e polizia delle frontiere  (il testo è al link della citata circolare del 30.12.2020) con cui si informa che il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha comunicato che il regime di esenzione visto breve continuerà ad essere applicabile alle seguenti categorie di cittadini britannici:
  • British national overseas;
  • British overseas territories citizens (BOTC), comprendenti Anguilla, Bermuda, Gibilterra, Isole Cayman, Isole Falkland, Isole Georgia del Sud e Sandwhich australi, Isole Pitcairn, Sant’Elena, Ascension e Tristan da Cunha, Isole Turks e Caico, Isole Vergini britanniche, Territorio antartico britannico e Territorio britannico dell’Oceano Indiano;
  • British overseas citizens (BOC);
  • British protected persons (BPP);
  • British subjects (BS).
Ingresso e soggiorno di lavoratori extraUE nell’ambito di trasferimenti intra-societari
La nota dell’Ispettorato nazionale del lavoro - Direzione centrale coordinamento giuridico - prot. n. 1057 del 30.11.2020 fornisce precisazioni sulle condizioni di ingresso e soggiorno dei dirigenti, lavoratori specializzati, lavoratori in formazione di Paesi terzi nell’ambito di trasferimenti intra-societari (art. 27-quinquies, co. 5 e 15, d.lgs. n. 286/1998).
Si ricorda che per trasferimento intra-societario deve intendersi il distacco temporaneo di uno straniero da parte di un’azienda stabilita in un Paese terzo presso l’entità ospitante, intesa quale:
- sede/filiale/rappresentanza situata in Italia, dell’impresa da cui dipende il lavoratore trasferito;
- impresa appartenente al medesimo gruppo di imprese, ai sensi dell’art. 2359 c.c. – c.d. distacco infragruppo – a condizione che sussista un rapporto di lavoro subordinato con l’impresa distaccante da almeno tre mesi ininterrotti immediatamente precedenti la data del trasferimento.
Con circolare n. 517 del 9.02.2017, adottata d’intesa tra Ministero dell’interno e del lavoro, sono stati chiariti gli aspetti riguardanti il campo di applicazione della disciplina, le caratteristiche del trasferimento intra-societario, le condizioni di lavoro e i profili sanzionatori.
Alla circolare è inoltre allegato l’elenco dei documenti che l’entità ospitante stabilita in Italia deve presentare allo Sportello unico immigrazione per il rilascio del nulla osta al trasferimento intra-societario.
Ciò premesso, al fine di assicurare uniformità nelle attività di competenza degli Uffici territoriali dell’Ispettorato nazionale del Lavoro, d’intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali che si è espresso, con nota prot. n. 12233 del 27.11.2020, si formulano le seguenti precisazioni.
Come anticipato, l’art. 27-quinquies, commi 5 e 15, pone a carico dell’entità ospitante che presenta la richiesta una serie di condizioni, in mancanza delle quali il nulla osta è rifiutato o revocato, tra le quali «l’impegno ad adempiere agli obblighi previdenziali e assistenziali previsti dalla normativa italiana, salvo che non vi siano accordi di sicurezza sociale con il Paese di appartenenza» (comma 5, lett. h).
È pertanto indubbio che la disposizione individua nell’entità ospitante, tenuta all’apertura delle posizioni previdenziali in Italia, il soggetto sul quale debba essere compiuta la verifica in ordine alla necessaria adeguatezza economica. Naturalmente tale verifica potrà essere effettuata anche attraverso l’acquisizione del bilancio consolidato di gruppo, tradotto in lingua italiana ed esibito anche a cura della capogruppo estera.
Laddove l’entità ospitante sia una filiale di casa madre estera, si ritiene possibile valutare in termini complessivi la capacità economica di entrambi i soggetti, in modo tale che la casa madre possa sopperire ad una eventuale incapienza economica della filiale ai fini della copertura previdenziale del personale da assicurare in Italia (si pensi al caso in cui siano coinvolti più lavoratori e l’incapienza della filiale non sia già di per sé sufficiente a non ritenere integrato il requisito di cui al comma 15 lett. d) – v. infra).
Resta in ogni caso ferma l’indagine circa l’adeguatezza economica dell’entità ospitante da valutare ai fini di quanto previsto dal comma 15 lett. d) del citato art. 27-quinquies. La disposizione in questione, infatti, impone all’autorità amministrativa una indagine tesa ad escludere che l’entità ospitante (sia essa filiale o società del gruppo) sia stata «istituita principalmente allo scopo di agevolare l’ingresso dei lavoratori soggetti a trasferimento intra-societario», nonché ai sensi della lett. g) ossia che «è in corso di liquidazione, è stata liquidata o non svolge alcuna attività economica».
Si tratta di una verifica che quindi non può prescindere dall’analisi dei dati documentali di fatturato riferibili esclusivamente alla distaccataria (rectius entità ospitante), oltre che di altri dati documentali ricavabili ad esempio dal registro delle imprese. Resta in ogni caso ferma la possibilità, ove ritenuto necessario, di attivare un intervento ispettivo volto a verificare lo svolgimento effettivo delle attività economiche.
Ciò, trova conferma anche nella citata circolare del 2017 laddove si chiarisce che «il comma 15 dell’articolo 27-quinquies introduce, oltre alle ipotesi comuni ad altre tipologie di ingresso di lavoratori stranieri, specifici casi di diniego o revoca del nulla osta, ad esempio quando l’entità ospitante è stata istituita al solo scopo di agevolare l’ingresso dei lavoratori di cui si tratta. In proposito, in sede di rilascio del parere di competenza nell’ambito dello Sportello unico dell’immigrazione, gli Ispettorati territoriali del lavoro effettueranno i necessari controlli».
Salute
Assistenza sanitaria degli stranieri che accedono alle procedure di emersione dei rapporti di lavoro irregolari
La circolare del 14.7.2020 del Ministero della salute - Direzione generale della programmazione sanitaria - Ufficio 8 impartisce le prescrizioni necessarie ad assicurare l’assistenza sanitaria agli stranieri per i quali siano state presentate domande di emersione per rapporti di lavori irregolari.
Essa chiarisce che agli stranieri in emersione deve essere riconosciuto il diritto all’assistenza sanitaria a titolo obbligatorio in coerenza con i principi di tutela della persona e della dignità del lavoratore contenuti nell’art. 34 d.lgs. n. 286/1998.
L’iscrizione a titolo obbligatorio al SSN avrà decorrenza dalla data di presentazione della domanda di emersione o del permesso temporaneo ed avrà carattere provvisorio fino al perfezionamento delle procedure di emersione.
In entrambi i casi allo straniero dovrà essere rilasciata la tessera sanitaria ma non la TEAM, che potrà essere rilasciata, verificati i requisiti, solo nel momento in cui allo straniero sarà rilasciato regolare permesso di soggiorno per lavoro, perché al di fuori dell’ambito soggettivo e oggettivo dei regolamenti comunitari, il SSN italiano non è tenuto a dare una copertura transfrontaliera, ma solo una copertura sul territorio nazionale.
