In questo numero della Rassegna prendiamo in esame alcuni approdi giurisprudenziali pubblicati nel secondo quadrimestre del corrente anno. Come di consueto, la prima parte è relativa ai profili, sostanziali e procedurali, della materia, mentre a seguire sono prese in esame alcune pronunce relative ai trattenimenti nei CPR.
Espulsione ministeriale per motivi di prevenzione del terrorismo
Questa peculiare tipologia di espulsione è disciplinata dall’art. 3, d.l. 144/2005, convertito, con modificazioni, in l. 155/2005 e, con riferimento al caso di specie, essendo il destinatario coniuge di cittadina italiana (quindi familiare di cittadina dell’UE non avente la cittadinanza di uno Stato membro) anche dall’art. 20, co. 2, d.lgs. 30/2007.
Un cittadino tunisino, coniugato con italiana, è stato attinto da provvedimento di espulsione ministeriale – con accompagnamento immediato alla frontiera e divieto di reingresso in Italia per 15 anni – in quanto ritenuto inserito in un circuito di connazionali noti per avere assunto posizioni a favore del radicalismo islamico e, in particolare, per avere consultato e condiviso contenuti web inerenti al teatro di guerra siriano ed iracheno da cui si evinceva la vicinanza all’autoproclamato Stato islamico, nonché per avere espresso profondi sentimenti di avversione nei confronti dei praticanti il cristianesimo.
Costui impugna al Consiglio di Stato la sentenza con cui il Tar Lazio, sede di Roma, aveva respinto il ricorso, sulla base di plurimi motivi di gravame, che sinteticamente si riassumono: innanzitutto si duole della violazione dell’art. 20, co. 4, d.lgs. 30/2007, assumendo che i comportamenti individuali dell’interessato non rappresentano una minaccia concreta, effettiva e sufficientemente grave all’ordine pubblico o alla pubblica sicurezza, e, pertanto, sono inidonei a legittimare l’adozione di tale misura; inoltre il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 8 CEDU per avere il provvedimento troncato la sua vita privata e familiare e, in particolare, il suo rapporto con il figlio minore; ancora ritiene illegittima la durata del divieto di reingresso nella misura di 15 anni, a fronte del divieto massimo di dieci anni indicato nell’art. 20, co. 10, d.lgs. 30/2007 nei casi di allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato, e, pertanto, in violazione del principio di proporzionalità previsto in generale per tutte le tipologie di allontanamento al comma 4 della medesima disposizione.
Innanzitutto, si afferma che il pericolo per la sicurezza dello Stato non deve essere accertato con assoluta certezza, essendo sufficiente la sussistenza di fondati motivi per ritenerlo esistente, che, nel caso in esame, si desumono dalla documentazione versata in atti dall’amministrazione resistente con classificazione «riservata e riservatissima». Trattandosi di una misura preventiva la sufficienza dei «fondati motivi» per la sicurezza dello Stato, desunta dai fatti riportati dalla predetta documentazione, non pare viziata da manifesta irragionevolezza, travisamento o difetto d’istruttoria che rappresentano gli unici vizi sindacabili dal giudice amministrativo nell’ambito di una valutazione meramente estrinseca, conseguente all’alta discrezionalità amministrativa che caratterizza questa tipologia di espulsione.
Quanto alla pretesa violazione dell’art. 8 CEDU, il Collegio osserva come la tutela della vita privata e familiare non è incondizionata, posto che – a mente dell’art. 2 della medesima Convenzione – l’ingerenza dell’autorità pubblica è consentita ove sia prevista dalla legge quale misura necessaria ai fini della sicurezza nazionale.
Se fin qui la motivazione della sentenza in commento si pone nel solco della consolidata giurisprudenza, un elemento di novità è invece rappresentato dagli argomenti utilizzati per confermare la legittimità dell’inibizione all’ingresso in Italia per 15 anni, contrastante con la previsione di cui all’art. 20, co. 10, d.lgs. 30/2007 che, come ricordato, indica in dieci anni il termine massimo nei casi di allontanamento disposto per motivi di sicurezza dello Stato. Infatti, tale ultima disposizione, ad avviso del Collegio, deve essere interpretata alla luce della Direttiva 2008/115/CE che, all’art. 11, par. 2, prevede che la durata del divieto di reingresso «è determinata tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non supera di norma i cinque anni … può comunque superare i cinque anni se il cittadino di un Paese terzo costituisce una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale». Dunque, la Direttiva rimpatri consentirebbe di derogare alle disposizioni di cui al d.lgs. 30/2007, che costituisce attuazione della Direttiva 2005/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, con la conseguenza che il termine massimo decennale può essere disapplicato qualora l’amministrazione non lo ritenga sufficiente a fronteggiare le esigenze di tutela della sicurezza dello Stato. Sennonché la Direttiva 2008/115/CE si applica ai cittadini di Paesi terzi, mentre ai familiari di cittadini comunitari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, come definiti all’art. 2, d.lgs. 30/2007, si applica il citato decreto legislativo di attuazione della Direttiva 2005/38/CE.
Orbene, l’art. 20, co. 2, d.lgs. 30/2007, che disciplina l’istituto dell’allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato, contempla espressamente anche le ipotesi in cui «vi siano fondati motivi per ritenere che la sua [dello straniero] permanenza nel territorio dello Stato possa, in qualsiasi modo, agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali». Si dovrebbe pertanto ritenere che le ipotesi di allontanamento del familiare di cittadino dell’Unione non avente la cittadinanza di uno Stato membro, siano disciplinate dal citato art. 20 che attribuisce la loro adozione al Ministro dell’interno e, al comma 10, stabilisce in dieci anni il temine massimo di divieto di reingresso. La motivazione della sentenza in commento sul punto non pare pertanto convincente.
