SOMMARIO.
REGOLARIZZAZIONE 2020. Le condanne penali ostative (Corte cost. n. 43/2024 - illegittimità costituzionale art. 103, co. 10, lett. c) d.l. n. 34/2020 - no automatico rigetto della domanda in caso di condanna per “piccolo spaccio” - violazione dell’art. 3 Cost.) – Titolo di soggiorno del datore di lavoro (parità di trattamento del titolare di Carta di soggiorno di familiare di cittadino dell’Unione al cittadino dell’Unione). PERMESSO DI SOGGIORNO.
Permesso di soggiorno per studio (convertibilità in permesso di soggiorno per ricerca lavoro o imprenditorialità - valore del titolo di studio); Permesso di soggiorno per cure mediche (incidenza del d.l. n. 20/2023 sulla possibilità di conversione - presupposti per il rilascio e formalizzazione della domanda - non necessità del passaporto - durata del titolo di soggiorno - convertibilità in permesso di soggiorno per motivo di lavoro); Rinnovo/Conversione del permesso di soggiorno (condanna ai sensi dell’art. 73 d.p.r. 309/90 - non automaticamente ostativa - condanna per il reato di cui agli artt. 474 e 648 c.p. - non automaticamente ostativa); Permesso di soggiorno per lavoro. Revoca del nulla osta al lavoro subordinato (rinuncia del datore di lavoro successiva all’ingresso del lavoratore - diritto al permesso di soggiorno per attesa occupazione - rilevanza del preavviso di rigetto ex art. 10-bis legge n. 241/90)
LA REGOLARIZZAZIONE 2020
Rigetto automatico della domanda in caso di condanna per il reato cd. di piccolo spaccio
L’art. 103, d.l. n. 34/2020, convertito con modificazioni nella legge 17 luglio 2020, n. 77, continua a essere sottoposto a scrutinio della Corte costituzionale, la quale – dopo avere dichiarato, con sentenza n. 149/2023 (in questa Rivista n. 3.2023), l’illegittimità costituzionale dell’art. 103, co. 1, d.l. n. 34/2020 nella parte in cui non prevede che la domanda di emersione/regolarizzazione possa essere chiesta anche da un datore di lavoro straniero regolarmente soggiornante in Italia, pur se privo del titolo di soggiorno di lungo periodo (art. 9, TU d.lgs. 286/98) e avere assunto anche la decisione di cui alla sentenza n. 209/2023 (in questa Rivista, n. 1.2024) – è nuovamente intervenuta in materia. Difatti, la Corte costituzionale, sentenza n. 43 del 06.02/19.3.2024 ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 103, co. 10, lettera c), d.l. n. 34/2020 nella parte in cui, nel prevedere genericamente che i «reati inerenti agli stupefacenti» sono automaticamente ostativi all’accoglimento della domanda di regolarizzazione qualora accertati con una sentenza di condanna, anche non definitiva, compresa quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, non esclude da tale valutazione legale il reato previsto dall’art. 73, co. 5, d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 (cd. “piccolo spaccio”). A giudizio della Corte delle leggi tale previsione travalica il limite della manifesta irragionevolezza e sproporzione e, dunque, si rende contraria all’art. 3 Cost. A seguito di argomentata ricostruzione e richiamando, tra le altre, alcune sentenze, afferma che il predetto art. 73, co. 5 denota «una limitata offensività che contrasta in maniera sensibile con la presunzione assoluta di pericolosità, tanto più in quanto comporta l’automatica esclusione da procedure che consentono di addivenire alla regolarizzazione del rapporto di lavoro o alla stipula del contratto di lavoro». La Corte richiama nella motivazione, inter alia, la oramai nota sentenza n. 88/2023 relativa al differente procedimento amministrativo disciplinato dagli artt. 4, co. 3, e 5, co. 5, TU d.lgs. 286/98 (già oggetto di segnalazione nella Rassegna Ammissione e Soggiorno in questa Rivista, n. 2.2023).