 
Assistenza sanitaria dei cittadini britannici in Italia dopo il recesso del Regno Unito dalla UE
Esso è chiaro nel prevedere la continuazione, anche dall’1.1.2021, dell’applicazione dei Regolamenti comunitari di sicurezza sociale – Reg. CE 883/2004 e Reg. 987/2009 – solo a coloro che ricadono nel suo campo d’applicazione personale.
Ciò significa che, diversamente da quanto avviene oggi, non tutti gli assistiti britannici (in Italia) od italiani (nel Regno unito) potranno usufruire dall’1.1.2021 della copertura sanitaria nello Stato ospitante con oneri a carico dello Stato competente qualora non ricadano nel campo di applicazione personale, cioè qualora non ricadano in una delle previsioni degli artt. 10 e 30 dell’Accordo di Recesso.
Ciò vale anche per i familiari di cittadini britannici che rientrano nell’Accordo di Recesso, inclusi i figli nati dopo il 31.12.2020 e i familiari che si ricongiungeranno in futuro (qualora la relazione sussista entro il 31.12.2020) nonché i familiari non-UE, conformemente alla direttiva 38/2004 ed al d.lgs. n. 30/2007.
Nello specifico di coloro che provengono dal Regno unito si raccomanda alle ASL di verificare:
- se si siano iscritti all’anagrafe entro il 31.12.2020;
- o se abbiano presentato la domanda di iscrizione anagrafica entro il 31.12.2020;
- o se comunque presentino evidenza di aver esercitato i diritti di libera circolazione in Italia entro il 31.12.2020;
- nel caso specifico di studenti che dal Regno unito vengano a seguire corsi di studio in Italia (scuola od università), che vi si siano iscritti entro il 31.12.2020 e che si siano trasferiti fisicamente in Italia entro il 31.12.2020.
Ciò varrà in base al principio di reciprocità per gli studenti che dall’Italia vadano a studiare nel Regno unito. Dovranno rispettare due condizioni: essere iscritti in scuole od università del Regno unito entro il 31.12.2020 ed essersi trasferiti fisicamente in detto Stato entro il 31.12.2020.
In conseguenza delle disposizioni dell’Accordo di Recesso, in particolare l’art. 12 (Non discriminazione), i destinatari del suddetto Accordo provenienti dal Regno unito, nell’ambito dei diritti di sicurezza sociale e del collegato diritto di libera circolazione, vanno considerati per assimilazione (dall’1.1.2021) come se fossero tuttora cittadini UE ed il Regno unito uno Stato membro. Su un piano di reciprocità gli assistiti italiani destinatari dell’Accordo di Recesso potranno nel Regno unito mantenere il godimento dei suddetti diritti.
Implementazione Accordo di Recesso (generalità)
L’implementazione dell’Accordo di Recesso potrà avvenire nel quadro delle «Indicazioni per una corretta applicazione della normativa per l’assistenza sanitaria alla popolazione straniera» contenute nell’Accordo Stato - Regioni del 2012. In particolare, secondo quanto evidenziato nelle premesse, andrà applicata la parte 2. «Cittadini appartenenti all’Unione europea» (v. p. 22 e seguenti di tali indicazioni).
Nel dettaglio:
- il par. 2.1 relativo all’iscrizione obbligatoria al SSR, a tempo “determinato” od “indeterminato”. Per le indicazioni sulle specifiche categorie di aventi diritto e le condizioni per ottenerla si fa rinvio alle pp. 25-27. L’art. 12 dell’Accordo di Recesso si richiama espressamente alla norma di cui all’art. 18 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE, che fissa il principio di non discriminazione e lo collega alla cittadinanza delle persone che costituiscono i «popoli europei», così come espressamente denominati nella parte preambolare del citato TFUE. Del resto tale principio è contenuto anche nell’art. 4 del Reg. CE 883/2004, legislazione di sicurezza sociale che da decenni garantisce l’assistenza transfrontaliera nella UE e che l’Accordo di Recesso si incarica di continuare ad applicare a partire dall’1.1.2021 a tutti i destinatari dello stesso;
- il par. 2.2 relativo al «contratto di assicurazione sanitaria» ed all’«iscrizione volontaria». Per le indicazioni sugli aventi diritto, condizioni e limiti si fa rinvio alle pp. 28-29.
Il diritto all’iscrizione «volontaria», purché ne ricorrano le condizioni, può evolvere in iscrizione «obbligatoria» alla stregua della normativa comunitaria sulla libera circolazione e nazionale di recepimento (Direttiva 2004/38/CE e d.lgs. 30/2007); beninteso non in tutte le situazioni ma solo in relazione al verificarsi di specifici presupposti di seguito illustrato.
Lo stesso principio vale per coloro che abbiano contratto un’assicurazione privata.
Quanto fin qui esposto, condiviso con il governo britannico, viene di seguito ulteriormente dettagliato, sempre in collaborazione con il lato UK, con riferimento all’utilizzo degli attestati di diritto ed all’eventuale riconoscimento di altri diritti.
 
Implementazione Accordo di Recesso (utilizzo degli attestati UK e possibilità di divenire assistiti di diritto italiano)
Le informazioni che seguono hanno ad oggetto le persone provenienti dal Regno unito (destinatarie degli artt. 10 e 30 dell’Accordo di Recesso) che dimorino o risiedano in Italia e, reciprocamente, le persone provenienti dall’Italia – parimenti destinatarie dell’Accordo di Recesso – che dimorino o risiedano nel Regno unito, purché abbiano esercitato i loro diritti di libera circolazione e sicurezza sociale entro il 31.12.2020.
 
Tessera europea d’assicurazione malattia e certificato sostitutivo provvisorio
In proposito, si rinvia all’informativa di questo Ministero, prot. 24788 in data 27.11.2020, a proposito delle tessere UK ed al loro utilizzo in Italia.
Si precisa che i certificati sostitutivi provvisori rilasciati da UK continueranno ad essere validi in ogni caso.
S 1 rilasciati dal Regno unito
  1. Il semplice possesso dell’attestato S1, e del requisito di aver esercitato il diritto di libera circolazione prima del 31.12.2020, consente all’operatore dell’ASL (in cui l’assicurato è registrato) di essere certo che chi lo esibisce sia coperto dall’assistenza sanitaria britannica, posto che quest’ultima in caso contrario notifica, come di consueto, a tale ASL la chiusura del diritto mediante l’emissione del formulario E 108. Ne consegue che quei cittadini e, loro familiari, che hanno provveduto all’iscrizione anagrafica entro il 31.12.2020 e conseguente iscrizione alla ASL tramite attestato S1, mantengono il diritto all’iscrizione.
