>

Fascicolo 1, Marzo 2021


La patria, Aztlàn
(...)
Una ferita aperta lunga 1.950 miglia / che divide un pueblo, una cultura,
scorre lungo il mio corpo, / pianta pali di recinzione nella mia carne,
mi lacera mi lacera /  me raja me raja
Questa è la mia casa / questa sottile linea di / filo spinato.
Ma la pelle della terra non ha cuciture. / Il mare non può essere chiuso in un recinto,
el mar non si ferma ai confini. / Per mostrare all'uomo bianco cosa pensava della sua 
arroganza / Yemaya ha rovesciato con un soffio la rete metallica.
(...)
(Gloria Anzaldùa, Terre di confine. La frontera, Bari, Palomar Edizioni, 2000)

Non discriminazione

Nel corso del terzo quadrimestre del 2020 le pronunce in tema di discriminazione hanno riguardato in prevalenza la gestione dei rapporti dei cittadini extraUE con gli enti locali. Si segnala in particolare l’ordinanza del Tribunale di Bergamo (su cui infra) che ha dichiarato la discriminazione per ragioni di fede religiosa posta in essere dalla Regione Lombardia nei confronti della Associazione Musulmani di Bergamo.
 
Si deve constatare che i giudici di merito sono ancora dovuti intervenire per affermare la parità di trattamento fra cittadini italiani e stranieri in materia di prestazioni di sicurezza sociale.
 
Alloggi pubblici
Il Tribunale di Trento ha accolto il ricorso promosso da ASGI e da un cittadino etiope per contestare il requisito di 10 anni di residenza in Italia richiesto dalla legge della provincia di Trento n. 15/2005 per accedere sia agli alloggi pubblici sia ad un contributo economico per il pagamento dei canoni in conseguenza delle disposizioni introdotte dal d.l. n. 4/2019. Il giudice ha disapplicato la legge provinciale in quanto incompatibile con il principio di parità di trattamento tra soggiornanti di lungo periodo (quale era il ricorrente) e cittadini espresso dalla dir. n. 2003/109/CE evidenziando il primato del diritto dell’Unione Europea sul diritto interno (vedi ord. n. 138/20 del 29.9.2020, in Banca dati Asgi).
 
Accesso al servizio pediatrico per i minori stranieri non regolarmente soggiornanti
Il Tribunale di Venezia ha riconosciuto la natura discriminatoria della mancata possibilità di accesso dei minori stranieri al servizio pediatrico a libera scelta, di cui usufruiscono, invece, i minori italiani e quelli soggiornanti regolari. Il Tribunale, dopo aver precisato che il possesso della tessera STP per gli «stranieri temporaneamente presenti» e della tessera ENI per gli «europei non iscritti» consente l’accesso alle cure indifferibili e urgenti, ma non anche la possibilità di un pediatra di libera scelta, abilitato a prescrivere il normale accesso alle prestazioni specialistiche, agli esami di laboratorio, ai trattamenti di terapia, ai ricoveri c.d. programmati, ne ha sottolineato il contrasto con il principio di parità di trattamento di tutti i minori sotto il profilo sanitario, a prescindere da qualsiasi altra condizione, garantito dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, nonché dall’art. 63 del d.p.c.m. 12.1.2017 in tema di livelli essenziali di assistenza sanitaria che recita «i minori stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme relative all’ingresso ed al soggiorno sono iscritti al Servizio sanitario nazionale ed usufruiscono dell’assistenza sanitaria in condizioni di parità con i cittadini italiani». Il Tribunale ha, di conseguenza, condannato la Regione Veneto e l’ULSS 3 a rimuovere la discriminazione riconoscendo tale servizio, quanto alla Regione Veneto nell’ambito delle linee guida in sede di programmazione dei servizi sanitari, e quanto all’ULSS 3 Serenissima, in sede di approntamento dei medesimi servizi (vedi ord. Trib. Venezia 19.10.2020, n. 5191/20, in Banca dati Asgi).
 
