LA REGOLARIZZAZIONE 2020 (ART. 103, D.L. N. 34/2020)
Il termine di conclusione del procedimento
Diversi provvedimenti giurisprudenziali hanno affrontato il tema della interpretazione dell’art. 103, d.l. 34/2020 in materia di regolarizzazione della posizione giuridica e lavorativa delle persone straniere in Italia.
Si segnalano innanzitutto, considerata l’ampia rilevanza, le sentenze del Tar Lombardia, Milano, sez. III, n. 1785 del 22 luglio 2021, n. 2145 del 6.10.2021 e n. 2554 18 novembre 2021 le quali – discostandosi motivatamente da un precedente indirizzo interpretativo –
hanno affermato che l’obbligo di conclusione dei procedimenti amministrativi entro un determinato termine costituisce diretta applicazione dell’art. 97, co. 2, Cost. ed è presidio del buon andamento della PA.; non può conseguentemente sussistere un procedimento amministrativo privo dell’indicazione del termine di sua conclusione, in quanto determinerebbe un potere arbitrario in capo alla Amministrazione non pertinente a uno Stato democratico che garantisca anche il diritto di difesa della parte privata.
In merito al procedimento ad iniziativa di parte previsto dall’art. 103, co. 1, d.l. 34/2020, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 luglio 2020, n. 77, non essendo previsto alcuno specifico termine per la conclusione del procedimento, deve dunque farsi affidamento sul termine generale di 30 giorni entro il quale ogni procedimento deve essere concluso qualora non siano previsti dall’ordinamento termini diversi, giusta applicazione dell’art. 2, co. 2, l. n. 241 del 1990.
I requisiti reddituali del datore di lavoro
Le difficoltà interpretative della disciplina emergenziale emergono anche da Tar Marche, sez. I, ord. cautelare n. 346 del 4.11.2021, in relazione ai requisiti reddituali di cui deve disporre il datore di lavoro che abbia avanzato dichiarazione di emersione di un lavoratore addetto al lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare o all’assistenza alla persona (ai sensi dell’art. 9, co. 2, d.m. 27.5.2020). Tali difficoltà, in uno con i pregiudizi che possono derivare nelle more, sono alla base della sospensione del provvedimento impugnato in attesa della pronuncia di merito.
Sulla (solo parzialmente similare) questione attinente il «requisito reddituale» del datore di lavoro che abbia avanzato istanza di regolarizzazione ai sensi dell’art. 103, co. 1, d.l. 34/2020 di un solo lavoratore addetto al lavoro in agricoltura, il Tar Puglia, Bari, sez. III, ord. cautelare n. 517 del 18.12.2021 afferma che la capacità economica del datore di lavoro si verifica attraverso il reddito imponibile o il fatturato (cfr. art. 9, d.m. 27.5.2020 cui rinvia l’art. 103, d.l. 19.5.2020, n. 34 conv. con l. n. 77/2020).
Tre ulteriori pronunce (Tar Catania, sez. IV, sentenza breve del 17 gennaio 2022, n. 159, Tar Bari, sez. III, ordinanze cautelari nn. 38 e 39 del 19 gennaio 2022) cercano di rendere chiaro il significato del medesimo requisito reddituale allorquando il datore di lavoro abbia avanzato plurime istanze di emersione di lavoratori addetti al settore agricolo. Esse affermano che in base alle norme vigenti (i.e. art. 103 d.l. n. 34/2020 e d.m. 27.5.2020) la PA deve valutare la complessiva solidità economica del datore di lavoro e non limitarsi ad alcun mero calcolo aritmetico. La normativa è chiara, da un lato, nel fissare (in ogni caso) la soglia minima di 30.000,00 euro di fatturato riferendola al bilancio di esercizio dell’anno precedente a quello della presentazione dell’istanza (Tar Catania, cit.) ma, dall’altro lato, non prevede che detta soglia minima debba essere automaticamente moltiplicata per il numero dei lavoratori da regolarizzare qualora questi siano più di uno, specie in considerazione della circostanza per la quale nel settore agricolo i lavoratori sono assunti prevalentemente a tempo determinato (Tar Catania e Tar Bari, cit.).