  2. Per quanto riguarda gli attestati S1 rilasciati ai lavorati distaccati, il Ministero si riserva di inviare eventuali ulteriori comunicazioni, fermo restando che rimarranno validi oltre il 1.1.2021 i modelli S1 rilasciati a personale diplomatico insediatosi in Italia entro il 31.12.2020.
In base al principio di reciprocità quanto sopra vale per le persone destinatarie dell’Accordo di Recesso (artt. 10 e 30) in possesso all’attestato S 1 emesso dalle ASL italiane.
 
Destinatari dell’Accordo di Recesso che a certe condizioni divengono assistiti di diritto italiano
Possono registrarsi all’ASL, a titolo obbligatorio, anche se non in possesso di S 1 emesso dal Regno unito le persone che abbiano maturato il diritto di soggiorno (attestato) permanente in Italia o che lo maturino – anche successivamente al 31.12.2020 ai sensi degli artt. 15 e 16 dell’Accordo di Recesso – a seguito di 5 anni di residenza legale.
Fermo restando che l’iscrizione obbligatoria sulla base della residenza permanente rimane una valida opzione anche per le categorie finora considerate dal par. 2.2 dell’Accordo Stato - Regioni.
Parimenti per gli assistiti italiani che abbiano iniziato a vivere nel Regno unito entro il 31 dicembre 2020 e che abbiano ottenuto il Pre-Settled Status, o che ne faranno domanda attraverso l’EU Settlement Scheme5 entro il 30.6.2021 e che potranno in seguito al raggiungimento dei 5 anni di residenza legale nel Regno unito fare domanda di soggiorno permanente (Settled Status).
Dall’1.1.2021, il Regno Unito rilascerà le autorizzazioni preventive per cure programmate (S2) solo alle seguenti categorie di persone:
- pensionati UK e loro familiari che vivono in Italia entro il 31.12.2020;
- lavoratori frontalieri e loro familiari che vivono in Italia entro il 31.12.2020;
- cittadini italiani e loro familiari che vivono nel Regno unito prima del 31.12.2020 e che sono assistiti dal Servizio sanitario britannico, cioè con oneri a carico del Regno unito;
- cittadini UK e loro familiari che vivono in Italia prima del 31.12.2020 e che sono assistiti dal Servizio sanitario italiano, cioè con oneri a carico dell’Italia. In questo caso l’S 2 è rilasciato dalle ASL ed il Regno unito lo continuerà ad accettare.
Ciò premesso, il possesso dell’S 2 britannico consentirà all’operatore dell’ASL, nel cui territorio è ubicata la struttura sanitaria erogatrice, di essere certo che chi lo esibisce è destinatario dell’Accordo di Recesso e come tale coperto dall’assistenza sanitaria del Regno unito che, quindi, rimborserà i relativi costi.
Per le altre categorie di persone non menzionate potranno essere emanate specifiche informazioni con separata nota.
In relazione a quanto sopra, vale il principio reciprocità per gli S 2 emessi dalle ASL per cure programmate nel Regno unito. S 2 rilasciati dal Regno unito a cavallo dell’anno.
Nei casi di autorizzazioni preventive per cure programmate (S 2) - emesse prima del 31.12.2020 a qualsiasi assistito del Regno unito le stesse coprono e, quindi vanno accettate dalle ASL, anche nel 2021.
Questo vale, per un principio reciprocità, per gli S 2 emessi dalle ASL per cure programmate a cavallo d’anno nel Regno unito.
In ogni caso la nota informativa precisa che tali informazioni sono state emanate nell’ipotesi che il Regno unito esca dall’Unione europea senza aver stipulato alcun Accordo di partenariato (c.d. scenario “no deal”). Pertanto nell’eventualità che, invece, un tale accordo venisse firmato, sarà cura del Ministero fornire opportune e tempestive informazioni al riguardo.
 
Emersione dei rapporti di lavoro irregolari
Chiarimenti sugli adempimenti previdenziali dei datori di lavoro
Con circolare INPS 11.9.2020, n. 101 si danno prime istruzioni sugli adempimenti dichiarativi e contributivi cui sono tenuti i datori di lavoro che hanno presentato domanda di emersione di rapporti di lavoro irregolare (art. 103 d.l. 19.5.2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla l. 17.7.2020, n. 77).
Dopo avere illustrato il contenuto delle complesse norme legislative (incluse quelle che avevano prorogato al 15 agosto 2020 la presentazione delle istanze) e dei decreti ministeriali di attuazione e dopo avere richiamato le circolari ministeriali finora emanate si forniscono le prime istruzioni per gli adempimenti contributivi cui sono tenuti i datori di lavoro, in attesa della definizione del procedimento di emersione, afferenti ai periodi retributivi che decorrono dal 19 maggio 2020, data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 34/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77/2020, ovvero, dalla data di instaurazione del rapporto di lavoro, per le istanze volte alla conclusione di un contratto di lavoro con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale.
Si ricorda che, come chiarito con la circolare n. 68/2020, qualora la domanda di regolarizzazione abbia ad oggetto la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare in corso, il rapporto di lavoro subordinato oggetto dell’istanza doveva avere avuto inizio in data antecedente al 19 maggio 2020 (data di entrata in vigore del d.l. n. 34/2020) e doveva risultare ancora in essere alla data di presentazione dell’istanza.
Al riguardo, si fa presente che, nel caso di ripresentazione di domande contenenti errori materiali, l’istanza di emersione si considera validamente inoltrata anche qualora il rapporto di lavoro, iniziato antecedentemente al 19 maggio 2020, si sia protratto sino alla data di presentazione della prima istanza, fatta salva la sussistenza di tutti gli ulteriori requisiti necessari ai fini della valida presentazione della domanda di emersione.
La domanda di emersione di cui all’art. 103 del d.l. n. 34/2020 presentata dal datore di lavoro può essere volta a concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini extracomunitari presenti sul territorio nazionale ovvero alla dichiarazione della sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare con cittadini italiani, cittadini degli Stati dell’Unione europea o cittadini extracomunitari.
I datori di lavoro che hanno avviato la procedura di emersione sono tenuti a versare la contribuzione dovuta afferente ai periodi di lavoro secondo le indicazioni di seguito riportate, per le diverse gestioni, con le seguenti decorrenze:
  1. dal 19 maggio 2020 (data di entrata in vigore del decreto-legge n.34/2020), per le istanze con cui è stata dichiarata la sussistenza del rapporto di lavoro con cittadini italiani o di Stati dell’Unione europea;
  2. dalla data di inizio del rapporto di lavoro, per le istanze presentate allo Sportello unico per l’immigrazione volte ad instaurare un rapporto di lavoro con cittadini extracomunitari presenti sul territorio nazionale se il rapporto di lavoro è instaurato successivamente alla presentazione dell’istanza ma prima della definizione della procedura di emersione, secondo le indicazioni della circolare congiunta del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell’interno del 24 luglio 2020, n. 2399.