Discriminazione fondata sulla provenienza geografica
Il Tribunale di Vicenza ha accertato la natura discriminatoria del rifiuto opposto dall’ULSS n. 7 alla iscrizione obbligatoria e gratuita al SSN della madre, cittadina nigeriana, convivente con cittadino italiano. Il giudice ha sottolineato che, secondo il quadro normativo vigente ed applicabile, la ricorrente risultava appartenere a categoria per la quale è prevista l’iscrizione obbligatoria al Servizio Sanitario Nazionale ex art. 34, co. 1, lett. b) e art. 29 co. 1, lett. d) e co. 3 lett. b-bis) del d.lgs. 286/98. Ha evidenziato il Tribunale che la prima delle sopra citate disposizioni prevede che «hanno l’obbligo di iscrizione al Servizio sanitario nazionale e hanno parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani per quanto attiene l’obbligo contributivo…. gli stranieri regolarmente soggiornanti … per motivi familiari…» ed a tale categoria è stata ritenuta appartenere la ricorrente, titolare di carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’UE. Il Tribunale ha, in particolare, affermato che la norma ha carattere generale e non distingue la tipologia del titolo di soggiorno, specificando unicamente, tra i motivi per i quali esso può essere rilasciato, quelli che comportano l’iscrizione obbligatoria al SSN, ed includendo in essi i motivi familiari. Ad avviso del Giudice il diniego opposto dall’amministrazione convenuta, fondato sostanzialmente sull’applicabilità dell’art. 29 TU, che fa esclusivo riferimento ai familiari di cittadino straniero, «si basa sull’equiparazione tra cittadino straniero e cittadino italiano che ha acquisito la cittadinanza successivamente all’immigrazione in territorio nazionale, con ciò operando una discriminazione fondata sulla provenienza geografica del congiunto». Il Giudice ha contestualmente dichiarato l’irrilevanza delle linee guida approvate dalla Giunta regionale del Veneto con delibera 753 del 4.6.2019, ritenute mere indicazioni interpretative inidonee a modificare gli effetti di una normativa nazionale e comunitaria di contenuto contrario (vedi Trib. Vicenza, ord. del 1.9.2020, in Banca dati Asgi).
 
Discriminazione per ragioni di fede religiosa
Il Tribunale di Bergamo ha accolto il ricorso presentato dall’Associazione Musulmani di Bergamo ed ha ritenuto la natura discriminatoria della d.g.r. n. XI/1655 del 20 maggio 2019 con cui la Regione Lombardia ha esercitato la prelazione di cui agli artt. 60-62, d.lgs. 42/2004 sull’immobile denominato Chiesa-Casa dei Frati, facente parte del complesso immobiliare del vecchio ospedale di Bergamo, riscontrando che era stata esercitata con l’intento di discriminare la confessione religiosa islamica in favore della Diocesi Ortodossa Romena di Bergamo. Il Tribunale di Bergamo, dopo una accurata disamina dei fatti enunciati a sostegno delle diverse tesi delle parti, ha acclarato che la decisione di esercitare la prelazione era stata palesata dalla Regione Lombardia all’indomani dell’esito dell’asta pubblica, e non già nel rispetto dell’ordinaria tempistica dettata dagli artt. 59-62, d.lgs. 42/2004, ed era stata nell’immediato giustificata per ragioni di tutela della comunità ortodossa romena (che già occupava il bene a titolo di comodato d’uso gratuito) e non sulla base di specifici interessi pubblici. Ad avviso del Giudice il progetto culturale elaborato dalla Regione Lombardia ex post, a giustificazione della decisione di esercitare il diritto di prelazione, nella parte in cui si propone di valorizzare l’ingente patrimonio artistico di proprietà degli enti ospedalieri lombardi e di creare un volano del cosiddetto turismo sanitario appariva non solo generico ed indeterminato, ma anche fuorviante atteso che nelle vicinanze della Chiesa – Casa dei frati non vi è più un ospedale, essendovi stata insediata la sede della Guardia di Finanza.
Il Tribunale ha conclusivamente ritenuto che la condotta tenuta dalla Regione Lombardia ha posto l’Associazione Musulmani di Bergamo, in ragione della confessione religiosa esercitata, in una situazione significativamente più svantaggiosa rispetto a quella che sarebbe stata garantita agli ortodossi romeni laddove l’offerta economica da questi presentata fosse risultata vittoriosa ed ha revocato la d.g.r. n. XI/1655 del 20 maggio 2019 con cui è stata esercitata la prelazione c.d. artistica «in quanto assunta con intento palesemente discriminatorio ai danni dell’associazione musulmani di Bergamo». Ad avviso del Tribunale di Bergamo la revoca era l’unico rimedio idoneo a rimuovere gli effetti della discriminazione esercitata dalla Regione Lombardia consentendo all’Associazione ricorrente di esercitare il diritto di proprietà legittimamente acquisito (vedi Trib. Bergamo, ord. 7.10.2020 ).
 
