Il preavviso di rigetto nel procedimento di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno
Con sentenza n. 2923/2019 il Consiglio di Stato ha confermato la decisione del Tar Sardegna con cui era stato annullato il provvedimento del questore di Sassari, di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo di un cittadino senegalese, per omesso invio del preavviso di rigetto, ex art. 10-bis legge 241/90, precedente il provvedimento finale.
Il caso riguardava un cittadino straniero a cui la questura di Sassari aveva negato, in un primo momento, il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo, provvedimento poi annullato in autotutela, per difetto di motivazione. Un secondo provvedimento di diniego era stato poi emesso, nonostante l’intervenuta integrazione documentale sui redditi maturati, per ritenuta insussistenza del reddito previsto dall’art. 26 TU 286/98. Secondo provvedimento che era stato preceduto dal preavviso di rigetto, il quale tuttavia faceva riferimento ai redditi allegati in occasione del primo diniego.
Come già il Tar Sardegna, anche il Consiglio di Stato ha ritenuto illegittimo il provvedimento del questore di Sassari, in quanto avrebbe dovuto considerare anche l’integrazione documentale reddituale prodotta dal cittadino straniero e non, invece, motivare in relazione alla allegazione nel primo procedimento.
La violazione dell’effettivo preavviso di rigetto ha impedito al cittadino straniero di rappresentare adeguatamente alla questura la propria posizione reddituale.
Il giudice amministrativo d’appello ribadisce che il provvedimento di rifiuto di rinnovo del permesso di soggiorno è atto discrezionale, dovendo la questura valutare in concreto gli elementi istruttori, e pertanto non può ritenersi applicabile l’art. 21-ociets, co. 2 legge 241/90 e s.m. che consente al giudice di non annullare un provvedimento che, nonostante le violazioni procedurali, non avrebbe potuto che essere quello emesso (cd. sanatoria giurisprudenziale del provvedimento).
In termini analoghi sempre il Consiglio di Stato nn. 5381/2018 e 4413/2019.
In applicazione dei medesimi principi, ma con esito diverso, la sentenza n. 4412/2019 del Consiglio di Stato, dopo avere ribadito il principio secondo cui «la mancata puntuale indicazione, nel preavviso di rigetto, di tutti i motivi ostativi al rilascio del permesso di soggiorno equivale all’omissione della fase partecipativa.», conferma la sentenza del Tar Toscana, di rigetto del ricorso avverso diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per pregresse condanne penali, in applicazione dell’art. 21-octies, co. 2 legge 241/90.
Secondo l’Alto Consesso, infatti, la condanna penale per uno dei reati di cui all’art. 380 c.p.p. è di per sé ostativa al mantenimento del permesso di soggiorno (art. 4, co. 3, TU 286/98), ad eccezione del caso in cui il cittadino straniero vanti in Italia vincoli familiari (art. 5, co. 5, TU 286/98).
Pertanto «La condanna dell’appellante per reati ex lege ostativi rende vincolato il diniego di rilascio del permesso di soggiorno e dunque irrilevante il mancato coinvolgimento dello straniero nel procedimento conclusosi con l’impugnato diniego, trovando pacifica applicazione l’art. 21-octies, l. n. 241 del 1990 perché il procedimento non avrebbe potuto avere esito diverso (Cons. St., sez. III, 21.1.2019, n. 494)».
Permesso per lavoro autonomo, irregolarità fiscali, risalenza della presenza in Italia
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1865/2019, ha esaminato il caso in cui una cittadina straniera nigeriana aveva subito, nel 2016, un provvedimento di diniego di rinnovo del permesso per lavoro autonomo, per ritenuta insufficienza reddituale per gli anni 2013 e 2014, oltre che per non avere mai presentato la dichiarazione dei redditi all’Agenzia delle entrate ed infine in quanto ritenuta irrilevante la prova dell’avvenuta intrapresa di nuova attività commerciale. Proposto ricorso davanti al Tar Piemonte, era stato rigettato «rilevando che né sussistevano i presupposti per il rilascio di un permesso per attesa occupazione né poteva essere considerata la lunga permanenza in Italia della immigrata, non essendo stata rappresentata la presenza di vincoli familiari in Italia».