In ipotesi di presentazione di più di un’istanza, inoltre, lo Sportello unico immigrazione, che ritenga la capacità economica datoriale congrua all’assunzione solo di alcune e non di tutte le figure lavorative, ha uno specifico obbligo di motivazione delle ragioni per le quali proprio alcuni e non altri lavoratori possano accedere alla regolarizzazione della propria posizione giuridica. Un legittimo criterio discretivo può essere quello della priorità del deposito di una istanza rispetto ad un’altra (Tar Catania, cit.) ma, in assenza di adeguata motivazione, il provvedimento amministrativo dovrà essere dichiarato illegittimo anche per tale motivo (Tar Bari, cit.).
Il settore produttivo
Sempre in materia di requisiti soggettivi del datore di lavoro che abbia avanzato dichiarazione di emersione ai sensi dell’art. 103, co. 1, d.l. 34/2020, va ricordato che la norma richiedeva l’esercizio dell’attività nell’ambito di specifici settori produttivi, analiticamente indicati dalla normativa speciale (i.e. agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura e attività connesse; assistenza alla persona per il datore di lavoro o per componenti della sua famiglia, ancorché non conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitino l’autosufficienza; lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare).
Il Tar Bari, sez. III, sent. n. 1584 del 30 ottobre 2021, afferma che lo Sportello unico immigrazione, al fine di valutare se l’azienda rientri tra quelle legittimate ad avviare e concludere positivamente il procedimento amministrativo, deve considerare non solo il codice ATECO principale della stessa ma, ove posseduto, anche il codice ATECO secondario e verificare se rientrino tra quelli di cui all’allegato 1 al d.m. 27.5.2020 e alle attività «connesse» all’agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura (cfr. art. 103, co. 3, lett. a, d.l. 34/2020).
La prova della presenza in Italia
Altre decisioni hanno riguardato il tema della prova della presenza in Italia del cittadino straniero prima dell’8.3.2020, prevista dall’art. 103, co. 1, d.l. 34/2020 quale requisito necessario per accedere alla procedura.
Il Tar Umbria, sez. I, sent. n. 773 del 28 ottobre 2021 ha affermato l’idoneità, a detto fine, del contratto telefonico e del codice STP con la relativa iscrizione al Servizio sanitario nazionale, essendo tra l’altro esplicitamente indicati nell’elenco individuato nelle FAQ pubblicate sul sito internet del Ministero dell’interno.
Peraltro, anche se le su menzionate FAQ indicano quali validi titoli a tale scopo, tra gli altri, anche i biglietti di vettori aerei e marittimi nominativi utilizzati per l’ingresso nello Stato, deve ritenersi che allo stesso modo siano utilizzabili i biglietti degli autobus, in quanto le indicazioni contenute nel sito ministeriale hanno carattere esemplificativo e non tassativo.
Il Tar Emilia Romagna, sez. I, ord. cautelare n. 460 del 14 ottobre 2021 ha ritenuto che il requisito è dimostrato anche dalla allegazione del certificato del medico di continuità assistenziale, il cui servizio è assimilabile a quello di guardia medica ed è inquadrabile, sia pure latu sensu nel concetto di «organismi pubblici» di cui al comma 1, art. 103 cit.
IL PERMESSO DI SOGGIORNO UE PER SOGGIORNANTI DI LUNGO PERIODO
Pregressa titolarità di permesso umanitario e computo del termine quinquennale
Il Tar Campania, Napoli, sez. VI, sentenza n. 2911 del 3 maggio 2021 ha affrontato la questione del computo del termine quinquennale, per conseguire il permesso UE di soggiornante di lungo periodo, nel caso in cui la persona sia stata in passato titolare di permesso umanitario, vale a dire se anche quel periodo possa essere calcolato.
Il giudice partenopeo rileva che l’art. 9, co. 3 TUI effettivamente esclude il diritto del titolare di permesso umanitario al rilascio del permesso UE di lungo soggiorno (insieme ad altre ipotesi ivi indicate), ma questo non significa che, se successivamente alla titolarità del permesso umanitario l’interessato acquisisca un diverso permesso di soggiorno che di per sé legittima il diritto al PSUE, il primo periodo non possa essere idoneo al calcolo del periodo quinquennale.