1. Rapporti di lavoro con operai agricoli o lavoratori ad essi assimilati
Per assolvere agli adempimenti previdenziali i datori di lavoro, che hanno presentato almeno un’istanza di emersione ai sensi dell’art. 103 del decreto-legge n. 34/2020 afferente agli operai agricoli o a lavoratori ad essi assimilati, entro 30 giorni dalla pubblicazione della presente circolare dovranno richiedere l’apertura di una posizione contributiva dedicata ai suddetti lavoratori. L’apertura della posizione contributiva deve essere richiesta inviando, esclusivamente con il canale online, la denuncia aziendale telematica (D.A.) nella quale deve essere selezionato nel campo «Procedura di emersione», di nuova istituzione, del quadro B il valore: “Si”. La posizione contributiva dedicata all’emersione sarà contraddistinta da uno specifico codice di autorizzazione “5W”, avente il significato di «Posizione contributiva riferita a rapporti di lavoro oggetto di istanza di emersione ai sensi dell’art. 103 del d.l. n. 34/2020».
Nel caso di emersione di più rapporti di lavoro irregolari, il datore di lavoro dovrà richiedere l’apertura di una posizione contributiva con data inizio attività riferita alla data più remota di presentazione dell’istanza. Si precisa che i datori di lavoro già in possesso di una posizione contributiva per gli operai agricoli dovranno, comunque, richiedere l’apertura di una posizione contributiva dedicata all’emersione. Per ciascuna istanza di emersione presentata all’INPS, i datori di lavoro dovranno inviare la comunicazione obbligatoria di assunzione (UNILAV) entro 30 giorni dalla data di pubblicazione della presente circolare indicando, quale data di inizio dell’attività lavorativa, la data di instaurazione del rapporto di lavoro indicata nell’istanza di emersione.
Al ricevimento della comunicazione di apertura della posizione contributiva i datori di lavoro devono trasmettere i flussi Uniemens, nodo Posagri, relativi ai periodi retributivi da regolarizzare, entro 30 giorni, ovvero, se successivi, entro i termini ordinari legali di presentazione (ultimo giorno del mese successivo a quello di riferimento del periodo retributivo). Per la decorrenza dei periodi da regolarizzare si rinvia alle indicazioni di cui ai punti 1 e 2 del precedente par. 5.
L’Istituto provvederà a calcolare la contribuzione dovuta nella prima tariffazione utile senza aggravio di somme aggiuntive per i flussi Uniemens presentati entro i termini indicati in precedenza; per i flussi inviati tardivamente la contribuzione dovuta sarà gravata delle somme aggiuntive calcolate secondo le ordinarie modalità.
I datori di lavoro che hanno presentato l’istanza di emersione devono dichiarare i lavoratori interessati dall’emersione nel flusso Uniemens, nell’elemento DenunciaAgriIndividuale, con le seguenti precisazioni per la valorizzazione dei seguenti elementi:
- <CodiceFiscaleLavoratore>: indicare il codice fiscale (anche provvisorio) del lavoratore;
- <DatiAgriRetribuzione>: indicare il codice contratto 121 «Operaio assunto ai sensi art. 103 decreto-legge n. 34/2020»;
- <DataAssunzione>: indicare la data del 19 maggio 2020 ovvero la data di inizio del rapporto di lavoro per le istanze volte ad instaurare un rapporto di lavoro secondo le indicazioni di cui ai punti 1 e 2 del precedente par. 5.
Definita la procedura di emersione di cui all’art. 103 del decreto-legge n. 34/2020 di tutti gli operai agricoli per i quali è stata presentata l’istanza, il datore di lavoro deve richiedere tempestivamente la cessazione della posizione contributiva dedicata all’emersione indicando quale data di fine validità della posizione il giorno precedente alla data di definizione più recente fra quelle relative a tutti i rapporti di lavoro interessati dall’emersione.
Laddove il rapporto di lavoro cessi nelle more della definizione della procedura di emersione, il datore di lavoro dovrà provvedere alla relativa comunicazione di cessazione tramite UNILAV.
2. Rapporti di lavoro domestico
Per i rapporti di lavoro già in corso alla data di presentazione dell’istanza di emersione ai sensi dell’art. 103 del decreto-legge n. 34/2020, l’INPS provvederà all’iscrizione d’ufficio del rapporto di lavoro domestico e ad attribuire un codice provvisorio. L’iscrizione d’ufficio avverrà sulla base dei dati forniti dal datore di lavoro con l’istanza di emersione inoltrata all’Istituto e sulla base dei dati comunicati all’Istituto dal Ministero dell’interno a seguito della presentazione della dichiarazione di sussistenza del rapporto di lavoro allo Sportello unico per l’immigrazione.
L’INPS invierà al recapito del datore di lavoro la comunicazione di iscrizione provvisoria, con le istruzioni per il pagamento dei contributi, da effettuarsi mediante Avviso di pagamento pagoPA, senza aggravio di somme aggiuntive se il pagamento avviene entro il termine ivi indicato.
La contribuzione dovuta sarà precalcolata dall’Istituto utilizzando i dati comunicati dal datore di lavoro con l’istanza di emersione o trasmessi dal Ministero dell’interno; nel caso sia assente il dato retributivo, al fine della quantificazione della contribuzione dovuta, sarà preso a riferimento quale imponibile contributivo il minimo contrattuale – corrispondente al livello di assunzione dichiarato dal datore di lavoro – previsto dal CCNL di settore. Nell’ipotesi di istanza presentata in favore di cittadini stranieri presso lo Sportello unico per l’immigrazione, si ricorda che l’imponibile contributivo non potrà comunque essere inferiore al minimo previsto per l’assegno sociale, come precisato in premessa.
Laddove il rapporto di lavoro iscritto provvisoriamente dall’Istituto cessi nelle more della definizione della procedura di emersione, il datore di lavoro dovrà provvedere alla relativa comunicazione di cessazione tramite il sito www.inps.it.
A seguito dell’accoglimento dell’istanza inoltrata presso l’INPS o, nel caso di domande presentate allo Sportello unico per l’immigrazione, dopo la sottoscrizione del contratto di soggiorno, l’INPS provvederà all’iscrizione definitiva del rapporto di lavoro. Si richiamano le FAQ n. 22 e n. 23 pubblicate nell’apposita sezione del sito www.integrazionemigranti.gov.it, in ipotesi, rispettivamente, di tardiva comunicazione dell’instaurazione del rapporto di lavoro e di comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro domestico per causa di forza maggiore.