Dopo avere sospeso in sede cautelare l’efficacia della sentenza di 1^ grado (stante la ventennale presenza regolare in Italia della cittadina straniera e la dimostrazione della nuova attività lavorativa intrapresa), il Consiglio di Stato ha accolto l’appello ritenendo, innanzitutto, che l’irregolarità fiscale non costituisca prova della mancanza di attività lavorativa e dunque di reddito («la mancata produzione di reddito non può considerarsi provata, se non in via meramente presuntiva, dalla riscontrata mancata osservanza degli obblighi fiscali e previdenziali, visto che l’evasione fiscale, di per se stessa, non rappresenta, né sotto il profilo probatorio né sotto quello sostanziale, un elemento valido ad escludere l’effettivo svolgimento da parte dell’immigrato di un’attività lavorativa c.d. irregolare, sia essa autonoma o dipendente»).
Inoltre, il giudice d’appello ha posto in rilievo che fino al 2015 la cittadina straniera era titolare di un permesso per lavoro subordinato e, avendo perso il lavoro nelle more della sua validità, aveva diritto al rinnovo del titolo di soggiorno per attesa occupazione per un periodo di un anno (art. 22, co. 11, TU 286/98).
Ancora, erroneamente la questura non aveva considerato la nuova attività di lavoro autonomo (commercio ambulante) intrapresa ed omesso di effettuare un giudizio prognostico sulla capacità reddituale futura, conseguente a detta attività.
Afferma, al riguardo, il Consiglio di Stato che «secondo la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio di Stato (Cons. St., sez. III n. 2928/2017, n. 269/2017 e n. 2730/2016 ex multis), la questura, in presenza di un’attività lavorativa di recente avvio, più che valutare il reddito prodotto dal momento di inizio dell’attività medesima, deve compiere un giudizio prognostico sulle caratteristiche del nuovo rapporto di lavoro, conseguendo, in tal guisa, il risultato non solo di valutarne l’intrinseca affidabilità come fonte di reddito lecito, ma, altresì, quello di evitare di penalizzare l’immigrato che, per una mera contingenza, non si veda apprezzata la effettiva redditività annua di una nuova occupazione, laddove reperita soltanto in epoca ravvicinata alla presentazione dell’istanza di rinnovo del titolo di soggiorno».
Infine, nella pronuncia viene espresso un importante ulteriore principio, ovverosia quello di valorizzare giuridicamente la risalente presenza in Italia della cittadina straniera, tale per cui ella ha la condizione sostanziale di soggiornante di lungo periodo e pertanto la questura doveva considerare anche i legami e l’inserimento sociale della stessa nel contesto in cui vive da molti anni.
Così il Consiglio di Stato: «per mera completezza, va ricordato che l’immigrata, essendo presente nel territorio nazionale da circa 20 anni, avrebbe, comunque, avuto titolo ad ottenere il permesso di soggiornante di lungo periodo con la conseguenza che (secondo la recente, ma consolidata giurisprudenza) la questura, sussistendo, comunque, in capo all’immigrata i requisiti per il rilascio del titolo di lungo soggiorno) all’immigrata del titolo di lungo soggiorno, nell’esaminare la domanda per il rinnovo del permesso di soggiorno in questione, avrebbe dovuto prendere espressamente in considerazione il consolidato vincolo instaurato dall’immigrata con l’ambiente socio economico in cui vive, derivante dalla lunga permanenza in Italia nel sostanziale rispetto delle norme a tutela della sicurezza pubblica e dell’ordinato andamento della vita quotidiana dei cittadini».
In termini analoghi anche Consiglio di Stato, sentenza n. 2530/2019, avente ad oggetto il rigetto della domanda di rilascio di permesso UE per soggiornanti di lungo periodo e contestuale revoca del permesso per lavoro autonomo, motivato sulla base di assenza di presentazione delle dichiarazioni dei redditi.