Dunque, la regolare presenza quinquennale richiesta dall’art. 9, co. 1 TUI va computata a far data dall’acquisizione del permesso umanitario. Infatti, «Una diversa interpretazione, peraltro, indurrebbe a rilevare una irragionevole disparità di trattamento tra gli stranieri che a seguito del riconoscimento della protezione umanitaria, decorso il quinquennio, possono acquisire il titolo di soggiorno UE e coloro ai quali sia stata riconosciuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari in quanto questi ultimi, nei cinque anni dalla presentazione della istanza di riconoscimento della protezione internazionale e fino alla istanza di rilascio del titolo di soggiorno, hanno comunque soggiornato regolarmente nello Stato integrandosi nel tessuto sociale mediante lo svolgimento di un percorso di studi ovvero del regolare svolgimento di attività lavorative».
Pregressa dichiarazione di regolarizzazione e computo del termine quinquennale
Ancora in relazione al calcolo del periodo di 5 anni rilevante per conseguire il predetto titolo di soggiorno, il Tar Campania, Napoli, sez. VI, sentenza n. 7515 del 25 novembre 2021 ha dichiarato che deve darsi rilievo al principio giurisprudenziale del «lungo soggiornante di fatto»; conseguentemente la PA deve considerare utili a tale fine tutti i periodi in cui l’istante sia stato regolarmente soggiornante sul territorio nazionale e, tra essi, anche quelli maturati a seguito della dichiarazione di emersione dal lavoro irregolare domestico o di assistenza alle persone ai sensi del d.lgs. n. 109 del 16 luglio 2012, anche allorquando la decisione in merito alla medesima dichiarazione sia stata assunta dall’Amministrazione solo molto tempo dopo.
Organo competente al rilascio e/o alla revoca del PSUE
In materia di competenza a deliberare sulla domanda di rilascio, rinnovo, aggiornamento o revoca del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, il Tar Sicilia, Palermo, sez. III, sentt. nn. 2964 e 2965 del 2 novembre 2021 ha ritenuto preliminare rispetto ad altre questioni sollevate quella relativa alla denunciata illegittimità del provvedimento emesso dal dirigente dell’Ufficio immigrazione della questura competente territorialmente. Si specifica, in via generale, che il potere di deliberare il rigetto o la revoca (come anche il rinnovo o il rilascio) di un permesso di soggiorno è attribuito dalla legge in via esclusiva al questore della Provincia in cui risiede il cittadino straniero (artt. 5, co. 5 e 6, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, e 9 d.p.r. 31 agosto 1999, n. 394). Inoltre, proprio in materia di permesso di lungosoggiorno, gli artt. 9 co. 1 e 4, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 stabiliscono che anche il potere di deliberare la revoca (come il rilascio e l’aggiornamento) di un permesso UE per soggiornanti di lungo periodo è attribuito dalla legge in via esclusiva al questore della Provincia in cui risiede il cittadino straniero e la normativa non prevede espresse ipotesi di delega. Dunque, in mancanza della prova dell’esistenza di tale esplicita delega, l’atto è viziato per incompetenza.
Condanne penali e diniego o revoca del PSUE
Con ampia e articolata pronuncia il T.R.G.A. di Trento, sez. unica, sentenza n. 81 del 17 maggio 2021 ritiene che, in ipotesi di condanna anche non definitiva di un cittadino straniero per uno dei reati indicati nell’art. 4, co. 3, d.lgs. 286/98 (nella fattispecie «delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope puniti a norma dell’art. 73 del Testo unico approvato con d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, salvo che per i delitti di cui al comma 5 del medesimo articolo»), la posizione giuridica del soggiorno dello stesso si differenzi a seconda che questi sia titolare di un ordinario permesso di soggiorno ovvero di un permesso rilasciato ai sensi dell’art. 9, d.lgs. 286/98: nel primo caso il provvedimento di rifiuto o di revoca del permesso di soggiorno si configurerebbe come un atto vincolato non essendo necessaria a tal fine alcuna ulteriore valutazione circa la pericolosità sociale del cittadino straniero o il suo livello di integrazione nel contesto sociale italiano, con la sola eccezione costituita dall’eventuale sussistenza di legami familiari nel territorio dello Stato italiano (cfr. art. 5, co. 5 TUI e Corte costituzionale, sentenza del 18 luglio 2013, n. 202).