Espulsioni prefettizie per motivi di pericolosità sociale
La causa di inespellibilità del cittadino di Paese terzo convivente con parente entro il secondo grado cittadino italiano può essere derogata solo in caso di espulsione disposta dal Ministro dell’interno ai sensi dell’art. 13, co. 1, d.lgs. 286/98. Tale principio, tanto pacifico quanto inosservato da parte dei Giudici di pace (a giudicare dall’elevato contenzioso), è stato riaffermato da
Cass. civ. sez. III, ord. 20050/21, pubblicata il 14.7.2021, che ha cassato con rinvio l’ordinanza con cui il Giudice di pace di Verona ha respinto il ricorso proposto dall’interessato ritenendo prevalente la rilevanza della sua pericolosità sociale rispetto al legame familiare, desunta dai precedenti penali, ritenuti idonei a porre in pericolo la sicurezza e tranquillità pubblica. Con l’occasione, la Corte evidenzia la diversità strutturale e morfologica del provvedimento ministeriale rispetto a quello prefettizio: il primo non rimette all’amministrazione una mera discrezionalità tecnica e ricognitiva nell’ambito di ipotesi già delineate dal legislatore, ma una ponderazione valutativa degli interessi in gioco, mentre il secondo si configura come atto dovuto in presenza delle condizioni previste dalla legge (appartenenza del soggetto alle categorie di persone pericolose individuate attraverso i parametri previsti dall’art. 1, d.lgs. 159/2011).
Quanto alle fattispecie normativamente previste al fine di ricondurre lo straniero nell’alveo delle persone pericolose,
Cass. civ., sez. I, ord. 16640/2021, pubblicata in data 11.6.2021, rammenta come la norma faccia riferimento – tra l’altro – a persone «abitualmente dedite» alla commissione di reati, situazione non rinvenibile nel caso di specie posto che il ricorrente era stato assolto dalla singola vicenda penale che lo aveva visto coinvolto. La banalità del caso in esame desta peculiare preoccupazione perché il Giudice di pace di Latina aveva ritenuto legittima l’espulsione disposta a seguito della revoca del permesso di soggiorno da parte del questore a seguito di precedenti penali e di polizia deducendo da ciò la pericolosità dello straniero, nonostante costui avesse già prodotto la sentenza di assoluzione al questore il quale aveva revocato il predetto provvedimento di revoca del titolo di soggiorno, senza che, tuttavia, venisse revocato in autotutela anche il decreto di espulsione. È opinione di chi scrive che siffatte incredibili vicende dipendano verosimilmente sia dall’evidente mancato coordinamento tra le differenti articolazioni periferiche del Ministero dell’interno nel medesimo ambito provinciale, sia – soprattutto – dalla rigida osservanza da parte del Giudice di pace del principio giurisprudenziale consolidato secondo cui costui deve limitarsi a verificare esistenza ed efficacia del provvedimento espulsivo, trattandosi di attività vincolata, senza volgere l’attenzione agli atti presupposti. La conseguenza di simile ortodossa rigidità mentale è che il malcapitato ha dovuto attender ben tre anni, prima di vedersi annullato un provvedimento illegittimo, essendo stato espulso nel 2018.
Persiste la tendenza di alcuni Giudici di pace ad avallare provvedimenti prefettizi di espulsione – disposti ai sensi dell’art. 13, co. 2, lett. c), d.lgs. 286/98 – motivati solo sulla base di condanne penali. Così,
Cass. civ. sez. I, ord. 15654/2021, pubblicata il 4.6.2021, ha annullato la decisione del Giudice di pace di Treviso evidenziando come, secondo il costante orientamento giurisprudenziale di legittimità, il riscontro circa l’appartenenza dell’espellendo alle categorie di persone pericolose delineate all’art. 1, d.lgs. 159/2011, debba essere condotto alla luce dei criteri indicati all’art. 116 del medesimo decreto legislativo e, segnatamente, sulla base dell’accertamento oggettivo e non meramente soggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni, dell’attualità della pericolosità dello straniero e, infine, dell’esame completo della personalità del soggetto quale risulta da tutte le manifestazioni sociali della sua vita di relazione. Il Supremo Collegio specifica inoltre, conformemente a precedenti giurisprudenziali, che il giudice, nella verifica dei presupposti della pericolosità, ha dei poteri di accertamento pieni e non deve trincerarsi dietro un’insussistente discrezionalità dell’amministrazione. Esattamente negli stessi termini si veda
Cass. civ. sez. I, ord. 15650/2021 anch’essa pubblicata il 4.6.2021che cassa con rinvio un’ordinanza del Giudice di pace di Vercelli.
Il divieto temporaneo di espulsione prefettizia nei confronti della donna in gravidanza e nei sei mesi successivi alla nascita del figlio che, a seguito della sentenza n. 376/2000 della Corte costituzionale, è esteso al marito convivente, non è derogabile dal prefetto per motivi di pericolosità sociale, potendo solo essere disposta del Ministro dell’interno ai sensi dell’art. 13, co. 1, d.lgs. 286/98.
Cass. civ. sez. I, ord. 17640/2021, pubblicata il 21.6.2021, ha cassato l’ordinanza del Giudice di pace di Verona che ha ritenuto sufficiente il bilanciamento del diritto alla vita familiare con la pericolosità sociale del soggetto condannato per spaccio di stupefacenti, respingendo la doglianza attinente alla paternità del decreto di espulsione posto che il Ministro dell’interno opera a livello periferico per il tramite del prefetto. Osserva la Corte come il giudice del merito abbia sovrapposto due diverse tipologie di espulsione tra loro distinte e non sovrapponibili: quella ministeriale e quella prefettizia. Inoltre, l’ordinanza precisa la profonda differenza tra l’inespellibilità temporanea per motivi di gravidanza e l’obbligo di valutare i legami familiari
ex art. 13, co. 2-
bis, d.lgs. 286/98 cui è soggetto il giudice nei casi di espulsione per motivi di ingresso e soggiorno illegale, ma non anche per pericolosità sociale. Invero, pur se la gravidanza è riconducibile al
genus della vita privata e familiare, ne costituisce una
species particolare volta a tutelare l’interesse del nascituro, il che determina la temporanea inibizione della potestà espulsiva prefettizia, con l’unica eccezione dell’espulsione ministeriale per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato.