Titolo di soggiorno del datore di lavoro
Il Tar Piemonte, sentenza n. 339 del 6.4.2024, confermando la propria ordinanza cautelare n. 56/2023, ha riconosciuto che – benché l’art. 103, d.l. n. 34/2020 non preveda che la domanda di emersione lavorativa da cui consegue la regolarizzazione della posizione giuridica del lavoratore straniero possa essere avanzata dal familiare straniero del cittadino italiano o dell’Unione europea – occorre valorizzare il principio di parità di trattamento tra il predetto familiare del cittadino italiano dell’Unione europea non avente la cittadinanza europea e il cittadino dell’Unione, in base all’art. 24 Direttiva 2004/38/CE e all’art. 19, co. 2, d.lgs. 30/2007 (norma, quest’ultima, che traspone in Italia il medesimo principio). Ha conseguentemente annullato il diniego della domanda avanzata dal predetto datore di lavoro.
La pronuncia è di interesse anche perché afferma che «l’istanza andava valutata alla luce delle complessive condizioni degli interessati al momento della sua presentazione e che la motivazione del diniego oblitera una condizione giuridica che il latore dell’istanza possedeva, quantomeno alla luce dei documenti in atti». Per questo motivo, anche se nelle more risultava che il datore di lavoro non aveva più il titolo di soggiorno all’epoca posseduto, l’Amministrazione è stata obbligata a rivalutare l’istanza di emersione «tenendo correttamente conto della posizione del soggetto che tale istanza aveva presentato, fatta salva ogni ulteriore considerazione».
Permesso di soggiorno per studio
Ai sensi dell’art. 39-bis 1, TU d.lgs. 286/98 il cittadino straniero già titolare di permesso di soggiorno per motivo di studio rilasciato ai sensi dell’art. 39 TU immigrazione (accesso ai percorsi di istruzione tecnico superiore e ai percorsi di formazione superiore) o ai sensi dell’art. 39-bis, co. 1, lett. a) (permesso di soggiorno per ricerca lavoro o imprenditorialità degli studenti), una volta conseguito in Italia il dottorato o il master universitario ovvero la laurea triennale o la laurea specialistica, o il diploma accademico di primo livello o di secondo livello o il diploma di tecnico superiore, alla scadenza del permesso di soggiorno e sussistendo gli altri requisiti, può ottenere un permesso di soggiorno al fine di cercare un’occupazione (ai sensi dell’art. 22, co. 11 TU d.lgs. 286/98 e del medesimo art. 39-bis.1, TUI), avviare un’impresa coerente con il percorso formativo completato o richiedere la conversione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro (ai sensi del predetto art. 39- bis.1, TUI).
In differenti occasioni è sorta contestazione in ordine alla tipologia del titolo di studio conseguito e, in particolare, della sua validità ai fini della conversione del titolo di soggiorno, di corsi e master non universitari: se la partecipazione a tali corsi e master è certamente idonea a fare conseguire il permesso di soggiorno per motivi di studio, l’Amministrazione non sempre li riconosce come utili a ottenere la successiva conversione del titolo in altro tra quelli su indicati. Il Tar Piemonte, sentenza n. 301 del 25.3.2024 e sentenza n. 316 del 26.3.2024, confermando quanto già espresso dal medesimo Tribunale e, in precedente, dal Tar Lombardia, Milano, sentenza n. 135 del 12.1.2023, ha affermato essere illogica la tesi della PA la quale, prima rilascia il titolo di soggiorno per ragioni di studio per permettere la partecipazione ad un determinato corso di studio e, poi, nega la validità del medesimo percorso di studio (e del titolo acquisito) «per la naturale prosecuzione lavorativa e/o professionale divisata dal quadro normativo». Si conferma, dunque, che il quadro normativo vigente non prevede per la conversione limitazioni ulteriori rispetto a quelle previste per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di studio e che i titoli di studio rilevanti a tale fine non possono essere limitati solo a quelli con valenza universitari in quanto la disciplina di rango primario disegna un continuum tra i percorsi formativi che danno titolo al permesso di studio e il successivo soggiorno per ricerca lavoro o imprenditorialità degli studenti al completamento del percorso (non casualmente l’art. 39-bis.1, co. 1, TU d.lgs. 286/1998 richiama «la scadenza del permesso di soggiorno di cui agli articoli 39 e 39-bis, comma 1, lettera a»).
