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Fascicolo 2, Luglio 2020


Questa è un'altra delle cose degli immigranti (rifugiati, emigranti, viaggiatori): non possono sfuggire alla loro storia più di quanto voi possiate perdere la vostra ombra.

(Zadie Smith, «Denti bianchi», Mondadori, 2000) 

Non discriminazione

Nel corso del primo quadrimestre del 2020 le pronunce in tema di discriminazione hanno riguardato ancora la gestione dei rapporti dei cittadini extraUE con gli enti locali.
In particolare si segnala che:
- la Corte Costituzionale con sentenza n. 44 depositata il 9 marzo 2020 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, co. 1 lett. b), l.r. Lombardia n. 16/2016 nella parte in cui richiede, quale requisito per accedere agli alloggi di edilizia popolare, la residenza anagrafica o lo svolgimento di attività lavorativa in Regione Lombardia per almeno cinque anni nel periodo immediatamente precedente la data di presentazione della domanda;
- si è consolidato l’orientamento dei giudici di primo grado che hanno affermato la sussistenza del diritto all'iscrizione anagrafica del titolare del permesso di soggiorno per richiesta asilo negata da diversi Comuni in conseguenza dell’introduzione del co. 1-bis all'art. 4, d.lgs. 18.8.2015, n. 142 ad opera dell’art. 13, co. 1, lett. a), n. 2) del d.l. n.113/18 convertito nella l. n. 132/2018.
 
Buoni spesa
I Tribunali di Roma, di Brescia e di Ferrara si sono pronunciati sulle condizioni di accesso ai buoni spesa alimentari (di cui all’ordinanza della protezione civile 29.3.2020, n. 658 per far fronte all’emergenza Covid 19 quale forma di “solidarietà alimentare” ai soggetti più vulnerabili) affermando che nel rispetto del principio di non discriminazione e della tutela di diritti umani fondamentali, gli enti locali dovrebbero fissare condizioni di accesso basate esclusivamente sulla condizione di disagio economico e sul domicilio (e non residenza) nel territorio comunale (vedi decreti emessi rispettivamente il 22, il 28 ed il 30.4.2020 (in Banca dati Asgi). Si segnala che il Tribunale di Roma ha sottolineato che il buono spesa spetta anche ai cittadini extra UE irregolarmente soggiornanti in quanto il diritto all’alimentazione rientra nell’alveo dei diritti fondamentali garantiti dall’art. 2 della Costituzione ed in particolare attiene al «nucleo “minimo” di questi diritti che non può essere violato e spetta a tutte le persone in quanto tali, a prescindere dalla regolarità del soggiorno sul territorio italiano».
 
Accesso agli alloggi di EPR
Il Tribunale di Milano con pronuncia depositata il 20.3.2020 (in Banca dati Asgi), ha dichiarato discriminatoria la clausola del bando del Comune di Sesto San Giovanni che, per l’accesso agli alloggi, non aveva ammesso le «autocertificazioni ma solo documenti che…dichiarino l’assenza di proprietà per ognuno dei componenti del nucleo familiare richiedente, attraverso l’esibizione di documenti ufficiali legalizzati e certificati dalle competenti autorità italiane…». Al Comune è stato di conseguenza ordinato di modificare il bando per consentire ai cittadini stranieri «di presentare la domanda per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani e UE in generale, cioè senza la richiesta della documentazione supplementare». Secondo il regolamento attuativo n. 4/2017 (della l.r. 16/2016 della Regione Lombardia), per accertare tale assenza di proprietà, per l’italiano è sufficiente una dichiarazione, mentre per lo straniero sono necessari documenti provenienti dal Paese di origine che, come attestato dal decreto ministeriale sul reddito di cittadinanza, pochi Stati sono in grado di fornire.
 
Discriminazione per ragioni di razza e di etnia
La Corte di appello di Milano con sentenza n. 418/20 depositata il 6.2.2020 (in Banca dati Asgi), ha respinto l’appello di Lega Nord e del presidente della Sezione Lega Nord di Saronno, confermando la pronuncia emessa in primo grado dal Tribunale di Milano, ribadendo che qualificare come “clandestini” i richiedenti protezione internazionale attribuisce automaticamente un comportamento illegale a chi invece si trova sul territorio per chiedere protezione e ha diritto di restarvi fino a che la sua domanda non venga esaminata ed integra una discriminazione per ragioni di razza ed etnia.
Il Tribunale di Milano, sezione lavoro, con ordinanza emessa in data 23.1.2020 ha ritenuto la sussistenza di una discriminazione ai sensi dell’art. 2, co. 3, d.lgs 215/2003 «Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica» da parte del preposto di una società che: a) aveva utilizzato nei confronti dei tre dipendenti di colore appellativi «chiaramente riferiti alla razza e che accostano all’etnia vari generi di offese quali “negro di merda”, “ti rimando in Africa”, realizzando forme di offesa verso persone appartenenti ad altra etnia ed esprimano non solo disprezzo verso la razza (“negro di merda”), ma un sentimento del tutto contrario all’accoglienza dello straniero anzi espressivo di un atteggiamento di rifiuto (“ti rimando in Africa”) che, senza dubbio, ha contribuito a creare un clima di ostilità nell’ambiente lavorativo»; b) aveva sottoposto i tre dipendenti di colore, dopo averli chiamati al suo cospetto uno alla volta, ad un trattamento umiliante e degradante consistito nello spruzzare contro di loro del deodorante e facendo loro alzare la maglietta e le braccia «in un crescendo di atteggiamenti e richieste sempre più offensive». Il giudice del lavoro ha altresì condannato al risarcimento dei danni la datrice di lavoro che, benché avesse adottato un regolamento che annovera tra gli obblighi dei dipendenti un atteggiamento inclusivo, il ripudio di ogni forma di emarginazione e/o discriminazione diretta o indiretta e che sanziona gli atti di discriminazione quale che essi siano, non aveva adeguatamente vigilato sul rispetto di tali obblighi da parte dei suoi dipendenti (est. Moglia, in Osservatorio sulle Discriminazioni).

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