Espulsione dello straniero convivente con cittadino italiano: quale disciplina applicabile?
Del tema delle disposizioni applicabili allo straniero convivente con cittadino italiano si è molto occupata la giurisprudenza in materia di rinnovo dei titoli di soggiorno, sotto il profilo dell’applicabilità del d.lgs. 286/98, ovvero del d.lgs. 30/2007. La questione ha indubbi riflessi anche per quanto concerne i provvedimenti ablativi, come ben si evince dall’esame di
Cass. civ. sez. III, ord. 13285/21, pubblicata il 18.5.2021, che ha il pregio di fare il punto sulla questione. Come già evidenziato nella nota
Cass. civ. 14159/2017, in tema di soggiorno di stranieri coniugati con cittadini italiani la legge prevede due «sistemi»: il primo, disciplinato all’art. 19, co. 2, lett. c), d.lgs. 286/98, secondo cui costoro non possono essere espulsi se non per provvedimento ministeriale
ex art. 13, co. 1, d.lgs. 286/98, che – ad avviso della Corte – si applica agli stranieri già espulsi o comunque irregolarmente presenti, cui consegue il diritto al rilascio di un titolo di soggiorno
ex art. 28. co. 1, lett. b), d.p.r. 394/99; il secondo sistema è quello delineato negli att. 20 e 21, d.lgs. 30/2007 (le cui disposizioni si applicano, se più favorevoli, anche ai familiari stranieri di cittadini italiani ai sensi dell’art. 23 del medesimo decreto legislativo) che possono essere allontanati non solo per ragioni di ordine pubblico o sicurezza dello Stato da parte del Ministro dell’interno (come nelle ipotesi del citato art. 13, co. 1), ma pure per motivi di pubblica sicurezza – ad opera del prefetto – che si ravvisano in caso di ricorrenza di condanne penali per i titoli di reato previsti all’art. 20, co. 3, d.lgs. 30/3007, sia pure senza alcun automatismo. Consegue che lo straniero condannato per spaccio di stupefacenti – pur convivente con cittadino italiano – può essere espulso come in qualsiasi altro caso di pericolosità sociale.
Qual è il discrimine tra l’applicazione del divieto di espulsione e la possibilità di allontanamento ex art. 20 cit.? Secondo il supremo Collegio, sta nel fatto che il divieto di espulsione si applica agli stranieri irregolari che, se conviventi col coniuge italiano, sono protetti dall’espulsione, ma, dal momento in cui acquisiscono la carta di soggiorno per familiare di cittadino dell’Unione non avente la cittadinanza di uno Stato membro, escono dalla tutela predisposta dal d.lgs. 286/98 e rientrano nella previsione del d.lgs. 30/2007 che, come s’è visto, li rende allontanabili. La soluzione non convince, non foss’altro perché – come ricordato – l’art. 23, d.lgs. 30/2007 ne prevede l’applicabilità a condizione che le disposizioni ivi contenute siano più favorevoli rispetto a quelle del Testo unico 286/98: il che pacificamente non è in queste ipotesi. Ma v’è di più: anche se allo straniero che versasse nella situazione descritta venisse revocata la carta di soggiorno per familiare di cittadino dell’Unione, costui sarebbe irregolarmente soggiornante e, in pendenza di convivenza con cittadino italiano sarebbe inespellibile (fatta salva l’espulsione ministeriale), quindi tornerebbe ad essere soggetto al Testo unico 286/98. Argomentando diversamente si giungerebbe alla illegittima disapplicazione di una delle condizioni d’inespellibilità previste dall’art. 19, co. 2, con violazione del diritto alla tutela della vita privata e familiare recentemente implementata con la novella di cui alla l. 173/2020.
Sui rapporti tra richiesta di permesso di soggiorno e pregressa espulsione
Quid juris se, nelle more dell’esecuzione dell’espulsione amministrativa, lo straniero presenta una nuova domanda di permesso di soggiorno: è consentito al giudice dell’espulsione annullarla valutando – sia pure incidentalmente – la non manifesta infondatezza della nuova richiesta?
Cass. civ. sez. I, ord. 9442/2021, pubblicata il 9.4.2021, accogliendo il ricorso dell’amministrazione ha cassato con rinvio l’ordinanza del Giudice di pace di Asti che in tal modo procedette, precisando che in alcun caso la richiesta di rilascio di permesso di soggiorno presentata successivamente all’adozione di un decreto di espulsione può esser annullata dal giudice in sede di ricorso avverso l’espulsione stessa. La valutazione del giudice deve esser effettuata sulla base della situazione di fatto e di diritto sussistente al momento dell’adozione del provvedimento ablativo. L’eventuale rilascio di un titolo di soggiorno sopravvenuto non incide sulla validità dell’espulsione, quanto solo sulla sua efficacia. Va detto, però, che nella prassi il rilascio di una nuova autorizzazione al soggiorno presuppone, di norma, la revoca in autotutela della pregressa espulsione da parte dell’amministrazione.