Permesso di soggiorno per cure mediche
Il rilascio del permesso si soggiorno per motivi di salute, di cui all’art. 19, co. 2, lett. d-bis) TU d.lgs. 286/98, costituisce un obbligo da parte dell’Amministrazione una volta verificate le condizioni che ne legittimano il rilascio. Tanto è vero che la sussistenza dei relativi presupposti determina uno specifico motivo da cui deriva l’inespellibilità della persona straniera dal territorio nazionale.
La durata di tale titolo di soggiorno è indicata dalla norma «non superiore ad un anno», ma spesse volte è rilasciato dalle questure per soli 6 mesi. In materia si segnalano differenti interessanti pronunce giurisdizionali, tra cui quelle che seguono.
Innanzitutto, il Tribunale di Firenze, ord. cautelare del 9.2.2024 , a fronte della richiesta di convocazione della parte richiedente il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di salute, pur in mancanza di passaporto, ha ordinato alla questura di fissare l’appuntamento per la formalizzazione della domanda di permesso di soggiorno per cure mediche ai sensi dell’art. 19 co. 2 lett. d) TUI e art. 28 co. 1 lett. c), d.p.r. 394/99 «rilevato che nessuna norma consente di ritenere che la ricezione della domanda di permesso di soggiorno per cure mediche con relativo permesso temporaneo di soggiorno e divieto di espulsione conseguente sia subordinato alla presentazione del passaporto».
Incide, invece, sulla durata del titolo di soggiorno la pronuncia cautelare del Tribunale di Roma, ord. del 19.4.2024 . L’ordinanza risulta di interesse in quanto interviene nell’ambito di un procedimento antidiscriminatorio con il quale il ricorrente – invalido totale e permanente con inabilità lavorativa pari al 100% e affetto da malattia tumorale che necessitava di follow up oncologico presso la struttura sanitaria per un periodo pari a 5 anni – denunciava l’impossibilità di accedere all’assegno di invalidità da parte dell’INPS in quanto la questura gli rilasciava esclusivamente permessi di soggiorno non superiori a sei mesi, a fronte della necessità (ai sensi dell’art. 41 TU d.lgs. 286/98) di avere un titolo di soggiorno avente validità almeno di un anno per ottenere la provvidenza assistenziale richiesta. All’esito del giudizio d’urgenza il Tribunale capitolino ordina alla locale questura il rilascio di un permesso di soggiorno per cure mediche «con decorrenza annuale».
Sempre in punto di durata del titolo di soggiorno ed incidenza sui diritti sociali e civili della persona si segnala, altresì, Tribunale di Civitavecchia, sezione lavoro, sent. del 18.4.2024 resa nel proc. n. 2371/2023 che, attraverso una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa vigente (art. 41 TU d.lgs. 286/98) ha dichiarato discriminatorio il diniego dell’INPS di riconoscere l’assegno mensile di assistenza agli invalidi civili parziali di cui all’art. 13, l. 118/1971 a colui che, da anni, era titolare di permesso di soggiorno per cure mediche della durata sempre di sei mesi.
Interessante decisione è quella emanata da Tribunale di Roma, sentenza del 23.4.2024 RG. 38211/22 , relativa alla impugnazione di un provvedimento di rigetto dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per cure mediche da parte di una cittadina del Mozambico. Il giudice del Tribunale capitolino, innanzitutto, ritiene applicabile alla fattispecie la normativa pertinente (art. 19, co. 2, lett. d-bis) TUI) nella formulazione precedente alle modifiche apportate dalla legge n. 50/2023, di conversione del d.l. n. 20/2023, stante la presentazione della domanda e la decisione in periodo anteriore la suddetta modifica legislativa. Afferma, inoltre, che non è necessario al fine del riconoscimento del predetto permesso che la persona non possa spostarsi, bensì che la stessa sia affetta da una patologia che necessita di un’assistenza sanitaria che non potrebbe percepire nel suo Paese d’origine. Infine, afferma che anche in ipotesi di una patologia che richiede un piano terapeutico a tempo indeterminato «la natura determinata del permesso di soggiorno per cure mediche, non esclude in radice la possibilità di un suo rinnovo a tempo indeterminato. Del resto, è stato lo stesso legislatore a prevedere che il permesso di soggiorno in oggetto possa essere rinnovato finché persistano le condizioni che ne hanno determinato il rilascio, debitamente certificate, senza quindi porre alcun limite, il quale sarebbe del resto irragionevole, oltre al quale il permesso di soggiorno non possa essere più rinnovato pur persistendo le esigenze di cura».