Nel secondo il diniego di rilascio o la revoca del permesso di soggiorno non possono essere disposti per il solo fatto che l’interessato abbia riportato sentenze penali di condanna, ma si richiede sempre un giudizio di pericolosità sociale e una motivazione articolata su più elementi, che tenga conto anche della durata del soggiorno sul territorio nazionale e dell’inserimento sociale, familiare e lavorativo dell’interessato, nonché alla concreta possibilità di reinserimento nel Paese di origine, essendo escluso ogni automatismo tra provvedimento sfavorevole e condanne penali. Inoltre, nella sentenza si specifica anche che sussiste in capo all’Amministrazione un obbligo motivazionale particolarmente stringente (non soddisfatto dall’utilizzo di formule stereotipate) volto ad esplicitare le ragioni per le quali i fatti per cui l’interessato è stato condannato in sede penale, anche per gravi reati, comportano, nella ponderazione comparativa dei contrapposti interessi, la prevalenza delle ragioni di sicurezza e ordine pubblico sul diritto della persona a permanere sul territorio dello Stato e a mantenere i legami con la propria famiglia. Tale motivazione deve connotare il provvedimento amministrativo all’esito del contraddittorio con la parte, mentre non può ritenersi valida allorché sia ad esso postuma e fornita quale integrazione dell’atto negli scritti difensivi prodotti in giudizio (conf. Consiglio di Stato, sez. VI, sent. n. 3385 del 27 aprile2021), anche perché ciò sarebbe in insanabile contrasto anche con la normativa europea (cfr. art. 296 TFUE ed art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).
Procedimento amministrativo e PSUE
In altra fattispecie, conformandosi alla ordinanza n. 6064 del 16 ottobre 2020 del Consiglio di Stato, il Tar Lazio, Roma, sez. I-ter, sent. n. 7921 del 5 luglio 2021 ha dichiarato che è illegittimo il decreto della questura di irricevibilità dell’istanza di rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo qualora lo stesso non sia preceduto da idoneo preavviso di rigetto. Per tale motivo l’Amministrazione sarà tenuta a valutare nuovamente la regolarità della situazione anagrafica e la effettiva disponibilità «di un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall'Azienda unità sanitaria locale competente per territorio».
PERMESSO DI SOGGIORNO PER MOTIVO DI STUDIO
Non sussiste alcuna necessità che il corso di studio intrapreso dal cittadino straniero che abbia fatto ingresso in Italia con un visto per motivi di studio sia esattamente il medesimo per cui ha presentato domanda di visto. Secondo il Tar Piemonte, Torino, sez. I, sentenza n. 1199 del 23 dicembre 2021, tale tesi esegetica non solo trova riscontro nella normativa nazionale (cfr. artt. 5 e 39 d.lgs. 286/1998 ed artt. 44-bis e 46 d.p.r. 394/1999) e nella interpretazione fornita dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Tar Milano, sez. IV, 19 maggio 2021, n. 1232; Tar Lombardia, Milano, III, 20 giugno 2008, n. 2103; cfr. anche Tar Toscana, sez. I, 7 marzo 2006, n. 872), ma è altresì corroborata dalla disciplina del diritto dell’Unione europea, volta promuovere l’ingresso e la mobilità intra-unionale di studenti e ricercatori di Paesi terzi, quale forma di migrazione volta a «generare conoscenze e competenze e promuoverne l’acquisizione. Essa costituisce una forma di arricchimento reciproco per quanti migrano, per lo Stato d’origine e per lo Stato membro interessato, rafforzando nel contempo i legami culturali e arricchendo la diversità culturale» (considerando 7 Dir. UE/2016/801).
Deve dunque essere riconosciuta la fungibilità tra i differenti corsi di studio.