Provvedimento censurato perché «l’omissione dei versamenti fiscali e previdenziali non può costituire in sé, neppure indirettamente, ragione ostativa alla concessione del permesso di soggiorno, in assenza di una espressa previsione di legge in questo senso, e l’eventuale situazione d’infedeltà fiscale e previdenziale, regolarmente accertata, deve costituire, piuttosto, oggetto dei provvedimenti tipici di contrasto all’evasione adottati dall’amministrazione fiscale e dagli enti previdenziali (ex ceteris, Cons. St., sez. III, 14.6.2017, n. 2931; sez. III, 18.4.2018, n. 2345)» ed inoltre per non avere considerato né i comprovanti legami familiari né la possibilità di tenere conto anche dei redditi di detti familiari conviventi.
Il Tar Lazio con la sentenza n. 9239/2019, nel giudizio avente ad oggetto il diniego di rilascio del permesso UE di lungo soggiorno, emesso dal questore di Viterbo, per tardiva presentazione della dichiarazione dei redditi, da parte di un cittadino straniero già titolare di permesso di soggiorno, ha censurato la decisione amministrativa in quanto erroneamente assimilata la tardiva presentazione della dichiarazione dei redditi all’assenza di reddito, mentre «far derivare un effetto omissivo dalla tardiva presentazione della dichiarazione fiscale, tale da far desumere la carenza del requisito reddituale, rischia di far assumere a tale deduzione un sapore sanzionatorio che non trova il suo aggancio in alcuna norma di legge».
Vengono richiamati, in proposito, gli artt. 4 e 5, TU 286/98, nessuno dei quali fa discendere dalle irregolarità fiscali alcuna conseguenza in materia di soggiorno, mentre assegnano al questore il compito di verificare in concreto la sufficienza dei redditi, non solo attraverso le produzioni fiscali ma anche mediante altri canali, in quanto la ratio della norma è di accertare la liceità delle risorse di cui il cittadino straniero deve essere in possesso per mantenere la regolarità del soggiorno.
Permesso di soggiorno e requisito alloggiativo
Il Tar Campania, Napoli, con sentenza n. 4102/2019 ha accolto il ricorso proposto da un cittadino straniero a cui la questura di Napoli aveva negato il rinnovo del permesso di soggiorno per ritenuta insussistenza del requisito alloggiativo ed in particolare per asserita irreperibilità all’indirizzo fornito.
Dopo avere ricordato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il requisito dell’alloggio è necessario ai fini del rilascio o del rinnovo del titolo di soggiorno («come costantemente osservato dal Consiglio di Stato, che la certezza della situazione abitativa costituisce un presupposto indispensabile per ottenere il permesso di soggiorno, sia per il lavoro autonomo che per il lavoro subordinato, non potendo essere rilasciato o rinnovato in situazioni di forte precarietà alloggiativa, connesse a sostanziale irreperibilità dello straniero: v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 1.4.2016, n. 1313; Cons. St., sez. III, 10.7.2013, n. 3710; Cons. St., sez. VI, 19.8.2008, n. 3961 e da ultimo sez. III, 4.6.2018 n. 3344)» il giudice amministrativo regionale censura l’omessa effettiva istruttoria della questura di Napoli che ha omesso di valutare la documentazione prodotta nel procedimento (carta di identità e certificato di residenza), che escludeva l’irreperibilità posta alla base del provvedimento di diniego.
Permesso UE per soggiornanti di lungo periodo ˗ revoca
Con sentenza n. 604/2019 il Tar Emilia Romagna, Bologna, ha annullato un provvedimento con cui la questura di Modena aveva revocato la carta di soggiorno (oggi PSUE) ad un cittadino straniero «in quanto si erano rivelati ideologicamente falsi i documenti sulla cui scorta era stata rilasciata; in particolare veniva rilevata una carenza del reddito annuo sufficiente al sostentamento del ricorrente».
Il Tar emiliano-romagnolo censura, innanzitutto, l’omessa comunicazione di avvio del procedimento o di preavviso di rigetto, ex artt. 7 e 10-bis legge 241/90 s.m., nell’ambito dei quali il cittadino straniero avrebbe potuto documentare di avere svolto attività lavorativa in Francia e di avere sofferto, negli ultimi anni, la generale crisi economica riuscendo tuttavia a reperire pur saltuari attività lavorative.