Discriminazione nei confronti dei disabili
In relazione alla c.d. Misura B1 prevista dal d.g.r. Lombardia 18.2.2020 n. XI/2862 «Programma Operativo regionale in favore delle persone con gravissima disabilità e in condizione di non autosufficienza e grave disabilità di cui al Fondo per le non autosufficienze triennio 2019-2021» ha avuto modo di pronunciarsi il Tribunale di Milano che, ritenuta la sussistenza di una condotta discriminatoria, ha imposto alla Regione Lombardia di riaprire i termini per almeno tre mesi per consentire la presentazione di nuove domande per l’accesso al relativo beneficio consistente nell’erogazione di un contributo di almeno 600 euro al mese a sostegno della «disabilità gravissima» che era stato limitato a chi risiede in Lombardia da almeno due anni. Il Tribunale di Milano ha ritenuto discriminatoria ed irragionevole tale previsione essendo il diritto alla vita indipendente delle persone con disabilità un diritto fondamentale (tutelato dall’art. 19 Convenzione Onu sui diritti della persone disabili del 13.12.2006 ratificata dalla l. 3 marzo 2009 n. 18) ed essendo presupposto primario per consentire una piena partecipazione alla vita di comunità ed il pieno esercizio di tutti gli altri diritti fondamentali tutelati a livello costituzionale. Il Giudice ha sottolineato che l’esclusione di soggetti portatori del fattore di rischio (disabilità) era avvenuta in assenza di alcuna ragionevole correlazione con il bisogno in relazione al quale la misura intende intervenire (diritto alla vita indipendente) ed ha affermato che la natura fondamentale del diritto costituisce un limite invalicabile alla discrezionalità del legislatore nel prevedere requisiti di radicamento territoriale, come più volte statuito dalla Corte costituzionale. In conclusione non risultando alcuna ragionevole correlazione tra il soddisfacimento del bisogno alla vita indipendente del disabile e la protrazione della residenza per oltre due anni nel territorio della Regione Lombardia, tale requisito di residenza realizza una discriminazione in contrasto con la ratio e la funzione della normativa stessa (dettata dalla legge finanziaria del 2007, dal d.p.c.m. 22.11.2019 e dalla stessa delibera impugnata) in violazione del canone di ragionevolezza e del principio di uguaglianza (vedi Trib. Milano, ord. 23.11.2020, in Banca dati Asgi).
 
Assegno sociale
Il Tribunale di Alessandria ha confermato l’indirizzo ormai prevalente fra i giudici di merito secondo il quale sussiste il requisito del soggiorno legale continuativo in Italia per almeno 10 anni, richiesto dall’art. 20, co. 10, d.l. n. 112/2008 convertito in l. 133/2008 e necessario al fine di percepire l’assegno sociale per i cittadini extra UE, nel caso in cui lo straniero, il quale abbia mantenuto la residenza anagrafica presso un Comune italiano, si sia assentato dal territorio nazionale per brevi periodi (nella specie un mese o poco più per anno) per far visita ai parenti (vedi sent. 15.12.2020, in Banca dati Asgi).
 
Indennità di disoccupazione
Il Tribunale di Padova ha affermato la sussistenza del diritto a percepire l’indennità di disoccupazione per lo straniero titolare di permesso di soggiorno per motivi di studio in quanto nessuna limitazione in base al titolo di soggiorno è ammissibile alla luce della normativa interna ed europea in materia di prestazioni previdenziali riconosciute al cittadino lavoratore straniero (vedi ord. 23.12.2020, in Banca dati Asgi).
 
Bonus asili nido
Il Tribunale di Milano, dopo aver rilevato che il bonus asili nido è prestazione diretta a compensare i carichi di famiglia e rientra quindi nell’alveo delle prestazioni di sicurezza sociale disciplinate dal reg. UE 883/2004, ha affermato che il d.p.c.m. 17.2.2017 e le circolari INPS che limitano l’accesso a tale prestazione istituita con la legge di bilancio 232/2016 ai soli stranieri titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo sono in contrasto con l’art. 12 della dir. 2011/98/UE. Pertanto, poiché l’art. 12 citato è norma direttamente applicabile nell’ordinamento nazionale, il contrasto con la previsione interna determina la necessaria disapplicazione di quest'ultima, in quanto il diritto dell’Unione è sovraordinato rispetto all’ordinamento nazionale. Al riguardo ha ricordato che la giurisprudenza anche di legittimità (vedi Cassazione, sez. trib., 17.6.2011, n. 13329) ha ripetutamente affermato il principio secondo cui «Il giudice nazionale e la pubblica amministrazione sono obbligati a non applicare la normativa interna contrastante con una direttiva che non richieda alcuna attività di adeguamento del diritto interno a quello comunitario perché del tutto incondizionata e precisa» (vedi Trib. Milano, ord. 10.11.2020, in Banca dati Asgi).
 