Si comunica che la procedura di comunicazione obbligatoria di assunzione da presentare all’INPS, secondo quanto previsto dal decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, entro le ore 24 del giorno precedente l’inizio del rapporto di lavoro domestico, consentirà ai datori di lavoro che assumono il lavoratore nelle more della conclusione della procedura di regolarizzazione di indicare che si tratta di assunzione per un lavoratore per il quale è stata presentata domanda di emersione presso lo Sportello unico.
Nelle more del rilascio di tale funzione, che verrà reso noto con apposito messaggio, le comunicazioni obbligatorie di assunzione dovranno essere trasmesse utilizzando il servizio per l’iscrizione dei lavoratori domestici senza indicazione della presentazione di domanda di emersione presso lo Sportello unico.
 
3. Rapporti di lavoro non agricoli
I datori di lavoro non domestici, che non impiegano operai agricoli, per ciascuna istanza di emersione presentata all’INPS, dovranno inviare la comunicazione obbligatoria di assunzione (UNILAV) entro 30 giorni dalla data di pubblicazione della presente circolare, indicando, quale data di inizio dell’attività lavorativa, la data di instaurazione del rapporto di lavoro indicata nell’istanza di emersione.
I suddetti datori di lavoro, entro 30 giorni dalla pubblicazione della presente circolare, dovranno altresì richiedere alla struttura INPS territorialmente competente l’apertura di un’apposita matricola aziendale, che verrà contraddistinta, a domanda del datore di lavoro, con il codice di autorizzazione «5W», che assume il più ampio significato di «Posizione contributiva riferita a rapporti di lavoro oggetto di istanza di emersione ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n.109/2012 e ai sensi dell’art. 103 del d.l. n. 34/2020».
Nel caso di emersione di più rapporti di lavoro irregolari, il datore di lavoro dovrà richiedere l’apertura della matricola aziendale con data inizio attività riferita alla data più remota di presentazione dell’istanza. Si precisa che la richiesta di apertura della suddetta matricola dovrà essere effettuata anche dai datori di lavoro già in possesso di una posizione contributiva presso l’Istituto.
Al ricevimento della comunicazione di avvenuta attivazione della matricola aziendale, i datori di lavoro dovranno provvedere, entro 30 giorni, all’invio dei flussi Uniemens per i periodi di paga, decorrenti dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 34/2020 e al versamento, tramite modello F24 (causale DM10), dei relativi contributi, senza aggravio di somme aggiuntive.
Per gli adempimenti e i versamenti previdenziali relativi al mese di agosto e successivi si dovrà provvedere secondo le ordinarie scadenze. Laddove il rapporto di lavoro oggetto di istanza di emersione ai sensi dell’art. 103 del d.l. n. 34/2020 cessi nelle more della definizione della procedura di emersione, il datore di lavoro dovrà provvedere alla relativa comunicazione di cessazione tramite UNILAV.
I lavoratori oggetto dell’emersione saranno indicati nel flusso Uniemens secondo le consuete modalità. Inoltre, per gli stessi lavoratori andrà valorizzato l’elemento <Assunzione> indicando nell’elemento <GiornoAssunzione> la data del 19 maggio 2020 ovvero la data di inizio del rapporto di lavoro per le istanze volte ad instaurare un rapporto di lavoro secondo le indicazioni di cui ai punti 1 e 2 del precedente par. 5. La data indicata per ciascun lavoratore nell’elemento <GiornoAssunzione> del flusso Uniemens dovrà coincidere con quella comunicata all’INAIL.
I suddetti lavoratori saranno esposti nel flusso Uniemens con il <TipoAssunzione> «1E», che assume il più ampio significato di «Lavoratore assunto a seguito di domanda di emersione ai sensi dell’art 5 del d.lgs. n. 109/2012 e ai sensi dell’art. 103 del d.l. n. 34/2020». Qualora tali lavoratori non siano in possesso di un codice fiscale validato dall’Agenzia delle Entrate, gli stessi dovranno munirsi di un codice fiscale provvisorio, da utilizzare per i suddetti adempimenti.
Se il codice fiscale successivamente rilasciato dall’Agenzia delle Entrate è diverso da quello indicato nelle denunce Uniemens trasmesse, il datore di lavoro dovrà inviare, secondo le modalità già in uso, le denunce di variazione Uniemens.
Se il datore di lavoro risulta già titolare di altra posizione contributiva attiva, le Strutture territoriali provvederanno a riportare sulla matricola in argomento le medesime caratteristiche contributive di quella già in uso.
Si precisa che la suddetta matricola dovrà essere utilizzata esclusivamente per gli adempimenti afferenti rapporti di lavoro oggetto di istanza di emersione.
 
Istituzione dei codici tributo per il versamento, tramite il modello «F24 Versamenti con elementi identificativi», dei contributi forfettari dovuti per l’emersione del lavoro irregolare
Con risoluzione 25.9.2020, n. 58 dell’Agenzia delle Entratesono stati istituiti i codici tributo per il versamento, tramite il modello «F24 Versamenti con elementi identificativi», dei contributi forfettari dovuti per l’emersione del lavoro irregolare, ai sensi dell’art. 103, co. 7, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 - decreto interministeriale 7 luglio 2020.
Per consentire il pagamento dei contributi forfettari tramite il modello «F24 Versamenti con elementi identificativi», sono istituiti i seguenti codici tributo:
- “CFZP” denominato «Contributo forfettario 300 euro – emersione lavoro irregolare – settori agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura e attività connesse - DM 7 luglio 2020»;
- “CFAS” denominato «Contributo forfettario 156 euro – emersione lavoro irregolare – settori assistenza alla persona - d.m. 7 luglio 2020»;
- “CFLD” denominato «Contributo forfettario 156 euro – emersione lavoro irregolare – settore lavoro domestico e sostegno al bisogno familiare – d.m. 7 luglio 2020».
La circolare impartisce istruzioni per la compilazione del modello «F24 Versamenti con elementi identificativi».
Nella sezione CONTRIBUENTE sono indicati i dati anagrafici e il codice fiscale del datore di lavoro.
Nella sezione ERARIO ED ALTRO sono indicati:
- nel campo «tipo», la lettera «R»;
- nel campo «elementi identificativi», il codice fiscale del lavoratore;
- nel campo «codice», i codici tributo CFZP, CFAS o CFLD;
- nel campo «anno di riferimento», il valore «2020»;
- nel campo «importi a debito versati», il contributo forfettario dovuto, nella misura di 300,00 euro (per il codice CFZP) oppure di 156,00 euro (per i codici CFAS e CFLD), per ciascun mese o frazione di mese.
 
Chiarimenti su aspetti incerti della procedura di emersione
Con circolare prot. 4623 del 17.11.2020 del Ministero dell’interno - Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione - Direzione centrale per le politiche dell’immigrazione e dell’asilo si danno istruzioni operative concernenti alcuni aspetti controversi delle procedure di emersione dei rapporti di lavoro irregolari.