Profili formali
In tema di traduzione dei decreti di espulsione in lingua nota all’interessato, che continua ad occupare la giurisprudenza, occorre segnalare un’interessante ordinanza di
Cass. civ. sez. III, n. 13291/2021, pubblicata il 18.5.2021, che ben riassume i termini di questa annosa questione. Ad un cittadino pachistano – a seguito di diniego di domanda di protezione internazionale – fu notificato un decreto di espulsione tradotto in lingua inglese che, benché tempestivamente impugnato, venne confermato dal Giudice di pace di Udine. Ricorre lo straniero deducendo la mancata conoscenza di tale idioma, e che sarebbe stato onere della PA provare la sua conoscenza della lingua italiana o di una delle lingue veicolari.
La Corte accoglie il ricorso, osservando che effettivamente dal tenore del provvedimento impugnato non risulta che il Giudice di pace abbia svolto alcun accertamento circa le conoscenze linguistiche dell’opponente, nè che l’amministrazione resistente abbia allegato alcunché circa l’impossibilità di traduzione dell’atto in lingua conosciuta dallo straniero. Il supremo Collegio afferma pertanto il seguente principio di diritto: ove il ricorrente affermi di non conoscere la lingua italiana, nè quella veicolare con cui sono tradotti gli atti, il decreto di espulsione è esente da vizi se il giudice accerti, anche in via presuntiva, che lo straniero conosce la lingua utilizzata, ovvero se l’amministrazione alleghi – e il giudice ritenga plausibile – l’impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la rarità di essa, oppure l’inidoneità di tale testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta. Se non ricorre alcuna delle predette circostanze, il decreto di espulsione redatto in una lingua che il destinatario alleghi di non conoscere è nullo.
In termini analoghi:
Cass. civ. sez. I, ord. 15656/2021 pubblicata il 4.6.2021;
Cass. civ. sez. Lavoro, ord. 13906/2021, pubblicata il 20.5.2021, che, tra l’altro precisa come non possa invocarsi la sanatoria per il raggiungimento dello scopo dell'atto allorquando lo straniero abbia presentato tempestivo ricorso avverso il decreto espulsivo difendendosi nel merito, dato che l’art. 156, co. 3, c.p.c. (che prevede la sanatoria della nullità degli atti processuali) non può applicarsi a un atto amministrativo.
In tema di legittimazione passiva
Cass. civ. sez. I, ord. 13642/2021, pubblicata il 19.5.2021, ribadisce il principio secondo cui nel giudizio di opposizione al decreto prefettizio di espulsione, la legittimazione esclusiva, personale e permanente a contraddire in giudizio, anche in fase di legittimità, spetta al prefetto quale autorità che ha emanato l’atto impugnato. Consegue che la notificazione del ricorso per cassazione deve essere effettuata esclusivamente al prefetto presso il suo ufficio. Negli stessi termini
Cass. civ. sez. I, ord. 16636/2021, pubblicata in data 11.6.2021, che dichiara inammissibile un ricorso per cassazione notificato al questore oltre che al Ministero dell’Interno, soggetti privi di legittimazione passiva.
TRATTENIMENTO
Avviso al difensore
La Corte di cassazione ha ribadito l’importanza delle inderogabili garanzie difensive nelle udienze di convalida e proroga del trattenimento.
In particolare, con
ordinanza sez. I civ. 8.7.2021 n. 19485 la Corte ha affermato che il cittadino straniero trattenuto ha diritto nell’udienza di proroga del trattenimento all’assistenza di un difensore di fiducia, il quale, se nominato, dev’essere tempestivamente avvisato della data dell’udienza fissata per l’audizione, non potendo tali garanzie ritenersi soddisfatte da alcun altro atto equivalente, e segnatamente dalla partecipazione all’udienza di un difensore d’ufficio designato dal giudice di pace, dal momento che, ai sensi del comma quarto dell’art. 14 d.lgs. 286/1998, solo nel caso in cui lo straniero sia sprovvisto di un difensore dev’essere assistito da uno nominato d’ufficio.
È quindi illegittimo il decreto di proroga del trattenimento adottato all’esito di udienza celebrata senza previo avviso al difensore di fiducia la cui nomina risulti agli atti.
Secondo
Cass. sez. III civ. ord. 16.7.2021 n. 20347, l’avviso di fissazione dell’udienza di convalida della proroga del trattenimento può essere notificato al difensore del cittadino straniero trattenuto la mattina del giorno dell’udienza stessa. Il ristretto arco temporale tra la notifica e l’udienza è imposto dai termini strettissimi previsti dall’art. 14 del d.lgs. 286/1998; non sussiste lesione del diritto di difesa qualora il cittadino straniero trattenuto abbia potuto nominare un difensore di fiducia e sia stato da questo assistito nell’udienza. È quindi inammissibile il ricorso per Cassazione teso all’annullamento del decreto di proroga del trattenimento, in cui non si indichi la concreta lesione del diritto di difesa e cioè l’attività difensiva che sarebbe stata preclusa.
La Corte (
Cass. sez. I civ. ord. 21.6.2021 n. 17656) ha poi dichiarato inammissibile il ricorso per Cassazione, col quale si denunci l’omesso tempestivo avviso all’interessato e al difensore della fissazione dell’udienza di convalida del trattenimento, qualora risulti dagli atti dell’udienza di convalida che il ricorrente sia stato assistito da un difensore, non abbia sollevato tale eccezione dinanzi al Giudice di pace e non alleghi né dimostri di aver nominato un difensore di fiducia.
Presenza del trattenuto
La Corte ha ribadito, con due ordinanze (
Cass. sez. III civ. ord. 27.7.2021 n. 21519,
Cass. sez. II civ. ord. 22.9.2021 n. 25722) che le garanzie del contraddittorio impongono la partecipazione e l’audizione del cittadino straniero trattenuto all’udienza di proroga del trattenimento, senza che sia necessaria una richiesta dell’interessato. La Corte ha affermato che il diritto di difesa non può essere ritenuto garantito dalla presenza del solo difensore.