La conversione del permesso per cure mediche in motivi di lavoro
A fare data dalla entrata in vigore dell’art. 7, co. 1, lett. a), d.l. 10.3.2023, n. 20, convertito con modificazioni in legge 5.5.2023, n. 50 (dunque dal 6 maggio 2023) è stato abrogato l’art. 6, co. 1, lett. h-bis), TU d.lgs. 286/98 il quale prevedeva la generale convertibilità del permesso di soggiorno per cure mediche di cui all’art. 19, co. 2, lett. d-bis), d.lgs. 286/98 in permesso di soggiorno per motivo di lavoro. Il medesimo provvedimento legislativo, all’art. 7, co. 2, ha previsto un regime transitorio stabilendo «Per le istanze presentate fino alla data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero nei casi in cui lo straniero abbia già ricevuto l’invito alla presentazione dell’istanza da parte della questura competente, continua ad applicarsi la disciplina previgente».
Tale mutato contesto normativo e, dunque, la modifica della disciplina sulla possibilità di conversione del permesso di soggiorno per cure mediche in uno per motivo di lavoro ha comportato l’insorgere di un contenzioso, sintomo della necessità di tutelare la condizione di persone in condizioni di particolare fragilità, di cui daremo brevemente conto nel prosieguo.
I giudici amministrativi, in particolare, si sono occupati della questione della convertibilità di quel titolo di soggiorno (anche qualora rilasciato in vigenza della precedente previsione normativa) in uno per lavoro. Secondo Tar Toscana, ord. n. 152 del 3.4.2024, va sospesa la decisione della locale questura di negare la formalizzazione della richiesta di conversione del permesso di soggiorno per cure mediche in permesso per lavoro subordinato o attesa occupazione in vista dell’approfondimento del merito, in particolare con riferimento alla efficacia intertemporale delle disposizioni previgenti alla modifica intervenuta a seguito della citata l. 50/2023.
A fronte di tale decisione cautelare vi sono, tuttavia, vari provvedimenti cautelari e di merito di segno contrario. In particolare, in ordine temporale, il CGA per la Regione Sicilia, ord. n. 46 del 12.2.2024 ritiene che la ratio della disposizione transitoria è quella di fare salve le sole istanze di conversione presentate prima dell’entrata in vigore dell’intervento legislativo «pertanto da cittadini stranieri che avevano fatto affidamento su di una cornice normativa diversa da quella sopravvenuta, escludendo, al contrario,per tutte le altre istanze sopravvenute, ogni possibilità di conversione del permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. c), 3.2), del decreto legge n. 20 del 2023». Giudizio condiviso da Tar Puglia, Lecce, ord. n. 105 del 21.2.2024, che ritiene applicabile alla fattispecie esclusivamente il comma 2 del medesimo art. 7 del citato d.l. n. 20/2023, il quale statuisce che «Per le istanze presentate fino alla data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero nei casi in cui lo straniero abbia già ricevuto l'invito alla presentazione dell'istanza da parte della questura competente, continua ad applicarsi la disciplina previgente».
Tale opzione, seppur foriera di dubbi di ordine costituzionale, pare dunque oggi prevalente, come confermato sia dalla sentenza breve Tar Abruzzo, Pescara, sent. n. 131 del 22.4.2024 che da Tar Emilia-Romagna, Bologna, ord. n. 131 del 8.5.2024, le quali anche – quanto al regime intertemporale – ritengono che la normativa vigente autorizzi la conversione non di tutti i permessi per cure mediche rilasciati prima dell’entrata in vigore della nuova normativa (similmente a quanto previsto per i permessi di soggiorno per protezione speciale dall’art. 7, co. 3, d.l. n. 20/2023, come modificato e convertito in legge) ma solo di quei permessi per motivi di salute la cui istanza di conversione sia stata presentata prima del 6.5.2023 (data di entrata in vigore della legge di conversione).