Nel merito, il Tar censura il provvedimento di revoca perché «La mancanza del requisito reddituale per un singolo anno non può essere motivo di revoca automatica della carte di soggiorno (attualmente permesso per soggiornanti di lungo periodo) ma deve essere valutato complessivamente sia per quanto riguarda il numero di anni in cui non si è raggiunta la soglia minima, sia relativamente all’entità dello scostamento».
La decisione non esplicita la questione della revocabilità del PSUE a causa di una mancanza reddituale successiva, che, va ricordato, è esclusa in quanto non ricompresa tra le ipotesi tassative di revoca di cui all’art. 9, co. 7, TU 286/98, attuativo della direttiva 2003/109/CE (cfr. al riguardo varie pronunce del Tar Lombardia, Milano, tra le quali la n. 695/2015 e Cons. St. n. 2286/2018). Il motivo è da rinvenirsi, presumibilmente, nella qualificazione contenuta nel provvedimento questorile di revoca, cioè di avere acquisito il titolo di soggiorno di lungo periodo in maniera fraudolenta.
Permesso di soggiorno per lavoro autonomo e condanne irrevocabili per reati a protezione del diritto d’autore
Con sentenza 3226/2019 il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello proposto da un cittadino straniero, a cui il Tar Campania, Salerno, aveva respinto l’impugnazione del provvedimento del questore di Salerno, di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo a seguito di condanna irrevocabile per violazione della normativa in materia di protezione del diritto d’autore.
Il giudice d’appello richiama il proprio orientamento, secondo cui i provvedimenti motivati ai sensi dell’art. 26, co. 7-bis, TU 286/98 sono vincolati e non necessitano di motivazione specifica in ordine alla pericolosità sociale, essendo essa già assunta direttamente dal legislatore. Richiama, altresì, le pronunce della Corte costituzionale che hanno rigettato le questioni di illegittimità costituzionale di detta previsione (ord. n. 189/2005; sent. n. 240/2006; ord. n. 101/2007; ord. n. 219/2009; sent. n. 152/2010), evidenziando che, anche se detta pericolosità può non apparire in relazione a comportamenti relativi alla singola condotta, tuttavia essi «rientrano nell’ambito di fenomeni di illegalità di vaste proporzioni, in grado di recare un grave pregiudizio ai diritti di proprietà industriale e di incidere negativamente sulle regole della concorrenza (cfr. Cons. St., III, n. 3650/2013); e, dunque, la disposizione risulta di per sé ragionevole, anche se considerata alla luce dei principi in tema di limiti all’applicazione delle preclusioni automatiche e delle previsioni restrittive in tema di soggiorno».
Il Consiglio di Stato contesta, inoltre, il rilievo dato dal ricorrente alla pronuncia della Corte costituzionale n. 58/2014, che, con riguardo ai soggiornanti di lungo periodo aveva indicato la necessità di tenere conto dei legami familiari e sociali del cittadino straniero, ritenendo trattarsi di situazioni diverse in quanto l’autorità amministrativa è tenuta a tenere conto di detti legami solo a fronte di espressa richiesta di rilascio del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo: «Infatti, affinché la situazione di prolungata e regolare presenza dello straniero sul territorio nazionale divenga giuridicamente rilevante ai fini del rilascio del titolo di soggiorno, è necessario che l’Amministrazione sia messa in grado di valutare i requisiti previsti dall’art. 9, cit., a seguito di un’apposita documentata domanda; solo per questa via il giudice può sindacare la valutazione compiuta dall’Amministrazione, non potendo invece sostituirsi ad essa nel corso del giudizio di impugnazione di un diverso provvedimento».
Decisione ben diversa, quanto al rilievo giuridico della risalente presenza in Italia del cittadino straniero, alle decisioni del Consiglio di Stato rassegnate nella precedente parte, ove detto elemento è stato considerato nella sua condizione effettiva e non sul piano meramente formale.