Si segnala anche un provvedimento di merito (
Trib. Roma 25.8.2021
) in cui si afferma che la presenza dell’interessato nell’udienza di convalida del trattenimento è imposta dalle garanzie del contraddittorio previste dall’art. 14 del d.lgs. 286/1998 (richiamato dall’art. 6 del d.lgs. 142/2015 e pertanto applicabili anche alla convalida del trattenimento di richiedente asilo). Ne consegue che non può essere convalidato il trattenimento del cittadino straniero, richiedente protezione internazionale, quando l’interessato sia assente perché ricoverato in ospedale per un intervento chirurgico d’urgenza.
Audizione del trattenuto
La Corte di cassazione, con
ordinanza sez. I civ. 5.8.2021 n. 22400, afferma che nell’udienza di convalida del trattenimento deve ritenersi obbligatoria l’audizione del trattenuto solo se questi intenda renderla, con la conseguenza che l’eventuale nullità derivante dalla sua omissione ha carattere relativo; la questione deve quindi essere sollevata dinanzi al Giudice di pace e non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità.
Doppia tutela
È nota la distinzione tra il giudizio (eventuale) di opposizione al decreto di espulsione e il giudizio (necessario) di convalida delle misure coercitive di esecuzione dell’espulsione (accompagnamento coattivo, trattenimento, misure alternative al trattenimento). In un caso esaminato dalla Corte di cassazione (
Cass. sez. VI civ. ord. 15.7.2021 n. 20222), tuttavia, il Giudice di pace adìto avverso il decreto di espulsione ha invece convalidato il trattenimento (peraltro già oggetto di provvedimento di altro Giudice di pace). La corte ha rilevato una duplice violazione dell’art. 112 c.p.c., per un verso come vizio di extrapetizione, perché il giudice si era pronunciato in ordine ad una domanda diversa da quella effettivamente proposta, e dall’altro come vizio di omessa pronuncia, perché il giudice non ha proceduto all’accertamento dei presupposti per l’adozione della misura espulsiva, la cui sussistenza era stata contestata dall’opponente.
La manifesta illegittimità del decreto di espulsione deve essere rilevata dal giudice della convalida, con la conseguenza che è illegittimo il provvedimento di convalida del trattenimento in cui il giudice non rilevi in via incidentale la manifesta illegittimità del decreto di espulsione presupposto, a fronte dell’allegazione e documentazione della sussistenza di stretti legami familiari con cittadini italiani, meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 13, co. 2-
bis, del d.lgs. 286/1998 e dell’art. 8 CEDU e invece non tenuti in considerazione dall’autorità che aveva disposto l’espulsione (
Cass. sez. I civ. ord. 8.7.2021 n. 19493).
Provvedimento presupposto
In coerenza con il principio della doppia tutela, la Corte (
Cass. sez. I civ. ord. 11.6.2021 n. 16633) ha ribadito che l’impugnazione del decreto prefettizio di espulsione non ha efficacia sospensiva dei provvedimenti esecutivi dell’espulsione; la Corte ha aggiunto altresì che non rientra nella previsione dell’art. 295 c.p.c. una facoltà discrezionale di sospensione del processo di convalida del trattenimento in attesa della decisione sull’opposizione al decreto di espulsione.
Il decreto di espulsione, atto presupposto del trattenimento, non è soggetto ad un termine di decadenza e perde efficacia soltanto dopo la sua esecuzione, le cui modalità sono disciplinate dall’art. 14 del d.lgs. 286/1998 che prevede una rigorosa procedimentalizzazione dei termini in base ai quali la domanda amministrativa deve essere vagliata e decisa dall’autorità giudiziaria. Qualora l’espulsione non venga eseguita nell’intervallo temporale esistente fra il provvedimento prefettizio e i successivi provvedimenti amministrativi del questore volti a darne esecuzione, il decreto che la dispone rimane valido ed eseguibile anche attraverso il trattenimento presso un Centro per il rimpatrio, previa convalida nei termini previsti dall’art. 14, co. 4, TUI (così
Cass. sez. III civ. ord. 15.7.2021 n. 20279).
La questione è stata esaminata anche da
Cass. sez. III civ. ord. 19.7.2021 n. 20579, che, richiamando un proprio precedente (
Cass. 20662/2017), ha ribadito che il decreto di espulsione in relazione al quale, nella fase esecutiva, viene disposto il trattenimento nel CPR e, successivamente, la proroga della misura ove ne ricorrano i presupposti, non perde efficacia fino alla sua esecuzione o «fino a quando non venga sostituito da altro decreto di espulsione».
Interesse a impugnare
La Corte, con la citata ordinanza 19493/2021 (
Cass. sez. I civ. ord. 8.7.2021 n. 19493) afferma che persiste l’interesse a impugnare il decreto di convalida del trattenimento, pur dopo che sia stato annullato il decreto di espulsione che costituiva il presupposto di tale trattenimento, perché il ricorrente potrebbe chiedere il risarcimento del danno derivante dall’illegittima privazione della libertà personale, e ha interesse all’eliminazione di ogni illegittimo impedimento al riconoscimento della sussistenza delle condizioni di rientro e soggiorno nel territorio italiano.
Si segnala tuttavia anche una singolare decisione (
Cass. sez. III civ. ord. 6.7.2021 n. 21384), nella quale la Corte afferma che il successivo rilascio dal «Centro di accoglienza» (così nel testo, sebbene debba evidentemente intendersi per «Centro di permanenza per i rimpatri») dello straniero ivi trattenuto faccia venir meno il suo interesse a impugnare il provvedimento di proroga del trattenimento.