1) Circa la documentazione idonea alla prova della presenza del lavoratore in data anteriore all’8 marzo 2020, si ritiene che nel caso di documenti risalenti nel tempo questi debbano essere supportati da altra documentazione che dimostri la presenza nel territorio nazionale dello straniero in una data più ravvicinata.
Analogamente deve essere richiesta ulteriore documentazione quando sul passaporto del lavoratore risulti un timbro di ingresso nel territorio Schengen e non nel territorio italiano come richiesto dalla norma. Si ribadisce che la prova della presenza deve essere costituita da attestazioni rilasciate da organismi pubblici e, pertanto, non si ritiene possano essere ammesse dichiarazioni testimoniali.
2) Circa il requisito reddituale del datore di lavoro, disciplinato dall’art. 9 del decreto interministeriale 27 maggio 2020, si precisa che, nel caso di nucleo familiare composto da un solo soggetto (unico percettore di reddito) il reddito richiesto non deve essere inferiore a 20.000 euro annui, nel caso, invece, di nucleo familiare inteso come famiglia anagrafica composta da più soggetti conviventi, il reddito del datore di lavoro non deve essere inferiore a 27.000 euro annui anche se quest’ultimo sia l’unico percettore di reddito. In questo caso il reddito del datore di lavoro potrà essere integrato dal reddito percepito da altro soggetto del nucleo familiare. Il coniuge ed i parenti entro il 2^ grado possono concorrere alla determinazione del reddito anche se non conviventi. Per il lavoro domestico, nel caso in cui il richiedente non percepisca reddito, si ritiene che all’integrazione della soglia minima possa concorrere altro componente della famiglia anche per l’intero importo (euro 27.000,00).
Nell’ipotesi di datore di lavoro affetto da patologie o disabilità che ne limitino l’auto sufficienza, il requisito reddituale non è richiesto quando l’istanza si riferisce ad un unico lavoratore addetto alla sua assistenza. In tal caso, la limitazione dell’autosufficienza non corrisponde necessariamente al riconoscimento dell’invalidità civile ma può essere attestata dal medico di base di medicina generale iscritto al SSN o da una struttura pubblica.
3) Circa l’impegno del datore di lavoro relativo alla garanzia di un alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri minimi richiesti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, indicato dall’art. 5-bis del TU immigrazione tra i contenuti del contratto di soggiorno, si fa presente che detto requisito è richiesto anche per la procedura di emersione dal lavoro irregolare, atteso che il comma 15 dell’art. 103 fa esplicito riferimento al contratto di soggiorno.
Qualora, però, l’acquisizione dell’attestato di idoneità alloggiativa comporti una dilazione eccessiva della convocazione delle parti per la sottoscrizione del contratto, è possibile procedere alla conclusione del procedimento in presenza della sola richiesta di idoneità alloggiativa agli organi competenti, fermo restando l’obbligo in capo al datore di lavoro della produzione del suddetto documento allo Sportello unico in un momento successivo.
4) Circa la possibilità di delega alla sottoscrizione del contratto di soggiorno, nell’ipotesi di impedimento del datore di lavoro dovuto a motivi di salute, si ritiene di poter applicare, in via analogica, il disposto dell’art. 4, co. 2, del d.p.r. 28.12.2020 n. 445, recante il Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, a norma del quale «la dichiarazione nell’interesse di chi si trovi in una situazione di impedimento temporaneo, per ragioni connesse allo stato di salute, è sostituita dalla dichiarazione, contenente espressa indicazione dell’esistenza di un impedimento, resa dal coniuge o, in sua assenza, dai figli o, in mancanza di questi, da altro parente in linea retta o collaterale fino al terzo grado, al pubblico ufficiale, previo accertamento dell’identità del dichiarante».
5) Circa la conclusione della procedura con la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione in favore del lavoratore straniero, al di fuori dei casi di forza maggiore, già disciplinati con circolare congiunta del 24 luglio 2020, si precisa quanto segue.
Nel caso in cui il rapporto di lavoro per il quale è stata avviata la procedura di emersione si interrompa per qualsiasi motivo non ricollegabile ad una causa di forza maggiore, il datore di lavoro che ha presentato la domanda di emersione dovrà dare comunicazione dell’avvenuta interruzione secondo le ordinarie disposizioni di legge e potrà richiedere allo Sportello unico di essere convocato con priorità, al fine di consentire all’Ufficio una valutazione tempestiva ed attuale delle circostanze sopravvenute per un eventuale rilascio al lavoratore di un permesso di soggiorno per attesa occupazione. Al momento della convocazione, il datore di lavoro dovrà formalizzare la rinuncia al rapporto di lavoro, specificando i motivi che ne hanno causato l’interruzione e sottoscrivendo, contestualmente al lavoratore straniero, il contratto di soggiorno per il periodo relativo all’effettivo impiego del lavoratore.
Al lavoratore, vista l’interruzione del rapporto di lavoro, potrà essere rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione, previa una valutazione da parte degli Sportelli unici volta ad escludere che la domanda di emersione sia stata inoltrata strumentalmente, proprio per far ottenere al cittadino straniero il permesso di soggiorno.
A mero titolo esemplificativo, ai fini di tale valutazione, potrebbero essere prese in considerazione la durata temporale del periodo di impiego, la presenza della comunicazione obbligatoria già effettuata e da quanto tempo, le motivazioni il più possibile oggettive (ragioni di salute, trasferimento, sopravvenuti impedimenti economici o alloggiativi), che hanno indotto il datore di lavoro a non voler concludere la procedura di emersione.
È, comunque, necessario considerare, per il solo settore del lavoro agricolo, il divieto di licenziamento che, introdotto dal decreto «Cura Italia», è stato recentemente prorogato fino al 31 gennaio 2021 dal decreto “Ristori” per far fronte all’emergenza economica dovuta al diffondersi della pandemia da Covid-19. Il datore di lavoro dovrà in ogni caso effettuare la comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro nei tempi e con le modalità previste dalla normativa vigente e provvedere al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali all’INPS, a favore del lavoratore straniero nonché al versamento del premio all’INAIL se soggetto all’assolvimento dell’obbligo assicurativo direttamente nei confronti di quest’ultimo istituto, per l’intero periodo di effettiva durata del rapporto di lavoro.
Nel caso in cui il rapporto di lavoro non si sia instaurato, nelle more della convocazione presso lo Sportello unico, e all’atto della convocazione la costituzione del rapporto di lavoro non risulti possibile è necessario, anche in questa fattispecie, che lo Sportello svolga una valutazione caso per caso circa l’opportunità di concedere allo straniero il permesso di soggiorno per attesa occupazione.
Si ribadisce che nei casi di forza maggiore per i quali, esperita positivamente l’istruttoria, è consentito al cittadino straniero di richiedere il permesso di soggiorno per attesa occupazione sono il decesso del datore di lavoro o dell’assistito ed il fallimento o la cessazione dell’azienda/datore di lavoro, già disciplinati con circolare congiunta del 24 luglio 2020.