Rinnovo/Conversione del permesso di soggiorno
Il Tar Campania, Salerno, sent. n. 1113 del 22.5.2024, ha fatto applicazione della pronuncia della Corte costituzionale n. 88/2023 (cfr. in Rassegna Ammissione e Soggiorno in questa Rivista, n. 2.2023) che ha dichiarato costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 3 e 117, primo comma della Costituzione (quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani) il combinato disposto degli articoli 4, co. 3, e 5, co. 5, TU d.lgs. 286/98, nella parte in cui ricomprende, tra le ipotesi di condanna automaticamente ostative al rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro, anche quelle – pur non definitive – per il reato di cui all’art. 73, co. 5, d.p.r. 309/90. Ha, altresì, valorizzato i criteri ermeneutici di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 43/2024 al fine di valutare la legittimità del diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per motivo di lavoro del cittadino straniero condannato a seguito di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 73, co. 5, d.p.r. 309/90 (cd. piccolo spaccio). Sulla base di tali pronunce, ampiamente richiamate in motivazione, il Collegio conferma che dalla condanna della parte per tale reato non può automaticamente conseguire il rigetto della domanda di rinnovo/conversione del permesso di soggiorno, dovendo l’Amministrazione compiere, caso per caso, uno specifico apprezzamento in concreto della presunta “pericolosità”, senza farla discendere dalla mera sussistenza di una sentenza di condanna penale.
È opportuno ricordare che, come segnalato nella precedente Rassegna Ammissione e Soggiorno (cfr. in questa Rivista, n. 1.2024) analogo richiamo alla rilevanza della sentenza della Corte delle leggi su indicata è stata portata anche da Consiglio di Stato, sentenza n. 10296/2023 con riferimento alla domanda di rinnovo di permesso di soggiorno per motivo di lavoro da parte di richiedente precedentemente condannato in via definitiva per il reato di cui all’art. 474 c.p. (Introduzione nello Stato di prodotti con segni falsi) e di cui all’art. 648 c.p. (ricettazione).
Benché risultino (cfr. la Rassegna Ammissione e Soggiorno in questa Rivista n. 1.2024) ancora pronunce giudiziarie che stentano ad applicare i chiari principi di cui sopra, è indubbio che la rilevanza delle pronunce della Corte costituzionale e del Consiglio di Stato si fa sempre più prepotentemente strada anche presso i giudici amministrativi di merito. Ne è conferma Tar Emilia-Romagna, sentenza n. 104 del 12.2.2024 che, nell’annullare la decisione amministrativa impugnata, statuisce che «a fronte di una condanna in relazione alla suddetta fattispecie penale, il diniego del permesso di soggiorno può essere determinato solo da una valutazione di pericolosità in concreto dello straniero che vada oltre il mero fatto per cui è stato condannato».
Permesso di soggiorno per lavoro. Revoca del nulla osta al lavoro subordinato
Il Tar Lombardia, ord. n. 202 del 29.2.2024, richiamando la pronuncia di Consiglio di Stato, sentenza n. 1100 del 5.2.2021, conferma che dopo il regolare ingresso in Italia del lavoratore straniero, preceduto dall’ottenimento nulla-osta al lavoro subordinato e dal visto di ingresso, «la scelta del (futuro) datore di lavoro di rinunciare all’assunzione del predetto lavoratore non preclude a quest’ultimo di poter soggiornare sul territorio nazionale, in quanto in tale situazione gli può essere rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione».
In caso che appare similare il Tar Molise, ord. n. 7 del 12.1.2024 specifica la rilevanza ai fini della correttezza del procedimento amministrativo del rigoroso rispetto degli articoli 10 e 10-bis legge n. 241/90, potendo altrimenti il provvedimento amministrativo ritenersi inficiato da carenza motivazionale.