Motivazione
L’obbligo di motivazione della convalida o della proroga del trattenimento può essere soddisfatto con un’esposizione succinta, purché non tautologica, delle ragioni a sostegno della decisione, potendo il giudice anche rinviare agli elementi contenuti nella richiesta della questura.
La Corte ha quindi affermato (
Cass. sez. I civ. ord. 8.7.2021 n. 19493) che non incorre nel vizio di omessa pronuncia il Giudice di pace che convalidi il trattenimento dando conto della sussistenza dei presupposti dell’art. 14 del d.lgs. 286/1998 e dell’esistenza ed efficacia del decreto di espulsione; l’omesso o insufficiente esame delle argomentazioni della difesa può integrare il diverso vizio di motivazione (nel caso di specie non dedotto).
Nella stessa ordinanza la Corte ha avuto modo di affermare che non è nullo il decreto di convalida del trattenimento emesso con provvedimento pronunciato in udienza senza motivazione e integrato da motivazione che, in quanto depositata sette minuti dopo la chiusura dell’udienza, deve considerarsi parte integrante del dispositivo. Lo stesso principio la Corte ha affermato anche in
Cass. sez. I civ. ord. 8.7.2021 n. 19486.
Nell’ordinanza
sez. III civ. ord. 16.7.2021 n. 20401 la Corte ha affermato che è nullo, per mancanza di una intellegibile motivazione ai sensi dell’art. 132, co. 2, n. 4 c.p.c., il provvedimento di proroga del trattenimento pronunciato dal Giudice di pace utilizzando un modulo prestampato sul quale abbia barrato le parti che non interessano, e non contenente alcuna motivazione.
La stesura «tipografica» del provvedimento di convalida della proroga del trattenimento, stilato su un modello «formato standard», non inficia il contenuto della sua motivazione, purché esso, benché sintetico, si ponga al di sopra della sufficienza costituzionale (
Cass. sez. III civ. ord. 19.7.2021 n. 20579).
Misure alternative al trattenimento. Avviso e traduzione
Il diritto di difesa e a contraddire sulla applicazione della misura alternativa può dirsi rispettato, nell’ambito della legittima modalità del contradditorio cartolare, solo se e in quanto la parte venga messa in condizione di comprendere che può avvalersi del diritto di presentare memoria e del diritto di essere assistita da un difensore. Ne consegue che se il provvedimento che contiene queste avvertenze non è tradotto in una lingua conosciuta dall’interessato la parte, rimasta ignara della possibilità di presentare una memoria scritta, non avrà nessuna altra occasione per esplicitare le proprie difese, perché non è prevista la traduzione innanzi al Giudice di pace né alcuna udienza (
Cass. sez. I civ. ord. 21.6.2021 n. 17641).
Con diverse ordinanze (
Cass. sez. I civ. ord. 21.6.2021 n. 17652,
Cass. sez. III civ. ord. 16.7.2021 n. 20348,
Cass. sez. I civ. ord. 2.9.2021 n. 23742,
Cass. sez. I. civ. ord. 2.9.2021 n. 23743,
Cass. sez. I civ. ord. 2.9.2021 n. 23744,
Cass. sez. I civ. ord. 2.9.2021 n. 23745,
Cass. sez. I civ. ord. 2.9.2021 n. 23746,
Cass. sez. I civ. ord. 2.9.2021 n. 23747,
Cass. sez. I civ. ord. 2.9.2021 n. 23748) la Corte conferma il proprio orientamento, successivo alla sentenza n. 280/2019 della Corte costituzionale, secondo il quale al procedimento di convalida del provvedimento del questore di applicazione delle misure alternative al trattenimento presso il CPR, di cui all’art. 14, co. 1-
bis, del d.lgs. 286/1998, si applica il contraddittorio cartolare, non operando la garanzia dell’udienza partecipata necessariamente dal difensore perché prevista solo in relazione al trattenimento e all’accompagnamento coattivo alla frontiera.
Tra le citate ordinanze si segnala la
n. 20348/2021, che esamina anche il tema della ritualità del deposito della richiesta di convalida trasmessa per via telematica senza il deposito dei documenti in originale. La Corte afferma, con particolare riferimento al carattere meramente cartolare del procedimento di convalida delle misure alternative al trattenimento presso il CPR, che la richiesta di convalida rivolta dal questore al Giudice di pace non soffre di particolari limitazioni formali sotto il profilo procedurale, trattandosi di un atto (evidentemente estraneo alla materia dell’ordinario contenzioso civile) strumentalmente limitato a dare impulso a una fase meramente esecutiva del provvedimento di espulsione, rispetto alla quale assume viceversa carattere essenziale e indefettibile non già la partecipazione personale dell’interessato, bensì il rigoroso rispetto del principio del contraddittorio tra le parti, che può dirsi pienamente osservato attraverso l’assicurazione, in favore dell’interessata, della possibilità di manifestare e argomentare le proprie ragioni attraverso il deposito di memorie e note a difesa.
La Corte ha tuttavia ribadito la nullità del decreto di espulsione e dell’ordine questorile di sottoposizione alle misure alternative, non tradotti in lingua conosciuta dal destinatario (salvo che l’amministrazione non affermi, e il giudice ritenga plausibile, l’impossibilità di predisporre un testo nella lingua conosciuta dallo straniero per la sua rarità), e la conseguente illegittimità del decreto di convalida.
Nella citata ordinanza
n. 23748/2021 la Corte inoltre ha chiarito che il decreto di convalida delle misure alternative al trattenimento deve intervenire entro le 48 ore dalla richiesta; entro tale termine deve intervenire la decisione del giudice, che non ha tuttavia l’obbligo di attendere il decorso dell’intero periodo, ben potendo e anzi dovendo decidere al più presto e comunque non oltre tale termine. La Corte rileva che entro lo stesso termine il destinatario delle misure alternative ha la facoltà di presentare memorie o deduzioni; non è dato sapere quale sarebbe la sorte delle memorie o deduzioni depositate entro tale termine ma dopo che il giudice abbia già deciso, ipotesi che può avverarsi proprio perché non è prevista un’udienza con orario determinato per la convalida.