Si ricorda che il d.l. 34/2020 non ha previsto la possibilità di concedere il permesso di soggiorno per attesa occupazione.
Tuttavia, poiché il comma 4 del citato art. 103, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, rimanda all’art. 22, co. 11 del d.lgs. 286/98 (il quale prevede che il cittadino straniero che perda il lavoro non abbia revocato il permesso di soggiorno e possa iscriversi alle liste di collocamento), si ritiene di poter ammettere una valutazione di ciascuna fattispecie.
A tal proposito, si fa presente che, nel caso di rigetto dell’istanza, la generazione automatica, da parte del sistema SPI, della lettera di convocazione dello straniero ai fini della richiesta del permesso di soggiorno per attesa occupazione, non comporta, per lo Sportello unico, alcun obbligo di invio della stessa al lavoratore.
Si invita, peraltro, a rammentare agli interessati che, in caso di mancato perfezionamento della procedura presso lo Sportello, ai sensi del comma 13 del d.l. 34/2020, cessa la sospensione dei procedimenti penali e amministrativi di cui al comma 11 del medesimo articolo.
Ai datori di lavoro che, pur avendo effettuato il versamento forfetario di almeno euro 500,00, non hanno inviato alcuna istanza di regolarizzazione di un lavoratore straniero oppure, erroneamente, hanno inviato l’istanza all’INPS, ed intendono completare la procedura di regolarizzazione, si consente di accedere, dalle ore 9:00 del giorno 25 novembre 2020 e fino alle ore 20:00 del giorno 31 dicembre 2020 al sistema di inoltro telematico delle istanze, al consueto indirizzo https://nullaostalavoro.interno.it.
Al fine di attribuire agli utenti l’abilitazione alla compilazione dei modelli di domanda EM-DOM_2020 ed EM-SUB_2020, il sistema richiederà l’inserimento degli stessi dati presenti sul modello F24 e ne verificherà l’esatta corrispondenza con i dati presenti.
Si precisa che le istanze in questione potranno essere inviate anche per il tramite dei consueti intermediari autorizzati (patronati, CAAF, consulenti del lavoro, ecc.). Eventuali richieste di assistenza alla compilazione ed all’invio potranno essere inoltrate tramite l’apposita sezione help desk dell’applicativo.
Le istanze in questione saranno identificabili sul sistema SPI attraverso la data di invio (successiva al 15.8.2020).
Infine, tenuto conto che lo scopo dell’emersione dal lavoro irregolare è, tra l’altro, quello di garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva in conseguenza della contingente ed eccezionale emergenza sanitaria connessa alla diffusione del contagio da Covid-19, si ribadisce l’esigenza di portare a compimento tutte le fasi del procedimento amministrativo di cui trattasi nel più breve tempo possibile.
 
Attestazione dell’Ispettorato territoriale del lavoro per conversione presso le questure dei permessi di soggiorno temporanei in permessi per motivi di lavoro subordinato
Una circolare congiunta del 23.11.2020 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Direzione generale dell’immigrazione e dell’Ispettorato nazionale del lavoro - Direzione centrale tutela, sicurezza e delle politiche di integrazione e vigilanza del lavoro ricorda che l’art. 103, co. 2 e 16, del d.l. n. 34/2020 (convertito in l. 77/2020), consente ad uno straniero extraUE titolare di permesso di soggiorno temporaneo di convertirlo, entro il termine di durata dello stesso, in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, esibendo un contratto di lavoro subordinato ovvero la documentazione retributiva e previdenziale comprovante lo svolgimento dell’attività lavorativa, in conformità alle previsioni di legge, nei settori interessati dalla procedura di regolarizzazione di cui al comma 3.
Per quanto attiene alla procedura di conversione del permesso di soggiorno temporaneo in permesso di soggiorno per motivi di lavoro si richiama il contenuto dell’art. 12, co. 9, del decreto interministeriale 27.5.2020, nella parte in cui si dispone che alla richiesta di conversione del titolo di soggiorno sia allegata, a cura dello straniero, l’attestazione rilasciata dall’Ispettorato territoriale del lavoro competente in relazione al luogo di svolgimento della prestazione lavorativa.
La definizione delle modalità di rilascio dell’attestazione è demandata ad apposita circolare, redatta a cura del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
La circolare del Ministero dell’interno - Dipartimento della pubblica sicurezza, prot. n. 40467 del 30 maggio 2020, prevede che il cittadino straniero non comunitario dovrà depositare istanza di conversione al questore, esclusivamente per il tramite degli uffici sportello delle Poste italiane, esibendo un contratto di lavoro subordinato ovvero documentazione retributiva e previdenziale comprovante lo svolgimento dell’attività lavorativa nell’ambito dei settori di attività di cui all’articolo 4 del d.i. citato.
La circolare dà indicazioni operative relative alle modalità di rilascio della suddetta attestazione, come indicato dal comma 9 dell’articolo 12 del d.i. sopraccitato.
La richiesta deve essere inviata via mail dallo straniero all’Ispettorato territoriale del lavoro competente per luogo di svolgimento della prestazione lavorativa. Gli indirizzi mail istituzionali ai quali inviare la richiesta sono disponibili sul sito web dell’Ispettorato nazionale del lavoro: https://www.ispettorato.gov.it/it-it/il-ministero/Uffici-periferici-e-territoriali.
All’istanza dovrà essere allegato:
- copia del permesso di soggiorno temporaneo rilasciato dalla questura recante le indicazioni di cui alla citata circolare MI n. 40467/2020; in alternativa, ove quest’ultimo non sia stato ancora rilasciato, la copia della ricevuta di presentazione della richiesta di rilascio del permesso di soggiorno rilasciata dagli Uffici postali, contenente la dicitura «EMERS.2020»;
- contratto di lavoro subordinato (o copia della comunicazione UNILAV/Unimare) ovvero documentazione retributiva e previdenziale (es. prospetti paga, estratto conto contributivo, attestazione pagamento contributi lavoro domestico).
Ai fini del rilascio dell’attestazione, il controllo degli Ispettorati consisterà nella verifica, tramite accesso al registro imprese, della corrispondenza del Codice Ateco del datore di lavoro, come risultante dalla documentazione prodotta, rispetto ai settori indicati nel citato articolo 4 del d.i. ed individuati nell’elenco allegato al medesimo d.i.
Per i rapporti di lavoro domestico la verifica viene effettuata dall’Ispettorato territoriale tramite richiesta alla sede INPS competente.