Apertura conto corrente
Con decreto emesso inaudita altera parte (e successivamente confermato) il Tribunale di Roma ha affermato che il rifiuto opposto da Poste Italiane s.p.a all’apertura di un conto corrente di base ai richiedenti protezione internazionale muniti della sola ricevuta di richiesta di permesso costituisce discriminazione in quanto il richiedente, privo della possibilità di aprire un conto corrente di base, si trova nella impossibilità concreta di esercitare un’attività lavorativa retribuita e di condurre una vita dignitosa, non potendo nemmeno accedere ai contributi statali o regionali previsti per l’emergenza pandemica, con possibile ulteriore pregiudizio in ordine alla possibilità di accoglimento della domanda di protezione internazionale. Il Tribunale di Roma ha ricordato che tale comportamento era in contrasto con l’art. 126-noviesdecies del Testo Unico Bancario, norma introdotta proprio in funzione antidiscriminatoria, con le indicazione della circolare ABI 19 aprile 2019 e con la comunicazione interna di Poste Italiane al riguardo emanata (vedi Trib. Roma, decr. 21.12.2020, in Banca dati Asgi).
 
Documentazione supplementare ex art. 3, d.p.r. 445/2000
La Corte di Appello di Milano, nel confermare l’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano in data 12.12.2018 che aveva accertato la condotta discriminatoria del Comune di Lodi consistente nella modifica del «Regolamento per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate» con la delibera del Consiglio Comunale n. 28 del 4 ottobre 2017, in relazione all’introduzione delle previsioni di cui agli artt. 8, co. 5 e 17, co. 4, ha sottolineato che, «con riferimento alle richieste di prestazioni sociali agevolate, il DPCM n.159/2013 sulle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’ISEE, che ne costituisce lo strumento di valutazione, si caratterizza come normativa di tipo “speciale” rispetto alla normativa generale sulla documentazione amministrativa di cui al DPR n.445/2000, oltre che cronologicamente successiva quest’ultima. Pertanto, nel contrasto fra norme di pari rango regolamentare, è il DPCM che deve trovare applicazione e ciò anche in ordine alle modalità di documentazione per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate che non possono quindi essere in alcun modo differenziate fra dichiaranti italiani e stranieri». La Corte di Appello di Milano ha evidenziato che «il regolamento del Comune di Lodi, che pure richiama nelle premesse il DPCM n. 159/2013, ha invece imposto agli stranieri di Paesi extra UE le più gravose modalità documentali di cui all’art. 3 DPR 445/2000 in relazione a redditi/beni posseduti all’estero proprio ai fini delle richieste di accesso a prestazioni sociali agevolate. Tale prescrizione… si rivela irragionevole ed in contrasto con i limiti al potere normativo degli enti locali in materia di prestazioni sociali agevolate discendenti dal combinato disposto degli artt. 117 co. 3, lett. m) Cost, 2 TUIMM e 2-10 DPCM n.159/2013» (vedi Corte d’Appello di Milano, sent 26.11.2020, in Banca dati Asgi).
Nello stesso senso si è pronunciata la Corte di Appello di Firenze che ha statuito che la richiesta di documentazione supplementare ai sensi dell'art. 3, d.p.r. 445/2000 rivolta al solo cittadino straniero che, a differenza del cittadino UE, non può autocertificare per accedere agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, non è sostenuta da alcuna norma di rango primario, è da considerarsi illegittima e irragionevole e costituisce discriminazione diretta ponendo il cittadino straniero, in ragione della sua condizione di straniero, in una situazione significativamente più svantaggiosa rispetto a quella dell’italiano (vedi Corte di Appello di Firenze pubblicata in data 27.1.2021, in Banca dati Asgi).
 
Carta Famiglia
Il Tribunale di Milano ha chiesto alla Corte di Giustizia di pronunciarsi in via pregiudiziale sulla compatibilità della norma di diritto interno che limita i beneficiari della carta famiglia ai soli cittadini italiani e dell’UE con i principi di parità di trattamento contenuti nelle direttive UE. Pertanto sono state sottoposte al vaglio della Corte di Giustizia le questioni interpretative poste dalle Associazioni ricorrenti (ASGI, APN e NAGA) rispetto alle nozioni di «prestazioni sociali», «assistenza sociale», «protezione sociale», «accesso a beni e servizi», ovvero «prestazione familiare» previste dalle dir. 2003/109/CE, 2011/98/UE, 2009/50/CE, 2011/95/UE e dal reg. 2004/883/CE (vedi ord. 14.9.2020, RG 5362/20, in Banca dati Asgi).

Sito realizzato con il contributo della Fondazione "Carlo Maria Verardi"

© 2017-2023 Diritto, Immigrazione e Cittadinanza. Tutti i diritti riservati. ISSN 1972-4799
via delle Pandette 35, 50127 Firenze