Proroga del trattenimento
Le garanzie difensive e l’obbligo di motivazione sono talvolta trascurati in sede di proroga del trattenimento; la disciplina pone invece uno specifico obbligo di motivazione, con particolare riguardo ai presupposti delle proroghe successive alla prima.
Cass. sez. I civ. ord. 23.9.2021 n. 25875 ha osservato che, in seguito alla modifica dell’art. 14, co. 5, del d.lgs. 286/1998 per opera della l. 161/2014, le proroghe del trattenimento successive alla prima sono regolate da una disciplina più rigorosa rispetto ai primi due segmenti temporali del trattenimento (autorizzati con la convalida iniziale e con la prima proroga), essendo necessario accertare la sussistenza di «elementi concreti che consentano di ritenere probabile l’identificazione» dello straniero, ovvero verificare che il mantenimento del trattenimento «sia necessario al fine di organizzare le operazioni di rimpatrio».
È nullo, per mancanza di motivazione, il provvedimento del Giudice di pace che autorizza la proroga del trattenimento senza prendere in considerazione l’effettiva possibilità di rimpatriare l’interessato verso il proprio Paese, attesa l’interruzione dei collegamenti esteri, pur a fronte di specifica e documentata deduzione difensiva in udienza (
Cass. sez. I civ. ord. 5.8.2021 n. 22404).
È nullo, per inesistenza della motivazione, il provvedimento del Giudice di pace che autorizza la proroga del trattenimento limitandosi ad apporre una crocetta per affermare la sussistenza dei presupposti per la convalida della misura restrittiva trascurando del tutto di motivare in merito. Un siffatto provvedimento non risulta motivato, neppure succintamente, essendo a tale scopo non sufficiente il richiamo ai presupposti di legge. La motivazione è inesistente anche in considerazione della materia del contendere che riguarda l’accertamento dei presupposti richiesti dalla legge per prorogare il trattenimento dello straniero entrato clandestinamente nel territorio italiano. L’atto non contiene dunque gli elementi necessari e sufficienti affinché il destinatario con la normale diligenza possa individuare il nucleo della decisione che sottende alla misura adottata (
Cass. sez. I civ. ord. 13.8.2021 n. 22903).
È nullo, per apparenza della motivazione, il provvedimento del Giudice di pace che autorizza la proroga del trattenimento limitandosi ad affermare che «non sono emersi elementi tali da far ritenere l’illegittimità del provvedimento di espulsione, né è stata documentata alcuna circostanza di cui all’art. 19 TU 286/1998» senza prendere in considerazione le deduzioni del ricorrente (il quale, nel caso di specie, aveva dedotto di aver avuto da pochi mesi un figlio) (
Cass. sez. II civ. ord. 17.9.2021 n. 25217).
Con diverse ordinanze di identico tenore (sez. I civ. ordinanze 25.6.2021
n. 18319,
n. 18320,
n. 18321,
n. 18323), la Corte ha affermato che il giudice investito della richiesta di proroga del trattenimento finalizzato alla identificazione dello straniero da espellere o all’organizzazione del viaggio di rimpatrio è chiamato a valutare l’esistenza del rischio pandemico non in quanto direttamente lesivo del diritto alla salute dello straniero trattenuto, ma in quanto evento che nella sua obiettività si frapponga alle operazioni di identificazione dello straniero o, ancora, di organizzazione del viaggio di rimpatrio giustificando, o no, la concessione della proroga al trattenimento.
Con una serie di altre ordinanze di identico contenuto (sez. I civ. ordinanze 8.7.2021
n. 19486,
n. 19488,
n. 19489,
n. 19490,
n. 19491,
n. 19492,
n. 19494,
n. 19495,) la Corte ha affermato che incombe all’amministrazione, in qualità di parte istante, l’onere di giustificare la richiesta di proroga mediante l’allegazione degli sforzi compiuti per acquisire i documenti identificativi dello straniero espulso e della mancata cooperazione di quest’ultimo, mentre spetta allo straniero, in qualità di parte resistente, dimostrare che il ritardo nell’esecuzione del decreto di espulsione è imputabile esclusivamente all’amministrazione, per essere la stessa rimasta inattiva o per avere egli prestato la necessaria collaborazione per l’attuazione del provvedimento.
La situazione transitoria ostativa al rimpatrio o all’allontanamento può essere individuata anche per relationem, attraverso il richiamo nel decreto alle ragioni addotte a sostegno della richiesta formulata dalla questura, che quale atto propulsivo del procedimento giurisdizionale risulta agevolmente conoscibile dalla parte e dal suo difensore.
Riesame
L’istituto del riesame del trattenimento, previsto dalla Direttiva 2008/115/CE, non è stato disciplinato dalla normativa interna. Esso trova comunque diretta applicazione nel nostro ordinamento. Ciò ha ribadito la Corte di cassazione, con
ordinanza sez. I civ. ord. 14.9.2021 n. 24721, nella quale ha anche chiarito che, poiché le condizioni che giustificavano il trattenimento del cittadino straniero in un Centro potrebbero venir meno (per la scadenza del periodo di durata massima del trattenimento, per una sopravvenuta ragione di inespellibilità) anche prima delle scadenze canoniche previste nei provvedimenti di proroga o convalida, deve ritenersi ammissibile la richiesta di riesame del trattenimento in diretta applicazione dell’art. 15, par. 4 della Direttiva 2008/115/CE.