 
Assistenza sociale
Accesso degli stranieri regolarmente soggiornanti al bonus asilo nido
Con messaggio 18.12.2020, n. 4768 dell’INPS (Istituto nazionale della previdenza sociale) - Direzione centrale inclusione sociale e invalidità civile si forniscono nuovi chiarimenti importanti circa l’accesso degli stranieri extraUE al bonus per l’asilo nido disciplinato dall’art. 1, co. 355, della legge 11.12.2016, n. 232, e successive modificazioni, e attuata con d.p.c.m. 17.02.2017, i cui chiarimenti applicativi sono stati forniti dall’INPS, da ultimo, con la circolare n. 27 del 14.2.2020.
In proposito le Associazioni Avvocati per niente ONLUS (APN) e Associazione Studi Giuridici sull’immigrazione (ASGI), nonché la Lega per i diritti delle persone con disabilità Associazione di Promozione sociale Ledha, hanno proposto ricorso ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. 1.9.2011, n. 150 , e dell’art. 44 del d.lgs. 25.7.1998, n. 286 per dichiarare il carattere discriminatorio della condotta tenuta:
- dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha disposto mediante il d.p.c.m. 17 febbraio 2017 la limitazione del diritto alla prestazione in riferimento ai soli stranieri in possesso di permesso di soggiorno di lungo periodo;
- dall’INPS, che con la citata circolare n. 27 del 2020, in ossequio a quanto disposto dal citato d.p.c.m. del 2017, ha confermato la limitazione del bonus alle sole categorie di stranieri sopra menzionate.
Con ordinanza, in data 9 novembre 2020, il Tribunale di Milano ha ordinato ad entrambi i suddetti convenuti di cessare immediatamente tali condotte discriminatorie, non ritenendo di accogliere neppure l’istanza di sospensione di cui all’art. 295 c.p.c. presentata dall’INPS, in attesa della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea, investita, in sede di rinvio pregiudiziale, a seguito di un’ordinanza della Corte costituzionale, in data 30.7.2020, della questione (sottesa ad una fattispecie analoga, pur se non del tutto sovrapponibile) della compatibilità con il diritto dell’Unione europea della norma che esclude l’accesso, per determinate prestazioni e benefici, ai cittadini non comunitari privi del permesso di soggiorno di lungo periodo.
In particolare, nel suddetto giudizio la Corte di giustizia dell’Unione europea dovrà pronunciarsi in via definitiva per chiarire se la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE) e il regolamento CE n. 883/2004 ostino ad una normativa nazionale che non estenda agli stranieri residenti, privi del permesso di soggiorno di lungo periodo, il diritto di fruire delle provvidenze che rientrino nell’ambito delle prestazioni di sicurezza sociale, nell’accezione euro-unitaria.
Il Tribunale ha, infatti, ritenuto che la causa promossa dalle anzidette Associazioni vertesse su un istituto diverso da quelli sui quali la Corte di giustizia dell’Unione europea sarà chiamata a decidere, poiché riguarda tipicamente il tema della discriminazione per ragioni di nazionalità che, comunque, deve essere rimossa, a prescindere da quale fattore l’abbia originata, in conformità peraltro alle precedenti sentenze della Corte di cassazione n. 11165/2017 e n. 11166/2017.
Ciò premesso il comma 355 dell’art. 1 della legge n. 232/2016 ha stabilito, per i nati a decorrere dal 1° gennaio 2016, che per il pagamento di rette relative alla frequenza degli asili nido pubblici e privati, nonché per l’introduzione di forme di supporto domiciliari in favore di bambini sotto i tre anni, affetti da gravi patologie croniche, sia attribuito un bonus economico. Per l’anno 2020, la prestazione può arrivare ad un massimo di 3.000 euro annui, per i nuclei familiari con un valore dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), calcolato ai sensi dell’art. 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013, n. 159 (ISEE minorenni), fino a 25.000 euro, e di 2.500 euro, per i nuclei familiari con ISEE da 25.001 a 40.000 euro; oltre tale soglia spetta un importo pari a 1.500 euro a prescindere dal valore ISEE e anche in assenza di ISEE.
Come previsto dal d.p.c.m. 17.2.2017, il genitore richiedente deve essere in possesso, tra l’altro, del requisito della cittadinanza italiana, o di uno Stato membro dell’Unione europea oppure, in caso di cittadino di Stato extracomunitario, del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo di cui all’art. 9 del decreto legislativo n. 286/1998 e successive modificazioni. La circolare dell'INPS n. 27/2020, nel confermare il predetto requisito, stabilisce, in via ulteriore, alcune eccezioni, unicamente per i rifugiati politici e per coloro che godono di protezione sussidiaria.
Tale disciplina del beneficio è stata ritenuta di natura discriminatoria con riferimento alla nazionalità, in danno dei migranti regolarmente presenti in Italia, posto che sulla base della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2011/98/UE del 13 dicembre 2011, relativamente ai settori della sicurezza sociale di cui al regolamento CE n. 883/2004, «tutti i cittadini di Paesi terzi che soggiornano e lavorano regolarmente degli Stati membri dovrebbero beneficiare quanto meno di uno stesso insieme comune di diritti, basato sulla parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro ospitante, a prescindere dal fine iniziale o dal motivo dell’ammissione».
Il diritto alla parità di trattamento nei settori specificati dalla direttiva stessa dovrebbe essere riconosciuto non solo ai cittadini di Paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro ai fini lavorativi, ma anche a coloro che sono stati ammessi per altri motivi (ad esempio ai familiari).
Pertanto poiché tale bonus sembra rientrare tra le prestazioni familiari contemplate dal regolamento CE n. 883/2004 citato, il Tribunale di Milano ha concluso per l’esistenza di un contrasto tra l’art. 12 della direttiva citata e il d.p.c.m. 17 febbraio 2017 ed ha affermato l’immediata applicabilità della direttiva stessa, senza alcuna specifica necessità di adeguamento normativo da parte dello Stato, e ha disposto la disapplicazione del d.p.c.m. e della circolare n. 27 del 2020 da parte dell’INPS.
Vista l’esigenza per l’INPS di dare immediata attuazione all’ordinanza in questione, per le nuove domande di bonus asilo nido che saranno presentate entro la fine dell’anno 2020, i requisiti per l’ammissione alla prestazione verranno valutati consentendo l’accoglimento delle domande degli stranieri, residenti nel nostro Paese, titolari di permesso di soggiorno, a prescindere dalla tipologia di permesso.
Tali domande saranno accolte con riserva di ripetizione delle somme erogate in attesa dell’esito della decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea, nonché dell’appello che l’Istituto ha promosso nei confronti dell’ordinanza del Tribunale di Milano. Per quanto concerne le domande di soggetti privi del requisito del permesso di soggiorno di lungo periodo trasmesse all’INPS nell’anno 2020 e già definite con diniego, le stesse saranno rivalutate mediante riesame in autotutela su domanda dell’interessato e, in presenza di tutti gli altri requisiti, dovranno essere accolte con effetto retroattivo dalla data originaria della domanda dell’interessato.

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