La Corte ha precisato che i provvedimenti di convalida e proroga del trattenimento, per la loro natura cautelare, non acquistano la qualità di sentenza e non passano in giudicato (pur potendo essere impugnati per Cassazione, in quanto incidenti sulla libertà personale ai sensi dell’art. 111, co. 7, Cost.); pertanto non si applica il principio del giudicato ed essi sono sempre modificabili e revocabili, su istanza di riesame introdotta con ricorso ai sensi dell’art. 737 c.p.c.
L’istanza di riesame non richiede a pena di inammissibilità la deduzione di circostanze di fatto nuove; d’altra parte, tuttavia, in assenza di queste il giudice può rigettare l’istanza, anche rinviando alla motivazione già emessa per i provvedimenti anteriori.
Tutela del diritto all’unità familiare in sede di convalida del trattenimento
La Corte (
Cass. sez. I civ. ord. 21.6.2021 n. 17642) ha affermato che è illegittimo il provvedimento di convalida del trattenimento in cui il giudice non rilevi in via incidentale la manifesta illegittimità del decreto di espulsione presupposto, a fronte dell’allegazione e documentazione della sussistenza di stretti legami familiari con cittadini italiani, meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 13, co. 2-
bis, del d.lgs. 286/1998 e dell’art. 8 CEDU e invece non tenuti in considerazione dall’autorità che aveva disposto l’espulsione.
La rilevanza della convivenza
more uxorio è tuttora contestata. Secondo
Cass. sez. I civ. ord. 21.6.2021 n. 17657, la convivenza
more uxorio dello straniero con un cittadino, ancorché giustificata dal tempo necessario affinché uno o entrambi i conviventi ottengano la sentenza di scioglimento del matrimonio dal proprio coniuge, non rientra tra le ipotesi tassative di divieto di espulsione di cui all’art. 19 d.lgs. n. 286 del 1998 e non rileva quindi come causa di non espellibilità dello straniero né, di conseguenza, per il giudizio di convalida della proroga del trattenimento volto all’esecuzione dell’espulsione.
In proposito si segnala una sentenza penale della Corte di cassazione (
Cass. sez. I pen., sent. 6.5.2021 dep. 15.9.2021 n. 34134
), che afferma l’equiparazione della convivenza
more uxorio al matrimonio con cittadino italiano quale elemento ostativo all’espulsione, alla luce della parificazione del «contratto di convivenza» al matrimonio civile, operata dalla legge 20 maggio 2016, n. 76, e del convivente di fatto al coniuge, ai fini dell’esercizio delle facoltà previste dall’ordinamento penitenziario, operata dall’art. 1, co. 38, della citata legge.
Trattenimento del richiedente asilo. Pretestuosità della domanda
È legittima la motivazione della convalida del trattenimento in cui il Tribunale ritenga meramente strumentale la domanda di protezione internazionale presentata dal cittadino straniero lo stesso giorno in cui è convocato in questura per l’esecuzione del provvedimento di espulsione, dopo che in precedenza aveva revocato la prima domanda di protezione internazionale presentata (
Cass. sez. I civ., ord. 21.6.2021 n. 17655).
Con provvedimento del
16.6.2021 il Tribunale di Roma
afferma la propria competenza sulla proroga del trattenimento del cittadino straniero richiedente asilo, il quale abbia proposto ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento amministrativo di rigetto della domanda e si sia visto negata la richiesta sospensione cautelare; il cittadino straniero, infatti, mantiene la qualità di richiedente asilo; egli perde il diritto a restare nel territorio italiano e può quindi essere trattenuto al fine di eseguire l’espulsione, ai sensi dell’art. 6, co. 3-
bis, del d.lgs. 142/2015.
Ancora il
Tribunale capitolino, con provvedimento del 25.6.2021
, esclude che si possa ravvisare un particolare ritardo, rilevante ai sensi dell’art. 6, co. 6, d.lgs. 142/2015, nella procedura di esame (giurisdizionale) della domanda di protezione internazionale, quando siano passati due mesi dal rigetto dell’istanza cautelare proposta al Tribunale e pochi giorni dall’udienza di comparizione delle parti. Il Tribunale ha pertanto autorizzato la proroga del trattenimento.
Il termine di 48 ore entro cui il questore deve trasmettere la richiesta di convalida del trattenimento del richiedente asilo, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. 186/1998 richiamato dall’art. 6 del d.lgs. 142/2015, nonché ai sensi dell’art. 13 della Costituzione, decorre dalla manifestazione di volontà di chiedere la protezione, che può anche essere espressa dinanzi al Giudice di pace nell’udienza di convalida del trattenimento a fine espulsivo (così
Trib. Roma 15.9.2021
).
Il
Tribunale di Torino, con provvedimento del 29.6.2021
, non ha autorizzato la proroga del trattenimento di un richiedente asilo, disposta dal questore per la pericolosità sociale; il Tribunale ha ritenuto non sussistente la pericolosità osservando che il cittadino straniero era incensurato, gravato da un solo carico pendente per un reato non contemplato dall’art. 6 del d.lgs. 142/2015, e che la pericolosità era già stata esclusa in sede di proroga di un precedente trattenimento, e non erano intervenuti elementi successivi.
Con due decreti di identico tenore, emessi il
17.8.2021
e il
19.8.2021 il Tribunale di Lecce
, adìto in sede di riesame del trattenimento (in diretta applicazione dell’istituto previsto dalla Direttiva 2008/115/CE), ha dichiarato cessati gli effetti del trattenimento dei cittadini stranieri richiedenti asilo, poiché non erano stati rispettati, per rilevanti e ingiustificati ritardi dell’amministrazione, i termini previsti dall’art. 28-
bis del d.lgs. 25/2008 per la procedura accelerata, applicabile al caso di specie.